Solitudine


Passai la serata con mio padre, cercando di ignorare tutti i pensieri che affollavano la mia testa, perché lui il mattino dopo sarebbe ripartito per l'Inghilterra, quindi volevo dedicargli tutta la mia attenzione. Mangiammo una pizza fatta in casa e guardammo un film comico insieme, ridendo come dei matti. Era una di quelle rare volte in cui sentivo di avere una famiglia e non provavo quella solitudine che si nascondeva sempre in fondo al mio cuore.

Era bello avere papà a casa.

Il giorno dopo, quando mi svegliai, lui era già andato via, ma aveva lasciato il tavolo apparecchiato per la colazione, con un muffin al cioccolato al centro del mio piatto.

Il resto della settimana a scuola si svolse in maniera piuttosto monotona, rispetto agli standard ai quali ero abituata ultimamente, ad eccezione della pausa pranzo, durante la quale il mio tavolo era invaso da Elia, Edoardo e Enrico con molta naturalezza.

Era praticamente diventata un'abitudine passare quei momenti insieme, anche se ancora non riuscivo a capacitarmene e non ne comprendevo nemmeno il motivo. Elia e Edoardo discutevano sempre, sfidandosi anche per chi riusciva a finire prima il proprio piatto di pasta, mentre Enrico tentava di fare da paciere e nella peggiore delle situazioni, da giudice imparziale.

Benedetta assisteva volentieri a quelle lotte, tifando qualche volta per uno, qualche volta per l'altro, ma non provava mai a placare i loro animi. Anzi spesso si intrometteva nei loro battibecchi per scaldere i loro animi e riceveva sempre occhiatacce da parte mia.

Quando anche quel venerdì di lezioni finì, mi incamminai verso l'uscita dalla scuola con calma: Elia era andato a un corso di preparazione per l'ammissione a medicina, a me sembrava un po' prematuro, ma lui era proprio convinto con questa professione, mentre Benedetta era scappata alla lezione di tip tap. Enrico mi aveva detto quella mattina che si sarebbe fermato qualche ora in più per esercitarsi con il violino, perciò non mi aspettavo di vederlo sull'autobus.

Scesi le scale di pietra e attraversai l'atrio bianco, superando poi la porta a vetri che portava al cortile interno. Feci per dirigermi verso il cancello, quando notai qualcuno accasciato contro il tronco di un albero con aria sofferente e la testa chinata verso il basso. Aguzzai la vista e riconobbi la chioma bionda di Edoardo e il suo profilo solitamente perfetto, ma in quel momento distorto da una smorfia di dolore.

Mi affrettai a raggiungerlo e quando fui abbastanza vicina, notai che aveva del sangue che gli colava dalla bocca e un taglio vicino al sopracciglio destro.

"Cos'è successo?" domandai angosciata, poggiando una mano sul suo braccio, preoccupata.

Edoardo si accorse di me solo in quel momento, sobbalzò leggermente al suono della mia voce e poi sollevò la testa, fissandomi negli occhi.

"Una piccola incomprensione" disse, accenando un sorriso, ma contraendo subito la bocca a causa del male che sentiva.

Continuai a guardarlo con apprensione e risposi: "Non tanto piccola, mi pare" strinsi la presa sul suo braccio e lo spronai a muoversi per seguirmi.

"Vieni" lo esortai, camminando svelta verso la scuola e trascinandolo dietro di me. Edoardo si lasciò guidare senza dire una parola, anche se ogni tanto sentivo qualche lamento uscire dalla sua bocca. Tornai sulla rampa di scale e salii fino al secondo piano, poi percorsi il corridoio e mi fermai davanti all'infermeria.

Bussai in attesa di una risposta, ma dovevano già essere andati via tutti perché le lezioni erano finite, così poggiai una mano sulla maniglia e, con sollievo, constatai che era aperta.

La luce era spenta e gli armadietti con i medicinali chiusi a chiave, ma su un mobiletto vidi del disinfettante e i cerotti, perciò avanzai all'interno della stanza e pigiai sull'interruttore per illuminare la zona.

"Non serve che..." cominciò a dire Edoardo, ma prima ancora di lasciarlo finire lo tirai con forza per il braccio, in maniera da spostarlo davanti a me e poi lo afferrai per le spalle, costringendolo a sedersi sullo sgabello che si trovava sotto di lui.

"Chi ti ha picchiato?" chiesi arrabbiata, dandogli le spalle per prendere l'occorrente della medicazione.

Edoardo sbuffò, come se non fosse una questione importante da raccontare e poi liquidò la mia domanda con: "Alcuni ragazzi più grandi"

"Perché?" insistetti brandendo del cotone e imbevendolo di disinfettante.

Il ragazzo rimase qualche secondo in silenzio, valutando se dirmi la verità o meno, finché la sua voce disse con tono rassegnato: "Sono uscito con la fidanzata di uno di loro"

Mi voltai di scatto verso di lui, la bocca spalancata, gli occhi severi, il cotone in una mano e il disinfettante nell'altra.

"Non sapevo lo fosse" si affrettò ad aggiungere Edoardo, notando il mio sguardo di rimprovero "lei non me l'aveva detto"

Addolcii la mia espressione e mi spostai vicino a lui, chinandomi sul suo viso per pulire il sangue vicino al sopracciglio.

"Non dovresti uscire con chiunque" sentenziai, iniziando a tamponare la ferita come meglio potevo.

"Sei gelosa?" scherzò Edoardo, tornando a sorridere nonostante il male alle labbra.

Mi fermai e gli rifilai un'occhiata scettica, provocando in lui una leggera risata, stroncata subito da un lamento di dolore.

"Non posso fare altrimenti, sono fatto così. Sono una persona cattiva" concluse infine, assumendo un'espressione divertita, ma lasciando trapelare dai suoi occhi una certa rassegnazione.

Sospirai mentre finivo di sistemare il danno vicino al suo occhio, poi la mia attenzione cadde sulle sue mani, abbandonate mollemente sulle ginocchia e chiesi: "Ti sei ferito anche le mani?"

Non sembrava avere graffi, ma sicuramente aveva colpito anche lui il suo aggressore, perciò poteva comunque essersi fatto male.

Edoardo mi rivolse uno sguardo perplesso e poi disse con estrema sincerità: "Non ho reagito"

"Non ti sei difeso?" esclamai sorpresa, ammirando il suo sangue freddo. Io non avrei fatto lo stesso. Anzi, io non avevo fatto lo stesso.

"No" sentenziò lui ancora una volta "mi meritavo quei pugni, quindi ho incassato in silenzio"

Ero stupita da quella rivelazione: Edoardo diceva tanto di essere fatto in un certo modo e di non poter evitare certi comportamenti ma in realtà aveva un animo nobile e sapeva ammettere i suoi errori e affrontarne le conseguenze. Non era un atteggiamento da tutti.

Tornai a concentrarmi sul suo viso e presi un altro cotone per medicargli il taglio sul labbro inferiore, ed ero così tanto concentrata su quel lavoro, che solo dopo qualche secondo mi resi conto che la mia faccia era a pochi centimetri dalla sua, le mie dite poggiate sul suo mento per tenerlo fermo, il mio respiro che si scontrava con la sua pelle. Il cuore prese a battere più velocemente una volta raggiunta questa consapevolezza e cercai di sbrigarmi per finire in fretta.

"Sai" riprese a parlare Edoardo con tono tranquillo, come se la mai vicinanza non gli provocasse nessuno dei sentimenti che invece stavo provando io "da piccolo facevo sempre a botte con gli altri bambini"

Sollevai gli occhi sui suoi e notai una scintilla di malinconia all'interno di essi: "Scommetto che allora ti difendevi"

Edoardo rise e poi continuò: "Non solo mi difendevo, di solito ero io a cominciare"

"Non è qualcosa di cui vantarsi. Perché lo facevi?" mi venne da chiedere, afferrando con una mano un secondo sgabello poco distante e avvicinandolo per potermi sedere.

"Perché non avevo un padre e mi prendevano in giro. E volevo attirare l'attenzione di mia madre" affermò lui con una sincerità disarmante.

Rimasi colpita dalla sua confessione e mi ritrovai a fissarlo negli occhi, riuscendo a comprendere i suoi sentimenti più di quanto mi sarei mai aspettata. Non servivano le parole, sapevamo entrambi che condividevamo i medesimi desideri: sentirsi parte di una vera famiglia.

"Io non credo che tu sia cattivo" sussurrai quasi senza fiato a causa del contatto tra le nostre pupille che stava catalizzando tutta la mia attenzione e il mio cuore.

Edoardo sollevò le sue labbra in un sorriso vero e rispose: "Questa è la prima volta che qualcuno me lo dice"

Poggiò una mano sul mio ginocchio, si sollevò leggermente dallo sgabello e, dopo aver piegato la testa di lato, si avvicinò a me, depositandomi un bacio sulla guancia.

Indugiò qualche secondo e, anche se non fu molto, impresse un marchio invisibile sulla mia pelle, racchiudendo così tante emozioni contrastanti che si depositarono sul mio cuore: fragilità, riconoscenza, dolore, felicità, ma più di tutto, solitudine.

Ciò che capii quel giorno, attraverso un gesto tanto semplice e spontaneo, fu che io e Edoardo cercavamo l'amore in tutte le persone che incontravamo perché ci era mancato da sempre. La verità era che noi, volevamo solo essere amati. Incondizionatamente. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top