Aula di disegno
Ma quanto cavolo durava questa salita? Come mi era saltato in testa di accompagnare Benedetta fino a scuola a piedi? Perché assecondavo sempre le sue strambe idee?
Quella mattina avevamo un'ora buca e la mia amica aveva deciso che una passeggiatina tranquilla fino a scuola sarebbe stata ottima. Altro che passeggiatina tranquilla, era da mezzora che camminavamo e mancavano ancora quindici minuti e poi tutte le vie che imboccavamo erano in pendenza.
Ma non si scendeva mai in questa parte della città? Non mi pareva proprio che la scuola fosse su una collina.
"Sei sicura che sia la strada giusta?" domandai, arrancando al fianco di Benedetta con il fiato corto e lo zaino, fortunatamente leggero, sulle spalle.
"Smettila di lamentarti, sei proprio fuori allenamento" rispose lei, senza degnarmi di uno sguardo e senza concedermi nessuna pausa.
"E quando mai lo sono stata?" le feci notare, strappandole una risata divertita.
"Vedi, la scuola è dietro quell'angolo" replicò, indicandomela con l'indice e facendomi l'occhiolino. Ritrovai un po' di entusiasmo e raddrizzai la schiena, immaginandomi già seduta davanti al mio banco, finalmente a riposo.
Era una falsità. Svoltammo ancora una decina di angoli prima di intravedere la scuola e mi ripromisi di non credere più a nessuna parola di Benedetta, e ovviamente di non acconsentire più alle sue stancanti trovate.
Una volta entrata in classe, mi accasciai sul banco, abbandonando le braccia davanti a me e poggiandoci sopra la testa. Nel mio campo visivo entrò la figura di Elia, seduto composto alla sua postazione, ma con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.
Probabilmente si sentì osservato perché si girò verso di me, incontrando i miei occhi e così, senza muovermi, gli rivolsi un sorriso, come per salutarlo, senza però trovare la forza di farlo più esplicitamente.
Lui rimase impassibile con l'attenzione su di me, ma sembrava diverso dal solito, più distaccato, infatti non mostrò il minimo segno di entusiasmo e senza cambiare un solo movimento del viso, tornò a concentrarsi sul mondo al di là del vetro.
Sollevai leggermente la testa confusa, e mi sarei anche alzata per andare da lui e accertarmi che andasse tutto bene, quando la campanella suonò, decretando l'inizio delle lezioni.
Decisi di rimandare gli approfondimenti a pranzo, ma Elia non si presentò nemmeno al nostro tavolo e quando chiesi agli altri se sapevano qualcosa, nessuno seppe darmi una spiegazione, ma allo stesso tempo, non se ne preoccuparono troppo. Io invece non riuscivo a smettere di pensarci. C'era qualcosa nei suoi occhi quella mattina, non avrei saputo dire cosa, ma sentivo che era così.
Mentre mi apprestavo a tornare in classe con Benedetta, mi resi conto che dovevo andare al bagno, come al solito all'ultimo momento, così feci di corsa per evitare un nuovo ritardo a pochi giorni dalla fine della scuola.
Riuscii a concludere in tempo i miei bisogni fisiologici e mi apprestai a raggiungere la mia aula, ma quando arrivai a pochi metri dalla porta vi trovai sulla soglia un gruppo di ragazze che non conoscevo, ma che stavano cercando me.
Mi tornò alla mente lo spiacevole incontro con le ammiratrici di Elia e capii subito che si trattava della stessa situazione, così mi agitai, alla disperata ricerca di una soluzione.
Non era importante di chi fossero ammiratrici, l'importante per me in quel momento era nascondermi. L'ultima cosa che volevo era di ritrovarmi in una situazione scomoda, mi era bastato l'altra volta e anche nella vecchia scuola.
Indietreggiai silenziosamente e svoltai l'angolo, ma proprio in quel frangente, sentii le loro voci venire nella mia direzione. Mi guardai intorno, mentre il panico si diffondeva nella mente, quando la mia attenzione fu catturata da una classe poco lontana, la cui insegna diceva: aula di disegno.
Le luci erano spente e regnava il silenzio, sembrava vuota, perciò la aprii con cautela, cercando di non fare rumore e mi nascosi al suo interno, richiudendola alle mie spalle e appiattendomi contro il muro, in attesa del loro passaggio in corridoio.
Quando udii le loro voci lontano, finalmente mi rilassai e mi concessi qualche secondo per riprendere fiato, guardandomi intorno. Le tende erano chiuse e leggeri raggi di sole filtravano da qualche spiraglio, c'erano diversi banchi sporchi di vernice e qualche quadro appeso alle pareti, ma i miei occhi si inchiodarono su una figura dall'altra parte della classe.
Era in piedi, di spalle, con lo sguardo rivolto verso l'unica finestra con la tenda scostata: era Elia.
Probabilmente non mi aveva sentito, perciò mi avvicinai piano per non spaventarlo, osservando le sue spalle leggermente ricurve, le mani infiliate nelle tasche dei pantaloni, la mascella serrata.
Quando fui dietro di lui, poco distante, sussurrai: "Elia... va tutto bene?"
Lui sussultò in maniera impercettibile, era evidentemente assorto nei suoi pensieri. Rimase immobile qualche secondo, tanto che sospettai di averlo infastidito, ma quando si voltò verso di me, il mio cuore smise di battere.
Calde lacrime stavano rigando il suo bel viso e i suoi occhi esprimevano un'infinita malinconia.
Non ero abituata a vederlo tanto fragile e mi stupii che lui mi permettesse di scoprirlo così vulnerabile. Non conoscevo il motivo della sua tristezza, ma interpretai quel silenzio come una muta richiesta di aiuto.
Senza chiedere nulla, mi avvicinai a lui e mi alzai in punta di piedi, allacciando le mie mani dietro al suo collo per attirarlo verso di me e portai delicatamente la sua testa sulla mia spalla, avvolgendolo in un caldo abbraccio consolatorio.
In un primo momento Elia rimase fermo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, potevo sentire i nostri corpi aderire, le sue lacrime che bagnavano la mia spalla, il suo cuore che batteva contro il mio.
Sollevai una mano e la poggiai sui suoi capelli per cercare di confortarlo maggiormente e fu allora che lui portò le sue braccia intorno alla mia vita e mi strinse forte, avvicinandomi ulteriormente al suo corpo.
Non avrei saputo dire se fossero passate ore o solo pochi minuti, ma ero certa che la distanza tra di noi non era mai stata così breve. Sapevo che Elia non aveva mai avuto bisogno di qualcuno vicino a lui come in quel momento.
Dopo diverso tempo, Elia sollevò la testa e mi fissò intensamente negli occhi, ringraziandomi con la sua espressione riconoscente e, dopo essersi discostato da me, mi afferrò per un polso e mi condusse dall'altro lato dell'aula, chinandosi verso il pavimento e invitandomi a fare altrettanto.
Seduti con la schiena contro la parete fredda, fianco a fianco, restammo in silenzio, le mie gambe incrociate davanti a me, le mani abbandonate in grembo, quelle di Elia poggiate sulle sue ginocchia piegate davanti a sé, la testa contro il muro e lo sguardo verso l'alto.
"Mi dispiace" sussurrò senza fare il minimo movimento. Sembrava così stanco.
"No, a me dispiace" balbettai agitata "non volevo disturbarti..."
Elia girò la testa verso di me e disse: "Non l'hai fatto"
Una frase così breve eppure così rassicurante. Gli mostrai un timido sorriso e poi tornai a guardare davanti a me, non sapendo che altro aggiungere. Non volevo metterlo a disagio con domande scomode, ma con mia grande sorpresa, fu lui a parlare senza bisogno di incoraggiamenti: "Sai, questo giorno è sempre difficile per me..."
Lo ascoltai con attenzione, notando come ogni parola pronunciata gli costasse una certa fatica, quasi gli provocasse dolore.
"Non sei obbligato a dirmelo, se non vuoi" mormorai preoccupata, cercando di essere comprensiva con qualsiasi cosa lo tormentasse.
Elia rimase in silenzio qualche secondo, come valutando la mia proposta, poi riprese a dire: "Oggi è l'anniversario della morte di mia sorella. Si chiamava Sofia"
Sentii una stretta al cuore e istintivamente spostai gli occhi su di lui, osservando dispiaciuta il suo profilo.
"Sono passati quattro anni, lei ne aveva otto quando è successo, io dodici" continuò, prendendo una nuova pausa e sospirando, sottolinenando la fatica che comportava parlarne, ma come se volesse farlo comunque.
"Lei era malata. Abbiamo provato a curarla in ogni modo possibile, ma non c'è stato nulla da fare" proseguì, deglutendo visibilmente il groppo che aveva in gola.
Mi chiesi se ne avesse mai parlato con qualcuno al di fuori della sua famiglia, mi chiesi se il suo comportamento distaccato con tutti fosse legato a questo grande dolore che si portava dentro: la paura di affezionarsi a qualcuno, la paura di soffrire ancora.
"È per questo che vuoi fare il medico?" domandai, unendo un pezzo dopo l'altro i vari tasselli che formavano il carattere di Elia. Mi pareva quasi di capirlo veramente solo in quel momento.
Il ragazzo annuii debolmente e poi aggiunse: "Non ho potuto aiutare lei, ma magari potrò guarire tanti altri bambini malati come lei"
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi per le sue toccanti parole e mi sforzai per ricacciarle indietro perché non volevo rattristarlo più di quanto già non fosse.
Elia sospirò nuovamente, tornò a poggiare la testa contro il muro e rivolse la sua attenzione al soffitto, riflettendo quasi tra sé e sé: "È strano come sia passato tanto tempo, eppure il dolore sia sempre lo stesso"
Girai la testa verso di lui e lo osservai qualche secondo, poi allungai un braccio e infilai la mia mano nella sua, incrociando le mie dita tra le sue e stringendole con calore.
"Non devi nasconderti" gli mormorai dolcemente "dovresti esternare tutto il tuo dolore e, con il tempo questo sparirà, lasciando posto solamente ai bei ricordi di Sofia" gli mostrai un sorriso comprensivo mentre lui spostava il suo sguardo su di me e poi aggiunsi: "Io posso consolarti, se lo vuoi, ogni volta che ne avrai bisogno."
Gli occhi di Elia rimasero incollati ai miei, come se non riuscisse a capacitarsi delle mie frasi, come se fosse la prima volta che qualcuno gli offriva sostegno, come se nessuno fosse mai riuscito a capirlo veramente.
Lentamente si chinò verso di me, ruotando un po' il busto e spostando la sua mano dietro al mio collo, fino a che il suo viso fu a pochi centimetri dal mio. Potevo vedere il mio riflesso nelle sue pupille leggermente dilatate, il suo respiro caldo sulle mie guance, il suo tocco delicato sulla mia pelle, il suo profumo nella mia testa.
Istintivamente chiusi le palpebre e sentii le labbra di Elia posarsi sulle mie. Fu un bacio delicato, dolce, pure casto, eppure così coinvolgente ed emozionante che mi lasciò senza fiato e con il cuore scomposto.
Fu un bacio semplice ma complicato, come lo erano i miei sentimenti.
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