4. Aria di tempesta

Agnes aveva la sensazione di essere finita nel bel mezzo di n fuoco incrociato. Da una parte le occhiate scandalizzate dei suoi compaesani, dall'altra quelle altrettanto sbigottite dei cittadini di Backsonville.

«Al primo segno di tensione, preparati a fuggire», scherzò, continuando comunque a guardarsi intorno, attenta ad osservare ogni cittadino che tra le bancarelle li stava fissando senza ritegno.

«E come faccio a capire quando le cose si mettono male?».

«Ti lancio un segnale... tipo un fischio», asserì lei, continuando a scherzare, anche se in fondo non era proprio una cattiva idea.

Entrambi sapevano quanto potessero essere esasperanti e insistenti gli abitanti di quella zona. Come quando avevano indetto un'assemblea cittadina per decidere se cambiare nome oppure no ad un negozio storico di Josesville.

E per quanto alla maggior parte della cittadinanza non fregasse un fico secco, erano stati costretti a sorbirsi un'ora e mezza di insistente oratoria da parte del sindaco Norman Buch che elencò tutti i pregi del cambio nome.

Per loro era tutto di vitale importanza, tutto richiedeva una discussione comune lunga ore e ore e tutto richiedeva una votazione. 

Errison scosse la testa, sorridendo però, mentre la trascinava lontano dai suoi concittadini: «Vieni, ti faccio assaggiare il gelato più buono di Backsonville».

«Uhhh... sto per tradire la gelateria di Franny, eccitante!», fu la sua risposta, contornata perfino da un piccolo gridolino di gioia che fece letteralmente impazzire Errison, mentre sapientemente si mettevano in fila davanti ad una bancarella. 

Sopra il carretto la scritta: Il gelato artigianale di Carol e Al. Tutto scritto a mano, con colori pastelli e con disegni abbastanza stilizzati di piccoli coni con facce sorridenti. 

«Perché tutto ciò che riguarda le gelaterie è sempre così...», stava dicendo Agnes, ignorando palesemente la coppia davanti a loro che si era voltata proprio per guardarli, con espressione indispettita. E quando trovò la parola giusta aggiunse: «"Infantile"?».

Non ebbe però alcuna risposta da Errison perché proprio in quel momento l'uomo venne attratto da qualcosa alla sua sinistra e si voltò: «Oh bene».

Quando Agnes seguì il suo sguardo vide avvicinarsi una donna che a prima vista sembrava la copia identica, ma al femminile, di Errison.

Alta, slanciata, dal fisico asciutto ma anche abbastanza palestrato da intuire che passasse molto del suo tempo libero a curare il suo corpo e ad allenarsi. Lunghi capelli scuri, fluenti e dalla chioma folta e occhi grandi e verdi.

«Errison», asserì la donna, una volta raggiunti, proprio di fronte all'uomo, con sguardo inquisitorio e tono curioso. Con una mano posata su un fianco e leggermente chinata da una parte, sembrava stesse aspettando una risposta a domande che però non aveva fatto.

Dal canto suo, Errison ignorò il tono velatamente paternalistico e si voltò in direzione di Agnes: «Amore, questa è mia sorella gemella, Darla».

Agnes annuì, preparandosi a dire qualcosa di intelligente, qualcosa che le avrebbe permesso di far colpo su un membro della famiglia di Errison. E si allungò perfino nella sua direzione, in procinto di allungare una mano per stringere la sua.

Peccato che Darla non ebbe la minima intenzione di assecondare quel gesto. La fissò per pochissimi istanti, dai piedi alla testa, prima di dire semplicemente, con tono vago: «Piacere».

E ancor prima che Agnes potesse rispondere, lei si era già voltata di nuovo verso il fratello, ignorandola, e aveva continuato: «Possiamo parlare?».

«In realtà sto per prendere un gelato con Agnes».

«E' importante», insistette la donna, continuando a far finta che fossero da soli. Agnes notò che con la coda dell'occhio Darla cercava di guardarsi intorno, forse sperando che poche persone li avessero visti. 

«Me lo puoi dire dopo la festa», ribatté Errison, facendo un passo per avvicinarsi di più ad Agnes e allontanarsi da lei. 

Ad Agnes fu abbastanza chiaro, forse anche più di Errison, che Darla non avrebbe mollato l'osso facilmente, così prese l'iniziativa: «Vai pure, prendo il gelato anche per te».

«Sicura?».

«Menta e liquirizia, giusto?».

Lui le sorrise, quasi fiero, e la baciò, prima di seguire la sorella lontano da occhi e orecchie indiscreti. Non voleva proprio essere nei panni di Errison in quel momento, perché sapeva bene cosa Darla voleva dirgli.

Tornò a voltarsi verso la fila, con un mezzo sorriso, constatando che era arrivato il suo turno e si bloccò davanti alla vista dei due proprietari del carretto, Carol e Al, che la fissavano come se avesse appena annegato cuccioli di dalmata.

«Potrei avere una coppetta di gelato di soia menta e liquirizia e un cono vaniglia e cioccolato?», chiese titubante, tornando all'improvviso una bambina spaventata di fronte ad adulti contrariati.

Qualche minuto dopo si allontanava dal carretto con una coppetta e un cono pagati almeno il triplo di quanto in realtà costassero e con la vaga sensazione che fosse il prezzo speciale che quelli di Backsonville facevano agli abitanti d Josesville.

Prese posto ad uno dei tanti tavoli che avevano allestito di fronte al palco dove quella sera ci sarebbe stata una sorta di gara canora/talentuosa - anche se di talenti ce ne erano ben pochi - e che a quell'ora erano ancora quasi tutti vuoti. 

Il che per lei andava benissimo, desiderando solo restare da sola mentre gustava il suo gelato. Peccato che fu intercettata subito da Tracy. 

In parte doveva aspettarselo, che prima o poi qualcuno si sarebbe avvicinato, una volta rimasta sola. E non era stupita di vedere che, tra le tante persone che avrebbero potuto arrivare, avevano scelto di mandare la migliore amica di sua madre.

«Posso sedermi?», chiese la donna, che ottenne come risposta solo una scrollata di spalle da Agnes, intenta a leccare il suo cono, al quale voleva dare tutta la sua attenzione.

Tracy prese posto di fronte a lei, e non perse tempo: «Che cosa sta succedendo?».

Ovviamente Agnes non era stupida e capì subito a cosa si stesse riferendo, ma decise di fare la finta tonta: «Non saprei, stando al calendario dell'evento, come ogni anno, tra mezz'ora dovrebbe iniziare la corsa dei sacchi... ma potrebbe finire come l'ultima volta che sono venuta, ricordi?».

Già le veniva da ridere nel ripensarci. La corsa dei sacchi non si era fatta perché i partecipanti, rispettivamente di entrambe le città, alla fine erano venuti alle mani e quella che doveva essere una semplice corsa dentro ad un sacco di juta si era trasformata in un lancio della torte. 

Una era perfino finita addosso al sindaco e Agnes aveva sognato la scena per almeno due mesi dopo l'accaduto.

Tracy ignorò il suo tentativo di depistarla e la incalzò, più seria che mai: «Intendo tra te e il veterinario. Tuo nonno non vi ha visti ma gli è giunta la voce e ti sta cercando».

«E' armato?», chiese lei con tono finto serio, per poi sorriderle.

«Non sto scherzando, Agnes. Vuoi dirmi che cosa sta succedendo? Vi state prendendo gioco di tutti, per caso? E' uno scherzo di pessimo gusto?».

Si era aspettata mille diverse reazioni alla notizia, ma mai avrebbe immaginato che qualcuno potesse pensare ad uno scherzo.

Quale persona sana di mente inventerebbe una relazione solo per far dispetto ai propri compaesani. Va bene essere strani, ma lì si stavano raggiungendo picchi assurdi.

«Io ed Errison stiamo davvero insieme», le fece notare, quasi sentendosi una stupida solo perché doveva specificarlo.

«Perché?».

La domanda, sinceramente stupita e anche un po' ingenua, la prese in contropiede. Non perché ci fosse qualche problema, ma perché era troppo complicato da spiegare in poche parole.

Scrollò le spalle: «Ci siamo conosciuti quattro mesi fa, siamo usciti una volta insieme, ci siamo divertiti e abbiamo deciso di replicare. Un appuntamento sono diventati due, poi tre, quattro e... bè, sai come funzionano queste cose».

Tracy scosse la testa e si fece più incalzante: «Intendo perché lui? Perché proprio lui e non un cittadino di Josesville? Che cosa avete in comune?».

«Più di quanto tu credi», si limitò a dire Agnes, poco propensa ad entrare nei particolari. Quella era la loro intimità e non avrebbe permesso a nessuno di entrarci a gamba tesa.

Ma Tracy la guardò scettica: «Tipo il gusto del gelato?», indicò con la testa la coppetta e il suo cono, con tono derisorio.

A quel punto Agnes si rizzò sulla schiena: «Ignori i vantaggi di un fidanzato a cui non piace il gelato che mangi tu. Immagina di comprare una vaschetta del tuo gusto preferito e portarla a casa... non devi dividerla con nessuno!».

Ma Tracy ignorò ancora una volta il secondo tentativo di Agnes di cambiare discorso e rimase seria: «Sul serio, Agnes, per una volta puoi rispondermi senza scherzare?».

«Ma io sono seria», ribadì Agnes, iniziando anche a perdere un po' la pazienza: «Sto bene con Errison, abbiamo molte cose in comune, sento che mi comprende e mi capisce più di ogni altra persona e i miei sentimenti sono ricambiati. La nostra relazione riguarda solo noi, e nessun altro».

Prima ancora che Tracy potesse ribattere, aggiunse, con tono che non lasciava repliche: «E ti prego, puoi riferirlo anche agli altri? Non voglio mettere in chiaro le stesse cose con ogni abitante di questo buco di paese».

Con un gesto della mano lasciò intendere che voleva rimanere da sola e si voltò perfino, dando le spalle al tavolo e a lei, aspettandosi che la donna si decidesse ad accontentarla. Nel frattempo pensava che probabilmente Errison stava avendo un dialogo simile.

Errison seguì la gemella dietro alla bancarella che vendeva peluche di ogni forma e si aspettò di ricevere da lei una strigliata come quanto erano bambini e lui finiva per appartarsi ad osservare le formiche nel bosco vicino casa.

Perché Darla non era mai stata veramente una bambina. Non aveva mai fatto qualche marachella, non aveva mai disobbedito e in generale aveva sempre fatto tutto ciò che si aspettava la loro famiglia.

E nel tempo libero si premurava sempre per cercare di riportare Errison sulla retta via. Come quando aveva cercato di convincerlo a prendere giurisprudenza perché era la carriera che sperava il padre. 

Perciò non poteva aspettarsi niente di diverso rispetto ad una ramanzina, che non tardò ad arrivare, perché non appena furono soli lei lo incalzò.

«Che diavolo ti salta in mente? Con tutto quello che sta passando la nostra famiglia, ti sembra opportuno giocarci un tiro del genere?».

Faticò a trattenere una risata mentre precisava: «Sorellina, lascia che ti spieghi. Tutto quello che faccio non è sempre frutto del desiderio di contraddirvi. Non siete il centro del mio universo».

Ma Darla, come al suo solito, neanche lo stava ascoltando. Sbuffò e continuò: «Lo sapevo che il tuo ritorno era solo un pretesto per incasinare ancora di più la nostra situazione familiare. Non bastano i problemi con papà e con Douglas, ti ci metti anche tu... povera mamma».

Il suo tono misto tra il paternalistico e il vittimistico innervosì non poco Errison che per tutta risposta disse: «Ti ricordo che sono tornato solo perché siete state voi a chiedermi di farlo. Io ho risolto il problema con la clinica, e sempre io mi sto occupando di nostro fratello. Più che creare guai, mi sembra di averli risolti».

«Finché non ti sei messo in ridicolo di fronte a tutti quanti, oggi», ribatté Darla, ferita nell'orgoglio. Il solo pensiero di essere stata costretta a chiamare il fratello, perché lei non era in grado di tenere a bada la famiglia, la mandava fuori di testa. E doveva per forza farlo sentire in difetto.

Errison però rise, davvero divertito dal tono così esagerato della sorella: «Ridicolo? Perché ho deciso di frequentare Agnes?».

«Già parlano tutti di voi, e non in modo positivo».

Lui fece spallucce: «Almeno avranno qualcosa da fare».

Il fatto che a Errison sembrava non importare dei pettegolezzi, faceva infuriare ancora di più Darla, che evidentemente vedeva un grosso problema davanti ai suoi occhi.

«Credi che tutto questo sia un gioco?».

A quel punto Errison tornò serio, fece un passo avanti in direzione della sorella e rispose: «No, Darla. La relazione tra me e Agnes è la cosa più seria e importante che mi sia capitata negli ultimi anni... ma trovo che tutta questa sceneggiata sia ridicola».

Poi tornò sorridente, mentre una vena sulla fronte di Darla iniziava a gonfiare per il nervoso: «E rilassati, o ti scoppierà la vena birichina».

Era così che Errison chiamava quella vena, fin da quando avevano solo tredici anni e Darla perdeva la pazienza per un non nulla. Era diventato perfino un meme nella sua famiglia.

"Tutti attenti alla vena birichina di Darla", si diceva quando era in procinto di sfuriare e quello era il segnale che le cose sarebbero potute degenerare.

«E ora, se non ti dispiace, vado, altrimenti si scioglie il gelato».

Non le diede l'occasione di ribattere, comunque non sarebbe riuscita a dire nulla, e si allontanò.

Darla era famosa in casa per iniziare liti per qualsiasi cosa, ma Errison era quello che le vinceva sempre. 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti! Come va?

In questo nuovo capitolo le cose iniziano a movimentarsi, conosciamo un personaggio nuovo - la gemella di Errison - e in generale c'è aria di tempesta. Inoltre si intuisce che la famiglia di Errison ha qualche problema, anche se non capiamo ancora bene che tipo di problemi. 

Quale sarà la mossa dei cittadini? Faranno qualcosa o resteranno ad osservare?

A lunedì prossimo,

Chiara

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