7.2 - Su cosa non sia l'amore (e forse lo è)
*
Al contrario di Marisa, spumeggiante e ciarliera, Gemma è schiva quanto una pantera nella boscaglia, e come tale si muove nella stanza da letto.
Bruno, dal canto suo, si sente un po' un animaletto entrato per sbaglio nella sua tana - e non è affatto la sensazione che vorrebbe avere nell'entrare in una stanza di bordello per chiavare con una donna.
Con una donna, rimarca il suo cervello, in un'eco molesta e superflua.
Non così superflua quando, nell'adocchiarla di spalle mentre si prepara per lui, gli offre quella visione affatto femminile che lo sta facendo uscire pazzo - pazzo completo, perché, invece di sentirsi inibito e fiacco alla vista del suo corpo poco formoso, gli si è appena fatto duro come ogni altra volta.
Gemma, toltasi la vestaglia di seta rossa, gli si fa incontro, con ora indosso solo il reggiseno e la lingerie in pizzo nero.
Bruno non sa nemmeno dove posare lo sguardo; se in volto, incrociando i suoi occhi troppo chiari, o sul suo corpo sottile, eppure sodo. Nelle gambe, nello stomaco, nelle dita, tiene un'arteteca* che gli sta causando più scompensi di un guaglioncello che s'è intrufolato là dentro di stramacchio per vedere un paio di tette per la prima volta.
«Rimanete lì, dottor Modo?»
Per la prima volta, l'accenno di un sorriso le grazia la bocca piccola. Sembra sinceramente divertita dal suo fare incerto; non in maniera maligna, quanto incuriosita.
«Rimango incantato,» spara senza pensare, suscitando un arcuarsi più deciso delle sue labbra.
Non sa se è messinscena - probabile - o spontaneità, poiché le due cose in quel luogo tendono a mescolarsi, ma ricambia con simulata leggerezza. Si decide a farsi incontro a lei e Gemma fa un allungo che pare quasi un passo di danza, insinuando una gamba tra le sue e sfilandogli la giacca dalle spalle; scivola poi dietro di lui, togliendola del tutto per appenderla all'attaccapanni lì di fianco.
Un paio di nodi di tensione alla base del collo si sciolgono, a quei gesti familiari. Serra gli occhi, avvertendo le sue mani che gli accarezzano il petto e le spalle nel premersi contro la sua schiena: non la vede e potrebbero appartenere a qualunque donna. A chiunque, ché il suo seno piccolo è appena percettibile attraverso la stoffa del gilè e della camicia. A chiunque.
Bruno schiude, con dita tremanti, la porta a quel pensiero, quell'intruso - lo vede in controluce e ne sente il profumo sottile di bosco nelle narici, quando Gemma gli preme le labbra sulla nuca, poi dietro l'orecchio, i capelli corti che gli solleticano il lobo e gli inviano brividi sottopelle.
Schiude le palpebre, prende fiato come prima di un'apnea - ma in realtà riemerge, rompe la superficie dei pensieri in cui sta sguazzando.
È in un bordello. È chiuso in una stanza oscurata al mondo ed è con una donna istruita a prendersi cura e assecondare ogni fantasia maschile senza porsi domande. E le sue fantasie non sono nemmeno umilianti per lei, ché non deve chiederle proprio nulla di bizzarro e, soprattutto, sono chiuse solo nella sua testa, invisibili.
Fin troppo visibili a lui, è vero, ma, se avesse avuto la volontà di evitarle, sarebbe ora intrecciato a Carmen, ad annegare con semplicità tra il fuoco dei suoi capelli lunghi e delle sue curve generose, di donna piena.
Si lascia scivolare di dosso i pensieri, così come il gilè e le bretelle che Gemma gli ha appena sbottonato e tolto.
«Vi sento teso, dottore, siete un fascio di nervi.»
Bruno abbozza un sorriso, anche se non può vederlo - e la sua proverbiale verve s'è rifugiata in qualche anfratto remoto, perché nemmeno coglie l'occasione per un gioco di parole involontario.
«Lo so, è stata una settimana pesante.»
«Volete un massaggio? O avete richieste?»
«No, no,» deglutisce a secco, mentre lei gli slaccia la camicia partendo dall'ultimo bottone, «lascio fare a te.»
L'ultimo pensiero scivola via con la camicia, poi coi calzoni, e infine si comprime sotto la pressione piacevole delle sue dita tra le scapole, che lo guidano a sedersi sul letto.
Si sente normale, dopo qualche minuto di beato massaggio che gli rilassa le spalle e poi si sposta più in basso, oltre l'intimo, a cingerlo e stuzzicarlo. Si sente normale, quando, guidato da una carezza più intensa, si gira per spogliarla e scoprirle il seno; e si sente normale, quando si china a posare la bocca sulle sue areole turgide e affoga nel suo profumo deciso, di bosco e pini, rubandole un sospiro forse finto.
Si sente normale anche quando, nel rialzare il capo, incrocia i suoi occhi cristallini che sembrano oscillare tra colori tenui - ed è normale, in quell'istante, tendersi a cercarle le labbra.
Incontra la punta delle sue dita, frapposte tra loro due a frenare il bacio. Lo scruta severa da sotto le ciglia e non ha bisogno d'aggiungere altro: Bruno scivola a lambirle il collo, invece, accostando a sé il calore del suo corpo sottile - anche se vorrebbe ancora baciarla e gli si chiude la gola dal desiderio di assaggiare la sua bocca.
La porta a cavalcioni su di sé, a scacciare quell'ombra, a dissiparla con la scarica bollente che gli attraversa l'erezione nello sfiorare la polla umida tra le sue gambe. Gemma, però, lo spinge disteso e si allunga verso il comodino, privandolo del contatto per una manciata di istanti, quelli necessari a recuperare un profilattico - e lui la ferma, d'impeto, serrandole piano un polso.
«Vabbuò, però avvertitemi,» lo fulmina lei, un poco incerta sotto la sua maschera imperturbabile.
«Ovvio,» replica in fretta Bruno - gli si tendono i nervi e l'eccitazione come corde di violino, ansioso di perdersi dentro di lei.
Lei si solleva infine sul suo corpo, esposta, il lieve controluce che la disegna come una sagoma dalle curve appena accennate; poi scivola su di lui con lentezza misurata, avvolgendolo in sé come seta. Bruno non lo trattiene, il verso inconsulto che gli vibra contro il palato, quando si solleva di nuovo e di nuovo si abbassa su di lui, in un'onda languida che lo bagna d'eccitazione fremente.
Aggancia le mani alle sue cosce e la guida sopra di lui, scatta in su il bacino, ad acuire l'affondo - ed è normale anche questo, è normale volerla a tal punto e bearsi dei suoi gemiti e ansiti, è normale sentir montare dentro di sé la spinta dell'orgasmo già vicino, che tiene a bada solo per non svilirsi.
Gli occhi di Gemma, in quell'istante intercettano uno spiraglio di sole scappato oltre le tende e si animano di riflessi cangianti - azzurro terso e una stilla di nocciola attorno alla pupilla, ma alcuna traccia di verde - si perde là dentro, in loro balia, ma nessuno può vedergli i pensieri che ha in testa-
«Girati,» soffia via nel mezzo di una spinta, con le mani impigliate sui suoi fianchi a spingersi più a fondo.
Invece di eseguire alla svelta, rallenta appena sopra di lui - gli toglie da sotto le dita il piacere crescente che gli si stava gonfiando nei lombi.
«Non tenete voglia di guardarmi in faccia? Dovevo decidere io, mi pa-»
«Girati e basta.»
Gli esce quasi in un ringhio, quell'ordine, seguito da una torsione brusca di entrambe le mani sul suo bacino. L'espressione di Gemma muta appena, s'inclina in quello che pare muto disprezzo - come se non la stesse pagando, poi. Si solleva di scatto, liberando la sua virilità senza grazia; gli dà le spalle e torna a cavalcioni su di lui.
Alla vista dei suoi glutei sodi e della schiena nivea, punteggiata di costellazioni di nei, ogni straccio d'irritazione svanisce; ed evapora del tutto quando lo riaccoglie in sé, stavolta con una brusca fermezza che gli ruba uno sfiato appagato.
E, sotto le spinte più decise e rapide di Gemma, il cui volto è ora nascosto dalla chioma corvina, gli fa capolino in testa lo stesso pensiero che sta cercando di chiuder fuori da quando s'è svegliato.
Quel pensiero che è un intruso entrato senza permesso, sfacciato: lo sbeffeggia dagli angoli della mente, ridendo come un matto, senza mai lasciarsi afferrar del tutto - e si aggrappa a quei fianchi candidi, alla pagliuzza d'azzurro che scorge tra le ciocche nere, alle labbra sottili schiuse tra i sospiri, come se fossero in grado di trarlo fuori da quel turbinio folle - s'inarca con più forza e vi si immerge solo di più, in quel calore, in quei frammenti d'immagini sbriciolate - vuole affogarvi, perché nessuno può vederlo, nemmeno lui stesso.
È una frazione di secondo, un attimo prima del culmine, quella in cui se stesso, la stanza e il mondo tutto finiscono per capovolgersi con un fracasso assordante - a tempo col cigolio delle molle in sottofondo - ed è quando quel pensiero, quell'intruso, lo afferra con entrambe le mani e, anzi, lo invita a entrare nella propria testa spalancando la porta - e lo vede.
Lo guarda in faccia, ed è un estraneo che forse ha sempre conosciuto.
Perché realizza in quel momento che, a gemere sopra di lui, potrebbe esserci chiunque, donna o uomo, e non gli farebbe differenza - ma è una singola persona, quella che immagina ora su di sé, a offrirgli una schiena candida, ciocche corvine e uno scorcio d'occhi cerulei mentre affonda nel suo calore bollente.
Si solleva di scatto, il volto premuto contro quella schiena magra e madida, le labbra schiuse a gettar fuori respiri rotti e i fianchi che scattano ad affondare di più, più forte, le mani che annaspano a strizzarle i seni - e si chiede come sarebbe trovare un petto liscio, invece. Sull'onda di quel pensiero, si libera in lei con uno spasmo convulso, involontario, che gli incenerisce ogni nervo in corpo e gli sradica dal petto un grido muto.
Quando l'ultimo fiotto lascia i suoi lombi, ogni stilla di beata ignoranza lascia spazio al vuoto prima della lucidità. L'orgasmo, però, continua a ballargli in corpo come un forsennato. Si trattiene dentro lei, conscio che non dovrebbe, ma la avvinghia a sé ancora per qualche istante, vincendo la sua lieve resistenza che pare quasi rassegnata.
Infine, si lascia ricadere lento all'indietro, come un filo d'erba stroncato dal gelo.
Subito, non appena allenta la presa, Gemma si alza, rapida, e lo libera brusca trattenendo quello che pare un improperio. Si ferma poi per un istante accanto al letto, nuda, sporca di lui in mezzo alle cosce e coi seni piccoli che seguono il ritmo un poco accelerato del suo respiro.
«Avete finito?»
Lui fa cenno di sì, in fretta. D'un tratto, detesta il suo sguardo, quegli occhi chiari che gli hanno risvegliato pulsioni ignobili. Non vuole vederla, là davanti a sé - non vuole vedere nessun altro in trasparenza e vorrebbe cavarsi gli occhi.
«Vattene pure,» bofonchia poi in fretta, con una mano che striscia a coprirsi il volto.
Non arriva risposta da Gemma, se non i suoi passi attutiti e frettolosi, lo scroscio prolungato dell'acqua del bidè nel bagno adiacente, assieme a un tintinnio di vetro e boccette. Poco dopo - un attimo prima che lui possa richiamarla, con parole amare sulla punta della lingua - lo investe lo scatto violento della porta che si chiude.
Gli buca i timpani.
Bruno non schioda la mano dal volto, la tiene come sipario tra sé e la stanza; tra sé e il disastro di piacere contaminato che lo sta imbrattando; tra sé e la versione peggiore di sé che usa una donna a quel modo animalesco che ha sempre deprecato; soprattutto, tra sé e l'immagine, marchiata a fuoco dietro le retine, di un uomo sopra di lui che asseconda ogni sua spinta.
Di un uomo che ha un volto, un nome, degli occhi a cui fa troppo caso da troppo tempo, mani calde e gentili e un profumo che non avrebbe mai dovuto scoprire e che gli si è insinuato nel cervello. Lo sente contro il palato, così come voleva sentirlo prima.
Cala la mano a coprirsi la bocca e sorride nevrotico contro il palmo - non c'è alcuna allegria, in quel sorriso, solo la volontà storta e raddrizzata a forza di non sbottare a piangere come un effeminato - come l'invertito che ha confermato di essere e che ancora gode al pensiero di chiavarsi un uomo - e pure quello di esserne chiavato pulsa in sottofondo, causandogli un conato e una stretta di libido marcia ai visceri.
Serra le palpebre e quasi spera di morire lì, su quel letto.
Un unico pensiero veleggia nel suo cervello sconquassato: non sa con quale coraggio guarderà negli occhi Ricciardi, quando lo rivedrà.
Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
era questo che intendevo con "sarà scomodo stare nella testa di Bruno". E spero che scomodi ci siate stati: non c'è alcuna intenzione di giustificare il suo comportamento meschino in questa scena, a prescindere dalla sua confusione interiore.
L'intento, come sempre, è una rappresentazione umana credibile, con tutti i difetti che ne conseguono. Posso anticiparvi che Bruno su questo episodio rifletterà a lungo, in varie prospettive, e ci sarà una scintilla di redenzione, ma per ora lo lascio nella sua pozzetta di autocommiserazione e schifo. (E finalmente l'ha detto, 'sto nome!)
Per chiarezza: il titolo si riferisce ovviamente al comportamento scorretto di Bruno, nella prima parte. Quella tra parentesi è riferito unicamente ai suoi pensieri sinceri rivolti altrove, ma ovviamente non sta a sottintendere che vi sia amore in quanto appena accaduto.
Grazie a tutti voi coraggiosi che avete letto fin qui ♥
-Light-
P.S. "Arteteca", come scritto nelle note, è un termine napoletano. L'ho scoperto grazie alla storia "Hearteteca" di Niijika, che vi invito caldamente a leggere, se volete vedere uno spaccato coloratissimo di Napoli, denso di emozioni e scritto in modo impeccabile e vero come i suoi personaggi ♥
(spero di non aver vituperato troppo il napoletano, ma qui quella parola ci stava a pennello ahahah)
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