Capitolo 13
Aveva ricominciato a piovere. Il cielo plumbeo non era altro che lo specchio dell'umore di Leroy che vegliava su Chrissy da quando erano arrivati alla Clinica. Era ancora fresca la ferita che si era aperta nel suo cuore quando gli avevano strappato la ragazza dalle braccia per curarla.
Insieme all'intenso bruciore che sentiva all'altezza del cuore, non riusciva a ignorare le urla strazianti di dolore che avevano lasciato le labbra color rodonite pallido della sua ragazzina. La sua Fatina. Era stato atroce vederla dimenarsi e spasimare senza controllo su quel lettino, in preda alla mutazione. Aveva cominciato a sudare e in un secondo la pioggia sul suo viso era stata sostituita dal sudore. Era quasi doloroso il contrasto tra ciò che c'era fuori dalla finestra e il pallore cadaverico del viso di Chrissy, che sembrava ancora più piccola in quel lettino d'ospedale e circondata da tutti quei macchinari.
Leroy si appoggiò con le mani al vetro che lo separava da lei, da quel corpicino indifeso e quella mente brillante, da quella lingua pungente che spesso lo aveva lasciato spiazzato. Quelle labbra che adesso apparivano sbiadite e fino a tre settimane prima lo colpivano con la loro leggera impertinenza nel pronunciare parole capaci di pietrificarlo, farlo ridere, fargli desiderare di tenerla con sé per sempre. Posò lo sguardo su quegli occhi chiusi, le lunghe ciglia chiuse a toccare timidamente le gote. La temperatura si abbassò di una ventina di gradi e rabbrividì. Più la guardava, peggiore era l'effetto che gli faceva. Aveva lo stomaco chiuso, ma gli sembrava ci fossero degli stiletti conficcati fin dentro il centro del suo sistema gastrico.
Dei passi alle sue spalle lo fecero rizzare in piedi, come se avesse voluto dimostrare di essere al pieno delle sue forze. Da quasi tre giorni ininterrotti non si schiodava da lì, non aveva mangiato e aveva dormito ancor meno. Edwin tossì alle sue spalle.
«Dovresti seriamente andartene a casa.» Leroy scosse la testa incredulo. Come poteva pensare che l'avrebbe lasciata sola? Se non avesse aperto quella maledetta porta, se non l'avesse lasciata scivolare via dalle sue dita... era colpa sua. Tutta colpa sua. Davanti ai suoi occhi balenò lo sguardo di accusa che gli aveva rivolto l'ultima volta che l'aveva vista cosciente. Guarda. Guarda che cosa mi hai fatto.
«Non si è ancora svegliata»
«E potrebbe non farlo per un'altra settimana. Vai a lavarti, porca troia!» Leroy lo fulminò con lo sguardo stanco. Aveva gli occhi turchesi gonfi e arrossati, profonde occhiaie violacee segnavano il contorno occhi e la mancanza di sonno era chiaramente visibile sul suo viso.
«La aspetto»
«La spaventi, semmai. Sembri un fottuto zombie appena uscito dalla bara!» Edwin gli voleva bene, ma in quel momento desiderò prenderlo a calci. Non riusciva a credere che Leroy Perkins, meglio noto come dodici docce, non si lavasse da tre giorni. Lui che pur di lavarsi avrebbe scavato fino al centro della Terra a mani nude.
«Roy, non posso dirti quando la risveglieremo, ma ti assicuro che hai a disposizione la giornata per riposarti. Starà bene anche senza il tuo sguardo puntato addosso» Nora parlò dolcemente quando uscì dalla stanza di Chrissy, ma era decisa e irremovibile. Se lui non si fosse spostato con le buone, lo avrebbe fatto uscire accompagnato dalla sicurezza e nelle sue condizioni psicofisiche non era neanche in grado di opporre resistenza a un bambino di cinque anni.
«Nora, ti prego... è colpa mia» Roy sentì le gambe abbandonarlo per l'ennesima volta, ma cercò di non darlo a vedere incrociando le braccia al petto.
«Leroy. Ti voglio fuori di qui entro cinque minuti, o ti farò bandire dal reparto e non vedrai Chrissy finché lei non chiederà espressamente di te»
«Il che, dato che mi odia, non accadrà neanche tra un milione di anni»
«Perspicace». Edwin girò il coltello nella piaga e si sentì un mostro, ma doveva farlo.
«Burke» Lo riprese Nora. Sapeva benissimo quanto Leroy stesse soffrendo e per lei, che non avrebbe dovuto affezionarsi e non avrebbe dovuto trattarlo come un amico, la sua sofferenza era difficile da sopportare. Aveva perso tanto già più di una volta, non avrebbe mai voluto vedere la situazione ripetersi. Edwin sospirò e scosse la testa, per poi afferrare Leroy dal braccio e trascinarlo via. La donna, rimasta sola, sospirò e entrò nella stanza di Chrissy.
*
Bip
Bip
Bip
Il suono di quel dannato aggeggio le martellava i timpani facendole desiderare di essere morta. Sempre ammesso che fosse ancora viva. Era il battito del suo cuore segnato da quell'irritante macchinario con il volume a decibel disumani? Chrissy gemette di dolore, le sembrava di avere la testa sotto una pressa e dei coltelli conficcati ai lati delle tempie e dietro la nuca. Sbatté le palpebre e la luce accecante dei neon la fece pentire di averci anche solo pensato. Provò a sollevare una mano per sfregarsi gli occhi, ma non riuscì a muovere un muscolo. Sperò di avere ancora la testa attaccata al resto del corpo.
«Ben svegliata, Chrissy» La voce di una donna le fece battere il cuore più velocemente e aprì di scatto gli occhi. Brutta, bruttissima mossa. La vista le si fece sfocata e dovette strizzare le palpebre per mettere a fuoco una figura in camice bianco accanto al suo letto.
«Io sono Nora Stewart, il tuo medico» Chrissy cercò di rimettere insieme i pezzi. Chi era quella donna? Perché si trovava lì, su quello che sembrava un letto d'ospedale -e che probabilmente lo era? Ma, soprattutto, dove diamine si trovava?
«Medico?» La donna annuì mentre faceva alzare leggermente il letto, così che Chrissy potesse mettersi quasi seduta.
«Ti sentirai confusa»
«L'ultima cosa che ricordo è che stava piovendo a dirotto quando sono uscita da scuola e adesso mi sembra di essere stata investita da un transatlantico»
«Stai tranquilla, è normale. Ricorderai che Leroy Perkins ti ha parlato della mutazione. Se ti trovi qui, alla Mutants and Hunters Academy, è perché sei stata trasformata. Purtroppo per te è stato un passaggio molto doloroso e traumatico, al punto che abbiamo dovuto sedarti e chiedere a un mentalista di rimuovere dalla tua mente i ricordi legati ad essa»
«Non mi sembra di ricordare che Patrick Jane se ne andasse in giro a ripulire il cervello altrui» Nora ridacchiò. Cosa c'era di divertente nel dire a qualcuno che avevano rimosso un pezzo della sua memoria? Chrissy avvertì un moto di rabbia, che però scemò subito. Si sentiva stremata, nonostante avesse dormito per almeno una decina di ore. Forse qualcosina in più.
«In effetti non era questo il suo ruolo.» Convenne la donna, dando uno sguardo a quella che doveva essere la sua cartella clinica. «I mentalisti sono Mutanti con la capacità di modificare e rimuovere i ricordi che intervengono in casi particolarmente traumatici o dolorosi.» La ragazza non poté che sentirsi privata di un pezzo della sua vita. Per quanto doloroso potesse essere stato, avrebbe preferito di gran lunga ricordare. Ricordare sarebbe stato meglio di quell'incomprensibile black out che aveva nella memoria.
«Non avevate alcun diritto di farlo» La sua voce suonò rauca e a tratti indistinta. Le avevano per caso rimosso anche parte delle corde vocali?
«Leroy ha chiesto che ti aiutassimo. Per te è stata un'esperienza straziante, eri scossa da violente convulsioni e nonostante la tua soglia del dolore sia risultata sopra la media, è stato impossibile completare la tua metamorfosi senza rischiare che il tuo corpo cedesse» Nora fece una piccola pausa, indecisa se proseguire con i propri pensieri o meno. Scelse con cura le parole che avrebbe pronunciato, sapeva che avrebbe scatenato una forte emozione in Chrissy e non voleva rischiare che essa influisse con il suo stato di salute. «Leroy ha sofferto con te per le tue condizioni.» Chrissy desiderò ucciderla.
«Non avreste dovuto interpellarlo! Non è la sua vita!»
«Ne è parte»
«Non più e comunque non lo giustifica. Non è mio padre.» Una lampadina si accese nella sua testa. Suo padre! Doveva esser morto di paura non vedendola rientrare a casa. Chrissy si guardò attorno alla ricerca del suo cellulare. Doveva avvisarlo, inventarsi una scusa. Quanto tempo aveva passato tra quelle mura, senza che la sua famiglia avesse notizie di lei? Come stava sua madre?
«Voleva proteggerti.» Chrissy scoppiò a ridere, ma non ne uscì alcun suono. «Connel ha avvisato i tuoi genitori dicendo che ti saresti fermata da lui. Ha detto loro che avevi bisogno di staccare la spina e avreste passato qualche giorno fuori porta a sue spese.» Connel. Una fitta di dolore lancinante colpì Chrissy allo stomaco e fece una smorfia. Il suo Connel. Il Connel che le aveva mentito adesso aveva mentito ai suoi genitori per non farli preoccupare. Forse, dopotutto, la sua bugia riguardo la M.a.H non era così grave. No, lo era e anche tanto. Ma se avesse mentito solo per proteggerla? Per non farla preoccupare?
«Quanto ho dormito?»
«Settantaquattro ore e mezza» Tre giorni. Aveva dormito per tre giorni.
«Cosa mi succederà adesso?» Nora scosse la testa desolata.
«Non possiamo saperlo, solo il tempo ci dirà quali cambiamenti ha subito il tuo DNA»
«Mi rivolterete come un calzino, insomma»
«Sono esami di routine che ti assicurano uno stato di salute migliore possibile»
«Sa che cos'altro mi avrebbe assicurato uno stato di salute fantastico? Non essere trasformata in chissà che creatura strana»
«Leroy ha cercato di impedirlo, andando contro a ogni regola di questo posto»
«Leroy, Leroy, Leroy. Sempre lui, eh?»
«So che sei arrabbiata con lui perché ti ha mentito, ma dagli una chance. Lascia che ti racconti la sua storia. Sa che non vuoi più avere niente a che fare con lui e rispetterà la tua decisione, ma...»
«Voglio parlare con i miei genitori!» Chrissy la interruppe, stanca di sentir parlare di quello che aveva considerato un amico, e Nora acconsentì. Le fece riportare il suo cellulare e la lasciò da sola in camera. Quando sentì la voce del padre, Chrissy avvertì la presenza insistente delle lacrime pronte a cadere lungo il suo viso. Nonostante lui l'avesse rassicurata riguardo alle condizioni della madre, non era riuscita a sentirsi meglio. Non importava che avesse passato i tre giorni precedenti praticamente in coma, lei aveva abbandonato la propria famiglia di punto in bianco e chissà quanta preoccupazione aveva provato il suo papà. Chissà se sua mamma si era accorta della sua assenza, se si era preoccupata. E se avesse pensato che era colpa sua? No, non poteva accadere. Non doveva, accadere.
***
Seduta nell'ufficio di Nora osservava la pioggia scrosciare fuori dalla finestra. Le piaceva la pioggia, anche se adesso le ricordava la notte in cui era stata trasformata. Piano piano alcuni pezzi erano stati rimessi insieme nella sua mente, soprattutto dopo che un abbondante pasto le aveva ridato lucidità. Il senso di confusione tornava a far capolino di tanto in tanto, ma era molto meglio di quando si era appena svegliata.
Nora aprì la bocca per comunicarle il risultato delle ultime analisi, ma un grande e improvviso vociare le interruppe. Chrissy riconobbe immediatamente l'urlo rabbioso che si era levato potente e minaccioso come un leone pronto a difendere il suo territorio. Era schizzata fuori dalla stanza ad una velocità tale che fece girare la testa alla dottoressa, che la seguì in tutta fretta dopo essersi ripresa.
La neo mutante si fermò in quella che doveva essere la caffetteria e teneva lo sguardo fisso su due ragazzi. Leroy e Connel. Quest'ultimo aveva gli occhi iniettati di sangue, carichi di una rabbia che le causarono un brivido di paura. «Maledetto! Hai di nuovo perso il controllo! Mi fai schifo.» Leroy sembrava intenzionato a non lasciarsi mettere i piedi in testa e colpì Connel con forza. Agli occhi di Nora parve finalmente riposato e per quanto potesse essere sbagliato, non poté che esserne contenta.«Tu non sai niente!»«Perché tu invece ne sai di cose! Non avresti dovuto imparare a tenere i tuoi denti a bada dopo Meredith?» Connel lo incalzò con un sorriso di scherno. Era una ferita che bruciava ancora nel petto di Leroy e lui non aveva alcun diritto di buttarci sale sopra. Prima che potesse colpirlo violentemente, però, una forza nuova si fece strada nel corpo di Chrissy.«Adesso basta!» Urlò e sbattendo il piede a terra fece volare tutti ad almeno tre metri da dove si trovavano, ad eccezione di Connel e Leroy che si trovavano addossati a due pareti opposte. Chrissy era rimasta l'unica in piedi, al centro della stanza e aveva il respiro affannoso. I due ragazzi guardarono prima lei e poi Mr. Parker. La ragazza aveva un dono raro. Un dono pericoloso.
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