~Little girl~
∂ Angolo autrice∂
Piccola nota: il titolo di questo capitolo è preso da una canzone dei Green Day, che per molte cose credo si adatti al mio personaggio, e dato che amo questa band -lo so si è capito ahah- vi invito ad ascoltarla!
Buona lettura C:
Little girl, little girl why are you crying?
Inside your restless soul your heart is dying
◊Aizawa POV◊
La settimana successiva fui costretto ad andare ad una cena tra colleghi, non potendo rifiutare per l'ennesima volta, anche se non le sopportavo assolutamente.
Benché rispettassi molto gli altri professori, ritenevo che a quelle cene fossero in grado di tirar fuori il peggio di sé.
Gli uomini non facevano altro che vantarsi dei posti esotici che avevano visitato e degli articoli che avevano scritto. Le donne invece riuscivano ad essere ancora più moleste, con le loro risate acute e il tentativo di ostentare la loro intelligenza e -presunta- bellezza.
Nonostante ciò, quel sabato sera non potei rifiutare, così alle 8 ero pronto per uscire. Indossai camicia grigia e pantaloni neri, con giacca scura. Non sono il tipo che si sforza in abbinamenti particolari. Il nero va sempre bene pensai uscendo di casa.
Il ristorante che avevano scelto era elegante e costoso come al solito, e la serata passò tra discussioni sulla politica economica europea e sulle ultime vacanze e locali visitati dai miei "carissimi" colleghi.
Non mi dilungai certo in ampi discorsi, limitandomi piuttosto ad interventi brevi quando necessario.
A rendere tollerante la cena fu il vino rosso che avevano ordinato, di cui non rifiutavo neanche un bicchiere. D'altronde l'alcol lo tollero decisamente più della media e ne bevetti quanto bastò per rendere meno fastidioso tutto ciò che mi circondava.
Finalmente ci salutammo, prima mezzanotte. Decisi di tornare a casa a piedi non potendo guidare, nonostante le mie colleghe insistessero per condividere un taxi.
Ci manca solo che una di loro si inventi strane storie da raccontare alle amiche.
«Non c'è problema» dissi per liberarmi «questa sera non fa freddo, almeno potrò smaltire un po' di vino prima di tornare».
In realtà non ne avrei avuto bisogno, ma non avevo sonno ed è piacevole camminare per Roma la sera, quando in strada non c'è nessuno.
Questa era la scusa che continuavo a ripetermi, ma mentre camminavo nel mio subconscio sapevo benissimo perché non avevo preso un taxi e una vocina nella mia testa non faceva altro che ripetermelo
Passerai davanti casa sua.
Solo il pensiero mi diede il nervoso, spingendomi a calciare via una lattina dinanzi a me e, mentre guardavo il Tevere, cercavo di auto-convincermi.
Tsk, come se mi importasse... e poi di sicuro non la vedrò.
Eppure, potevo fare ben poco per negare che stavo andando a piedi solo perché speravo di incontrarla.
D'altronde, quella sera non faceva caldo, avrei potuto benissimo guidare e, tanta era la fretta, che mi ero scordato la giacca al locale, sentendomi ancora più idiota.
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Arrivato davanti al suo cancello rallentai il passo. Era un bel palazzo, decisamente antico.
I suoi genitori hanno di sicuro un bel lavoro pensai guardando le finestre, sperando inconsciamente di scorgere la sua sagoma.
◊Aria POV◊
Era sabato a sera e mi fu affidato il turno di chiusura. Teoricamente la mia collega sarebbe dovuta essere con me, ma mi chiese di andare via prima perché aveva un appuntamento con il suo ragazzo.
Avevo passato gran parte della settimana a pensare ad Aizawa ed al nostro ultimo incontro.
In particolare continuavo a immaginare la sua mano sul mio volto. Era così calda, delicata, protettiva. Per non parlare del suo sguardo dolce, impresso a fuoco nella mia memoria.
Non mi diede il tempo di rispondere, non so neanche se ha sentito il mio saluto. Tutte le volte che mi si ripresentavano quelle immagini, quelle sensazioni, arrossivo e sentivo il cuore battere più forte.
La parte razionale del mio cervello, quella che mi imposi di ascoltare, diceva di lasciar perdere. Ci saremmo rivisti solo all'esame, come ha detto lui, ed è meglio così.
Non capivo neanche perché con me si comportasse così, ma ero più che certa che conoscendomi bene avrebbe cambiato idea. Conoscendo il casino che sono, il mio pessimo carattere, rendendosi conto di quanto fossi stupida rispetto a lui. Mi avrebbe odiata.
A mezzanotte passata ero sola nel locale, a sistemare le ultime cose, con questi pensieri che ogni tanto tornavano a far capolino. Sarebbe stato piacevole lavorare con calma, da sola, se non fosse stato per il mal di testa che mi assaliva da ore e per il senso di nausea ormai insostenibile.
Continuavo a ripetermi che non fosse nulla e presto sarebbe passato, ma mi rendevo conto che non era così. Sarebbe solo peggiorato, come sempre.
In fondo non è la prima volta, dovrei saperlo bene ormai.
Cercai di fare tutto il più velocemente possibile, per tornare a casa. Chiusi il locale ed attraversai la strada, con la testa che iniziava a girare. Sudavo e ad ogni passo le energie venivano meno.
Avvicinandomi al cancello vidi un uomo in lontananza. Mi si gelò il sangue. Ero sola, debole, e intorno non vedevo nessun altro. Presi le chiavi, pronta per entrare velocemente.
Tutta la tensione accumulata si sciolse, quando realizzai che quell'uomo era Aizawa. Mi scese una lacrima lungo il viso, proprio dove lui mi aveva toccata. Non seppi se per la tensione, il dolore, oppure perché fossi felice di vederlo lì.
Le vertigini ormai erano troppo forti, la nausea incombente. Dovevo sdraiarmi al più presto. Non riuscii a formulare frasi connesse.
◊Aizawa POV◊
Vidi Aria avvicinarsi ed inizialmente ne fu felice, poi mi resi conto che sudava, aveva il respiro affannato e una lacrima le solcava il volto. Stava decisamente male.
«Aria che succede? Come ti senti?»
«Io... non..»
Mi avvicinai e lei si lasciò andare, appoggiandosi a me. Era gelida, ma continuava a sudare.
«Devo portarti in ospedale»
«No!»
«Aria non so che fare, stai malissimo dobbiamo andare»
«No non l'ospedale io... non posso..» disse sottovoce. Non capivo. Lei mi mise le chiavi in mano.
«Devo entrare in casa.. so che fare»
La guardai con aria interrogativa. Non ero affatto convinto.
«Ti prego fidati...». Il suo sguardo mi trafisse, si capiva quanto soffrisse.
«Ci sono i tuoi genitori? Vuoi che li chiami?»
«No... sono sola. Per favore voglio solo andare a casa..»
Sospirai e aprii il cancello. Una parte di me non poteva che esserne felice.
Si fida di me
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Il palazzo era davvero ben curato, con un cortile interno rifinito e i muri puliti. Tuttavia, quando entrammo Aria andò verso le scale che portavano ad un piano seminterrato e aprì una porta che probabilmente era rimasta la stessa di un secolo prima, nonostante la serratura fosse stata cambiata.
Entrando mi trovai in un salotto semivuoto, con un muretto che divideva l'angolo cottura, composto da un lavandino, un frigo di almeno 50 anni e una macchina del gas ancora più vecchia. A destra del salotto vi era un piccolo bagno e a sinistra intravidi una camera da letto, con un solo letto matrimoniale.
La poggiai sul letto «ora spiegami cosa dovresti fare».
«C'è una scatola nel mobile del salotto» disse. Stava facendo visibilmente uno sforzo immane.
Portai la scatola in camera e quando l'aprii rimasi basito. Era piena di medicine, flebo, aghi e tubi, tutte con il logo dello stesso ospedale sopra.
Non seppi cosa pensare, ma mi stavo stancando. Ovviamente la preoccupazione era il sentimento dominante, ma iniziai anche a innervosirmi.
Forse non c'è un motivo per non andare in ospedale, forse è solo un capriccio. Non c'è niente di razionale in tutto ciò.
«Che diavolo sono queste cose? Devi andare in ospedale se ti servono» dissi con un tono più severo del dovuto, ma da cui traspariva ansia e rassegnazione,
«Non posso...» rispose con un filo di voce.
Che vuol dire che non può? Ma si rende conto di come sta? Però mi ha chiesto di fidarmi..
«E va bene» sospirai «che dobbiamo fare?»
Iniziò a indicarmi vari medicinali, mi fece preparare la flebo e mi chiese di metterle il laccio emostatico.
La vidi poi prendere un ago cannula, pronta a metterla nel braccio destro.
«Aspetta» dissi. Aria mi guardò confusa. «Non puoi farlo da sola..».
«Perché tu sai come fare?» sorrise. Un sorriso stanco e rassegnato.
Colpito e affondato.
«No..» ammisi.
«Bene» disse mettendo l'ago.
«Ora che facciamo?»
«Aspettiamo»
Mi sembrò stare meglio. Almeno era a letto, nel suo casa, al sicuro.
Dovrei chiamare qualcuno, chiunque a parte me sarebbe più opportuno. Così esternai i miei dubbi, chiedendole chi potevo chiamare.
«No.. nessuno..».
«E i tuoi genitori?».
«Come morti» rispose glaciale.
Ora capivo di più il suo comportamento, la sua diffidenza e la voglia di sentirsi indipendente e autonoma, anche se palesemente non poteva esserlo. Non risposi, che potevo dirle?
Immaginavo quanto difficile potesse essere, ero cresciuto solo con mia madre in fin dei conti. Ma avere un genitore o nessuno è una grande differenza.
«Va bene. Io.. vuoi che vada?» non avrei voluto lasciarla sola così, ma forse Aria non voleva uno sconosciuto in casa.
«No, resta..».
Sorrisi, aveva un tono di voce dolce, che non le avevo mai sentito usare.
«Va bene, vado a prenderti da bere».
Provai ad aprire il frigo ma era più resistente del dovuto, così feci forza e lo sportello si aprì con violenza. Vidi una tazza di caffè oscillare e prima che potessi fermarla mi cadde sulla camicia.
«Cazzo» dissi "elegantemente", togliendo la camicia per andare a lavarla. La misi ad asciugare e presi dell'acqua.
Mi avvicinai alla camera ed Aria dormiva, così decisi di tornare in salotto ad aspettare.
Solo a quel punto notai un enorme gatto grigio su una sedia. Ovviamente non potei fare a meno di carezzarlo per un po', finché non mi resi conto di dover usare il bagno.
Il bagno era semplice, come il resto di quella casa. Sul mobile del lavandino non vi era nulla se non spazzolino e dentifricio. Sorrisi, pensando a quanto fosse simile alla mia casa. Eppure, era diversa. Queste mura trasmettevano nostalgia in qualche modo.
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Uscito dal bagno sentii Aria dalla camera «chi è?» chiese.
Si è svegliata ma.. non si ricorda che sono qui? Perché temo sarebbe difficile spigarle questa situazione. Essere mezzo nudo inoltre peggiora le cose.
«Sono Shota.. ehm.. volevo dire Aizawa. Tu-» parlando andai verso la camera e mi bloccai vedendo che Aira aveva i pantaloni slacciati e cercava goffamente di sfilarli.
Mi impalai sulla soglia, la gola asciutta «che fai?» il mio tono di voce era più grave del solito.
«Sono stretti.. mi aiuti?».
Come fa a dirlo con tanta innocenza? Ma se ne rende conto?
Annuii, avvicinandomi. Le tolsi i jeans cercando di pensare ad altro. Di sicuro non le farei nulla, ma restare indifferente è difficile. Non aiutò notare che aveva delle culotte nere con delle rose rosse e del pizzo nero a circondarle.
Deglutii a vuoto. Dovevo andarmene. «Ti porto dell'acqua» dissi voltandomi.
«Non posso bere.. resti qui?»
«Come?»
Forse non ha capito quanto autocontrollo io stia mostrando.
«Per favore..» disse indicando il letto, invitandomi a mettermi accanto a lei.
Ho capito male di sicuro, oppure sta talmente male da aver perso la ragione. Sono piuttosto sicuro che l'ultima cosa che mi ha detto è stata "fanculo" e ora..
«Ti rendi conto di cosa dici?»
«Si. Sto male ma non sono idiota. Io.. non voglio stare sola adesso..» dicendo l'ultima frase abbassò lo sguardo, guardando il pavimento
«Poi so che non mi faresti nulla» aggiunse, guardandomi intensamente.
Aveva ragione «sai non dovresti fidarti tanto facilmente di un uomo» dissi sorridendo, mentre mi stendevo di fianco a lei.
«Lo so. Ma tu sei diverso».
O mi ha fatto un complimento o mi ha scambiato per un asessuato/omosessuale.. Io lo prendo come un complimento.
Si appoggiò a me e chiuse gli occhi, di sicuro si sarebbe addormentata presto. Le carezzai piano i capelli.
Mio Dio quanto profuma..
Il suo respiro si fece regolare e poco dopo mi addormentai anche io, tenendola stretta.
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