Capitolo 17

Era ormai il terzo appuntamento nel giro di due settimane. A nessuno dei due piaceva chiamarlo così, soprattutto a Chrissy. Non le era facile aprirsi riguardo i propri sentimenti, non dopo aver perso così tanta fiducia in Leroy e non con la consapevolezza che lui avrebbe voluto lasciarla indietro senza pensarci due volte, che la portava spesso a riflettere sulla solidità del loro rapporto. Aveva paura che lui, un giorno o l'altro, potesse andarsene davvero. Eppure, quando erano insieme, quando camminavano mano nella mano, Chrissy sentiva che Leroy ci stava provando con tutte le sue forze e che avrebbe dovuto farlo anche lei. Le stava dimostrando in tutti i modi possibili di tenere a lei e si impegnava sul serio per metterla a suo agio.

Il cielo preannunciava una copiosa nevicata quando uscirono dal cinema. Erano solo le sei del pomeriggio, ma il cielo era già scuro da un pezzo e le luci natalizie mettevano di buon umore tutti i presenti. A Leroy non piaceva particolarmente il Natale, ma il modo in cui si trasformava la città durante quel periodo riusciva ancora a emozionarlo, con tutte quelle piccole bolle luminose e le allegre canzoncine che lui non riusciva mai a canticchiare senza mescolare i testi di questa con quella. Le luminarie, però, passarono in secondo piano per Roy quando Chrissy scoppiò a ridere. Era riuscito di nuovo nel suo intento. C'era qualcosa di speciale nel modo in cui Chrissy inclinava indietro la testa e come batteva le mani coperte dai guanti.

La ragazza si fermò di colpo, costringendo anche lui a fare lo stesso.

«Che c'è?» Le domandò e quando posò lo sguardo sul suo viso si perse negli occhi scuri e profondi della ragazza.

Fu un'azione che gli costò cara perché lei, con un gesto fulmineo, saltò e gli rubò il cappello, per poi iniziare a correre. Leroy si lasciò sfuggire un sospiro e la seguì, prestando attenzione all'asfalto qua e là pasticciato dalla neve sporca. Gli sembrava tanto la scena di uno di quei film romantici che guardava sua mamma quando lui era piccolo, con la risata di Chrissy nelle orecchie e i polmoni incendiati dall'aria gelida della sera, ma il cuore leggero come una piuma e il viso piegato in un sorriso felice. La gente si girava a guardarli e probabilmente si chiedeva cosa ci facessero due ragazzi cresciuti come loro a rincorrersi sul viale. Il gioco finì quando Leroy raggiunse Chrissy e la abbracciò da dietro ridendo. Gli mancava il fiato, ma gli sembrava di non aver mai respirato meglio.

«Presa!» Sottolineò parlando sottovoce proprio all'orecchio della ragazza. Chrissy fu percorsa da un brivido e sapeva benissimo che non era colpa del freddo. Si divincolò appena, quanto bastava per riuscire a girarsi e guardare Leroy negli occhi.

«Abbassati, Gigante!» Ordinò gentilmente sorridendogli. Leroy alzò gli occhi al cielo scherzosamente e ridacchiò, scaldando il cuore della ragazza.

«Agli ordini, Fatina.» Abbassò appena la testa, un po' come un leone con la sua regina. Chrissy si alzò sulle punte e Leroy la strinse un po' di più per assicurarsi che non perdesse l'equilibrio. Gli infilò il cappello e arrossì quando spostò timidamente le mani dietro il suo collo, accogliendolo in un abbraccio impacciato.

«Se volevi abbracciarmi bastava dirlo»

«Vent'anni e non reggi un minuto di corsa. Vergognati», cambiò discorso, ancora incapace di mostrare del tutto affetto o manifestarlo pubblicamente.

«Sei tu che mi hai tolto il fiato». Chrissy fece una smorfia disgustata.

«Battuta scadente»

«Lampante realtà!» La corresse, strofinando la punta del naso contro quello di Chrissy.

«Fai schifo a parole»

«Dov'è finita la legge secondo cui siamo tutti più buoni a Natale?»

«Sono una ribelle»

Il tentativo di pavoneggiarsi di Chrissy scaturì una risata in Leroy, che si spense quando la ragazza gli abbassò il risvolto del berretto sugli occhi tenendolo fermo con la mano. Prima che potesse lamentarsi Chrissy lo mise a tacere con un tenero bacio. Il cuore del ragazzo saltò dapprima un battito, per poi cominciare a battere all'impazzata come mai prima di allora. Luke la strinse ulteriormente e desiderò che intorno a loro non ci fosse nessuno, voleva che quel momento fosse solo loro, protetto dagli occhi di chi non avrebbe capito quanto significasse ogni singola frazione di secondo.

Con lo stomaco stretto in una piacevole morsa Leroy mise fine al bacio, senza però staccarsi troppo dalla sua Fatina. Posò lo sguardo sulla ragazza e desiderò che fosse stato quello il loro primo bacio, non tanto per l'atmosfera quanto per il coinvolgimento che entrambi avevano provato. Non c'era stata nessuna presa di posizione se non lo slancio iniziale di Chrissy, il che aveva reso tutto più vero e migliore.

«E questo per che cos'era?» Chrissy scrollò le spalle e indicò in alto.

«Vischio»

«Non ti facevo una tradizionalista»

«Non è mica il venticinque!» Leroy rimase in silenzio per qualche istante.

«Quindi cosa significa?»

«Cosa deve significare? È un bacio». Chrissy lo guardava sbattendo lentamente le palpebre, come se davvero non capisse che cosa le stava chiedendo Leroy. Come poteva non accorgersi di quello che stava succedendo? Di tutto lo sforzo, la fatica, il sudore e l'amore che Leroy stava impiegando per provare a essere quello di cui aveva bisogno e che avrebbe potuto volere? Solo per cercare di vederla felice, perché secondo lui se lo meritava.

«Basta Chrissy. Io non ne posso più. Lo so che ti ho promesso di darci tempo, ma non ce la faccio più!» Si staccò bruscamente da lei e dovette reggerla dal gomito perché non cadesse. «Non sono il tuo giocattolino. Non puoi trattarmi male solo perché il tuo ex è stato una merda. Ti ho dato tutto, ci ho sputato l'anima in ogni singolo gesto che ho fatto per te. Ho rischiato il lavoro», cercò di mantenere un tono di voce basso, ma dentro si sentiva scoppiare, «e a te sembra non fregare un cazzo. Mi tieni lì in bilico come se fossi la tua Barbie preferita, ma sono un essere umano anche io. Ho sbagliato, pure parecchio, ma ho fatto tutto quello che mi hai chiesto e che potevo per dimostrarti quello che sento»

«Leroy»

«No, lasciami finire. Io ti voglio, ti voglio accanto ogni giorno, ogni secondo. Voglio svegliarmi e sapere che ci sei tu ad aspettarmi. Ma non voglio diventare il tuo cagnolino. Mi merito di più. Mi dispiace, ma se non sei pronta a dimostrarmi che per te è lo stesso, è meglio chiuderla qui prima di farci più male di quanto siamo disposti a sopportare.»

Chrissy non disse nulla, rimase in silenzio. Fu una risposta più che sufficiente. Leroy si rese conto che forse lei non si aspettava che si ribellasse così e che lui, invece, si aspettava che lei reagisse e gli dicesse che capiva, che avrebbero fatto di tutto per farlo funzionare. Però non lo aveva fatto e lui aveva dovuto accontentarsi del rumore assordante che le sue speranze avevano prodotto andando in pezzi.

«Ti riaccompagno a casa», sospirò sconfitto, per poi indicare a Chrissy la direzione dell'auto con un cenno della testa.

*

Judith rientrò a casa dopo aver fatto la spesa e, con le mani cariche di sacchetti, raccolse dalla buca delle lettere la posta. Non vi era alcun nome, se non il proprio, scritto sulla superficie color lavanda dell'unica busta. La donna aggrottò la fronte, ma si decise che l'avrebbe aperta non appena avesse finito di sistemare la spesa. Non poteva sapere che ciò che avrebbe letto l'avrebbe lasciata sconvolta.

Si sedette sul divano e aprì la busta, tirandone fuori un foglio piegato più volte. Le bastò una parola per capire chi era stato a recapitarle quella lettera.

Cara Judith,

sono Chloe. Ti ricordi di me? Credo di sì. Non ci sentiamo da quello che mi sembra un secolo. Immagino che tuo marito di abbia informato del mio stato di salute. Le voci corrono in fretta, dove lavoriamo noi.

Sai, non riesco ancora a credere che ci siamo allontanate, che abbiamo lasciato che ci dividessero. Mi manca la mia migliore amica. Mi mancano i nostri momenti, le nostre giornate. Mi manca sdraiarmi a terra sul tappeto con la musica di sottofondo e ricordare le cose pazze che facevamo da bambine. Ad appena vent'anni eravamo già più grandi di quanto fosse lecito, sapevamo già troppe cose. Cose che ci hanno fatto male. Te la ricordi quella volta in cui abbiamo mangiato di nascosto tutti i biscotti di tua madre e per punizione ci ha lasciato solo cavolfiore al vapore in frigo per un mese? Quella sì che è stata una vera dieta.

Non ti scrivo per questo, però. Ho conosciuto tuo figlio. Non ho neanche avuto bisogno che mi dicesse il tuo nome. O il suo. Sapevo che era tuo. Ti somiglia così tanto che guardarlo è stato doloroso. Ha gli stessi capelli biondi e la stessa forma degli occhi. Che peccato che li abbia azzurri. Sarebbe sembrato tuo fratello minore. Lo hai cresciuto proprio bene, sai? Siete belli uguali. Lo sei sempre stata. Penso gli piaccia la mia Chrissy. Anche il modo di amare è tuo. La guardava con una tenerezza... come se sapesse di avere davanti la cosa più bella e preziosa del mondo e non volesse sciuparla. Le ha sorriso e l'ha fatta ridere, l'ha invitata a uscire. Sembra un bravo ragazzo, si vede dal modo di porsi che ha. Sei sempre stata tagliata per fare la mamma, al contrario di me. Chrissy è stata la gioia più grande della mia vita, l'amore più grande che potessi provare. L'adoreresti. Presto la conoscerai, ne sono certa. Trattala bene.

Ti voglio bene, Riccioli d'oro,

Furetto

Judith sentì un'angoscia crescente salire fino alla bocca dello stomaco e chiuderle la gola. Stava per succedere qualcosa, qualcosa di brutto. E Leroy c'entrava in pieno.

*

Leroy e Chrissy si ritrovarono ad aspettare il carro attrezzi sotto un'intensa nevicata. I capelli di Chrissy erano striati di bianco, decorati da quei fiocchi freddi che cadevano delicati dal cielo, e il cappotto di Leroy ne era ben spolverato nonostante si fossero riparati sotto la tettoia della fermata dell'autobus. Erano rimasti in silenzio da quando avevano scoperto che l'auto non sarebbe partita. Chrissy ogni tanto lanciava delle occhiate dispiaciute a Leroy e sapeva che se l'appuntamento era finito male era solo colpa sua.

Rabbrividì, ma cercò di nasconderlo. Leroy però era attento, nonostante la sua breve sfuriata non aveva intenzione di lasciare che la ragazza che amava congelasse. Le mise un braccio intorno alle spalle e la tirò a sé, cercando di scaldarla il più possibile.

«Leroy?» Lo chiamò dopo un po'.

«Dimmi»

«Scusa.» Leroy sospirò, ma le fece cenno di andare avanti. Lei lo aveva lasciato sfogare e ora toccava a lui lasciare che lei si aprisse.

«Non voglio chiuderla qui. Non voglio chiuderla e basta. Ho una paura tremenda di farmi male, lo sai.» Si staccò da lui per guardarlo in faccia. In confronto a lui sembrava una bambina, così piccola e indifesa. «Però so che la mia paura non può avere il potere di farci così male. Quando ho letto la tua lettera mi sono sentita malissimo, sentivo che avrei vomitato. L'idea che tu potessi andartene perché eri convinto che ti odiassi o che avrei potuto farmi del male stando con te mi ha trafitto e ho capito quanto in realtà non possa stare senza di te. Mi dispiace Roy, mi dispiace davvero tanto di averti fatto male. Lo vedo nel modo in cui mi guardi che ti ho pugnalato ogni volta che ti ho risposto male, che sono stata fredda. E so anche che la mia paura non può eguagliare la tua. So che hai paura che quello che ti è successo si ripeta, ma possiamo farcela. L'ho capito solo dopo essere arrivata a farti dire quelle cose, ho un brutto vizio, un pessimo vizio. Ma ti prometto che ce la metterò tutta per dimostrarti che anche io ci tengo a te!» Gli prese una mano e la strinse tra le proprie dopo essersi tolta i guanti, voleva sentire il calore di Roy addosso. Voleva sentire Roy addosso. «Voglio essere felice e voglio che sia tu la mia felicità. Voglio arrabbiarmi e voglio che sia tu il motivo, ma che tu sia anche la ragione per cui mi passa tutto e subito perché non so tenerti il broncio. E voglio tante cose, io ti avverto, ma una su tutte mi preme dirtela. Voglio essere la fossetta vicino al tuo sorriso e le dita con cui giochi quando ti annoi. Voglio essere tutte quelle cose smielose che le fidanzate possono essere nei film e nei libri e nella vita reale.»

Leroy sentì il fiato mancargli e la figura di Chrissy divenne sfocata davanti a lui, che con gli occhi lucidi aspettava solo il momento buono per gridare di gioia.

«Non posso cancellare il tuo dolore, o quello che è fatto, però credimi lo vorrei. Lo farei. E voglio che tu sappia che da adesso in poi le mie braccia sono aperte per te, quando ti sembra che tu non possa superare di spezzarti ancora, quando ti sembra che non ci sia più speranza. Ci sarò quando penserai che la tua vita sia finita, che non ci sia più nulla che valga la pena di vivere. Ho visto ben poco dell'Accademia, ma so quanto possa averti segnato. L'ho visto, anche se mi sono finta cieca. E io voglio fare per te ciò che tu, in pochissimo tempo, hai fatto per me. Voglio essere dalla tua parte, ma ci voglio essere sempre, mica soltanto adesso»

«Mannaggia a te, Fatina. Non piangevo da anni, poi arrivi tu e mi fai sentire un bambino piccolo». Leroy rise, ma aveva gli occhi rossi dal tentativo di trattenere la commozione.

«Vieni qui, Gigante» Allargò le braccia e si alzò sulla punta dei piedi per abbracciarlo, lo strinse forte a sé. In quel momento seppe che sarebbe andato tutto bene, che qualsiasi cosa sarebbe accaduta l'avrebbero superata.

«Tuo padre è arrivato.» Leroy interruppe la magia, parecchio in imbarazzo ad essere fissato dall'uomo che li aspettava in macchina. Chrissy ridacchiò.

«Tranquillo, non ti ucciderà. Ci metto una buona parola io, mentre tu parli con il tizio del carroattrezzi»

*

Il signor Stablum aveva insistito così tanto perché Leroy si fermasse a cena che, per evitare di sembrare maleducato, il ragazzo si ritrovò ad accettare. Chrissy era sì elettrizzata, ma anche terribilmente spaventata. Non erano neanche ufficialmente una coppia, che senso aveva mettere la quarta e portarlo a casa? No, no, non aveva alcun senso. La ragazza si mise a giocare con una ciocca di capelli, guardando fuori dal finestrino nella speranza che tutto quello fosse uno scherzo. Non riusciva a stare ferma sul sedile posteriore, tanto che il padre le chiese se per caso avesse preso le pulci. Leroy scoppiò a ridere, ma fu interrotto dal suo cellulare.

Mamma

«Pronto?»

«Leroy? Dove sei?»

«Sono con Chrissy. È successo qualcosa?»

«Ho una brutta sensazione. Resta con lei, hai capito?» Leroy aggrottò la fronte, spaventato dalle parole della madre. Il suo tono era estremamente preoccupato e frettoloso, come se si stesse preparando a una catastrofe.

«D'accordo. Sicura di star bene?» Roy guardò Chrissy dallo specchietto, lei gli aveva poggiato una mano sulla spalla. I suoi occhioni castani sembravano volergli dire sono qui se hai bisogno.

«Adesso preoccupati solo di lei. Ci sentiamo dopo»

Leroy comprese cosa significasse la brutta sensazione di Judith quando, mentre saliva le scale del palazzo di Chrissy, venne colto da un dolore lancinante che dal petto si diffuse allo stomaco e al resto del corpo. Un urlo disperato si levò dal piano di sopra, dove Chrissy aveva già aperto la porta di casa. Corse su per le scale e trovò la sua ragazza tremante davanti a un corpo inerme. La spostò tirandola indietro e quando i suoi occhi incontrarono Chloe sdraiata sul pavimento e pallida come un lenzuolo si sentì morire. Strinse più forte Chrissy, che urlava e si dimenava come una pazza. Si sedette sul parquet lucido di cera cercando di stringere il più possibile la ragazza, mentre condivideva con lei ogni goccia di quella sofferenza sorda che si andava diramando nei capillari, fino alla periferia di ogni cellula dei loro corpi.

Lo sguardo di Carter gli confermò quello che non avrebbe mai voluto sapere. Era un medico del pronto soccorso e certe cose le sapeva. Non c'era più niente da fare.

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