Quattro

Il resto del week end passò con più velocità di quanto avrei voluto, probabilmente anche a causa del piccolo incidente che avevo avuto sabato pomeriggio, quando ero uscita dalla doccia con i piedi bagnati ed ero rovinosamente caduta sul pavimento di piastrelle bianche, picchiando con violenza il ginocchio destro.

Impossibilitata a rimettermi in piedi, avevo strisciato fino al comodino e avevo chiamato Benedetta con voce lamentosa, pregandola di accorrere in mio aiuto.

Avevamo passato la serata davanti alla televisione, guardando qualche puntata di un assurdo k drama, dove la protagonista veniva rapita addirittura cinque volte. Divano, Benedetta, pizza, patatine e ghiaccio freddo sulla gamba: la serata quasi perfetta.

***

Il lunedì mattina a scuola era sempre traumatico, non avevo nemmeno incontrato Enrico sull'autobus e non riuscivo a capire i suoi orari ma, il mio umore migliorò notevolmente, quando varcai l'aula della mia classe e trovai un bigliettino infilato sotto al banco, vicino al libro di storia.

Lo aprii con curiosità e vi trovai un dolce messaggio: "Il suono della tua voce è musica per le mie orecchie. Tuo E."

Spalancai gli occhi, mentre un pensiero attraversava la mia mente: la musica. Enrico.

Non poteva essere altrimenti, ne ero certa, avevamo parlato dell'argomento pochi giorni prima ed ecco spuntare il bigliettino d'amore.

La mia testa era un turbinio di congetture e non prestai molta attenzione alle spiegazioni del professore di chimica, nonostante la vicinanza con Elia, il pensiero di Enrico era troppo presente nella mia fantasia.

"Dal momento che abbiamo studiato la teoria il primo semestre, faremo una piccola verifica pratica oggi" disse il professore, riportandomi nella classe dove si trovava già il mio corpo da diverso tempo.

Verifica? Oggi? Che verifica? Su che argomento? Io non avevo fatto la teoria!

Guardai subito Elia, che scriveva concentrato alcune formule sul suo quaderno, e mi sentii già sicura perché, anche se io non ero preparata, avevo la fortuna di fare coppia con il miglior studente della classe, quindi potevo stare tranquilla.

Cominciai a preparare i composti che dovevamo amalgamare, sotto la direzione precisa del mio compagno di banco, che si premurava anche di dirmi cosa succedeva se avessi sbagliato qualcosa, ovvero nulla di buono.

Stavo versando una parte di un qualche liquido strano in qualche altro liquido strano, quando la mia mente tornò a ripropormi le parole trovate sul bigliettino di quella mattina e, senza neanche rendermene conto, mi persi.

"Cosa stai facendo?" esclamò arrabbiato Elia, strappandomi bruscamente dalla mia fantasia.

Guardai la fiala trasparente che reggevo tra le mani, che era desolatamente vuota, ma non avrebbe dovuto esserlo. Dovevo versare solo una parte del suo contenuto. Possibile che non fossi in grado di fare neanche una cosa tanto semplice?

"Mi dispiace io..." presi a dire, mentre lo sguardo freddo di Elia mi trafiggeva come tanti ghiaccioli.

"Mi sono distratto solo qualche secondo" ribatté in tono piatto, riservandomi un'occhiata che non ammetteva repliche.

Abbassai gli occhi sul pavimento, vergognandomi per la mia inettitudine, ma non sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.

Una volta tornati in classe, ci sedemmo ai nostri banchi e il professore ci consegnò un foglio con sopra la valutazione per quella prova che io e il mio compagno avevamo miseramente fallito: avevamo preso quattro.

Rimasi con gli occhi fissi sul voto, incapace di guardare verso Elia, ma sentendo il suo sguardo di fuoco che mi bruciava la schiena. Accolsi il suono della campanella come una perfetta via di fuga ma, proprio nel momento in cui stavo per alzarmi, sentii una presa sicura sul polso che mi inchiodò dov'ero.

Lentamente girai la testa e sollevai lo sguardo, ritrovandomi davanti Elia in tutta la sua possedente altezza e la sua spaventosa aura.

"È la prima volta che prendo un quattro" esordì con tono sprezzante, facendomi deglutire per il disagio. Tuttavia mi sorpresi a pensare che, nonostante tutto, lo trovavo stranamente attraente, non riuscivo a distogliere gli occhi dai suoi.

"C'è sempre una prima volta..." mormorai, maledicendomi subito dopo aver pronunciato quella frase. Perché non ero capace di gestire la tensione?

Elia assottigliò gli occhi, ma continuò a tenere la sua mano sul mio polso, anche se notai che non applicava nessuna forza, anzi era stranamente gentile come tocco.

"Sabato" pronunciò con voce profonda, senza però aggiungere altro. Mi stava minacciando?

"Sabato?" ripetei come una scema, corrugando le sopracciglia.

"Ci troviamo sabato e ti faccio ripetizione di chimica" disse con naturalezza, senza scomporsi minimamente, senza alterare l'espressione del suo viso.

Il cuore prese a battere troppo forte nel mio petto e mi ritrovai a balbettare un patetico: "Gr-grazie, ma non serve che ti preoccupi..."

"Non lo faccio per te" mi interruppe lui bruscamente, mollando la presa sul mio polso "voglio evitare di inabissare ulteriormente la mia media"

"... per me" le parole uscirono dalle mia labbra in un sussurro, mentre restavo interdetta dalla risolutezza che Elia mostrava sempre e alla quale non sapevo mai come ribattere.

Senza aggiungere altro si girò e si incamminò vero la porta, approfittando dell'intervallo per allontanarsi. Io ero ancora ferma con lo sguardo sulla sua figura, incantata dal magnetismo che era capace di trasmettere anche solo camminando. Piegai la testa di lato, osservando le sue spalle ampie, le braccia muscolose lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte, le mani grandi... un momento, aveva un libro con sé.

Aguzzai la vista e il fiato mi mancò dai polmoni: Poesie di Pablo Neruda.

Improvvisamente la voce di Benedetta mi riecheggiò nella testa "Sveglia, Liv! È una poesia di Pablo Neruda".

Accidenti, allora era Elia il mio E?!

***

Durante la pausa pranzo parlai così tanto a Benedetta dei miei dubbi che lei finì per appisolarsi su una panchina al sole, nel cortile della scuola, così ne approfittai per andare al bagno, cosa che non ero ancora riuscita a fare. Mi legai i capelli in una coda alta perché cominciavo ad aver caldo e controllai allo specchio che il poco mascara che avevo applicato sulle ciglia non si fosse sbavato.

Propio in quel momento, sentii il suono della campanella che annunciava l'inizio delle lezioni e mi precipitai fuori dalla porta. Ma perché quando andavo al bagno il tempo passava diversamente? Finivo sempre per essere in ritardo.

Mi affrettai per i corridoi, quando notai qualcuno appoggiato con la schiena al muro, in una rientranza che si trovava alla mia destra. Solo nel momento in cui fui abbastanza vicina, riconobbi Edoardo, le braccia incocciate al petto, i muscoli tesi, l'espressione annoiata.

Subito dopo, qualche metro davanti a me, intravidi una ragazza che girovagava, gettando sguardi apprensivi a destra e sinistra, alla ricerca di qualcuno. Mi fermai perplessa, osservando prima uno e poi l'altra, con un sospetto che si stava facendo largo nella mia testa, il quale ebbe la sua conferma quando la ragazza chiamò il nome di Edoardo a gran voce.

Girai lo sguardo verso di lui, ma questa volta incontrai i suoi occhi in risposta, che mi osservavano supplichevoli. Non essendo particolarmente perspicace, non colsi la sua richiesta, perciò sollevai un braccio per richiamare l'attenzione della ragazza e farle sapere che Edoardo si trovava esattamente di fianco a me, ma non feci in tempo a completare il mio gesto perché mi sentii trascinare di lato con forza.

Mi ritrovai con la schiena contro al muro e Edoardo di fronte a me, entrambe le mani poggiate alla parete, ai lati della mia testa, la schiena leggermente incurvata, la distanza tra di noi notevolmente ridotta.

Il ragazzo allungò il collo per spiare oltre il muro e assicurarsi che la sua inseguitrice non avesse preso la giusta direzione, poi tirò un sospiro di sollievo e infine tornò con lo sguardo su di me.

Il mio cuore ormai stava facendo la maratona, la mente era in totale stallo, il respiro corto, ma quando Edoardo allargò le sue labbra in un sorriso divertito e si avvicinò con la bocca al mio orecchio, i polmoni smisero proprio di funzionare.

"Sei un angelo" disse in un soffio, solleticandomi il collo con il suo fiato, poi aggiunse: "Liv"

Subito dopo se ne andò, con molta calma e tranquillità, lasciandomi sola a ringraziare la presenza di quel muro, altrimenti non sarei stata in grado di reggermi sulle gambe.

In tutto quel terremoto di sentimenti, dalla mia mente riaffiorò una frase: sembri sempre un angelo. Tuo E.

Oh cavolo... allora chi era il mio E? 

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