3.1 - Sul colore della luce
«Te lo confermo, Riccia': quel poveraccio non è Emilio Battaglia,» esordisce Bruno, dopo aver divorato in due bocconi voraci la sua sfogliatella. «A parte che il fratello stesso era dubbioso circa il riconoscimento, ma anche il resto del corpo mostra delle differenze notevoli e le impronte dentali non corrispondono. Un lavoro molto grossolano, debbo dire. Magari, speravano che fossimo dei fessi e che avremmo presa per buona l'identità sulla base del vestiario e del luogo del ritrovamento.»
Le labbra di Ricciardi si arcuano in un moto soddisfatto dietro al coccio della tazzina di caffè.
«Lo sospettavo.»
«E da cosa, di grazia? Che, gli hai fatto una necroscopia esterna?»
Ricciardi beve il caffè ormai tiepido, ritardando la risposta, e punta poi la base dei palmi contro il bordo del tavolino rotondo.
«Semplicemente, c'erano troppe stranezze per essere una rapina e altrettante per essere una semplice vendetta. Hanno trucidato la vittima, rendendola irriconoscibile, hanno sottratto dei soldi, ma solo una certa somma ben definita, e poi, scopriamo ora, il vero Emilio Battaglia è chissà dove. Io ci vedo un messaggio, qui.»
«Criminali organizzati.»
«Può darsi. Gli altri commercianti della zona parevano piuttosto nervosi, nello scoprire l'ammonto esatto che mancava dalla cassa, settecentotrentadue lire. Presumo sia la tassa che viene loro estorta. Erano anche molto restii a fornire dettagli sul momento dell'omicidio.»
«Eppure, una lupara che spara tre o quattro volte a mezzodì si dovrebbe sentir bene eccome.»
«Appunto, ma nessuno ha visto nulla.»
«E ti stupisci?» Bruno soffia sarcasmo dal naso. «Quindi, a Battaglia l'avrebbe rapito qualche delinquente?»
Ricciardi s'acciglia; e, subito, i suoi occhi scattano via, come spesso è avvenuto da quando si sono seduti a quel tavolo – e come spesso accade in generale. Bruno ha sempre l'impressione che sia al costante inseguimento dei propri pensieri, in fuga chissà dove.
Si prende qualche istante, in cui Bruno adocchia i dintorni quasi a ritrovarli per lui, quei pensieri fuggiaschi. Trova solo gli ambienti ariosi e barocchi del Gambrinus, inondato dalla luce morbida del tardo pomeriggio estivo, che filtra dai finestroni aggettati su Plebiscito. Si erano scelti un tavolino riparato dal sole impietoso, ma sta ormai cominciando a lambire loro e il marmo coi suoi riflessi accesi.
«Gli estremi per un rapimento ci sono,» lo riscuote Ricciardi, «ma, dato lo scambio di persona, potrebbe anche aver architettato tutto Battaglia stesso per sparire.»
«Nah, non mi torna, Riccia'.» Bruno scuote appena la testa e poi sogghigna appena. «"Il fu Emilio Battaglia" non suona nemmeno bene.»
«Era solo un'idea.» Ricciardi incrocia le braccia sul tavolino, parlando senza alcuna enfasi. «Per ora, stiamo rimanendo sulla pista del rapimento. Poi, si vedrà.»
«Vedrai tu, ché io il mio l'ho fatto. Però, fammi sapere,» Bruno gli punta l'indice contro, minaccioso, prima di ripiombare in un tono più leggero: «Vuoi un altro caffè?»
Ricciardi solleva un angolo della bocca.
«Lo chiedi come se volessi davvero offrirmelo tu.»
«Chiedevo perché a me andava, ma a prenderlo da soli non c'è gusto. Quella, invece, la mangi?» continua, adocchiando la sfogliatella che Ricciardi ha come sempre lasciato intatta.
L'altro la spinge verso di lui senza nemmeno guardarla, gli occhi appuntati altrove dentro il caffè. Bruno la accetta all'istante e la addenta senza troppe cerimonie, ma segue di sottecchi la linea del suo sguardo, senza trovar nulla degno di nota: oggi gli pare particolarmente distratto. Lo osserva per qualche secondo, il tempo necessario a far sparire il dolce, prima di passare alla carica:
«Hai un'emicrania?»
Ricciardi riporta di scatto l'attenzione su di lui.
«Sì, ma lieve,» risponde in fretta. E poi, subito, quasi evasivo: «Lasciami il verbale dell'autopsia.»
«To', buona lettura.» Lo sfila dalla propria cartella. «Non aprirlo prima di dormire, mi raccomando.»
Ricciardi alza appena le sopracciglia scure, non sa se con fastidio o ironia.
«Non sono così impressionabile, credimi.»
«Neanch'io, ma a volte sono lieto di non dovermi occupare solo di cadaveri,» replica, ammiccando.
Ricciardi posa il referto sulle sue ginocchia e si addossa allo schienale, entrando col volto nella lama di luce che si è fatta largo dentro il locale. Bruno, in quel momento, è lieto davvero di non doversi occupare di soli cadaveri, ma di avere anche il tempo, ogni tanto, per approfondire qualche altra innocua branca medica – tipo l'oculistica.
Riconosce infatti, con viva fascinazione e malcelato interesse, quel fenomeno cromatico che di tanto in tanto avviene negli occhi di Ricciardi: da che le sue iridi erano di un azzurro pallido nella luce soffusa del pomeriggio, sfumano in un verde vivo quando intercettano un raggio diretto del sole, che gli fa strizzar le palpebre infastidito. Nel chinarsi di nuovo in avanti, mettendosi del tutto in ombra, le iridi riprendono un color azzurrognolo e poi quasi grigio, in una successione cangiante che ha dell'inverosimile.
«T'ho mai detto che hai i matiallomenes?»
Gli scappa detto senza pensare, nell'istante in cui Ricciardi lo guarda interrogativo, rendendosi conto d'essere osservato.
«Che ho i cosa, prego?»
Bruno sbotta a ridere al modo in cui gli sono schizzate in alto le sopracciglia scure, stranito e anche un po' allarmato.
«Tranquillo, non è niente di letale.» Fa un gesto rapido verso il suo volto. «I tuoi occhi cambiano colore, m'è capitato di notarlo qualche volta. Si chiamano matiallomenes, in gergo medico, "occhi che cambiano". Dal greco, se l'hai studiato–»
«In che senso "cambiano colore"?»
Ricciardi lo interrompe brusco, in modo per lui insolito. Sembra oscillare tra l'incredulità e la preoccupazione, come se gli avesse diagnosticato chissà che male – non sia mai che prenda qualcosa alla leggera, si ritrova a brontolare tra sé.
«È un fenomeno di rifrazione della luce; non cambiano davvero colore. Ti capita anche nell'arco della giornata; al mattino hai gli occhi di un colore e alla sera di un altro, perché cambia l'inclinazione dei raggi solari. Al chiuso, con la luce elettrica, ce li hai quasi sempre grigi, per dire.» Indica i suoi occhi con indice e medio. «Adesso, nello specifico, dipende dalla luce diretta o indiretta; di solito sono cambiamenti cromatici non così percettibili, ma tu a volte tieni un caleidoscopio negli occhi, non ci si riesce a stare appresso.»
Ricciardi incassa il mento sul petto, schermando appunto gli occhi con le ciglia e, gli pare, con non poco imbarazzo. Bruno trattiene per un istante la punta della lingua tra i denti e con essa una battuta, per poi scoccarla via senza pietà:
«Mo', però, stai cambiando colore pure in viso, e qui passiamo a parlare dell'eccitabilità del sistema cardiovascolare.»
I suoi zigomi si fanno più pronunciati sotto la spinta di un sorriso che, però, gli pare un po' teso.
«Certo che voi dottori avete un nome per tutto,» commenta, rialzando appena il volto con più serietà. «Senti... ha delle implicazioni mediche, questa particolarità?»
«Che intendi?»
«Non so, sulla vista o su...» si ferma e sembra boccheggiare per un attimo. «In generale, sugli occhi in sé e su ciò che si vede.»
Bruno, di pazienza, ne tiene tanta, e pure di più per Ricciardi, ma si ritrova a sbuffare.
«Riccia', non stai per diventare cieco. T'ho fatto un complimento e t'ho detto che tieni gli occhi belli: ci vuoi montare sopra una questione o per una volta ci ridi su?»
Lui, di tutta risposta, sgrana un poco lo sguardo e scosta di lato la testa. Bruno si pente un po' del suo tono duro, ma non ritratta: se c'è un qualcosa che dovrebbe imparare Ricciardi, è prendere la vita un po' più alla leggera.
«Ero solo curioso. Non ci avevo mai nemmeno fatto caso.»
«Vuol dire che non sei così vanesio da guardarti troppo allo specchio, a dispetto di tutto.»
Gli occhi di Ricciardi si assottigliano appena, e il sorriso che gli grazia le labbra, stavolta, è spontaneo.
«Tu sì, invece?»
«E che avrei mai da guardarci?» ridacchia lui, a cuor leggero e con un gesto noncurante verso il proprio volto. «Tengo gli occhi come tutti, marroni e banali; non c'è nulla di speciale da vederci.»
Ricciardi scrolla il capo e sembra sul punto di ribattere, per poi rimangiarsi la risposta. Punta invece lo sguardo altrove, nello stesso, identico punto di prima. Stavolta, Bruno s'affretta a seguirne la direzione, s'illumina e, infine, si apre in un sorrisetto provocatorio.
«Tu, invece, gli occhi li tieni da un'altra parte.»
Ricciardi si riscuote, di nuovo schivo.
«Scusa, lo sai che mi distraggo facilmente.»
«Mi sarei distratto pure io,» ammicca lui. «È graziosa assai, la biondina.»
«Chi?» I suoi occhi scattano di nuovo nella stessa direzione, in modo allarmato; e, se sta fingendo, è un ottimo attore. «No, macché. Non l'avevo nemmeno notata.»
Bruno sospira con fare esagerato.
«E allora, forse, qualche problema agli occhi ce l'hai davvero.»
«Ci vedo benissimo,» ribatte di getto lui; gli pare, un po' troppo stizzito per una battuta così innocua.
«Come no... comunque,» fa cenno alla ragazza seduta a qualche tavolo di distanza, che ha appena ricevuto un bacio sulla guancia da un giovanotto ben vestito, «la signorina è già accompagnata.»
«Modo, non mi interessa. Guardavo il vuoto, ti dico, m'ero solo distratto.»
Bruno ride, anche se è sempre un pizzicotto spiacevole sentirsi chiamare da lui per cognome. Lo avverte come uno scappellotto ammonitore di quando varca i confini della sua pazienza.
L'ombra comparsa sul volto del suo amico, però, è ben più densa. Bruno nutre dei leciti dubbi circa i suoi rapporti con le donne, soprattutto sulla volontà di averne, ma non pensava lo infastidisse persino parlarne.
Smorza la propria ilarità e alza entrambi i palmi in segno di resa.
«Vabbuò, dai. Colpa mia, t'ho innervosito... mo non ti rovinare la serata.»
Ricciardi stringe tra loro le dita sopra il tavolo, ma non protesta oltre; gli scappa un'ultima occhiata laterale verso la giovane, che mette in dubbio tutto ciò che ha appena detto, oltre alle sue doti attoriali finora impeccabili.
A Bruno sembra sincero, però, e si scopre a volergli credere di buon grado. Gli dispiacerebbe, sapere che si lascia distrarre così facilmente mentre chiacchiera con lui.
Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
tra qualche giro mentale di troppo, c'è un motivo se questa storia ha anche la dicitura "commedia"... cerco di ricordarmene, di tanto in tanto :')
I matiallomenes li ho già citati in un'altra shot e, più che una condizione medica, sono una semplice caratteristica fisiologica, ma a Bruno gliela facciamo passare.
E comunque, quando dicevo a qualcuno di voi che si sarebbe rivelato un deficiente, mi riferivo esattamente a scene come questa!
La cosa che mi ha divertito di più, qui, è lasciar intuire i veri pensieri di Ricciardi senza poterli esprimere. Ovviamente, lui ha un certo interesse su cosa possa influenzare ciò che vede o non vede, e l'argomento "occhi" è un tantino sensibile...
Grazie a silencedreams_ per avermi inconsapevolmente dato lo spunto, in uno dei suoi commenti, per mettere finalmente in chiaro di che diamine di colore siano gli occhi di Ricciardi XD
Il prossimo capitolo arriverà brevissimo ed è già pronto, essendo la diretta continuazione di questo! Grazie a tutti voi che leggete e commentate <3
-Light-
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