5. Sono tutti pazzi in questa contea
Forse, ingenuamente, Errison e Agnes avevano pensato che il peggio fosse finito. Qualche sguardo, parecchi bisbigli al loro passaggio e alcuni commenti, pronunciati senza il minimo imbarazzo.
Tracy e Darla non erano state le uniche che, senza timore, si erano avvicinati ai due per esprimere il proprio dissenso. Anzi, la coppia era stata fermata più volte.
E mentre alcuni si chiedevano solo perché, altri erano così invadenti che dovettero ben presto andarsene dalla fiera. Eppure, nonostante tutto, erano convinti che fosse andata bene.
Si sbagliavano di grosso e lo scoprirono a loro spese, la mattina seguente.
Errison si alzò presto per andare nel suo studio, pronto ad affrontare una giornata piena di appuntamenti e animali domestici accompagnati da padroni fin troppo apprensivi.
Lasciò Agnes dormire nel suo letto, nel piccolo appartamento che aveva preso in affitto in centro a Backsonville, e per qualche minuto pensò che quella giornata era iniziata bene.
Dovette ricredersi non appena arrivò al suo studio, non molto distante da casa. Un edificio che aveva preso in eredità dal vecchio veterinario, andato in pensione qualche mese prima del suo ritorno.
Un tempo era stata una casa in stile vittoriano, davvero elegante e molto grande ma ormai da più di settant'anni era stata trasformata, prima in un manicomio e in secondo tempo in un ambulatorio veterinario.
Ogni volta che Errison parcheggiava davanti al vialetto, e osservava lo studio dal basso, gli ricordava molto casa sua, e si sentiva molto più a suo agio.
Quella mattina però notò subito che c'erano molte macchine in sosta nella via, di solito non molto trafficata. Non c'erano altri uffici o negozi da quelle parti, era una zona residenziale e quindi si insospettì immediatamente.
Non fece neanche in tempo ad attraversare il cancello del cortile davanti che l'antica porta a vetri dell'ambulatorio si spalancò e Lucy, la sua assistente, corse giù per le scale, traballando su i suoi tacchi.
«Lucy, fai piano», la redarguì lui, allungando un braccio come se si aspettasse di doverla prenderla al volo. Non sarebbe stata la prima volta.
Ma lei non lo ascoltò, continuò la sua corsa poco sicura fino a fermarsi davanti al suo datore di lavoro e riprendere fiato.
«Dottor Blake, sono tutti dentro ad aspettarla».
«Tutti chi? I miei pazienti?», alzò gli occhi al cielo: «Hai per caso sbagliato di nuovo a segnare gli appuntamenti?».
«No, dottor Blake, non i suoi pazienti».
«E allora chi è che mi sta aspettando?».
Lei però scosse la testa, facendo roteare la sua lunga coda di capelli biondi, in evidente difficoltà a spiegare la situazione, si voltò e tornò su all'entrata, sperando di essere seguita da Errison.
Lui decise che era meglio non fare altre domande e constatare con i suoi occhi cosa stava succedendo.
Di certo non si aspettava quello che trovò all'interno, nella sua sala d'attesa completamente gremita di persone, nessuna delle quali in compagnia dei propri animali domestici.
Quando lo videro entrare si alzarono tutti. Oltre al signore e alla signora Walker, proprietari di uno spesso irrequieto alano, che abitano a poche case dal suo studio, c'erano anche molte altre facce note.
Persone che in quei mesi avevano spesso portato i propri animali a farli visitare, che abitavano non molto lontano o che avevano una certa confidenza con lui. E lo stavano fissando tutti in contemporanea, con espressione invadente.
L'unica cosa che riuscì a pensare Errison in quel momento, oltre al fatto che non era un segnale, fu che non aveva idea che la sua sala d'attesa potesse contenere quindici persone contemporaneamente.
«Buongiorno, dottor Blake», esordì proprio il signor Walker, togliendosi il cappello e avvicinandosi a lui. Evidentemente era stato scelto come portavoce.
«Buongiorno, credo», si azzardò a rispondere, poco convinto: «Che cosa sta succedendo?».
Il signor Walker si guardò attorno, mentre gli altri lo incitavano con un cenno leggero della testa, e quando prese coraggio affermò: «Volevamo parlarle di quello che è accaduto ieri, alla fiera».
Forse si aspettava che Errison facesse la prima mossa, anticipandolo, e invece lui fissò la sua segreteria, in piedi a pochi passi, con sguardo ancora più confuso. Peccato che anche Lucy fosse completamente all'oscuro di tutto, o almeno così diceva la sua espressione.
«Insomma, dottor Blake, ci ha lasciato senza parole quando vi siete presentato con quella ragazza di Josesville... eravamo preoccupati, abbiamo pensato di tutto e ci siamo anche confrontati».
A quel punto Errison lo fermò con un gesto della mano: «Un momento, avete parlato di me e Agnes tra di voi?».
Era palese lo sconcerto nel suo tono di voce, ma il signor Walker continuò, imperterrito ma anche un po' in imbarazzo: «Siamo preoccupati per lei, dottore. Non ci si può fidare di quei volta faccia di Josesville... sono tutti ladri, bugiardi e truffatori. E tra di noi non siamo mai andati d'accordo».
«Tutte le volte che qualcuno ha provato a fraternizzare», aggiunse un altro, prendendo coraggio: «Non è mai andata a finire bene, a causa della maledizione e dei lingotti d'oro».
«E' solo una leggenda», alzò la voce Errison, prima che tutti iniziassero a farneticare: «E voi tutti siete dei paranoici. Neanche la conoscete Agnes, e vi assicuro che non è affatto una ladra truffatrice, non attenterà alla mia virtù e non fuggirà con tutti i miei soldi».
Gli veniva quasi da ridere a paragonarsi a lady Huxley, la donna che duecentocinquanta anni prima era scomparsa, probabilmente uccisa dal ladro di Josesville.
Ma i suoi concittadini non sembravano divertiti quanto lui, anzi, piuttosto infastiditi dal suo tono sarcastico. Continuando a fissarlo come quando suo padre lo ammoniva per aver fatto una marachella.
«Duecentocinquanta anni di disgrazie e dissapori, dottor Blake», continuò la signora Walker, con voce squillante: «Non sono solo una leggenda e lei lo sa meglio di noi, visto che è nato e cresciuto qui».
In quel momento Errison pensò che forse sarebbe stato davvero meglio non tornare in quella città, ma allo stesso tempo non riusciva del tutto a credere a cosa stava assistendo.
«Ascoltate», riprovò, con tono più serio, cercando di non rivelare a tutti quanto quella conversazione fosse surreale secondo i suoi canoni: «Cercherò di spiegarvelo una volta per tutti. La storia di lady Huxley, del furfante e dei lingotti d'oro è solo questo... una storia. La verità è che nessuno di noi sa come è andata veramente. Magari la donna è fuggita e ha vissuto il resto della sua esistenza nella costa ovest, a bere vino. E l'oro potrebbe averlo rubato chiunque... guardatevi intorno».
Con un movimento deciso della braccia indicò se stesso e tutti gli altri, tornando ad un tono sarcastico: «L'arricchimento veloce di alcune delle nostre famiglie fondatrici secondo me è molto sospetto».
Ovviamente nessuno prese sul serio le sue parole anzi, il signor Walker rincarò: «E tutto quello che è successo nel tempo? Come lo spiegate?».
«Coincidenze!».
Il signor Walker scosse la testa: «C'è una maledizione, dottor Blake, ed è meglio non sfidare le forze della natura. Casi come Innes e Jackson dovrebbero metterla in guardia».
«Innes e Jackson hanno finito per odiarsi a causa vostra», tuonò lui, veramente stanco di tutte quelle sciocchezze: «O forse non vi ricordate? Li avete messi l'uno contro l'altro, la natura non c'entra nulla, lasciatela in pace».
Non poteva neanche credere di dover affrontare un discorso simile davanti a uomini e donne adulte, maturi. O almeno così credeva.
«E per la cronaca, la fattura che Innes ha detto di aver fatto a Jackson è tutta finzione... se ci credete, forse siete voi ad avere bisogno di aiuto».
Forse era stato un po' duro, ma era convinto che se lo meritavano. Che da quelle parti fossero tutti un po' pazzi.
La signora Walker si fece avanti, uscendo dal gruppo di persone in evidente apprensione, si avvicinò ad Errison, con un sorriso comunque poco incoraggiante e posò la sua mano callosa sul braccio del dottore.
«Vogliamo solo metterla in guardia, dottore, perché lei è giovane e forse non comprende i problemi che potrebbe avere... Backsonville non accetterà di buon grado questo rapporto, e le assicuro che lo stesso farà Josesville».
Gli sorrise ancora una volta, come se fosse convinta che le sue parole potessero essere di aiuto. Magari pensava di avergli fatto un favore, e Errison non riusciva ad essere del tutto arrabbiato con quella signora.
Con nessuno di loro, in effetti, e quindi li lasciò andar via, mentre continuavano a lanciargli occhiatacce e sguardi preoccupati.
Era abbastanza convinto che quello fosse solo l'inizio, che si sbagliavano credendo di aver risolto ogni loro problema. Eppure non ne era preoccupato.
Solo quando la sala d'attesa si svuotò finalmente, lasciandolo da solo con la sua segretaria, si lasciò andare ad un lungo sospiro esasperato.
«Ho sognato tutto o è successo da vero?».
Lei fece spallucce, sorridendo con uno sguardo perso, come era suo solito. A volte Errison si chiedeva se quella ragazza vivesse davvero nel loro universo o in uno tutto suo, lontano da tutti e tutto.
«Bè, io vado nel mio studio, avvisami quando arriva il primo paziente», aggiunse, convinto che avrebbe avuto, come al solito, una conversazione breve e per niente soddisfacente con quella ragazza, quindi tanto valeva evitare.
In tutta risposta, infatti, Lucy tornò al suo bancone e restò in silenzio mentre Errison si chiudeva nello studio e rifletteva su ciò che era appena successo.
Metà dei suoi clienti si erano presentati di prima mattina nel suo laboratorio per fargli quella che poteva sembrava una ramanzina. O un velato avvertimento, dipendeva da che punto si guardava la conversazione.
E visto che era indeciso se esserne turbato o divertito, il suo primo istinto fu quello di chiamare Agnes. L'unica che potesse aiutarlo a far luce in quel casino.
Rispose al secondo squillo e non riuscì neanche a dire una singola parola che lei esordì, con irruenza: «Non crederai a ciò che mi è appena accaduto».
Una strana sensazione lo avvolse così forte che la prima cosa che disse fu: «Oh, ho la sensazione che invece ci crederò».
E passarono la mezz'ora successiva a raccontarsi a vicenda le prime ore di quella mattinata assurda.
Con poca sorpresa, e anche un po' di rassicurazione, Errison scoprì che anche Agnes era stata assalita da un gruppo nutrito di vicini, parenti e amici, di ritorno a casa, e che le avevano più o meno fatto lo stesso discorso.
O meglio, il nonno aveva sbraitato e minacciato di diseredarla, mentre gli altri si erano limitati a cercare di farla ragionare.
«E' ufficiale, credo che ci sia qualcosa che non va da queste parti perché sono tutti pazzi», aveva concluso lei, ridendo.
«Dobbiamo preoccuparci?».
La sentì un po' titubante, forse perché stava riflettendo, ma alla fine asserì: «Non credo, cosa possono fare? Al massimo tenteranno di metterci i bastoni fra le ruote come è successo in passato... ma noi siamo preparati e più forti».
Ben presto si sarebbero resi conto del loro primo errore: prendere la questione sotto gamba.
Spazio autrice:
Buonasera a tutti!
Come va?
Aveva detto che avrei cambiato i divisori ad ogni capitolo ma ho pensato che siccome questo parla più o meno degli stessi argomenti di quello precedente, non fosse necessario farne un altro. Quindi no, non mi sono già stancata di crearne 🤣🤣🤣
A quanto pare i cittadini non mollano, e chissà se già non stanno escogitando qualcosa. Fino ad adesso si sono solo limitati a parlare, ma potremmo vederne anche delle belle.
A lunedì prossimo,
Chiara 😘
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