Capitolo 11

[Se non guardate il trailer del capitolo 12 vi mangio il criceto]

Chrissy sedeva alla scrivania con un libro tra le mani e un foglio bianco accanto. La penna era rimasta fino a quel momento immobile sulla superficie liscia del tavolo, ma un desiderio irrefrenabile di trascrivere una frase di ''Cattedrale'' di Raymond Carver mise fine alla pace concessa all'inchiostro e la carta. E mentre la mano scorreva da sinistra a destra marchiando con le parole che l'avevano colpita quello spazio bianco a sua disposizione il nome di Leroy accese la sua mente come un milione di luci al led. La stilografica incontrò il muro dopo essere rotolata su se stessa e Chrissy sbuffò infastidita, rifiutandosi di accettare l'improvvisa e inaspettata comparsa del ragazzo nei suoi pensieri. L'aveva interrotta, lui che niente aveva a che fare con il racconto che stava leggendo.
Si lasciò andare a un sospiro e guardò il fascicolo che Connel le aveva lasciato, chiedendosi se fosse giunto il momento di concedere una chance a quella storia tanto assurda quando affascinante. Non comprendeva quale motivo la spingesse a cercare le proprie risposte in un mucchio di documenti che sembravano usciti da un film brutto di fantascienza, c'erano buone probabilità che fosse tutto uno scherzo e ancora più buone erano le probabilità che la profonda fiducia nei confronti del suo migliore amico avesse insinuato in lei quel dubbio minuscolo sufficiente a farle aprire la cartellina. Da un lato avvertiva il bisogno di sapere, dall'altro la paura che tutta la sua vita fosse una menzogna. Le tempie le pulsavano con prepotenza, un mal di testa invadente minacciava di farsi vivo al più presto. Doveva prendere una posizione, qualunque essa fosse, e doveva farlo subito.
Alla fine mise da parte ogni timore e recuperò il fascicolo che aveva abbandonato in un cassetto della scrivania, sebbene fosse riluttante all'idea di doverlo leggere. Scoprire che il ragazzo che da sempre considerava la persona più vera che conoscesse le aveva mentito per un tempo che si avvicinava moltissimo a tutta la vita l'aveva portata a una sorta di blocco, perché dopo tutto sapeva che Connel non avrebbe mai rischiato di perderla per uno scherzo, che quello che le aveva detto non poteva che essere vero. Non era neppure certa di poter descrivere come si sentisse. Come poteva esprimere a parole quel senso di delusione e menzogna che gravava sulle sue spalle? In un battito di ciglia tutte le sue sicurezze erano crollate!
Leggere la grafia disordinata di Connel sul post-it in prima pagina fu una coltellata dritta al petto, giù fino in fondo al cuore. Si toccò istintivamente la parte interessata per assicurarsi di non star sanguinando, poi si diede della stupida. Le era venuta la nausea, ma doveva farlo. Doveva capire, doveva sapere.
Ti chiedo solo di leggere quello che c'è scritto. Decidi tu a cosa credere,
Micio
Si sfregò gli occhi dopo aver sollevato gli occhiali e accese la lampada, le sembrava che di colpo il sole fosse stato oscurato. Non era sicura di essere pronta ad affrontare quanto avrebbe letto, ma non poteva più tornare indietro. Avrebbe fatto sì che i pezzi di quell'amicizia durata anni fossero valsi la pena.
Storia della Mutants and Hunters Academy
All'origine esistevano persone portatrici di un gene che le rendeva speciali. Raggiunta la maturità genetica e quella fisica sufficienti a sopportare la trasformazione, la mutazione avveniva e donava a coloro che avevano ereditato il gene la conoscenza e il pieno controllo delle loro caratteristiche soprannaturali. Con il passare dei secoli e gli stermini dei mutanti (si vedano i capitoli 3-5.8 del volume sulla caccia alle streghe), essi si sono evoluti in modo da nascondere le proprie capacità. Come conseguenza, il gene è arrivato a inattivarsi fino al contatto con il veleno prodotto da un ceppo di mutanti. L'Accademia si occupa di questo: monitorare le famiglie portatrici (o discendenti di essi) del gene e supportarle durante la mutazione affinché essa avvenga nella massima sicurezza per la persona che la affronta e chi la circonda. Inoltre si preoccupa di occuparsi degli assistiti che dovessero rivelarsi pericolosi per se stessi o per altri.
A Chrissy parve di star leggendo un libro fantasy, tutto ciò le sembrava folle. L'idea di uno scrittore con qualche rotella fuori posto suonava più credibile che quelle scartoffie che aveva sotto il naso. Eppure... Connel non poteva averla presa in giro fino a quel punto, se le aveva lasciato quelle informazioni era perché si trattava di materiale attendibile. Ma poteva davvero fidarsi ancora di lui? Era mai esistito il ragazzo di cui si fidava ciecamente, o era stata una mera messa in scena per adescarla e gettarla in un laboratorio con una flebo attaccata al braccio e le manette?
Ogni pagina che sfogliava la convinceva che, per quanto fuori dal comune quelle parole potessero essere, era tutto dannatamente vero.
La mutazione
La mutazione avviene quando il veleno (vedi capitolo sui diversi ceppi dei mutanti) entra in contatto con il DNA dei portatori del gene. La transizione si presenta come un normale malessere influenzale nella maggior parte dei casi, ad eccezione degli individui il cui gene è instabile e che patiscono lancinanti sofferenze a cui l'Accademia si promette di provvedere per dar loro tutta la serenità necessaria ad affrontare il cambiamento.
Casi eccezionali
Mutazione di ritorno: In alcuni casi il corpo accetta e compie la mutazione ed essa funziona come di norma, ma si tratta solo di una fase iniziale. Infatti a un certo punto il corpo rigetta la transizione. Questo avvenimento si manifesta con sintomi influenzali (anche gravi), polmonite, bronchite  e simili. La sintomatologia può durare da pochi giorni a un lasso di tempo più persistente, concludendosi con la totale guarigione e la scomparsa di ogni caratteristica sovrannaturale precedentemente acquistata.
N.B. Le capacità prettamente fisiche non sono reversibili
Decesso da intossicazione: La quantità di veleno iniettato è superiore a quella tollerabile dall'organismo o la qualità della sostanza stessa non è adatta allo status della persona che deve subire la mutazione.
Fallimento della mutazione: Il corpo rigetta immediatamente la mutazione attraverso vomito, febbre alta, dissenteria etc.
Morte durante la mutazione: il corpo non è in grado di sopportare la transizione
Nonostante una nota a caratteri cubitali affermasse che morire durante o a causa della mutazione era praticamente impossibile, quell'ultimo punto turbò la ragazza nel profondo. Era sul serio necessario correre un rischio simile? E che cosa succedeva una volta che la paziente fosse morta? Come lo avrebbero spiegato alla famiglia?
Cambiò argomento e provò a leggere la scheda riguardante Roy, ma chiuse di scatto il fascicolo, incapace di sopportare oltre.
Si alzò e andò ad accasciarsi sul letto, con le ginocchia al petto e il cuscino tra le braccia. Senza sapere bene perché scoppiò a piangere e si sentì fragile come un vaso di cristallo, pronta a cadere perché troppo vicina al bordo del tavolo. Le venne in mente che ci sarebbe stata solo una persona in grado di tranquillizzarla in quel momento, ma non poteva e non voleva chiamarla. Era anche a causa sua se si trovava in quelle condizioni. Avrebbe potuto sopportare di perdere Leroy, ma Connel... lui no.
Afferrò il cellulare e cercò con le dita tremanti il nome di Cheryl sulla rubrica, per poi avviare la telefonata.

***

L'odore del disinfettante, le  luci bianche a neon, le piastrelle così lucide da potercisi specchiare dentro. Il tesserino elettronico nell'apposita fessura. Routine, routine, routine. Da quanti anni compiva quegli stessi gesti? Troppi. Da quando gli sembravano così estranei? Da quando aveva conosciuto Chrissy. Da quando l'aveva lasciata andare in quel parcheggio desolato su cui le foglie d'autunno si erano riversate senza tregua fino a coprirne gran parte. Si sentiva come quelle foglie secche: perso, in balia del vento, caduto a terra in attesa che gli stivali di qualche ragazza in tiro per un pomeriggio con le amiche o le scarpe da ginnastica di un impavido corridore lo calpestassero. In quel preciso istante lo avrebbe anche ringraziato.
Entrò nella sala di deposito e attese che gli facessero un cenno. C'erano altri tre cacciatori davanti a lui, li conosceva. O meglio, li riconosceva, ma non sapeva nulla di loro ed erano perfetti sconosciuti. Quando venne il suo turno lo chiamarono per nome, come si fa con gli amici, come faceva lei. Avrebbe preferito che lo chiamassero per cognome, sarebbe stato anonimo come lui.
Si avvicinò all'addetto che gli passò un bicchierino e, proprio come si vede nei documentari sui serpenti, portò l'arcata dentale superiore all'interno del contenitore ed esercitò una leggera pressione. Lasciò che il liquido ambrato colasse lungo il bordo e lo chiuse ermeticamente nel barattolino così che non si ossidasse. Era importante che il veleno arrivasse alla banca in perfette condizioni. Lo aveva imparato a sei anni, mentre i suoi coetanei imparavano a contare e giocavano a pallone nel cortile della scuola. Si pulì le labbra con un fazzoletto e lo gettò nel cestino.
Si trovò davanti a scuola senza sapere come ci fosse arrivato, era in stato confusionale e sapeva anche perché. Nella sua mente offuscata si affollavano una miriade di ricordi, calpestandosi l'un l'altro per sovrastare, per sorgere, per essere quello che avrebbe sferrato il colpo di grazia. Sentì la voce di Chrissy e si voltò in quella direzione, ma lei non c'era. Era la sua testa. Guarda, guarda cosa hai fatto. Adesso puoi solo immaginarla.
Entrò e camminò verso la segreteria con passo malfermo, ma cercò di darsi un contegno per evitare domande scomode. Non aveva alcun senso restare. Era finito tutto. Avrebbe ricevuto un ammonimento e forse lo avrebbero sollevato dall'incarico per un po', ma cosa importava? Era stato negligente, se lo meritava. E forse sperava che mr. Parker fosse stufo del suo atteggiamento e lo licenziasse in tronco, anche se sapeva perfettamente che il suo non era un lavoro per il quale bastava mandare un curriculum o scrivere un annuncio sul giornale per reperire personale.
Sorrise a fatica alla segretaria e firmò una decina di fogli. La penna smise di scrivere proprio quando il foglio per le dimissioni da aiuto coach comparve sotto i suoi occhi e ogni tentativo fu inutile. Non voleva saperne di lasciarlo firmare. Sembrava quasi un segno. Scosse la testa a quel pensiero e prese un'altra biro e scrisse il nome fittizio con cui tutti lo conoscevano a scuola. Restituì la documentazione con un peso enorme sullo stomaco.
Mentre ripercorreva la strada verso l'entrata al contrario posò lo sguardo sull'aula di matematica. I contorni dello spazio intorno a lui divennero sfuocati e nella sua mente riemerse un ricordo ben preciso. Il professor Stone era davanti a lui, lo guardava con gli occhiali sul naso e la giacca inamidata a conferirgli quell'aura di superiorità che Leroy non poteva proprio sopportare. Gli ripeteva quanto fosse importante portare a termine il suo compito e non parlava certo degli esercizi di trigonometria che gli aveva assegnato. Voleva, a tutti i costi, che trasformasse Chrissy.
Chrissy, così piccola, così piena di vita, così travolgente nella sua natura umana. Era già incredibile senza l'Accademia, che bisogno c'era di renderla speciale? Era nata per brillare nella sua fragile forza umana. Lo aveva visto con i propri occhi, era capace di crollare e distruggere il mondo con i pezzi che raccoglieva di sé. Sarebbe stata capace di scagliarteli addosso e ridere, sfidarti, guardarti soccombere mentre lei, con la sua determinazione disumana e la sua forza d'animo, risorgeva come una fenice. Non importava che fosse a pezzi, integra, in polvere. Era un uragano di un metro e sessanta scarso che ti avrebbe lasciato inerme con un sorriso, che ti avrebbe salvato la vita con quella risata. Avrebbe potuto tanto, ma non aveva mai fatto niente che potesse recare dolore al prossimo.
Doveva andarsene prima di impazzire.

***

Chloe se ne stava appoggiata al frigo e guardava sua figlia rigirare lo yogurt nel vasetto. Si rendeva conto persino lei che Chrissy aveva qualcosa che non andava e l'idea di essere bloccata nel proprio limbo la faceva precipitare ancor di più in quel profondo senso di inutilità che l'avvolgeva, perché non riusciva neppure ad aiutare la sua bambina. Gli occhi della ragazza erano cerchiati di scuro e gonfi per la mancanza di sonno. Aveva i capelli spettinati, lei, che quasi non scendeva dal letto senza pettinarsi. E non aveva neanche cercato di fermarla quando Chloe aveva fumato l'ennesima sigaretta. Era successo qualcosa di grave. Aveva visto quei fogli sulla scrivania e nonostante Chrissy avesse cercato di convincerla che si trattava di una ricerca scolastica, non era scaltra. Non quando aveva il cuore a pezzi. Non l'aveva vista in quelle condizioni neppure dopo la rottura con Paul, evento che le aveva causato settimane e mesi terribili spesi a piangere e domandarsi che cosa ci fosse di sbagliato in lei.
Le si avvicinò e le accarezzò i capelli senza proferire parola. Non che ci fosse qualcosa che avrebbe potuto dire. Come poteva lei, che era in bilico tra la depressione e l'isolamento dal mondo, tirarla su di morale? Gli occhioni della figlia la guardarono e sentì tutta la sua fragilità gravarle sulle spalle. Avrebbe dovuto essere lì con lei, lì per lei e invece non riusciva a esserci neppure per se stessa. Stava consumando sua figlia e ne ebbe la conferma quando lei le sorrise per rassicurarla. Le ripeté che andava tutto bene, che era solo stressata per gli allenamenti. Lei, una ragazzina a cui probabilmente era crollato il mondo addosso, stava rassicurando sua mamma.
Chloe non si era mai sentita tanto inane.
Chrissy, dal canto suo, non riusciva a concentrarsi su nulla. Leroy era sparito. Aveva dato retta alla sua richiesta di non farsi vedere mai più e sebbene odiasse ammetterlo, una parte di lei lo detestava per non aver cercato di tenerle testa anche quella volta. Qualcuno le aveva fatto domande, ma lei aveva solo scrollato le spalle e risposto che era sparito da un giorno all'altro anche per lei. Non era vero. Non era scomparso, non era scomparso proprio per niente. Lo aveva ancora davanti agli occhi. Sentiva ancora il suo profumo. Aveva ancora nelle orecchie la sua voce irritante che la prendeva in giro. La sua voce irritante che le confessava di averle mentito per tutto quel tempo. La sua voce irritante che trascinava con sé quella di Connel, il suo migliore amico, la persona a cui si era sempre affidata.Connel che non le avrebbe mai mentito, che l'avrebbe sempre protetta. Connel che l'aveva distrutta.
Il fischietto di Ginevra le fece quasi esplodere un timpano, aveva fischiato letteralmente a due centimetri dal suo orecchio.
«Sei impazzita per caso?» Si rivolse a lei con quel tono per la prima volta da che la conosceva e Ginevra sollevò incredula le sopracciglia.
«Io? Chrissy, questo» le mostrò il cronometro, quasi sbattendoglielo in faccia «è il tuo peggior tempo da tre anni a questa parte! Se non hai più intenzione di impegnarti puoi anche andartene»
Ginevra la guardò con una freddezza impressionante e Chrissy si sentì un totale fallimento. Non l'aveva mai delusa, era sempre stata eccellente e aveva sempre puntato al massimo. Aveva persino rischiato di sputare l'anima sul campo pur di spingersi oltre il proprio limite.
Correre era la cosa che sapeva fare meglio e lì, quel giorno, sotto un sole spento e un cielo grigio, aveva ricevuto uno schiaffo. Tutto ciò che per anni aveva costruito, tutte le notti insonni per i dolori muscolari, le ore passate a fare riscaldamento, a correre, tutte le cuffie sportive che aveva dovuto comprare perché i normali auricolari non reggevano il sudore e continuavano a caderle dall'orecchio mentre correva, tutto distrutto. Le giornate estive che cominciavano alle cinque perché alle nove già faceva troppo caldo per correre. Vide tutto sfumare. Tutto finito. Con otto parole. Non voglio vedervi mai più, dette a Leroy e Connel, e puoi anche andartene, ricevuto in faccia come un pugno. Due frasi diverse, due significati troppo simili.
In meno di una settimana aveva perso il suo migliore amico, Leroy e tutto ciò per cui aveva sempre lottato. Le si appannò la vista, ma non avrebbe dato quella soddisfazione alla squadra. Le novelline scalpitavano d'attesa, non vedevano l'ora che la stella dei cento metri smettesse di brillare per lasciar spazio a una nuova piccola luce. No. Non sarebbe crollata davanti a loro. Non gliel'avrebbe data vinta. Non lei, non Chrissy Stablum.
«Dovrai portarmi via di qui a forza»
Guardò Ginevra negli occhi, prese un bel respiro e fece ripartire il cronometro. Corse, corse a perdifiato, corse fino a sentir bruciare persino l'anima. Stava sbagliando su tutta la linea, non era così che avrebbe dovuto fare. Voleva il suo record? Glielo avrebbe dato. Finì il giro battendo di due centesimi il proprio record. Guardò una a una le novelline indispettite, poi rivolse un'occhiata eloquente a Ginevra. Eccola, la tua atleta, la tua macchina da guerra. Volevi la ragazza dei record? Guardala, osservala bene, è qui davanti a te. Con l'anima in frantumi, con il cuore spaccato. Corre, corre per te, corre per farti capire che non puoi fare a meno di lei, che non te ne liberi. Lei non molla, Ginevra. Chrissy Stablum non molla. Non per Leroy Anderson, non per Leroy Perkins.
Chrissy sputò dove di solito stava Roy e lasciò la pista, incurante della sua allenatrice che le chiedeva di tornare indietro.

*

Cheryl non si era mai fermata dopo gli allenamenti, ma quella sera si sentì in dovere di farlo. Quando Chrissy l'aveva chiamata piangendo le si era spezzato il cuore, avrebbe voluto aiutarla e non sapeva come permeare il guscio in cui si era avvolta la sua tanto amata amica. Poi l'aveva vista rischiare il tutto per tutto per dimostrare a chiunque di essere una colonna portante della squadra anche quando nessuno avrebbe osato metterlo in dubbio. Nessuno tranne Ginevra, che quel giorno sembrava aver dimenticato chi davvero fosse Chrissy Stablum.
La colpa era riconducibile a una persona soltanto: Leroy. Dalla sua sparizione Chrissy non era stata più la stessa, era diventata un'altra persona e Cheryl faticava a riconoscerla, a ricondurla alla ragazza con la quale aveva stretto amicizia tanti anni prima per la quale si sarebbe gettata tra le fiamme. Pensò che fosse arrivato il momento di gettarcisi, tra quelle fiamme, poiché Ginevra aveva dato un ultimatum a Chrissy: se entro una settimana non fosse ritornata in carreggiata avrebbe preso provvedimenti. Per quanto sperasse che Chrissy ci mettesse molto meno a metabolizzare qualsiasi cosa le stesse capitando, Cheryl non se la sentì di lasciarla fare da sola.
Spinta dal bisogno di capire che cosa stesse succedendo a quella che considerava la sua più cara amica aveva fatto il diavolo a quattro per rintracciare Connel e dopo averci fatto quattro chiacchiere al telefono era riuscita a farsi dire cosa stesse passando per la testa di Chrissy. Lei e Connel avevano avuto un brutto litigio, al seguito del quale Chrissy lo aveva gentilmente invitato a sparire dalla sua vita. Non ebbe bisogno di vedere in faccia Connel per comprendere quanto ne fosse addolorato, la sua voce era come una pessima mano di carte scoperte sul tavolo: si poteva leggere in essa ogni goccia di tristezza. La stessa che Cheryl aveva visto riflessa su Chrissy che, per quanto brava a nascondere sotto il tappeto i propri sentimenti come un mucchietto di polvere scomoda,con il suo atteggiamento stava dando a tutti un chiaro segnale.
Avvicinarsi a lei equivaleva a rischiare di essere azzannati. Non farlo significava lasciare che cadesse nel baratro. Cheryl decise che poteva fare a meno della carne, delle braccia, di qualsiasi cosa Chrissy avrebbe potuto decidere di portarle via attaccandola. Poteva fare a meno di tutto, ma non di lei.
Non l'avrebbe abbandonata.
Non sarebbe stata Leroy.

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