Cotta
Dopo aver parlato con Edoardo, mi sentivo il cuore più leggero, ma ogni volta che mi ritrovavo con lui o con Enrico, percepivo i sensi di colpa tornare con prepotenza dentro di me.
Fortunatamente loro non mostrarono alcun cambiamento nel nostro rapporto, almeno esternamente, sapevo che per tornare amici come prima ci sarebbe voluto del tempo.
Quel sabato mattina mi svegliai abbastanza presto e mi preparai per il mio appuntamento con Elia, mi feci una lunga doccia rilassante, anche se lo shampoo mi finì negli occhi e per diversi minuti non riuscii a vedere nulla.
Poi usai la piastra per sistemare la frangetta e applicai un po' di trucco sul viso, senza esagerare perché non era un'uscita galante. Infine indossai un vestitino leggero con un motivo floreale rosso e azzurro, il quale mi lasciava una parte della schiena scoperta perché aveva dei lacci intrecciati sul retro.
Smorzai il tutto abbinandolo con delle scarpe da ginnastica bianche e infine indossai una collanina argento con delle stelline.
Elia arrivò puntuale come sempre sotto casa mia e quando varcai il portone d'ingresso, lo trovai con la schiena poggiata contro il muro di fianco e le mani nelle tasche dei pantaloni.
Aveva lo sguardo rivolto verso il basso, nell'attenta osservazione di un sassolino che spostava con il piede, così mi presi qualche secondo per ammirarlo: i capelli scuri ricadevano sulla sua fronte con leggerezza, gli occhi puntati verso il marciapiede, concentrati e magnetici, il naso dritto, le sue perfette labbra , le spalle larghe, le gambe lunghe... Indossava delle scarpe da ginnastica scure, un paio di jeans non troppo larghi e una maglietta nera a maniche corte, semplice, ma su di lui faceva un effetto pazzesco.
Ero proprio cotta...
Improvvisamente lui sollevò la testa e mi vide, perciò si dede una spinta per staccarsi dal muro e disse: "Ciao, sei pronta?"
Annuii ancora un po' intontita e mi avvicinai a lui impacciata, seguendolo poi verso la fermata. Non avevo idea di quale fosse la nostra destinazione perché Elia non me ne aveva parlato e questo mi agitava maggiormente perché non sapevo proprio cosa aspettarmi.
L'autobus era pieno di gente nonostante fosse sabato, perciò mi ritrovai pressata tra un signore con la pancia enorme, quasi quanto quella del nostro professore di ginnastica, e una ragazza piena di sacchetti della spesa.
Cercai di occupare il minori spazio possibile mentre Elia si posizionava di fianco a me e allungava un braccio per afferrare un appiglio. Appena il mezzo partì, barcollai e quasi finii contro la pancia del mio vicino, ma prima che ciò accadesse, sentii il braccio di Elia avvolgermi le spalle e attirarmi contro di sé, stringendomi con apprensione.
Percepii il calore raggiungere il mio viso, soprattutto quando il suo profumo mi invase le narici, ma nonostante questo, mi sentivo davvero al sicuro vicino a lui.
Il percorso fu breve per fortuna, ma anche per sfortuna, non mi dispiaceva affatto stare così vicina a lui e quando le porte dell'autobus si aprirono, Elia si avviò davanti a me, ma prima intrecciò la sua mano con la mia e mi guidò fuori dal mezzo e poi lungo il marciapiede, silenzioso ma così dolce!
"Dove stiamo andando?" domandai curiosa mentre superavamo graziosi locali che si snodavano lungo il marciapiede che portava ad una collinetta.
Elia si girò verso di me e, dopo avermi mostrato un piccolo sorriso, rispose: "È una sorpresa"
Una sorpresa! Una sorpresa!
Il cuore aumentò un po' il suo ritmo e la mia agitazione fu tale che mi impappinai e misi male un piede davanti all'altro. Incespicai di qualche passo, strattonando il braccio di Elia per mantenere l'equilibrio e in qualche modo ci riuscii, tirando un sospiro di sollievo.
Elia, che intanto si era fermato, mi guardò scettico e chiese: "Sei sicura di aver imparato a camminare da piccola?"
Provai un senso di imbarazzo per la mia goffaggine, ma insomma, se si era innamorato di me, era anche per questa mia caratteristica... o no?
"Qualche volta non riesco a coordinarmi molto bene" mi giustificai, abbassando gli occhi sull'asfalto per nascondere il rossore.
"Qualche volta?" ripetè ironico lui, riprendendo a camminare e trascinandomi con sé.
Stavo per replicare offesa, quando giungemmo alla sommità della collinetta e rimasi sorpresa da ciò che i miei occhi videro: c'era un grande parco davanti a noi, contornato da alberi in fiori di tutti i colori e al centro di esso campeggiava un laghetto con delle anatre carinissime.
Il prato verde curato faceva da tappeto e su di esso erano state preparate tante postazioni da pic nic, alcune delle quali erano già occupate da coppie innamorate. Da un lato del parco c'era un chiosco in legno che serviva del cibo per chiunque avesse voluto accomodarsi in quella distesa celestiale.
"Ti piace?" si premurò di sapere Elia, stringendo leggermente la presa sulla mia mano, come se fosse in ansia per la mia risposta.
Spostai la mia attenzione su di lui e lo guardai con un entusiasmo, rispondendo poi: "È fantastico!"
Le labbra di Elia si sollevarono in un sorriso felice, poi insieme ci avviammo al chiosco per ordinare il nostro pranzo e infine prendemmo posto su una delle tovaglie.
Fu il miglior appuntamento della mia vita, anche perché non erano stati molti, ma questi erano dettagli... mangiammo ottimo cibo, parlammo di tante cose, scoppiammo a ridere quando un'anatra uscì dal laghetto e rubò un pezzo del panino di Elia, per poi scappare veloce lontano da noi. Fui presa nuovamente in giro quando rischiai di finire in acqua, nel tentativo di fare una foto con un'altra anatra, ma ogni momento che passai con Elia quel giorno fu magico e perfetto.
Mi sentivo al posto giusto con la persona giusta ed era una sensazione nuova per me che mi ero sempre sentita fuori posto, insicura, indecisa.
Quando il sole cominciò a calare, ci avviammo verso casa, ma Elia improvvisamente disse che voleva fare una deviazione e mi portò in un parco giochi per bambini, in un quartiere residenziale un po' defilato.
Prima di varcare il recinto che lo circondava si fermò e notai che aveva i muscoli della spalle in tensione e la mascella rigida, come quando qualcosa lo preoccupava o lo agitava.
"Tutto bene?" domandai perplessa, sollevando la testa per guardarlo in volto.
"Questo posto" esordì lui, stringendo più forte la mia mano "è importante per me. Ci tenevo a portarti qua"
Senza aggiungere altro si incamminò verso le altalene posizionate all'estremità opposta, vicino a un muro che delimitava il parco, e si sedette su una di esse, prendendo ad oscillare mollemente e rivolgendo la sua attenzione al muro davanti a sé.
Lo imitai, posizionandomi sull'altalena di fianco e aggrappandomi alle catene che scendevano dall'alto e, quando alzai la testa verso la parete, rimasi senza parole: c'era un disegno su di esso, rappresentava due bambini ed era evidentemente fatto da due bambini. Erano Elia e Sofia.
Lo osservai in silenzio, seguendo le linee colorate che formavano il corpo, le mani unite l'uno all'altro, i sorrisi rappresentati sui loro volti, la felicità che emanavano. Non erano certo un disegno ben realizzati, ma trasmetteva sensazioni profonde e malinconiche. Trasmetteva gioia e tristezza.
"Non riesco mai a confidarmi con nessuno io" spiegò Elia, spostando la terra sotto i suoi piedi "ma quando ho bisogno di farlo vengo qua" continuò, sollevando gli occhi sulla figura di sua sorella disegnata sul muro "e parlo con lei"
Provai un improvviso senso di tenerezza nei suoi confronti e smisi di dondolare per ascoltare attentamente tutte le sue parole.
"È strano" riperse a dire, continuando a guardare davanti a sé "ma questo è l'unico posto dove possiamo ancora stare insieme"
Spostai la mia attenzione da Elia al disegno sul muro e sentii una stretta al cuore, avrei voluto ripulire tutto il suo dolore e lasciare solo i ricordi felici di sua sorella, ma non potevo farlo, come quel disegno impresso su quel muro, nemmeno il passato sarebbe stato cancellato, tuttavia avrei potuto sostenere questo peso insieme a lui.
"Lei sarà sempre con te" risposi con dolcezza, girando la testa per osservarlo e mostrandogli un sorriso timido.
"Ti ho portato qua" spiegò Elia "perché volevo fartela conoscere" dopo aver pronunciato queste parole, piegò la testa verso il basso e si lasciò sfuggire una risata triste, poi dichiarò: "Sembro un pazzo"
Rimasi qualche secondo in silenzio, poi mi alzai facendo cigolare le catene dell'altalena e mi avvicinai al muro, accarezzando con delicatezza i due bambini raffigurati su esso.
"Ciao Sofia" mormorai, non volevo far contento Elia con queste mie parole, volevo veramente far sapere a sua sorella quello che provavo.
"Mi chiamo Liv" continuai "mi sono innamorata di tuo fratello... lui è fantastico e io..." deglutii per scacciare il groppo che si stava formando in gola e cercai di trattenere le lacrime che minacciavano di fuoriuscire sulla mia pelle.
"... mi prenderò cura di lui, lo farò anche per te."
Nonostante i miei sforzi, una lacrima sfuggì al mio controllo e percorse il mio volto, mentre sentivo le braccia di Elia avvolgermi da dietro e il suo viso adagiarsi tra il mio collo e la spalla, stringendomi forte quasi avesse paura che potessi sparire da un momento all'altro.
Restammo così per diverso tempo, in silenzio, stretti in un abbraccio dolce e doloroso, con la mente focalizzata su Sofia, ricordando non la sua breve vita, ma il suo ricordo che avrebbe continuato a vivere con noi.
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e smosse i nostri vestiti, scuotendo le fronde degli alberi che rilasciarono dei piccoli fiorellini che si depositarono come pioggia su di noi.
Elia sollevò lo sguardo verso l'alto e disse con un filo di voce: "Grazie, Liv... senza di te avrei continuato a piangere per i fiori caduti, invece di apprezzare quelli appena sbocciati"
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