Capitolo 7

[I NOMI SONO STATI CAMBIATI, VEDERE AVVISO]
Leroy aveva ignorato le inutili proteste di Chrissy, sorvolando su quante volte avesse ripetuto con voce stridula che le sue gambe funzionavano benissimo e che il suo era stato un problema di equilibrio. Chrissy sapeva bene che non ci avrebbe guadagnato nulla, la testardaggine di Leroy era immensamente più grande della sua forza di volontà, perciò si arrese e aspettò di essere lasciata andare. La fece sedere sulla panchina dello spogliatoio con delicatezza e la guardò come un fratello maggiore che riprendeva la sorellina.

«Lasciami andare, Leroy! Sto bene» La sua ostinazione la spinse ad alzarsi in piedi, ma non appena il peso del suo corpo gravò sulla caviglia una smorfia di dolore piegò il suo viso dolcissimo e le fece strizzare gli occhi. Leroy la tenne per le braccia con il timore che potesse cadere.

«Hai uno strano concetto di benessere» Roy non le disse nient’altro, non aggiunse alcuna ramanzina. Sapeva bene che Chrissy avrebbe dovuto litigare con i propri pensieri e la propria mente, che le avrebbero fatto presente quanto fosse stata imprudente a fingere di stare bene.

«Stai zitto» Ordinò sedendosi di nuovo e Roy si inginocchiò davanti a lei, per poi prenderle la caviglia tra le mani con delicatezza. Ci poggiò sopra del ghiaccio che aveva recuperato dalla cassetta del pronto soccorso e cercò di sorriderle rassicurante. Aveva promesso a Ginevra di prendersi cura di Chrissy e così avrebbe fatto.

«Tu non accetti di essere umana come tutti e di esserti fatta male, vero?»

«Ti ho detto di stare zitto» Lo fulminò con lo sguardo e Leroy dovette trattenersi dal ridere.

«Andiamo, Fatina. Sai fare meglio di così»

«Infatti. So correre veloce e battere record»

«Perché ci tieni tanto a questa gara? Ce ne saranno altre in primavera»

Chrissy fissò il muro alle spalle del ragazzo, indecisa se aprirsi con lui o meno perché, per quanto si fidasse di Roy, ammettere le proprie debolezze ad alta voce era fuori discussione. Erano roba sua. Quel silenzio bastò come risposta.

«Non sei obbligata a rispondere, se non vuoi. Non ti costringo mica a parlarne»Le rivolse un piccolo sorriso. Capiva come si sentiva, si era trovato diverse volte nella situazione opposta, quando tutto quello che gli passava per la testa lo stava opprimendo e le persone intorno a lui non facevano altro che pressarlo perché si sfogasse. Lui era per natura tacito riguardo i propri problemi, con una malsana tendenza a tenersi tutto dentro fino ad avere cuore, mente e anima saturi con ciò che lo stava distruggendo, con i suoi demoni.

«Grazie» La voce incrinata della ragazza portò Roy a sollevare lo sguardo dalla caviglia ai suoi occhi trovandoli lucidi, nonostante lei sbattesse freneticamente le palpebre per non piangere.

«Hey»Il tono di Leroy fu un sussurro dolce che la accarezzò e la invogliò a lasciarsi andare.

«Hey» Tirò su con il naso e Roy si sedette accanto a lei, portandosi poi la gamba ferita della ragazza in grembo.

«Verrà mia mamma alla gara» Chrissy ebbe un sussulto. Sua mamma, la sua dolce mamma. La mamma che non vedeva da tantissimo, sostituita temporaneamente da un involucro vuoto con le sue sembianze. «Volevo che mi vedesse correre, volevo che fosse fiera di me» Una lacrima calda e solitaria le scivolò lungo lo zigomo lentigginoso e Leroy le sfiorò la guancia per raccoglierla con la punta delle dita affusolate. Quel gesto fu la goccia che fece traboccare il vaso. Chrissy si abbandonò alle proprie debolezze, schiacciata dal peso di tutte le emozioni che stava cercando disperatamente di tenere dentro e che ora premevano per uscire. Le lacrime scesero copiose dai suoi grandi occhioni tristi e Leroy, ligio a un dovere di cui voleva farsi carico da quel momento in poi, le asciugò delicatamente.

«Lo scorso anno ho fallito sotto gli occhi di tutti. Volevo la mia rivincita. Volevo che tutti sapessero di cosa sono capace» Singhiozzò. Aveva fallito anche nel tentativo di darsi un contegno e si maledì per quello, ma una parte di lei sapeva che Roy avrebbe custodito quei momenti, che non li avrebbe usati per farle del male ma per proteggerla.

«Tu non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno» Leroy aveva una voce morbida, era come una colata di cioccolato fuso su una vaschetta di fragole rosse e mature. «Tu sai quanto vali. E lo so anche io. Ti ho guardata bene, ho visto come ti muovi, come spingi al massimo, come fai di tutto perché le tue performance siano sempre perfette, sempre migliori, anche quando hai le gambe a pezzi» La sollevò per i fianchi, era leggera come un grissino, e se la mise sulle gambe per tenerla più vicino. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le sorrise. Voleva prendersi cura di lei. Ci stava provando. Ci stava riuscendo, anche se non lo sapeva.

«Fatina, tu sei una forza della natura e anche la natura ha il diritto di crollare, di cadere, di cedere. E tu sei inciampata in una gara che non è andata bene come speravi, ma ti sei rialzata e impegnata. Questo non lo chiamo fallimento»

«E come lo chiami? Perdere? Valere meno di zero? Essere troppo convinta di capacità che non possiedo?» Nella sua voce vi erano intrise così tante cose, delusione, tristezza, rabbia, abbattimento che Roy si sentì schiacciare dal bisogno di farle cambiare idea. Appoggiò la fronte a quella della ragazza e la fissò dritto negli occhi senza smettere di accarezzarle il viso.

«Fallito è colui che una volta a terra si arrende a ciò che il destino ha da offrirgli e infliggergli»

Non aveva mai neppure intravisto quel lato fragile ed esposto di Chrissy. Era abituato al suo carattere forte e spumeggiante, alle sue risposte piccanti e al suo sorriso di scherno. Quella Chrissy che aveva davanti ora, invece, era abbattuta, delusa, umana. Non era più la creatura tempestosa e travolgente a cui era abituato. Quella Chrissy risvegliò in lui istinti che credeva sopiti per sempre. Le guardò le labbra rosee e screpolate dai continui morsi a cui erano sottoposti, il labbro inferiore stava tremando. Lo sfiorò con il pollice, tasto con il polpastrello quella bocca morbida, quella bocca che tante volte aveva pronunciato parole in grado di zittirlo. Quelle labbra che, in qualsiasi altra occasione, avrebbe voluto baciare, assaporare, voleva sentire il sapore di tutte le parole che si erano detti e di tutte quelle che non si erano ancora scambiati e che dovevano ancora donarsi. Si avvicinò ulteriormente e Chrissy trattenne il respiro. Chiuse gli occhi quando lui la baciò.

Le labbra di Leroy bruciavano sulla sua fronte. Chrissy non sapeva di avere bisogno di un gesto del genere finché non sentì il proprio cuore ruggire a quel contatto così intimo con quel ragazzo che, altalenando tra bisticci, battute e piccoli gesti, l'aveva conquistata e si era fatto voler bene. Prese coraggio e lo avvolse in un abbraccio delicato e timido, un abbraccio che segnò per Leroy l'inizio di un turbamento e una confusione interiori non indifferenti.

*

L'adrenalina scorreva nelle vene di Chrissy nonostante non potesse gareggiare e la sua agitazione si era trasformata in continui saltelli sulla sedia e gridolini eccitati. Lei e Leroy erano seduti vicini e cercavano di ignorare le occhiate di Ginevra, o meglio, lui cercava di evitarle. Chrissy era troppo occupata a fare il tifo per le sue compagne. Leroy teneva gli occhi incollati alla ragazza, sprizzava entusiasmo da tutti i pori, le brillavano gli occhi e aveva un sorriso così luminoso che il cuore del ragazzo si riempì di gioia. In uno slancio di euforia, Chrissy si alzò in piedi per esultare dimenticando di avere una caviglia fasciata e dolente e quando ci poggiò il proprio peso sopra quasi cadde, ma Roy l'afferrò prontamente -di nuovo- per i fianchi. Chrissy arrossì violentemente e lasciò cadere i capelli davanti al viso per nascondere le gote rosse. Leroy si piegò verso il suo orecchio ridacchiando.

«Sei carinissima quando sorridi, lo sai Fatina?» Il suo fiato caldo solleticò l'orecchio di Chrissy che, se possibile, divenne ancora più rossa.

«Tu sei irritante invece»

«Ma se mi adori»

«Se ne sei convinto...» Chrissy non si era accorta che le mani del ragazzo erano ancora sui suoi fianchi.

«Se non mi sopporti, perché non ti sei ancora staccata da me?» Leroy sorrise nel vedere l'espressione di Chrissy passare da sorpresa a infastidita, a stizzita. Gli spostò le mani come se stesse cacciando una mosca fastidiosa e lui rise.

«Sei odioso»

«Sono un tesoro»

«Ecco, allora nasconditi su un'isola deserta dopo aver nascosto la mappa. Mi raccomando, nascondila bene» Cercò di guardarlo male, ma sembrò soltanto un cucciolo di foca in cerca di coccole.

«Piccioncini, piantatela o vi faccio sloggiare» Li riprese Ginevra, che sotto sotto faceva il tifo per la loro storia d'amore.

«Non-» Chrissy cominciò a protestare, ma poi si ricordò che con Ginevra era inutile.

«Potrebbe essere interessante sloggiare con te» Leroy si guadagnò la mano di Chrissy spiaccicata in faccia, che lo allontanò dal suo volto.

«Taci» Il ragazzo decise di concederle una tregua fino alla fine della gara.

Alla fine vinsero. Fu soddisfacente, anche se per Chrissy fu una vittoria dal sapore dolce amaro e Roy glielo lesse negli occhi e nel modo in cui la sua espressione variò impercettibilmente nel pronunciare la parola festeggiare. Lo avevano invitato ad unirsi a loro, ma non era dell'umore adatto nonostante fosse contento per la squadra. Salutò le ragazze e si diresse verso il proprio appartamento per cercare di dar voce ai propri pensieri scombussolati.

*

Sdraiato sul proprio letto fissava il soffitto in cerca di risposte. Una parte di lui sapeva di dover trasformare Chrissy il prima possibile, un'altra però si rifiutava di farlo. Aveva visto il lato fragile e rotto della ragazza, un lato che non avrebbe mai immaginato potesse esistere e che lo aveva fatto dubitare del valore dei propri doveri. Era davvero necessario dare inizio alla sua mutazione? La M.a.H. poteva fare benissimo a meno di lei, un mutante in più o in meno non avrebbe fatto alcuna differenza. Una ragazza splendida come Chrissy viva in più o in meno, invece, avrebbe fatto una grossa differenza. Da quando l'aveva conosciuta si era sentito vivo, era stato capace di comunicare efficacemente con lei. Certo, c'erano state delle incomprensioni, ma c'erano anche stati momenti meravigliosi, istanti in cui il suo cuore si era sentito leggero e aveva riso fino a sentire i polmoni scoppiare. Era stato come precipitare dalle montagne russe, sentire l'energia scorrergli nelle vene e urlare a perdifiato. Chrissy era stata come un'esplosione che aveva travolto la sua vita sconvolgendola, ridonandole tono e luce. Si rese conto che, per la prima volta dopo tantissimo, era felice. Non poteva distruggere il motivo di tanto benessere, non poteva trasformare Chrissy e costringerla a soffrire durante la transizione, rischiare di ucciderla. Semplicemente, non poteva. Qualcosa glielo impediva. Qualcosa di più intenso della semplice morale. Il suo telefono suonò e quando lesse il nome sul display seppe con certezza che non voleva più adempiere al suo dovere.

*

«Devi trasformarla il prima possibile, Perkins» Sentire pronunciare il suo vero nome da Mr. Parker fu come ricevere uno schiaffo. Era abituato alla voce dolce e allegra di Chrissy che si riferiva a lui con quel nome fittizio che aveva dovuto adottare per avvicinarla.

«Non è così semplice» Per la prima volta ammise a sé stesso di non sentirsi all'altezza della situazione, piegato dalla propria indecisione.

«Più aspetti, più sarà instabile. Non possiamo rischiare» Tutti continuavano a ricordarglielo come se fosse un novellino. Dannazione, lo sapeva. Era conscio del rischio che stava correndo, del pericolo a cui aveva esposto Chrissy. Chrissy. Il pensiero di lei balenò nella sua mente come un promemoria della confusione che lo attanagliava.

«Farò del mio meglio. Al momento la ragazza non è nelle condizioni ottimali per la transizione» Mentì in parte, era davvero convinto che trasformare in quel momento Chrissy avrebbe significato devastarla fisicamente e mentalmente.

«Mi fido di te, Perkins. Prima di ritirarti, Nora vuole vederti» Il tono autoritario del suo superiore lo infastidì parecchio. Cosa ne sapeva lui della vita da mutante? Degli esami, delle visite mediche, di essere costantemente controllato, di non poter decidere di vivere normalmente? Lui era, una volta timbrato il cartellino e tolta la divisa, un uomo qualunque.

*

In attesa che Nora arrivasse, Leroy l'aspettava seduto nel suo studio bianco. Era praticamente cresciuto lì dentro e ,come al solito, si sentì fuori dal mondo, i suoi pensieri viaggiavano velocissimi e non riusciva ad afferrarli, si accavallavano gli uni sugli altri, inciampavano e rotolavano per poi ricominciare da capo. Tutti confluivano però in uno sconfinato mare: Chrissy. Non riusciva a capire che cosa gli stesse succedendo e non si rese neppure conto che Nora lo stava fissando dalla porta.

«Hai la faccia di uno che ha mangiato pesce avariato» Leroy la guardò in silenzio. Avrebbe dovuto per caso ridere?

«Cosa succede, Leroy?»

«Ti sei mai sentita come se il tuo dovere non valesse la pena di essere compiuto?» Nora gli rivolse uno sguardo preoccupato mentre si sedeva davanti a lui.

«Sono un medico, il mio dovere vale sempre la pena di essere compiuto. Ma tu sei diverso. A cosa ti riferisci?»

«Non voglio che Chrissy venga trasformata»

«Non spetta a te decirlo, Roy» Il tono della donna fu lapidario, intransigente.

«Nora, non la conosci. Chrissy è... dio, io voglio proteggerla»

«È per questo che non si dovrebbero avere contatti con i mutanti»

«Lo so, ma il danno ormai è fatto» Nora osservò l'espressione sofferente di Leroy e la sua preoccupazione schizzò a un livello impressionante. Sapeva che dentro di lui si stava muovendo qualcosa che avrebbe dovuto restare immobile e non andava bene, non andava bene per niente.

«Cosa sta succedendo, Roy?» Ripeté, pur conscia della probabilità che lui cambiasse discorso.

«Perché hai voluto vedermi?» Leroy evitò la domanda, sapeva che non avrebbe dovuto rispondere con un altro quesito, ma neanche lui sapeva che cosa gli stesse succedendo.

«Si tratta dei tuoi ultimi esami» Nora aprì un cassetto chiuso a chiave e frugò tra le varie cartelle cliniche. Tirò fuori quella del ragazzo e la sfogliò. «Ci sono dei valori sballati nel tuo veleno. Abbiamo riscontrato un'elevata quantità di serotonina. E anche nel tuo sangue.»

«Che diavolo è?»

«Lo chiamano ormone della felicità. Il nostro corpo lo produce a partire da un amminoacido essenziale, il triptofano. Solitamente è necessario introdurlo con la dieta. Tuttavia, nei mutanti, il metabolismo e la produzione di sostanze è diversa dagli umani perciò il tuo corpo lo produce da solo.»

«Continuo a non capire» Era, in realtà, una parziale menzogna. Accanto a Chrissy si sentiva felice.

«La serotonina è un neurotrasmettitore necessaria per regolare il sonno, l'appetito, l'attenzione, l'apprendimento, la temperatura corporea, la motivazione e la memoria. Regola anche il tono dell'umore e il desiderio sessuale» Leroy scoppiò a ridere.

«Che carini, vi preoccupate della mia voglia di scopare»

«Da quando hai conosciuto Chrissy la qualità del tuo veleno ha subito un miglioramento ai limiti della fantasia»

«Ti assicuro che non ho rapporti sessuali con lei» Leroy si sentì offeso da quelle insinuazioni e strinse i pugni, voleva trattenersi dal reagire male come imponeva il suo istinto. Chrissy era speciale, meritava di più. Meritava tutto ciò di buono che l'universo poteva offrirle e lui non era certo nella lista delle cose buone. E poi, anche se fosse stato così, non avrebbero dovuto immischiarsi nella sua vita privata.

«Non mi interessano certi dettagli della tua vita. Ti sto solo ponendo una domanda»

«Chi altro ha visto le analisi?»

«Nessuno, per adesso. Se lo sapessero, saresti sottoposto ad esami più specifici e potresti incorrere in procedure comportamentali al riguardo. Non voglio questo per te. Posso aiutarti, ma ho bisogno che tu risponda alla mia domanda. Che cosa sta succedendo?»

«Io le voglio bene, Nora» La sua voce si piegò, non lo aveva mai detto ad alta voce e sembrò finalmente reale. Poteva quasi toccare quella sensazione, quel sentimento. «Non posso farle... non posso trasformarla. Mi capisci?» Leroy si torturava le mani, dentro di sé aveva una tempesta.

«Roy... sai che non puoi rifiutarti di eseguire gli ordini»

«Non voglio che lei soffra, o peggio...» Nora gli sollevò il viso con le dita e lo guardò negli occhi.

«Leroy, devo dirti un'altra cosa»

«Dimmi»

«Non avevi questi valori dai tempi di Meredith»

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BROKEN PIECESSSSSSSS WILL FALL APART

Andy Black sei pregato di uscire dalla mia testa. Grazie. Anyway, come vi sembra questo capitolo? E la relazione tra Chrissy e Leroy?

[Se trovate le parole attaccate mi scuso, wattpad mi sta dando un sacco di problemi]

Un bacio,

Frael✍

Il mio twitter: FrancyAngelFire

Instagram: justonyxandopal / chasing.airplanes



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