Maledetta gentilezza
Tornai a posare i mie occhi in quelli di Enrico che era in attesa, curioso.
"Possiamo parlare un attimo?" chiesi impacciata, ricevendo come risposta un cenno della testa da parte del ragazzo, ancora fermo sul pianerottolo. Mossi qualche passo, uscendo da casa mia e chiudendomi la porta alle spalle.
"In un posto meno esposto" mormorai imbarazzata, ritornando a fissarmi i piedi. Sentii Enrico avvicinarsi a me, finché le sue scarpe entrarono nel mio campo visivo e la sua mano si chiuse intorno alla mia.
"Vieni" disse semplicemente e si avviò per la rampa di scale che portava al piano superiore, trascinandomi con sé. Salimmo in silenzio, tanto che potevo distintamente sentire il suono del mio cuore e avevo timore che pure lui potesse farlo.
Raggiungemmo una porta socchiusa che conduceva sul tetto dell'edificio e, quando Enrico mi portò oltre questa, un cielo stellato ci accolse, invitandomi a sollevare gli occhi verso l'alto. Era un vero spettacolo, tanto che quasi mi dimenticai il vero motivo per il quale ero lì e mi rilassai un poco.
"Quindi"cominciò a dire Enrico, liberando la mia mano dalla sua presa "tuo padre cosa voleva dire?"
Il rilassamento era già sparito.
"Ecco..." iniziai, a disagio " ...da un po' di tempo ricevo questi bigliettini d'amore..." mi presi qualche secondo per trovare il coraggio di continuare, poi conclusi: " ...da un ammiratore segreto. Lui si firma Tuo E."
"Ah" mormorò Enrico pensieroso. Provavo una strana sensazione: all'inizio ero quasi certa fosse lui E., ma vedendo la sua espressione un po' confusa, sentii una morsa allo stomaco e le parole che volevo pronunciare per chiederlo esplicitamente rimasero bloccate nella mia gola.
"Pensi sia io?" disse Enrico esprimendo a parole i miei dubbi, ma utilizzando un tono quasi triste.
Annuii lentamente, scrutando il suo volto alla ricerca di qualche conferma che però pareva sempre meno probabile.
"Liv" esordì con dolcezza e tristezza, avvicinandosi a me "sei una ragazza fantastica" continuò poggiando una mano sulla mia guancia e scatenandomi un forte batticuore. Forse era davvero lui, forse la paura mi stava condizionando troppo, doveva essere lui per forza, no?
"Ma non sono io il tuo E."
Tutti i castelli che si erano formati nella mia testa crollarono uno dopo l'altro. Avevo sbagliato, di nuovo!
Sentii gli occhi farsi lucidi per il dispiace e la frustrazione, ma imposi a me stessa di mantenere il controllo.
"Ma..." iniziai a dire, dopo aver compiuto una serie di respiri profondi. Enrico allontanò la mano dal mio viso e, prima di lasciarmi continuare, spiegò: "Liv, io voglio dedicare questi anni alla musica, prima di lasciarla definitivamente. Lei è il mio unico amore"
Rimasi colpita da quelle parole, un po' perché non me le aspettavo, un po' perché ammiravo tanta dedizione, anche se faceva male.
"Capisco" mormorai sconsolata, abbassando lo sguardo sulle mie mani. Nonostante il tono gentile che aveva usato Enrico e il suo sguardo dispiaciuto, l'umiliazione era troppo pesante da sopportare, così mi voltai e continuai: "Sarà meglio tornare"
Senza aspettare una risposta, mi avviai verso la porta e poggiai la mano sulla maniglia, ma sentii i passi di Enrico avvicinarsi e la sua dolce voce sussurrare: "Scusa, Liv"
Chiusi gli occhi per assimilare ancora una volta la sconfitta, ma all'improvviso mi ritrovai a spalancarli.
"Non si apre" dissi a bassa voce mentre il panico si propagava dento di me come un incendio.
"Come?" chiese Enrico, chinandosi leggermente su di me per sentire quello che avevo blaterato.
"Non si apre" gridai quasi isterica, cominciando ad abbassare freneticamente la maniglia nella speranza che succedesse un miracolo.
"Fammi provare" intervenne il ragazzo prendendo il mio posto davanti alla porta. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, sia con la maniglia, sia con i calci, concluse con voce piatta: "Non si apre"
Mi portai una mano davanti alla bocca per nascondere una smorfia di terrore. Cosa poteva esserci di peggio, se non ritrovarmi bloccata con il ragazzo che mi aveva appena scaricata?
Mi guardai intorno alla ricerca di una via di fuga, ma l'unica era buttarsi giù dal tetto e non ero ancora arrivata a quel livello di disperazione, così presi a frugarmi nelle tasche dei jeans, pregando di aver portato il cellulare con me.
Qualcuno lassù doveva odiarmi davvero...
"Hai il telefono?" chiesi a Enrico dopo aver constatato che io ero senza.
Gli occhi del ragazzo si spensero di fronte alla mia agitazione e rispose dispiaciuto: "Non lo uso molto. L'ho lasciato in casa"
Qualcuno lassù doveva odiarmi davvero tanto!
"Cosa facciamo?" tornai a domandare, provando un senso di impotenza e ansia totale. Enrico si fece pensieroso mentre con lo sguardo si spostava lungo tutto il perimetro del tetto, cercando una soluzione.
"Questo è un vecchio palazzo, non ci sono le scale antincendio. Temo che dovremo aspettare qualcuno che ci apra"
"Chi?!" quasi gridai, conoscendo mio padre, non si era nemmeno accorto che non ero rientrata in casa e si era sicuramente piazzato davanti alla televisore con un documentario noioso che avrà rubato tutta la sua attenzione.
"Mia madre si accorgerà della mia assenza" mi rincuorò Enrico "sa che qualche volta vengo sul tetto a suonare. Dobbiamo solo aspettare"
Tirai un sospiro di sollievo, fortunatamente esistevano ancora genitori responsabili.
"Bene" risposi sollevata, ma le forti emozioni della serata mi avevano tolto le forze, così mi chinai e mi sedetti sul pavimento, portando le ginocchia al petto e sollevando gli occhi verso il cielo per distrarmi da quella situazione.
La distesa scura sopra la mia testa era costellata da tanti puntini luminosi e libera dalle nuvole, forse a causa del leggero vento che si era alzato da quel pomeriggio.
Stupidamente ero salita fin lassù senza portarmi dietro la felpa e con la mia misera maglietta a maniche corte, cominciai a rabbrividire per il freddo. Di giorno, con il sole, faceva caldo ma la sera l'aria non era ancora della temperatura ideale, specialmente per me che ero particolarmente freddolosa.
Mi abbracciai più stretta le gambe, cercando di scaldarmi, quando mi giunse la voce di Enrico, un po' distante da me: "Hai freddo?" si preoccupò, facendosi più vicino.
"Un po'" mormorai mentre venivo scossa da un brivido. Ma chi volevo prendere in giro? Si gelava!
Enrico non disse nulla ma rimase ancora qualche secondo ad osservarmi poi, con naturalezza, annullò la distanza tra di noi e si adagiò per terra, alle mie spalle, allungando le gambe ai lati del mio corpo e attirando la mia schiena contro il suo petto. Avvolse le sue braccia intorno alle mie e cercò di scaldarmi come meglio poteva.
Mi irrigidii all'istante a causa di quel ravvicinato contatto, decisamente inaspettato, tanto che improvvisamente stavo morendo di caldo: le guance rosse, il cuore a mille, la mente più confusa che mai.
"Va meglio?" mi sussurrò all'orecchio con il suo solito tono dolce. Dannata la sua maledetta gentilezza!
"Sì" mormorai a mezza voce mentre la mia testa gridava no! Come potevo non illudermi se aveva questi comportamenti?
Respirai profondamente e imposi a me stessa di controllare i viaggi del mio cervello, perciò decisi di occuparlo con altri argomenti. Tornai a guardare il cielo, pensierosa e, ad un tratto sentii Enrico canticchiare una canzone che mi suonava familiare, ma che non riuscii a identificare.
"Oh when I look in the mirror " intonò sottovoce il ragazzo "I'll melt your heart"
Mi ritrovai a sorridere e constatare: "Ti piace proprio la musica"
"Come?" chiese perplesso il ragazzo, avvicinando un po' il viso al mio e sfiorandomi l'orecchio con i suoi ricci.
Deglutii turbata da quel movimento e risposi con un leggero tremolio nella voce: "Stavi cantando"
Enrico ridacchiò e disse: "Non me ne sono accorto"
Tornai a concentrarmi sulle stelle, anche se in quella situazione non era certo semplice, quando all'improvviso un pensiero si fece strada nella mia testa: lei è il mio unico amore.
"Se la musica è tanto importante per te" mi ritrovai ad affermare con una sicurezza che solitamente non avevo "credo che dovresti lottare per lei"
Sentii Enrico sospirai alle mie spalle e capii di aver colpito un argomento critico, perciò mi sarei aspettata che sviasse la questione, invece rispose: "Lo so... ma non voglio deludere mio padre"
Alla fine il problema era sempre la stesso, eravamo tutti condizionati dai nostri genitori, bisognosi di indipendenza, ma timorosi di riceverla.
"Ma davvero saresti pronto ad abbandonarla?" continuai, consapevole di camminare su un terreno fragile.
Enrico rimase in silenzio così tanto che pensai di aver esagerato, ma poi sentii la sua fronte poggiarsi sulla mia schiena e il peso della sua testa, come se non riuscisse più a sostenere tutti quesi pensieri tristi.
"No" sussurrò "vorrei passare la mia vita a suonare il violino"
La malinconia nella sua voce mi fece quasi commuovere, così lo incitai: "Con le tue capacità potresti farlo" feci una pausa, indecisa se continuare, ma poi aggiunsi: "E credo che dovresti"
Percepii le sue braccia stringersi di più intorno a me e istintivamente sollevai una mano per poggiarla sulla sua, quando la porta del tetto si aprì all'improvviso e una donna dai lunghi capelli biondi fece capolino, chiamando Enrico a gran voce.
Oh cavolo, sua madre!
Scattai in piedi come una molla, sbalzando via dalla mia schiena la testa di Enrico e rimanendo immobile, nel totale imbarazzo.
"Ahi" esclamò il ragazzo, portandosi una mano sulla fronte per poi alzarsi con agilità e rivolgersi a sua madre. "Per fortuna ci hai trovato" mosse qualche passo verso di lei e poi continuò "siamo rimasti bloccati"
"Per forza, le chiavi erano all'interno! Quante volte ti ho detto di ricordarti di prenderle?"
Enrico si grattò la testa colpevole e poi si girò verso di me, mostrandomi un lieve sorriso imbarazzato.
Avrei voluto dirgli che non era colpa sua, ma che ero io ad essere perseguitata dalla sfiga, ma le mie labbra non si mossero.
Avevo fatto il pieno di disagio per quella sera, era arrivato il momento di andarmene, così avanzai insicura e quando fui vicina a sua madre la ringraziai, evitando di guardare Enrico, ma proprio mentre lo superavo, sentii la sua voce che mi chiamava.
"Liv" mi fermai in prossimità della porta, bramando la libertà "grazie"
Quella piccola parola mi colpì più del necessario, così mi voltai e, ricambiando il suo sorriso, lo salutai: "Notte"
Mentre scendevo le scale il più velocemente possibile, mi chiesi com'era possibile essere rifiutata da tre ragazzi, eppure provare ancora i medesimi sentimenti per tutti e tre.
Cos'avevo di sbagliato?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top