È lui
Passai giorni interi a rimuginare su quanto successo, alla ricerca di una scappatoia o almeno una decisione, ma il mio cuore sembrava battere sempre allo stesso modo e la mia testa non era in grado di fare quasi nulla, soprattutto con il caldo di luglio che ardeva nell'aria.
Me ne stavo distesa sul divano a fissare il soffitto, ripensando alle parole di Elia e poi a quelle di Edoardo, quando il suono del citofono mi ridestò dai miei ricordi e mi riportò sulla terra.
Mi alzai controvoglia, sbuffando e mi avvicinai al sistema di controllo che era collegato con l'ingresso dell'edificio, pigiando poi sul pulsante per domandare chi fosse.
"Liv" la voce acuta e isterica di Benedetta mi perforò l'orecchio e dal video che registrava il portone, notai la sua figura trafelata e agitata sostare davanti all'ingresso.
"Benny, che ci fai qua?" domandai con calma, schiacciando al contempo il pulsante di apertura, per permetterle di raggiungermi.
Non mi rispose ma scomparve dalla telecamera e, dopo essere uscita sul pianerottolo, la sentii salire le rampe di scale velocemente, finché non apparve davanti a me con il fiato corto.
Poggiò una mano sulla ringhiera e si piegò leggermente in avanti per recuperare energia, i suoi capelli biondi erano spettinati e le sue guance rosse come non mai.
"Cos'è successo?" chiesi allarmata, studiandola attentamente "Hai corso?"
Lei sollevò la testa per fulminarmi con lo sguardo e senza aprire bocca mi superò, varcando la soglia di casa mia.
"Benny?" la chiamai confusa, seguendola all'interno del mio appartamento.
"È tutta colpa tua" esordì la mia amica, girandosi verso di me poggiando le mani sui fianchi.
Spalancai gli occhi sorpresa e cercai ulteriori spiegazioni: "Cosa?"
"Passo troppo tempo con te, non c'è altra spiegazione" continuò lei, ma sembrava quasi che stesse parlando con sé stessa più che con me.
"Puoi rendermi partecipe?" riprovai a dire, avvicinandomi a lei di qualche passo.
"L'ho baciato" sbottò Benedetta, chiudendo poi gli occhi come per cancellare quel ricordo.
"Baciato?" gridai sconvolta "Chi?!"
Lei mi rivolse uno sguardo scocciato e poi disse: "Come chi, Liv! Riccardo!"
Spalancai gli occhi e mi portai una mano davanti alla bocca, colpita dall'intraprendenza e dal coraggio di Benedetta. Calò un silenzio teso, spezzato solamente dai passi della mia amica che si muoveva avanti e indietro per la stanza, ma poi la curiosità ebbe la meglio sul mio stupore e chiesi: "E Riccardo come l'ha presa?"
Benedetta si bloccò al centro del salotto, la schiena rivolta verso di me e la testa bassa, come a voler nascondere qualcosa: "Non lo so"
Corrugai le sopracciglia perplessa e replicai: "Come non..." ma non riuscii a finire la frase perché lei mi anticipò ribattendo: "Sono scappata"
Istintivamente mi venne da trattenere il fiato e non riuscii a dire nulla per confortare la mia amica, nonostante mi fossi trovata spesso in situazioni simili: scappare era la mia specialità.
Benedetta tornò a camminare per la stanza, parlando da sola senza sosta, sembrava veramente nel panico: "Capisci? L'ho baciato e poi me ne sono andata! Non ha assolutamente senso! È colpa della tua influenza, non credevo sarebbe successo e invece mi hai condizionata! Da quando una persona normale si comporta in questo modo? Da quando io mi comporto in questo modo?"
"Ehi" esclamai offesa, capivo il suo stato d'animo, ma perché doveva insultare me?
La mia amica sospirò frustrata e si lasciò cadere sul divano, abbandonando la testa sul cuscino dietro di lei "Che cosa faccio adesso, Liv?"
Non ero esattamente nella condizione di dare consigli in campo sentimentale, ma era al prima volta che vedevo Benedetta tanto in crisi, quindi mi sforzai per trovare qualcosa di intelligente da dire: "Senti Benny, forse scappare non è stata una grande idea, ma almeno l'hai baciato!"
Lei mi guardò di traverso, con un'espressione scettica e poi tornò a fissare il soffitto sconsolata. Va bene, non ero stata granché brillante con questa farse, ma che ne sapevo io di come si usciva da una situazione incasinata? Insomma non era mai stato il mio punto forte, anzi...
Mi accomodai di fianco alla mia amica e imitai la sua posa, alzando la testa verso l'alto e cercando di elaborare una nuova consolazione migliore della precedente.
Il silenzio si insinuò tra noi ancora e mi resi conto e, nonostante tutte le nostre chiacchiere e teorie sull'amore, non sapevamo assolutamente niente quando si trattava di pratica.
Ad un tratto il suono di un cellulare ruppe le nostre riflessione e Benedetta si mosse per tirare fuori il suo dalla tasca dei pantaloni, sul suo viso si formò una smorfia di terrore mentre mormorava: "È lui"
"Come?" domandai incredula, guardando lo schermo che lampeggiava insistentemente.
"Riccardo mi sta chiamando! Oh accidenti, che faccio?" quasi gridò lei, spostando la sua attenzione dal cellulare e me, alla ricerca di aiuto.
"Non lo so" replicai agitata, contagiata dall'ansia della mia amica "Rispondi!"
"Ma sei scema?!" ribatté Benedetta, questa volta gridando proprio e poggiando il telefono sul tavolino di fronte al divano, come se scottasse.
Il suono si spense di colpo e il silenzio tornò a sovrastarci, ma stavolta c'era molta più tensione nell'aria. Entrambe fissammo il telefono di fronte a noi, interdette e confuse, ci stavamo comportando in maniera decisamente infantile, ma quando c'era di mezzo il cuore, la ragione andava sempre in pensione.
Quando il cellulare ricominciò a suonare, sobbalzammo insieme, tanto eravamo assorte nei nostri pensieri, ma subito il panico tornò ad impadronirsi di noi: era ancora Riccardo.
"Quanto insiste, accidenti" si lamentò Benedetta, mordendosi nervosamente un'unghia.
"Forse dovresti parlarci" provai ad essere positiva, guardando la mia amica con convinzione.
Lei mi restituì uno sguardo spaventato e rispose: "Probabilmente mi vuole scaricare"
"O forse si vuole dichiarare" continuai, facendo un cenno con la testa verso l'apparecchio che continuavo a squillare.
Benedetta lo fissò per qualche secondo e poi, presa da un impeto di coraggio, lo afferrò e aprì la chiamata. Decisi di darle un po' di privacy e uscii sul pianerottolo con l'intenzione di recarmi al bar sotto casa per prendere qualcosa da mangiare.
Appena feci per mettere il piede sul primo gradino, un rumore attirò la mia attenzione e poco dopo vidi Enrico uscire da casa sua una po' trafelato e agitato.
"Ah" esclamò quando si accorse della mia presenza "stai uscendo?"
"Stavo per andare al bar qua sotto" spiegai, girandomi verso di lui e sorridendogli.
"Parti domani, giusto?" si informò il ragazzo, grattandosi la testa imbarazzato.
"Domani pomeriggio" specificai, studiando il suo bizzarro comportamento.
"Io volevo..." cominciò lui, visibilmente a disagio "insomma..." abbassò gli occhi sul pavimento e si bloccò, come alla ricerca delle parole giuste.
Piegai la testa di lato confusa e corrugai le sopracciglia, domandandomi qualche fosse il motivo di questo strano comportamento, solitamente era un ragazzo così calmo e composto.
Dopo qualche secondo Enrico alzò lo sguardo su di me e disse: "Possiamo parlare un attimo?"
Qualsiasi persona con un minimo di logica avrebbe interpretato i segnali e collegato la sua ansia con le parole che aveva appena pronunciato, ma io non ero mai stata brava nella logica e sicuramente non ero in grado di interpretare i segnali, perciò replicai in maniera molto ingenua: "Certo"
"Andiamo sul tetto?" chiese lui e, senza aspettare una mia conferma, cominciò a salire le scale che portavano di sopra, costringendomi a seguirlo.
Man mano che procedevamo, qualche dubbio iniziava ad affiorare nella mia testa, ma non la credevo una prospettiva possibile, probabilmente era la mia immaginazione che come al solito partiva per le sue strade.
Appena varcammo la porta, il sole ci investì, posandosi sulla nostra pelle e illuminando i nostri volti. Notai che Enrico si era fermato poco dopo l'ingresso e stava spostando il peso da un piede all'altro, indeciso se riprendere a parlare o meno, così decisi di fare la prima mossa.
"Di cosa volevi parlare?" mi informai, avvicinandomi di qualche passo verso di lui.
"Tu mi piaci" sbottò lui di colpo, colpendomi in pieno con le sue parole e facendo andare a quel paese la mia coordinazione mente-corpo. Incespicai sui miei piedi e mi sbilanciai in avanti, finendo direttamente sul petto di Enrico che nel frattempo aveva aperto le braccia per afferrarmi.
Liv, ti sembrava questo il momento per cadere?!
Poggiai le mani sui suoi avambracci per ritrovare l'equilibrio, poi sollevai la testa verso di lui e esclamai: "Tu cosa?!"
Enrico addolcì la sua espressione e un parte dell'ansia che provava si dissolse dai suoi occhi: "Mi piaci, Liv."
Mi allontanai da lui sconvolta e replicai: "Ma avevi detto che la tua musica..." non riuscii a finire la frase, ero troppo incredula per continuare a parlare.
Enrico si lasciò scappare una piccola risata e poi rispose: "Amo ancora la mia musica, ma ho capito che provo qualcosa anche per te. E sai cos'ho scoperto?"
Mi fissò negli occhi intensamente e mi tolse il respiro, tanto che faticai a mormorare a fior di labbra: "Cosa?"
Lui curvò leggermente la schiena per avvicinare il suo viso al mio, impennando i battiti del mio cuore, e sussurrò: "La mia musica è più bella, da quando ci sei te"
Oh cavolo, oh cavolo, oh cavolo!
Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a parlare, non riuscivo a pensare, non riuscivo a respirare. Ero completamente, totalmente, decisamente in crisi.
Enrico intuì il mio disagio perché sulla sua bocca si formò un sorriso gentile e, dopo aver allungato il braccio, mi afferrò una mano e la strinse tra le sue dicendo: "Non ti agitare, Liv. Non voglio una risposta, volevo solamente fartelo sapere"
Annullò la distanza tra noi e mi strinse in un tenero abbraccio mentre io mi domandavo perché nessuno di loro pretendeva una risposta immediata, ma sentivano tutti il bisogno di farmi sapere cosa provavano.
Nessuno poteva invece dirmi quello che provavo io?
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