6.2 - Sui fastidi e le fantasie (ma soprattutto le fantasie)

C'è da dire che, a volte, il sovvertimento è sottilmente coadiuvato dalla sorte, quale segreta eminenza grigia del sovvertimento stesso. Vien da chiedersi, dunque, se la sorte in questione non sia parte di esso – e quindi causata da chi il sovvertimento lo subisce.
Ché la sorte potrà anche esser cieca, è vero, ma è altresì vero che c'è la tendenza ad andarsela a capare pure da chi ci vede benissimo e potrebbe evitarla, nella più squisita e fatale delle contraddizioni umane.

*

          «Marisa oggi è indisposta.»

Bruno sopprime una smorfia di fastidio, ma un rapido calcolo mentale gli ricorda che non è per la regola delle tre volte di fila, che Mamma Clara gli sta sbarrando il passo. Storce la smorfia in un sorriso alludente.

«Vabbuò, poco male... tanto voi tenete sempre una scelta sopraffina, Madame

«Cantatele a qualcun altro, dottore, ché qua cantano solo i soldi.» Prende le sue cento lire e gli piazza nel palmo il gettone della marchetta. «C'è arrivata la quindicina nuova lunedì scorso, così variate un po'... non è da voi venir qua la domenica. Saltate la messa, oggi?» aggiunge, con un'occhiata pettegola.

Bruno ignora l'osservazione.

«Posso passare al volo da Marisa?» chiede invece, prima di allontanarsi; e puntualizza, all'occhiata ombrosa di Mamma Clara: «In veste di medico.»

Immagina che, anche stavolta, il mestruo stia affliggendo Marisa in modo particolarmente maligno: non gli costa nulla passare dal piano di sotto a prepararle un cataplasma lenitivo – oltre al fatto che è bene accertarsi che non vi siano complicanze di sorta, visti i suoi trascorsi. La maitresse mugugna qualcosa di poco amichevole, ma, come ogni mese, gli dà il via libera.

«Scegliete la vostra accompagnatrice, prima. Cinque minuti da Marisa, non di più.»

«In cinque minuti non mi bolle manco l'acqua del cataplasma.»

«Dieci, e non insistete.»

Bruno solleva il cappello a mo' di ringraziamento. Hanno parlato a voce bassa, ma non troppo, così da non dar l'impressione di confabulare, ma senza dir nulla di compromettente: il bordello è pieno di orecchie indiscrete ed è bene mantenere un poco di apparenze.

Sa che, in realtà, Mamma Clara gradisce quelle visite estemporanee, a Marisa o alle altre ragazze, soprattutto perché sono gratis. È da un anno circa che dei tubisti si fida quanto si fiderebbe d'una camicia nera lasciata a piede libero a Poggioreale davanti alle celle dei comunisti.

Bruno entra nell'adiacente salottino aperto in stile rococò: è permeato da una luce calda e rossastra, per via del sole intenso che filtra attraverso le spesse tende Borgogna, a coprire ogni finestra, e delle abat-jour dal paralume del medesimo colore.

Essendo domenica, il salottino è semivuoto, se non per dei giovanotti in divisa da marinaio intenti a fare il filo, a turno, alle molte pensionanti che si aggirano per l'ambiente. Bruno ne scorge alcune più defilate, oltre i separé da spogliarello o rincantucciate sulle poltrone meno in vista, intente a leggere o a chiacchierare tra loro, al riparo dall'occhio di Mamma Clara – che, di certo, le vede e sente benissimo, ma non si cura di redarguirle vista la giornata fiacca.

Al suo ingresso alzano lo sguardo, sciogliendosi in sorrisi languidi come da prassi. Pur essendo la nuova quindicina, riconosce con piacere un paio di volti noti: ragazze con cui è andato tempo addietro e ricapitate lì sull'onda dei ricollocamenti periodici.

Bene: oggi ha fretta e poca voglia di far flanella, e ciò gli semplifica la scelta.

Si piazza sul divanetto più isolato e apre un sigaro, adocchiando proprio quei volti non del tutto estranei, che ricorda vagamente in positivo. Il tempo di accendersi il sigaro, e una di loro gli si fa incontro: capelli lunghi e raccolti, di un rosso morbido, efelidi che le picchiettano lievi gli zigomi e le spalle scoperte e occhi grandi, dai colori autunnali.

Qualcuno dice che il rosso è il marchio del demonio e lo evita persino in un bordello, che di santo non ha proprio niente: Bruno gli ride in faccia e il demonio se lo prende tutto per sé, se gli capita a portata di mano – gli sembra destino, che quel giorno sia proprio oggi, quando di pensieri impuri ne ha da svendere in quantità.

«Di te mi ricordo,» esordisce, quando lei gli si siede accanto.

«Anch'io mi ricordo di voi,» replica lei, accavallando una gamba e posandola sulle sue – Bruno le raccoglie un ginocchio nudo nel palmo, svicolando con le dita sotto la stoffa del vestito.

«E ricordo molte cose, di te... ma non il nome, devi perdonarmi.»

«Non è da tutti fare le presentazioni, qua dentro.» Soffia via un sorriso, ora vicina al suo volto. «Carmen. E voi?»

«Bruno.»

«Solo Bruno?»

«Dottor Modo, se preferisci.»

«Preferisco,» conclude lei, facendo scivolare una mano sul suo braccio.

Bruno si ritrova a riportarle su una spallina dell'abito succinto con la punta del mignolo, in un gesto che dice tutto il contrario di quanto farà tra poco. Non gli è mai capitato di provare sollievo, in quell'esatta situazione, ma è esattamente ciò che gli si spande nel petto.

È lieto che si sia svolto tutto con la celerità che sperava, così da potersi levar presto di testa tutti i pensieri che hanno continuato a rimbalzargli nella calotta cranica dal mattino. Un'ora d'amore, forse due, se Carmen gli piacerà quanto l'ultima volta e se il suo corpo ancora un po' infiacchito dalla nottata non darà forfait – per ora, non gli sembra proprio.

Sta per tirare un'ultima boccata di fumo per poi invitare Carmen a salire in camera, quando lo sguardo gli sfugge, per caso, verso l'ingresso del salottino.

E lì rimane infisso a vacillare, come un dardo scagliato con troppa forza.

Perché, per una frazione di secondo, è convinto d'aver scorto tutt'altra persona, nella mezza ombra del tendaggio damascato – qualcuno che gli ha causato una giravolta a stretto giro nello stomaco e non sa se per la sorpresa, per come credeva fosse vestito o per altro d'innominabile.

Quasi stritola il sigaro tra le dita. Uno sfarfallio convulso di ciglia e mette a fuoco la sagoma con più precisione, pur di spalle: una ragazza, apparsa da chissà dove o forse appena arrivata.

Ha un fisico minuto, quasi androgino, e i capelli corvini à la garçonne più corti che abbia mai visto, inchiostro fluido sulla pelle nivea del collo. In quel mentre, gira un poco il capo, forse sapendosi osservata: qualche ciocca nera più lunga le incornicia il viso leggermente spigoloso, dall'incarnato latteo e gli occhi chiari. Alcune vanno ad arricciarsi sulla fronte in occhielli leziosi.

Nel suo essere quasi invisibile nel salottino, magnetizza la sua attenzione e ogni stilla di raziocinio che aveva appena riportato in salvo a forza.

Carmen, di cui s'era quasi scordato, intercetta il suo sguardo puntato oltre le sue spalle e sospira appena. Gli preme l'indice sulle labbra in un velato rimprovero, riscuotendolo da quella sorta d'ipnosi; si ritrova i suoi occhi dolci piantati addosso, ora non più così dolci.

«Mi sa che voi avete già scelto, dottore,» commenta pungente; e si alza svelta, con un ammiccare forse un po' acido alla sua collega.

Bruno deglutisce a vuoto, quando vede la nuova arrivata avvicinarsi lenta a lui, coi passi elastici e tuttavia noncuranti di un felino. Eppure, a dispetto del luogo, non v'è traccia di malizia sul suo volto, che rimane composto, quasi altero.

È solo quando si china verso di lui che Bruno vede meglio i suoi occhi, incastonati come pietre preziose sul volto. Il sigaro gli ricade molle e penzoloni tra le sue dita, in netto contrasto con ciò che sta accadendo più a valle.

Occhi cerulei, chiari come un cielo terso. Inondati dalla luce soffusa delle applique, tremolano d'altri colori più sottili. Cangianti, imprevedibili – cerca, invano, quella particolare sfumatura acquamarina che–

«Come ti chiami?» gli sfugge roco, sull'onda di un pensiero fuggito altrove, all'aria aperta e al sole.

«Gemma.»

È un sussurro sottile come uno stiletto.

Non è il suo vero nome, ovvio – è per gli occhi, ne è sicuro, per le loro sfaccettature quasi geometriche, adamantine, che ne solcano il blu pastello e che lui si scopre a inseguire. Si ritrova il respiro corto, spinto in gola dai battiti più profondi del proprio cuore.

Se quella fosse Marisa, o Carmen, o chiunque altra, poserebbe una mano sul suo fianco, o dietro la coscia, o le prenderebbe con delicatezza il mento tra due dita, o le arriccerebbe una ciocca di capelli.

Le sue mani, però, rimangono inerti, rivolte verso il basso, i gomiti ancora puntati sullo schienale e le dita strette sul sigaro; rimane immobile sul divanetto, stregato e col respiro bloccato in gola. Non sa cosa sta vedendo – non lo vuole sapere.

Nemmeno lei lo tocca; si limita a rimaner china su di lui e a fissarlo dall'alto, offrendogli le tenui valli del suo décolleté candido oltre il pizzo nero e la nota del suo profumo – quasi maschile, un misto carico di mirto e ginepro che gli avviluppa i sensi e che risveglia ricordi soffusi, boscosi.

«Va bene, Gemma,» dice infine, con la voce che gli gratta contro le corde vocali. Non riesce a suonare spavaldo come vorrebbe. «Io devo sbrigare una faccenda per Mamma Clara, prima. Mi aspetti su?»

L'accenno di un sorriso tagliente si tende sul suo volto, esaltato dal rossetto ciliegia. Con una sicurezza sfacciata, gli sfila il sigaro dalle dita e ne aspira un tiro, posandolo un poco più addentro di quanto necessario tra le labbra sottili e serrandole con morbidezza attorno alla circonferenza – a Bruno sfarfalla la vista, intenta a sovrapporre immagini confuse e indecenti a quella di fronte a sé.

«Non è garbato far aspettare chi lavora.» Gli soffia piano il fumo in viso. «Prendetene due, di marchette.»

Detto ciò, senza nemmeno aspettare una risposta, gli porge il sigaro a un soffio dalla bocca; lui lo riprende tra le labbra senza nemmeno pensare, avvertendo la scia umida sulla foglia di tabacco – non è un gesto virile, quello, neanche per sbaglio. Affoga il pensiero nella polla incandescente che gli è scesa nel basso ventre nel compierlo e che forse dovrebbe preoccuparlo, invece di continuare a gettarvi tizzoni infuocati.

Gemma si rialza di fronte a lui, la sua figura esile che lo sovrasta; volta la testa verso Mamma Clara in cerca di conferma, dandogli quasi le spalle, e rimane diritta lì per un singolo istante.

Da quella prospettiva, come poco fa, distingue solo il suo incarnato pallido, in contrasto coi capelli nerissimi, e la curva scoperta del suo collo inghiottito dalle spalle magre e dal balconcino della veste; coglie il profilo tumido di un seno delineato contro la stoffa sottile e la spanna di morbida coscia scoperta solcata dal reggicalze, con la curva di un gluteo appena intuibile sotto il tulle dell'abito.

La vede, per un istante, nuda e sopra di sé – affonda già dentro di lei e la vuole veder di schiena – vuole immaginarselo, il suo volto

Bruno ricaccia dentro di sé un sussulto che lo scuote dalla radice dei capelli alla punta della sua eccitazione, e rischia già di perdere ogni dignità di uomo ad allentare un poco l'autocontrollo. Aspira una boccata di tabacco e si arrotola l'aroma attorno alla lingua nel tentativo di schiarirsi le idee.

Tentativo futile, poiché in testa gli sbatacchiano due fazioni di pensieri intenti a farsi la guerra, con stendardi tanto chiari da incutergli terrore: quanto di femmineo vede e quanto di mascolino scorge e non dovrebbe vedere, sovrapposti tra loro in un miscuglio letale che gli fa bollire il sangue a fuoco lento.

Gemma rivolge di nuovo verso di lui le sue iridi cristalline, fulcro di quell'incanto da strega. Se ha detto qualcosa a Mamma Clara, nemmeno se n'è accorto, oltre il pompare assordante del sangue nelle orecchie.

«Vi aspetto sopra, allora. Camera cinque.»

Bruno annuisce e basta, gli occhi incuneati su di lei mentre si allontana.

Un paio di risolini gli arrivano alle orecchie – riconosce la voce di Carmen. Sa che ridono di lui, della sua faccia da ebete, ma non se ne cura. Attende solo un minuto buono, condito di falsa nonchalance nel fumare il sigaro, per dar modo alla sua erezione di placarsi quanto basta a camminare dritto senza diventare lo zimbello delle ragazze.

È lieto di dover passare prima al piano di sotto, dalle cucine e da Marisa, per preparare il cataplasma e prestarle assistenza. È meno lieto d'aver più tempo per pensare.

Perché ha fatto una scelta. Sa perfettamente cosa ha scelto. E, per quanto una parte di sé sia già in quella camera con Gemma – o chi per lei – sa anche che se ne pentirà.

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
io non dico niente. Avete già capito tutto, tanto.

L'escursione nella mente un po' birichina  di Bruno è appena cominciata! Questo capitolo era parte di uno più ampio, ma ho deciso di dividerlo, anche perché nel prossimo c'è un episodio un po' meno scanzonato a cui volevo dare il giusto risalto.

Grazie a tutti voi per aver letto e commentato questo e gli altri capitoli, come sempre <3

-Light-

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