Capitolo 16

Il mondo ricominciò a girare solo quando Chrissy sentì dei passi dall'altra parte della porta. Si staccò dallo stipite sentendosi stupida per il modo in cui si era accasciata contro il muro.

«Edwin, ti ho detto che stanotte devo guida» La voce di Leroy si bloccò non appena realizzò di trovarsi davanti Chrissy. «Chrissy!» Esclamò con il cuore in gola e avvertì i polmoni svuotarsi di ogni molecola d'aria.

«Cosa significa?» Gli premette la lettera contro il petto, spingendolo dentro furente e delusa. La vista di tutti i suoi bagagli chiusi e ammassati qua e là per la cucina le fece più male di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. Lui la stava davvero lasciando.

«Quello che c'è scritto. Me ne vado.» Mantenere un tono freddo e distaccato gli costò più di quanto avrebbe immaginato. Roy, in quel momento più che mai, avrebbe solo voluto stringere Chrissy tra le braccia, baciarla, prometterle che sarebbe andato tutto bene.

Non poteva.

«Perché? Perché non puoi mantenere almeno una delle tue stupide promesse?» Chrissy lo guardava con quei suoi occhioni scuri. Era amareggiata, di nuovo.

«Perché devo proteggerti»

«Stronzate. Sei solo un bugiardo. Prometti tante cose, ma non riesci neanche a mantenere lo sguardo alzato quando mi parli. Stupida io che ci avevo sperato»

«Chrissy...»

«No, Chrissy un corno. Se te ne vai non ti perdonerò mai più»

«Siamo già a quel punto»

«Hai ancora una chance di convincermi che tu valga la pena di fidarmi di nuovo», lo stava praticamente implorando. Non riusciva a credere che lui la stesse abbandonando. Lui, che aveva detto di amarla, che aveva promesso di proteggerla. Lui, che con la sua personalità e il suo modo di fare l'aveva stregata. Lui, che le aveva fatto provare cose che non voleva accettare. Si rese conto in quel preciso istante di quanto profondi fossero i sentimenti che provava per lui, come se un fulmine l'avesse colpita rivelandole la verità. Gli voleva così bene che era disposta a implorare perché rimanesse. Così bene che si stava mettendo in ridicolo per poterlo tenere con sé.

«Non posso farlo. Devi andartene Chrissy. Ho bisogno di dormire.» Chrissy annuì, cercando di reprimere le lacrime che stavano salendo ai suoi occhi. Le faceva male il petto, lo stomaco e anche un po' la testa. Era stata stupida a lasciarsi abbindolare.

«Sai cosa Leroy? Vattene! Vattene a fanculo e portati dietro la mia stupidità, perché tanto sei stato tu a scatenarla. Non avrei mai dovuto permetterti di avvicinarti a me, di farmi tutto questo!» Il ragazzo aprì la bocca per scusarsi, ma Chrissy fu più veloce di lui. «Non avrei mai dovuto affezionarmi a te fino a innamorarmi, perché non te lo meriti. Non ti meriti una goccia di affetto, non sei in grado di coltivarlo. Porti solo distruzione. Abbi una buona vita, Leroy Perkins.»

Furono le ultime parole che Leroy riuscì a udire, che scemarono nella stanza improvvisamente soffocante quando Chrissy si chiuse la porta alle spalle. Non gli aveva urlato contro, ma sentiva la sua rabbia vibrare nell'aria. Tirò un calcio a una valigia, per poi vedere la figura della ragazza sparire all'interno di una macchina. Era un miracolo che non si fosse rotta qualcosa scendendo dalle scale di corsa. Forse era vero che la furia faceva compiere imprese impossibili.

*

Connel camminò al fianco di Andrea tenendogli la mano. Gli piaceva farlo, anche se stava congelando e non vedeva davvero l'ora di infilarsi dentro quel bar che tanto adoravano e scaldarsi con una cioccolata calda gigante. Andrea sembrava turbato, chiunque avrebbe potuto leggergli in faccia che c'era qualcosa che gli frullava per la testa e che non era molto vicino all'essere una considerazione positiva. Le sopracciglia scure erano vicine sulla fronte, distanziate solo da una ruga di preoccupazione. Connel fu tentato di fermarsi in mezzo alla strada per chiedergli cosa non andasse, ma alzando lo sguardo dall'espressione di Andrea incontrò l'insegna con il nome del loro posto preferito.

Lasciò andare la mano del ragazzo solo per aprirgli la porta, gesto che sembrò scuotere Andrea. Ricevette un sorriso appena abbozzato, ma era la forma di comunicazione più esplicita che avesse ricevuto negli ultimi trenta minuti. Era strano da quando aveva riportato a casa Chrissy e a Connel sorse il dubbio che fosse successo qualcosa che riguardasse lei.

«Andre?» Il ragazzo sollevò lo sguardo dal menu, nonostante lo conoscesse a memoria si ostinava a leggerlo tutte le volte con interesse.

«Sì?»

«Sei strano. C'è qualcosa che ti preoccupa?» Connel non aveva neanche degnato di uno sguardo la carta colorata con i nomi di tutte le bevande offerte. Aveva tenuto gli occhi fissi sul suo ragazzo, reggendosi la testa con una mano.

«Chrissy. Vedi, mi ha chiesto di fare una deviazione e di accompagnarla in un posto. Mi è sembrato fosse uno di quei palazzoni per studenti universitari pieni zeppi di ventenni fuori di testa per gli esami...» Andrea si mordicchiò un'unghia e nella sua mente balenò un rimprovero colorito da tipica donna del sud di sua madre, con quel marcato accento pugliese che a volte lo terrorizzava nel sonno.

«Ti ha detto cosa doveva fare? Chi doveva incontrare?» Per un secondo il panico prese il sopravvento in Connel. Chrissy non era il tipo da fare deviazioni, soprattutto per mete del genere. Soprattutto non dopo la degenza.

«No. Ha letto il contenuto della busta che mi hai dato e mi ha chiesto di girare all'incrocio. Quando mi sono fermato, è sparita dentro il palazzo per una ventina di minuti ed è tornata di corsa. Sembrava sconvolta, aveva gli occhi leggermente arrossati e mi ha solo detto di riportarla a casa». Scrollò le spalle e smise di parlare non appena vide la cameriera avvicinarsi. Andrea non poté fare a meno di notare una macchia sulla divisa azzurra del bar, con lo stemma sul taschino del grembiule e su quello della polo. Dopo che la ragazza se ne fu andata con le loro ordinazioni, Connel parlò.

«Credo sia stata da Leroy. Deve essere successo qualcosa. Giuro che se quel bastardo», Andrea gli rivolse un'occhiataccia che lo fece ridacchiare. Era solito rimproverarlo per il suo straordinario vocabolario ricco di imprecazioni, con l'inesauribile speranza che un giorno sarebbe stato capace di estirpare quel brutto vizio come un'erbaccia in un giardino pieno di bellissimi fiori.

«So solo che l'ultima cosa che mi ha detto è stata grazie. E di salutarti». Andrea portò il proprio sguardo sulle persone intorno a loro. A quell'ora il bar non era particolarmente frequentato e la maggior parte dei tavoli in legno erano vuoti e i piccoli vasi di piantine grasse su di essi rappresentavano l'unico minuscolo ostacolo tra le luci e le pareti aranciate.

«Comunque, tornando a Leroy, giuro che se le ha fatto del male lo spello vivo!»

«Come pensi di fare? Sarà un cacciatore e Chrissy gliele avrà suonate senza neanche muovere un dito, ma è pur sempre più allenato di te»

«Stai dicendo che sono flaccido?»

«Ma no, amore mio. Sei perfetto. Ma lui è praticamente sempre sotto allenamento per conto dell'Accademia.» Connel aprì bocca per rispondere, ma il suo cellulare parlò prima di lui. Lesse il nome di chi lo stava chiamando e alzò un sopracciglio.

«Proprio te stavo nominando!» Il disprezzo nella sua voce fece storcere il naso ad Andrea.

«Prenditi cura di lei.» Quattro parole e la linea si interruppe. Connel fissò lo schermo del telefono per un paio di secondi, prima di bloccarlo e poggiarlo davanti a sé.

«Come se avessi bisogno che me lo dica un coglione». Andrea gli prese la mano e gli sorrise, prima di baciare la punta delle sue dita. Quel gesto fu capace di cancellare momentaneamente il nome Leroy dalla sua mente.

*

Il volume spacca timpani della radio non riusciva a coprire il baccano che i suoi pensieri stavano producendo. Era stato difficile scrivere quell'addio, impregnare un foglio di carta con una cosa tanto definitiva. Aveva deciso che per il suo bene avrebbe dovuto lasciarla andare per sempre. Non avrebbe potuto proteggerla, Leroy lo sapeva, e non voleva che ci fosse un'altra morte sulle sue spalle. L'idea che l'avessero trasformata sotto i suoi occhi lo distruggeva e quelle immagini lo tormentavano tutte le volte che chiudeva gli occhi. Aveva fallito in tutto con lei.

Strinse il volante un po' di più quando la riproduzione della sua playlist inondò l'abitacolo con la voce di Andy Black. Avrebbe davvero fatto meglio a lasciare il vuoto vuoto. Invece si era fatto riempire da tutti i piccoli particolari di Chrissy, dal suo profumo, dalla sua risata, dal suo tono sprezzante, poi sarcastico, poi dolce, poi stanco. Poi iracondo.

La ragazzina aveva lasciato la sua modesta casa due volte. Entrambe lui aveva fatto qualcosa che l'aveva ferita. Si leccò le labbra cercando stupidamente di richiamare a sé il sapore del loro bacio rubato, ma ottenne soltanto l'evocazione di un'immagine che avrebbe voluto dimenticare. Le labbra di Chrissy rese blu dal freddo della pioggia e i suoi occhi terrorizzati. Le sue mani tremanti, il suo corpo che cadeva al suolo. La risata del professor Stone di sottofondo, mentre i tuoni squarciavano il cielo e la sua anima.

Aveva guidato per oltre trenta chilometri quando gli tornarono in mente le ultime parole che Chrissy gli aveva rivolto. Non avrei mai dovuto affezionarmi a te fino a innamorarmi. Lei provava qualcosa per lui. Lei, che avrebbe potuto avere chiunque. Lei, che era rimasta distrutta dall'ultima relazione che aveva avuto. Lei aveva scelto lui. Lei gli aveva confessato, in preda alla rabbia, i propri sentimenti e l'unica cosa che era stato capace di fare era stato dirle che non sarebbe rimasto. Si maledì tra sé, per poi fare una pericolosa inversione sulla super strada per tornare indietro. Accelerò fino a rischiare il ritiro della patente, ma non poteva aspettare ancora. Non poteva farlo, non poteva andarsene. Non poteva lasciarsi scappare Chrissy. L'avrebbe tenuta al sicuro, adesso era più grande e le difese di lei erano più forti grazie alla trasformazione. Si sarebbero protetti, ammesso che lei volesse ancora vederlo.

Quando Chrissy aprì il portone gli mancò il fiato. Il cuore gli martellò nel petto così velocemente che gli girò la testa, ma cercò di sorriderle. Non avrebbe mai immaginato che una ragazzina in pigiama potesse fargli quell'effetto.

«Non posso farlo. Non posso lasciarti andare.» Si affrettò a dire alla ragazza che lo fissava con le braccia incrociate, chiaramente stanca di quel tira e molla da parte sua. Sembrava piuttosto dubbiosa e non riuscì a biasimarla, non faceva altro che dirle una cosa e farne un'altra, tirarsi indietro, insomma... avrebbe meritato di essere preso a calci.

«Basta, Leroy. Per favore. Sono stanca.» E stanca lo sembrava davvero. Aveva i capelli in disordine, gli occhi leggermente cerchiati dalle occhiaie e l'espressione di chi non vede l'ora di abbracciare Morfeo.

«Lo so, lo so che sei stanca. E sono stanco anche io. Sono stanco di fingere che sia facile rinunciare a te, che posso andarmene quando mi pare.» Azzardò ancora un passo e arrivò ad un soffio da lei, una distanza così insignificante che gli sarebbe bastato inclinare un po' il viso per baciarla. Chrissy non si scansò.

«Non è un film Leroy. Non puoi piombare a casa mia e sistemare tutto, non funziona così!» Chrissy cercò di darsi un tono duro, ma dentro di sé non vedeva l'ora che l'abbracciasse. Non le piaceva ammetterlo, ma non poteva sopportare l'idea che Leroy se ne andasse lasciandola indietro.

«Non pretendo che sia tutto fantastico domani mattina. Ma vorrei che mi concedessi di riacquistare la tua fiducia.» Le prese la mano e le accarezzò le dita. Pensò che quella mano era minuscola tra le sue, eppure ci stava benissimo. Chrissy si limitò a guardarlo dal basso, aspettando che continuasse. Sapeva che c'era dell'altro sotto, che non poteva essersi scapicollato lì solo per prenderle la mano.

«Ti prometto che farò tutto quello che serve perché ti fidi di me!» Leroy si rese conto di suonare patetico, di essersi piegato a una ragazzina capricciosa che sembrava voler giocare con lui. Si sentì un cagnolino obbediente che continuava a cercare un padrone violento.

«Giuro che se provi un'altra volta a piantarmi con un biglietto quello che hai visto all'Accademia sarà solo l'aperitivo.» Voleva essere una minaccia, ma gli stava sorridendo. Un sorriso dolce, di quelli che lui tanto bramava. Leroy giurò che si sarebbe messo a piangere di gioia se non fosse stato davanti a lei. Qualcuno, però, si schiarì la gola alle spalle di Chrissy. Suo padre.

«Chri, la mamma ha bisogno di te.» La porta si aprì leggermente e Roy poté vedere l'involucro di quella che una volta doveva esser stata una donna fortissima. Il suo cervello abituato a lavorare velocemente mise insieme i pezzi. Chrissy non voleva che lui andasse a casa sua perché sua madre era malata.

«Chrissy?», la richiamò e vide nei suoi occhi uno sguardo colpevole, «Davvero... è per questo che non mi volevi a casa tua?» Mormorò improvvisamente senza fiato.

«Leroy, non prenderla male»

«Come faccio a non prenderla male? Pensavi che ti avrei giudicato o che avrei giudicato lei? Io? Hai idea di cosa abbia visto? Di che gabbia di matti sia stata casa mia?» Fece una smorfia quando si accorse di aver chiamato l'Accademia casa.

«Ho sbagliato e me ne vergogno. Ma dovevo proteggerla, capisci?» Chrissy gli sembrò vulnerabile. Non lo aveva fatto con cattiveria, né pensava che lui potesse davvero giudicarla, ma aveva solo paura. Paura che sua madre non fosse in grado di reggere la presenza di un estraneo in casa, paura che quella donna che l'aveva messa al mondo le chiedesse di chiudersi al buio proprio quando avrebbe dovuto esserci lui.

«Non hai perso la fiducia in me. Non ce l'hai proprio mai avuta.» Leroy sentì in bocca un sapore amaro e fece fatica a deglutire, ma dovette farlo per evitare di vomitare la cena sulle scarpe della ragazza che amava.

«Non è questo Leroy... è complicato, ma te lo spiegherò. Te lo prometto.» Prese il suo indice con il proprio e per un attimo desiderò ridere. La differenza tra le loro dita era abissale, tanto che Chrissy si sentì una bambina in confronto a lui.

«D'accordo. Diamoci tempo. Tutto il tempo che vorremo». Con la mano libera le spostò i capelli dietro un orecchio e le sorrise.

Chloe si rese conto che c'era qualcuno alla porta. Qualcuno che non si sarebbe mai aspettata di vedere. Protetta dalla penombra in cui regnava l'ingresso di casa guardò Leroy. Fu come vedere Judith. Una Judith più giovane di vent'anni, ma aveva gli stessi capelli biondi, lo stesso naso, la stessa forma degli occhi. Quegli occhi che avevano lo stesso colore blu dell'unico uomo che avesse mai odiato in vita sua. Quell'uomo che le aveva portato via la sua Judith.         

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