Incubo

Mentre ero a casa, stesa sul divano in attesa dell'ora per uscire e recarmi al concerto di Enrico, ripensai alla stupida frase che avevo detto ad Elia. 

Che bisogno avevo di sapere il significato di quel bacio? Che bisogno c'era di chiederlo? Da dove era spuntato tutto quel coraggio? E dov'era quando mi trovavo nel bagno con quelle arpie?

Subito dopo aver visto l'espressione stupita di Elia, mi ero allontanata da lui, sconvolta per quanto successo e avevo blaterato qualcosa circa l'urgenza di andare alla toilette e infine ero scappata a gambe levate, non permettendo al ragazzo di replicare nulla al riguardo. 

Non sapevo com'era la situazione tra noi due, se lui avrebbe fatto finta di non aver sentito nulla oppure se avesse semplicemente deciso di ignorare la mai curiosità, sicuramente io avrei dimenticato quel momento imbarazzante, o almeno avrei provato a farlo.

Dannazione, come se le cose tra noi non fossero già abbastanza confuse. Per non parlare della questione Edoardo, anche lì, un vero enigma. Almeno non avevo peggiorato il disagio con lui... per il momento almeno.

Decisi di cenare presto con un piatto di pasta e poi mi cambiai, indossando un abito bianco abbastanza casto e leggero, abbinandolo con dei semplici sandali bassi e sollevando i capelli in uno chignon elegante.

Presi un taxi per arrivare in tempo e aspettai fuori dalla scuola l'arrivo degli altri: fortunatamente la prima fu Benedetta, così evitai qualsiasi tensione con gli altri due, che ci raggiunsero poco dopo, avvolti dai loro abiti non troppo eleganti, ma che comunque facevano una certa scena, soprattutto su di loro.

Prendemmo posto nella platea e prima che si spegnessero le luci, mi guardai intorno alla ricerca dei genitori di Enrico, ma non rimasi stupida di notare la loro assenza, anche se provai un certo dispiacere. Evidentemente le mie parole non avevano avuto l'effetto sperato, ma almeno Enrico non sarebbe stato solo quella sera, aveva i suoi amici.

Quando fummo immersi dal buio, una luce si accese sul palco, illuminando la figura slanciata del ragazzo, con indosso un raffinato completo nero e il violino stretto nella mano, i suoi ricci indomabili e la sua espressione seria ma raggiante.

Fece un profondo inchino che fu seguito da un caloroso applauso, poi si raddrizzò e portò lo strumento sotto al mento, posizionando le braccia e decretando il silenzio nell'auditorium.

Non appena l'archetto toccò le corde, la melodia si propagò intorno a noi e improvvisamente non esisteva più nessuno in quella stanza, non esisteva il tempo o la distanza, non esisteva i pensieri o i problemi, c'era solamente quella dolce musica. 

Enrico era nel suo elemento e si sentiva libero di essere sé stesso, senza giudizi o restrizioni, libero di lasciarsi trasportare dalle sue note, magistralmente allineate, abilmente eseguite, magicamente interpretate.

Il concerto durò circa un'ora, anche se a me sembrò che il tempo non fosse passato e contemporaneamente che fosse volato, ma quando il ragazzo staccò l'archetto dalle corde, il silenzio rimase ancora per qualche secondo, tanto il pubblico era rimasto folgorato dalla sua performance.

Senza riflettere troppo sulle mie azioni, mi alzai in piedi e cominciai ad applaudire con entusiasmo, attirando tutti gli sguardo su di me, compreso quello di Enrico. Notai lo stupore spuntare sul suo viso, seguito poi da una certa commozione e infine da un sorriso radioso sulle labbra. Ero lì per sostenerlo e avrei fatto il possibile per farlo.

Benedetta mi imitò, seguita da Elia e Edoardo che cominciò anche a gridare bravo a gran voce, finché tutti gli spettatori si ritrovarono in piedi, acclamando quel fantastico musicista.

Vederlo sul palco, felice di riconoscere il suo successo, soddisfatto per aver raggiunto il cuore di tutti i presenti, mi fece realizzare che era quello il posto dove doveva stare. 

Ad un tratto notai i suoi occhi poggiarsi su un punto in lontananza e spalancarsi per la sorpresa, mi voltai verso la direzione del suo sguardo e intravidi due figure in piedi in fondo alla sala: i suoi genitori. Sua madre stava applaudendo vigorosamente, evidentemente fiera, mentre suo padre teneva le braccia incrociate intorno al petto, ma sulle sue labbra non riusciva a trattenere un sorriso compiaciuto. Tutto quel successo era dovuto solo ed esclusivamente a suo figlio. Era tutto merito suo e della sua abilità.

Tornai a guardare Enrico e percepii una certa commozione nei suoi occhi: forse non era ancora risolto nulla, forse dovevano ancora trovare un accordo, forse la strada era tutta in salita, ma almeno una strada c'era e sicuramente avrebbe condotto a qualche svolta.

Prima di andare a casa, Enrico ci raggiunse e ci mostrò tutta la sua gratitudine per aver preso parte del pubblico, poi restammo un po' a chiacchierare fuori dalla scuola, fantasticando sulla vacanza che ci aspettava a luglio, che io percepivo più come un motivo di estrema agitazione, ma forse mi avrebbe anche aiutato a chiarire i miei sentimenti e quelli degli altri ragazzi.

I genitori di Enrico erano andati via subito dopo l'esibizione, perciò io e lui prendemmo il taxi insieme per tornare a casa. Quando scesi dal mezzo, salii le rampe di scale complimentandomi ancora con lui per la sua straordinaria bravura e fu allora che lui disse con sincerità: "Sono contenta che tu sia venuta a sentirmi suonare"

Mi voltai verso di lui, che era rimasto qualche gradino indietro e gli mostrai un sorriso allegro, rispondendo: "Sei stato magnifico"

Notai Enrico arrossire leggermente e distogliere lo sguardo, allargando la bocca in un timido sorriso e, dopo un attimo di silenzio, ribatté: "Come faceva mio padre a sapere del concerto?"

Mi bloccai a metà della seconda rampa e senza voltarmi verso di lui risposi: "Non saprei"

Non ero sicura che fosse contento di quanto avevo fatto, magari non condivideva la mia iniziativa, magari non gradiva che mi fossi intromessa fino a quel punto, anche se a giudicare dall'espressione che aveva sul palco, non era così che la pensava.

"Io credo di sì" sentenziò lui, raggiungendomi e poggiando una mano sulla ringhiera, poco sotto la mia. Spostai la mia attenzione su quel punto e, dopo aver fatto profondi respiri per calmarmi, mi voltai verso di lui, ritrovandomi il suo viso all'altezza del mio, dal momento che si trovava un gradino più in basso rispetto a me.

"Sei arrabbiato?" gli domandai preoccupata, notando il suo sguardo incerto e la sua bocca piatta. 

Oh accidenti, avevo combinato un disastro!

Enrico spostò la sua mano, poggiandola sopra la mia, mentre con l'altra raggiunse la mia guancia, accarezzandola dolcemente, poi fissò i suoi occhi limpidi nei miei e infine sussurrò: "Grazie, Liv"

Restammo immobile per diverso tempo, i nostri respiri sincronizzati, le nostre pupille che si rispecchiavano a vicenda, il contatto della nostra pelle. Il cuore prese a battere con maggiore vigore e dei brividi percorso la mia schiena quando Enrico allungò il collo verso di me, invadendomi con il suo profumo fresco.

Come era successo poco prima ascoltando la sua musica, in quel momento ero totalmente rapita da lui, immersa in una dimensione senza tempo né spazio, percepivo solo la sua presenza e poi le sue labbra sulle mie, che accesero una melodia che risuonò nel mio cuore.

Dopo che Enrico si fu allontanato dal mio viso, mi sentii ancora turbata e confusa, incapace di dare un nome e un ordine a tutti i sentimenti che ultimamente avevano invaso il mio cuore, perciò fui contenta quando lui mi prese la mano e, senza dire nulla, mi condusse fino alla porta del mio appartamento, salutandomi con normalità e avviandosi verso la sua porta.

Presi le chiavi e le infilai nella serratura, decisa a rimandare i ragionamenti per il giorno seguente, ma quando pensai di poter restare sola con i miei pensieri, la voce di Enrico mi raggiunse, facendomi voltare.

"Liv" mi chiamò con un po' di insicurezza "non voglio illuderti..." iniziò a dire, tornando sui suoi passi.

Non mi piaceva per niente come stava cominciando questo discorso.

"... io spero di non averti dato l'impressione sbagliata. Quello di prima era una specie di ringraziamento. Io ti voglio bene, ma sai che la musica..."

Sembrava davvero in difficoltà, mi ricordava un po' la me stessa nei momenti di panico e provai tenerezza per lui, nonostante le parole dolorose che mi stava rivolgendo, così mi ritrovai a rispondere: "Tranquillo Enrico, capisco perfettamente, il tuo amore è la musica e credo sia giusto così"

Lui sembrò sollevato e si lasciò andare ad un sospiro un po' dispiaciuto, poi si avvicinò a me, mi afferrò la mano, stringendola forte e infine mi rivolse un tenero sorriso, tornando poi verso la sua porta, ma questa volta aprendola e sparendo dalla mia vista.

Sdraiata sul mio letto dalle lenzuola lilla con sopra delle piccole api gialle, ancora avvolta dal mio vestito bianco che all'improvviso sottolineava tutta la mia pura ingenuità, mi soffermai a riepilogare la situazione dell'ultimo periodo: avevo iniziato la nuova scuola con tre possibili ammiratori segreti, mi ero dichiarata a tutti e tre, ero stata rifiutata da tutti e tre e avevo perso le speranze, mettendomi anche il cuore in pace ad un certo punto.

Successivamente tutti e tre mi avevano baciato, ma immediatamente tutti e tre mi avevo nuovamente rifiutato, senza permettermi di capire i loro sentimenti o approfondire i miei.

Cos'era questa storia che venivo continuamente rifiutata anche quando erano loro a compiere una qualche mossa? Cos'era questa confusione che regnava nella mia testa e questo groviglio che attanagliava il mio cuore?

Avere un ammiratore segreto era il sogno di ogni ragazza... allora come mai per era diventato un incubo? 

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