capitolo 18
Le ore immediatamente successive alla morte di Chloe furono un vero inferno. Il dolore di Chrissy si era moltiplicato a dismisura man mano che la ragazza realizzava quanto successo. Suo padre aveva dovuto somministrarle un tranquillante per dare un po' di tregua a quel cuore giovane, quel pugno di carne che aveva perso in un secondo tutta la felicità appena raggiunta. Nonostante ciò, Chrissy continuò imperterrita a dimenarsi e dire che non avrebbe lasciato il corpo di sua madre da solo, neanche se avessero provato a trascinarla via di peso. Se Leroy non avesse saputo quanta forza risiedesse nel profondo dell'anima della sua amata Fatina, avrebbe fatto un tentativo. La guardò negli occhi e tutto sprofondò in un abisso di disperazione. Le si avvicinò cautamente e, dopo averle preso la mano, richiamò la sua attenzione. Le comunicò che Connel e sua nonna sarebbero arrivati di lì a pochi minuti, ma fu come parlare con un muro.
Organizzare i funerali fu la cosa più difficile a cui Leroy avesse mai partecipato. Quello che gli si era presentato davanti era stato di gran lunga peggiore che vedere Chrissy essere trasformata sotto i suoi occhi, persino peggio delle sue convulsioni e le sue urla strazianti. Dalla morte di Chloe passarono tre giorni prima che chiunque potesse sentire la voce roca di Chrissy e per tutto quel tempo si era rintanata nella propria stanza, con la tapparella abbassata e la luce perennemente spenta. Parlò soltanto per farsi confezionare una corona floreale commemorativa per la madre, ma fu più di quanto avesse detto dalla notte della tragedia.
In un primo momento avevano pensato che sarebbe stata effettuata un'autopsia sul corpo della donna che li aveva appena lasciati, ma fu chiaro che si era trattato di suicidio quando Carter trovò il flacone delle sue medicine completamente vuoto, abbandonato in un angolo del bagno in cui non avrebbe dovuto essere. In genere la donna non veniva mai lasciata da sola, poiché a causa dei suoi problemi la famiglia temeva che potesse compiere proprio un gesto come quello che l'aveva uccisa, ma quando Carter era uscito per andare a prendere Leroy e Chrissy aveva completamente scordato di portare con sé le pastiglie della moglie. Fu un errore che non si sarebbe mai perdonato. Così, mentre il senso di colpa per la morte di sua moglie gravava sulle sue spalle, Carter aveva dovuto mettere insieme un funerale dignitoso per la donna che amava. Chrissy non ne aveva voluto sapere, non aveva neanche voluto conoscere il nome delle onoranze funebri che si sarebbero occupate del lavoro, troppo impegnata a struggersi di dolore tra le lenzuola del proprio letto e la puzza di chiuso che rendeva la sua stanza soffocante. Le fu sufficiente che le dicessero dove e quando avrebbero detto addio alla sua adorata mamma, anche se forse lei sapeva benissimo che quell'ultimo saluto sua madre lo aveva detto da un pezzo. Quella mamma che sembrava sul punto di tornare indietro, di tornare a essere la Chloe di sempre.
Il giorno della commemorazione funebre di Chloe le temperature si abbassarono più di quanto avessero fatto nell'ultimo mese. Sembrava che la natura, con i suoi meno cinque gradi, avesse voluto rappresentare simbolicamente il gelo in cui era sprofondato il cuore della famiglia Stablum. Carter aveva reagito con estrema prontezza, se così si poteva dire, mettendo da parte il proprio dolore e prendendo in mano la situazione. D'ora in avanti Chrissy ha solo me, aveva detto, e non posso permettermi di crollare. Nel profondo si sentiva mezzo morto, gli era stata strappata l'anima e si sentiva perso, ma non poteva lasciarsi andare. Perdere la donna che amava, la ragazza che ad appena ventun anni gli aveva rubato il cuore, quella che lo aveva reso prima marito e poi padre, era dura da digerire.
Padre e figlia puzzavano di sofferenza, lo si sentiva con il naso e lo si poteva avvertire persino dentro le ossa, lo si leggeva in quegli occhi cerchiati dalle occhiaie e iniettati di pianto. Leroy era rimasto al fianco di Chrissy ogni secondo, assorbendo, come poteva, le sue emozioni negative e cercando di raccoglierne i pezzi. Ad un certo punto, però, notò Nora tra i presenti e fu come ricevere una doccia gelata. Cosa ci faceva lei lì? Cosa si era messa in testa l'Accademia? Di dare il tormento a una diciassettenne appena rimasta orfana? Lasciò la ragazza nelle mani di Connel e si affrettò a raggiungere il suo medico senza farsi notare troppo.
«Che ci fai tu qui?» La guardò con occhi di fuoco. L'ultima cosa che serviva a Chrissy era che l'Accademia si presentasse lì. Voleva bene a Nora, ma sapeva che era parte della M.a.H. e non avrebbe permesso a nessuno di peggiorare il precario equilibrio di Chrissy, che stretta al padre e scortata dalla presenza rassicurante del suo migliore amico cercava di capire come andare avanti d'ora in poi.
«Chloe Stablum lavorava per noi. Era lei la cacciatrice sotto psicofarmaci.»
«Merda.» Leroy si passò una mano sul viso, sentendosi un idiota per aver utilizzato la sua condizione psico-fisica per minacciare Mr. Parker. Non poteva saperlo, ma aveva preso in giro la mamma della ragazza che amava. Dopo il senso di colpa sopraggiunsero i dubbi. Come avrebbe fatto a confessare a Chrissy una cosa simile? Non solo avrebbe dovuto fare i conti con il lutto, ma anche con la consapevolezza che sua madre le aveva sempre nascosto le sue origini. Di colpo il freddo di quella giornata così triste sembrò innocuo, rispetto al gelo che aveva ricevuto dalle parole di Nora.
«Come faccio a dirle una cosa simile? Non posso.» Judith, che sembrava essersi materializzata dal nulla, gli poggiò una mano sulla spalla e lo guardò con comprensione.
«Devi farlo. La causa della sua depressione era la sua collaborazione con noi. Non lo ha mai ammesso, ma tutti sapevano che lo stress psicologico al quale è stata sottoposta l'ha portata a un crollo.» Leroy sentì un moto di rabbia farsi strada dentro di lui. Quello erano loro per l'Accademia: carne da macello. Schiavi di un DNA che non avevano scelto loro, pronti a sputare l'anima per un'organizzazione che si vantava di prendersi cura dei propri assistiti e poi li portava alla depressione.
«E te ne vanti?» Le chiese con un tono fin troppo di scherno.
«Leroy, sono certa che Nora non c'entri nulla. Se non sbaglio era un'altra persona ad occuparsi della sua salute.» Intervenne Judith.
«Mamma, ti prego. Non rifilarmi queste sciocchezze. Chrissy ci ucciderebbe tutti e tre se osassimo dirle una cosa simile e, onestamente, le darei pure ragione.»
«Morti o no dobbiamo dirle la verità.» Nora insisteva e più lo faceva, più Leroy desiderava sbriciolare il mondo. Sfregò la punta del piede sul prato coperto di brina.
«No, non se ne parla. Deve già avere a che fare con la consapevolezza di aver seppellito la madre. Non le butterò addosso anche questo.» L'espressione intransigente di Leroy non avrebbe ammesso repliche, ma sia Judith che Nora sapevano quali tasti toccare e non si sarebbero arrese facilmente.
«Chloe mi ha lasciato una lettera per Chrissy, lo scoprirebbe in ogni caso.» Si fece avanti Judith, sventolando una busta chiusa.
«E non puoi decidere per lei. Sai che lo odia e se tu le nascondessi una cosa simile sarebbe la vostra fine. Non ti perdonerebbe mai.» Nora lo guardò dal basso, con l'aria di chi sa di aver colpito nel segno.
«Che razza di persona sei? Non posso credere che tu stia cercando di ritorcerci contro la nostra relazione.» Aveva voglia di urlare, di fare a pezzi chiunque avesse davanti, a partire dal medico in cui aveva sempre riposto tutta la propria fiducia e che in quel momento gli stava chiedendo di distruggere l'immagine della madre della sua ragazza.
«Roy! Non è questa l'educazione che ti ho insegnato. Mostra un po' di rispetto.»
«Non parlarmi di rispetto quando mi stai chiedendo di disonorare una donna appena morta.»
«Te ne prego, Leroy. Devi ascoltarci. Sai com'è fatta Christina. Se le nascondi una cosa simile odierà te, non l'Accademia o Chloe.»
«Cerca di essere ragionevole, figlio mio.»
«D'accordo, basta che stiate zitte. Non voglio sentire più una parola» Sospirò, improvvisamente stremato.
*
Finito il funerale Judith si avvicinò a Chrissy e suo figlio con gli occhi bassi e la consapevolezza che stava per liberare un peso enorme sulle spalle di una ragazzina. Quando Leroy la vide, sentì tutto il nervosismo che era capace di provare irrigidirgli i muscoli e strinse un po' di più la mano della sua ragazza. Judith aspettò educatamente che le persone presenti finissero di salutare Chrissy, poi le si presentò davanti.
«Ciao, Chrissy. Io sono Judith, la migliore amica di tua madre e la mamma di Leroy.» La giovane sollevò lo sguardo stanco e alzò un sopracciglio.
Aveva la mente troppo annebbiata dal dolore per collegare i pezzi, ma dentro di sé sapeva che quello che Judith le avrebbe detto non le sarebbe piaciuto. Aveva detto di essere la migliore amica di sua madre, ma perché lei non l'aveva mai vista? Ricercò negli occhi di Leroy le risposte alle proprie domande, ma trovò solo un mare azzurro in tempesta. Si sentiva sfinita e non aveva davvero voglia di parlare con Judith, soprattutto perché sapeva nel profondo del cuore che non avrebbe sentito cose piacevoli.
«Fatina, non sei obbligata ad ascoltare, se non te la senti.» Leroy la strinse un po' di più a sé. Avrebbe voluto cancellare tutto quel dolore, tutte le lacrime che Chrissy aveva versato, avrebbe voluto svegliarla da quell'incubo.
«Non voglio sembrare maleducata, ma... mio padre ha bisogno di me», mormorò dopo aver lanciato uno sguardo a Carter, che se ne stava in piedi davanti alla tomba della moglie e fissava la lapide come se fosse un'allucinazione.
«Certo, lo capisco. Non voglio assolutamente pressarti. Quando sarai pronta per parlare ci vedremo».
Chrissy pensò che non sarebbe mai stata pronta.
*
Tre giorni dopo si ritrovò seduta a casa di Judith insieme a Leroy, determinata a metter fine a quella storia. Non era pronta, non lo era per niente, ma sapeva che se avesse rimandato le cose avrebbero potuto soltanto peggiorare. Il suo dolore non sarebbe migliorato e far finta che evitare il problema potesse risolverlo non era la scelta giusta.
Per ingannare il tempo, mentre la padrona di casa preparava il tè, si guardò intorno. Per un secondo dimenticò il motivo per il quale lei e il ragazzo al suo fianco si trovavano lì. Si alzò dal divano di pelle seguita da Leroy, per poi avvicinarsi alla foto di un bambino biondo addormentato sul petto della madre. La frangetta color grano gli cadeva dolcemente lungo la fronte, sfiorando appena le palpebre chiuse. Aveva le guanciotte rosate tipiche di un piccolo scricciolo che si gode la nanna e quell'espressione angelica e beata sciolse il cuore di Chrissy.
«Speravo di non iniziare così presto con le foto imbarazzanti!» Ridacchiò Leroy alle sue spalle e lei sollevò il viso nella sua direzione. Le aveva passato un braccio intorno alla vita e ora la stringeva dolcemente.
«Io ti trovo dolce»
«Perché stavo dormendo. Ero una peste»
«Concordo!» Judith parlò tenendo in equilibrio su un vassoio una teiera, tre tazze e un piattino con dei biscotti. Chrissy pensò che tutte quelle carinerie stonassero in modo insopportabile con le rovine che quella conversazione avrebbe lasciato dietro di sé. Mentre tornava verso il divano cominciò a pentirsi di essere entrata in quella casa.
«Perché non ti ho mai vista, se davvero eri la migliore amica di mia madre?» Gli occhi profondi e stanchi di Chrissy fissavano Judith con sincera curiosità e profonda diffidenza. Com'era possibile che fosse spuntata dal nulla come un fungo e dicesse di aver avuto un così importante ruolo nella vita di sua madre? Faticava a credere che Chloe, la donna che l'aveva messa al mondo e amata fin dal primo giorno, potesse nasconderle una cosa simile.
«Per risponderti dovrei partire dal principio, ma è una storia lunga e temo che non ti piacerebbe».
Judith portò la tazza alle labbra e bevve un sorso, mentre i suoi occhi verdi scrutavano con attenzione le reazioni di Chrissy. Il linguaggio del corpo non le avrebbe mentito e leggerlo avrebbe significato capire fin dove spingersi con la ragazza. Lei, però, sembrava essere brava a nascondersi, perché il suo viso rimase impassibile e il suo corpo immobile.
«Non sono venuta qui per prendere il tè, per quanto sia un'ottima bevanda.» Judith sospirò, comprendendo che girarci attorno non sarebbe servito a nulla. Prese un bel respiro, cercò dentro di sé la forza per parlare e iniziò a raccontare.
Judith parlava con tono monocorde, deglutiva di tanto in tanto e si schiariva la voce un po' troppo spesso per una persona che non aveva mal di gola. Era evidente che fosse in difficoltà, anche se Chrissy era confusa al riguardo. Diverse domande le affollavano la mente, ammucchiandosi le une sulle altre senza sosta. Sembrava palese che Judith e Chloe avessero condiviso tanto e che si fossero volute bene almeno quanto Chrissy ne voleva a Connel, non si poteva certo negare il profondo dolore intriso negli occhi della donna che Chrissy osservava con tanta attenzione.
Chloe era parte dell'Accademia, lavorava per loro e ne era sempre andata fiera, almeno fin quando erano state giovani. Allora non conoscevano la parte marcia del sistema in cui il destino le aveva messe. Le cose per Chloe avevano iniziato ad andare storte in un preciso istante: quando aveva fatto conoscere a Judith l'uomo che sarebbe diventato il padre di Leroy. Era quasi impensabile che l'evento fosse legato alle successive sciagure capitate a Chloe, eppure così era stato. Inizialmente lui si era presentato come una persona fantastica e sembrava incarnare tutto ciò che Judith aveva sempre sognato, e Chloe non poteva esserne più felice. E poi, era parte dell'Accademia e Judith non avrebbe mai dovuto mentirgli su quell'aspetto per proteggere Chloe. Il tempo aveva poi rivelato quanto buona fosse la recitazione del signor Perkins, un aitante giovanotto tanto bello quanto deplorevole, provocando una lenta ma profonda crepa nel rapporto tra le due amiche. Successivamente l'Accademia, trovatasi a fronteggiare una carenza di Cacciatori, aveva cominciato a pretendere sempre di più dai veterani, o comunque da coloro che già lavoravano al servizio della M.a.H. Persino la qualità del veleno da somministrare ai mutanti era passata in secondo piano. Il mondo di Chloe si era sgretolato un pezzo alla volta, cadendo sulle sue spalle e appesantendole senza pietà.
A quel punto del racconto Leroy si lasciò sfuggire un'imprecazione colorita. La crisi non era finita, com'era ormai palese, e sentire il racconto della madre gli aveva posto davanti uno scenario terrificante. Da un lato c'era la possibilità che il suo veleno uccidesse qualcuno - di nuovo - dall'altra scintillava di macabri riverberi il rischio che Chrissy aveva corso. Avrebbe potuto morire, intossicata dalla scarsa qualità della sostanza che l'Accademia le aveva iniettato, solo perché l'organizzazione non poteva più permettersi di essere schizzinosa. La stretta che il ragazzo esercitava sul fianco di Chrissy si fece più ferrea, tanto che Judith temette che Leroy potesse farle male.
La donna abbassò il capo a fine racconto conscia di aver distrutto non solo una, ma ben due realtà. Chrissy era venuta a sapere la verità sul passato della madre, mentre per Leroy era finito l'idillio dell'Accademia che già aveva iniziato a vacillare. Erano cresciuti entrambi convinti che i loro mondi fossero solidi e veritieri, avevano creduto nelle persone che li avevano allevati e avevano riposto fiducia nelle loro cause. L'Accademia aveva distrutto tutto quanto, compresa una donna che era sempre stata l'emblema di uno spirito combattente e indistruttibile.
«Mia madre si è suicidata perché l'Accademia l'ha portata alla depressione». Judith non fu sicura che Chrissy le stesse ponendo una domanda, poiché il tono che aveva usato era risultato piatto.
«Ci sono diverse cause per la depressione, non è possibile identificarne una. Ma crediamo che sia possibile, soprattutto... Pensiamo che vederti con lui sia stato decisivo»
«Questo sì che è quello che una coppia vuole sentirsi dire!» Blaterò Leroy alzandosi e si passò una mano sul viso. Come avrebbe dovuto elaborare la consapevolezza di essere una delle possibili cause del decesso di Chloe? Era davvero possibile digerire un pensiero simile?
«Non ce l'aveva con te, anzi. Nella lettera che mi ha lasciato era felice di come guardavi Chrissy. Il problema è che vederti con lei deve averla fatta sentire un fallimento. L'Accademia non l'ha solo resa responsabile della morte di una ragazza che aveva l'età di Chrissy, ma le ha anche messo davanti una situazione complicata. Non doveva più proteggerla soltanto da loro, ma avrebbe dovuto fare i conti con l'amore che la lega a chi rappresenta la nuova generazione M.a.H»
«Resta il fatto che mia madre non c'è più e che è tutta colpa dell'Accademia.» Sputò fuori con astio Chrissy, che aveva appena sbattuto con forza la tazza sul tavolino che aveva davanti. I suoi occhi erano furiosi e la cadenza del suo respiro faceva presagire quanto prossima fosse al dare di matto.
«Consegnerò le dimissioni», mormorò Leroy e Chrissy scoppiò a ridere.
«Che cosa cambierebbe? Il tuo veleno ormai ce lo hanno, potrebbe aver già ucciso o uccidere. E se non sarà il tuo, sarà quello di altri». La ragazza si era avviata alla porta che collegava il salone al corridoio e Leeroy provò l'impulso di attraversare la stanza per raggiungerla, ma lo sguardo nei suoi occhi lo paralizzò sul posto.
«Dove vai?»
«A casa, vado a casa»
«Mi dispiace!» Mormorò Judith, ma Chrissy liquidò le sue parole con un gesto della mano.
Non c'era niente per cui dispiacersi, erano rimasti solo detriti e nessuno se ne dispiaceva mai.
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