16.Eureka
Durante il tragitto in macchina con Agnes, lei gli spiegò quello che aveva intuito.
E per quando assurda la sua storia, Errison pensò che poteva crederci.
«E quindi adesso dove stiamo andando?», chiese, riconoscendo comunque la strada per Josesville.
«Da una persona che credo sappia bene quello che sta succedendo», ma Agnes non disse nulla, si limitò a guidare la macchina fino alla fattoria della sua famiglia.
A quell'ora della notte le luci erano spente in casa, e regnava il silenzio più assoluto.
Mentre entravano dalla porta laterale sulla cucina, con fare circospetto neanche fossero dei padri, Errison fu costretto a fermarsi.
I due si guardarono in modo eloquente e non c'era alcun bisogno di parlare per capire quale sarebbe stata la sua domanda successiva.
Così Agnes di limitò ad indicargli la strada che conduceva al bagno del piano di sotto e disse soltanto: «Ci vediamo nel salotto», e proseguì la sua strada verso i piani superiori.
Salì in punta di piedi, per non svegliare gli altri, stando perfino attenta a schivare le travi più rovinate che tendevano a scricchiolare.
Lo aveva imparato anni fa, quando era solo un'adolescente che usciva di casa di nascosto.
E quando raggiunse la porta con sopra affisso un enorme divieto stampato su carta e la scritta "vietato entrare", accostò leggermente la porta per assicurarsi che la persona all'interno stesse dormendo.
Si guardò intorno, circospetta, prima di entrare di soppiatto e avvicinarsi al letto.
Nate dormiva tutto scomposto, con le gambe e le braccia divaricate a prendersi tutto lo spazio disponibile del suo letto, e anche di più.
Le coperte erano attorcigliate ai suoi piedi, dopo probabilmente una serata a litigarci.
Gli mise una mano sulla bocca, per evitare che si mettesse ad urlare e lo chiamò.
«Nate, svegliati», lui si lamentò e tentò di agitarsi, ma Agnes continuava a tenergli la mano sulla bocca.
Lo chiamò due volte ancora, con voce più alta, ancora un sussurro. E solo all'ultimo Nate aprì gli occhi.
Si agitò subito, ma non riuscì a parlare e così si alzò, mettendosi seduto.
Quando Agnes gli tolse la mano dalla bocca, lui la guardò preoccupato: «Che cosa è successo?».
La voce era impastata dal sonno, si strofinò gli occhi e si guardò attorno.
Solo quando constatò che la sua camera fosse come l'aveva lasciata prima di andare a dormire, la sua espressione mutò.
«Perché mi hai svegliato?».
Agnes però lo stava già prendendo per un braccio, costringendolo a scendere dal letto ancora scalzo.
«Vieni, fai piano... Non voglio svegliare gli altri».
Con la mano libera, mentre veniva trascinato fuori dalla stanza senza la sua volontà, si strofinò ancora gli occhi.
«Ma dove mi stai portando?».
Non era abbastanza lucido per riuscire a dire qualcosa di più incisivo, o anche solo per reagire allo strano comportamento di Agnes.
E così si fece trasportare fino al piano di sotto dove lei lo buttò letteralmente sul divano principale.
Solo in quel momento si rese conto che non erano soli. Dal corridoio che conduceva al bagno, infatti, sbucò Errison che nel vederlo fu ancora più confuso di lui.
Agnes, invece, era l'unica dei presenti a sapere tutto, e lo si capiva dalla sua espressione.
Con le braccia conserte, e un piede che batteva con leggerezza sul pavimento, aveva lo sguardo di chi desiderava farla pagare a qualcuno.
«Adesso parla, Nate, dicci tutto quello che sai».
Ovviamente il ragazzo non comprese subito a cosa si stava riferendo. Ma la sua confusione mandò ancora più in rabbia Agnes che si rivolse ad Errison.
«Lui sa qualcosa, deve sapere qualcosa... Qualche giorno fa ha parlato di "sabotaggi" e sembrava più ambiguo del solito».
Solo in quel momento Nate comprese e sorrise, quasi compiaciuto.
«Ah, ci siete arrivati allora... Finalmente».
«Visto?!», Agnes fu costretta a trattenersi, per non farsi sentire dagli altri, ma il suo unico desiderio era quello di urlare a pieni polmoni: «Lui sa».
E poi rivolta a Nate aggiunse: «È arrivato il momento di parlare».
Lui ci pensò per qualche istante, agitandosi sul divano e spostando lo sguardo tra i due di fronte a lui.
«Non faccio niente per nulla, lo sai», non riuscì a nascondere un altro sorriso, calcolatore.
Agnes osservò Nate, cercando di capire se stesse scherzando oppure no. Ma lo conosceva talmente bene da esserne sicura.
«Cosa vuoi?», si arrese quasi subito, sbuffando, mentre lui appariva soddisfatto.
«Un aumento del mio stipendio».
Nate, nel tempo libero, aiutava suo padre alla fattoria, anche se non sembrava molto felice di farlo.
Eppure era stato lui a proporsi, con la prospettiva di poter guadagnare qualcosa.
«Di quanto stiamo parlando?».
«quindici per cento in più?», azzardò lui, con fare comunque sicuro.
Lei finse di ridere: «Non se ne parla proprio».
«Allora il tredici».
«Al massimo il cinque».
Nate scosse la testa, deciso: «Posso scendere fino al dieci, non di più».
A quel punto Agnes guardò Errison, che in tutto ciò era rimasto in silenzio, prima di sbuffare e accettare.
«E che il dieci per cento in più sia... Ma ora parla».
Nate, ormai sveglio, e anche fiero di aver guadagnato qualche soldo in più, si mise comodo sul divano e iniziò a parlare.
In breve raccontò della riunione, senza però tralasciare alcun dettaglio, e del patto tra le sue città.
E quando ebbe finito, nella stanza calò un silenzio che durò poco.
Agnes aprì bocca per prima: «Fammi capire bene. Questi non sono riusciti a mettersi d'accordo in duecentocinquanta anni neanche durante la guerra di secessione... E adesso stanno architettando insieme di farci lasciare?».
Nate annuì, convinto, mentre Errison aggiungeva, con tono schifato: «Sono indeciso se sentirmi lusingato da tutto questo interesse o piuttosto essere incazzato come una iena».
Il dottor Errison Blake non pronunciava molte parolacce, ma quando lo faceva voleva dire una sola cosa: che era davvero arrabbiato.
«C'è spazio per entrambi, tesoro».
«Avrei immaginato tutto, ma non che di fossero messi d'accordo. Questo è proprio "Ai confini della realtà».
Mentre Errison si lamentava, Agnes tornò a parlare con Nate.
«Come li fermiamo?».
Lui parve interdetto: «Come scusa?», per poi aggiungere una volta compreso ciò che intendeva Agnes: «Oh, no... non mettermi in mezzo».
Alzò le mani, in segno di resa e scosse la testa con energia, ma ormai Agnes stava continuando: «Tu ci devi aiutare».
«Io già sto facendo la mia parte, aiutando Rich. Ma non ho intenzione di mettermi in mezzo a questa stupida faida».
Agnes si chiese perché mai Nate avesse nominato il loro ospite, che dubitava potesse essere complice di tutta quella storia. Ma al momento aveva altri interessi per chiedere delucidazione in merito.
«Tu sei già all'interno di questa lotta. Oppure vogliamo far finta che non ci sia niente tra te e Mandy?!».
«Aspetta», s'intromise Errison, ancora più confuso: «Mandy è la figlia dei vicini di mia madre», e a quel punto comprese anche lui.
Rivolto principalmente a Nate, il suo tono apparve serio, come se stesse parlando di una questione di vita o di morte: «Quindi, concorderai con noi, che questa faccenda deve finire. E' meglio noi, e anche per voi, non credi?».
Ma Nate sorrise, beffardo: «Perché? Non hanno mica preso di mira me e Mandy», sembrava così spavaldo da far salire la rabbia.
E invece Agnes ribatte, avvicinandosi di più a lui, con fare di chi sa di aver in pugno la situazione: «Questo perché non sanno ancora di voi». Non disse nient'altro, ma era evidente la minaccia implicita.
«Non lo faresti mai», azzardò Nate, finalmente preoccupato per la possibilità di essere scoperto. Tornò a sedere con la schiena dritta, e gli occhi sbarrati.
«Se ne sei sicuro, allora non hai nulla di cui preoccuparti», Agnes sorrise, trionfante. E poco dopo Nate fu costretto ad arrendersi e ad accettare di aiutarli. Non moriva dalla voglia, certo, ma lo avrebbe fatto.
«Adesso inizia la guerra», asserì Agnes, determinata, e subito dopo Errison aggiunse, con lo stesso tono: «Non hanno idea di cosa siamo capaci».
La mattina seguente Errison aveva ancora dolori di stomaco e si prese la giornata libera. Non solo perché stava male, ma anche perché aveva dei piani.
Guidò fino a casa di sua madre con una rabbia repressa che era perfino possibile percepire all'interno della sua macchina. E fu contento di notare che la persona che meritava tutto il suo odio era proprio lì, accovacciata sui fiori del vialetto, a prendersene cura.
Scese di corsa e raggiunse sua sorella che, con la testa china sui tulipani, non notò il suo arrivo neanche quando fu abbastanza vicino da farle ombra.
«Buongiorno, Darla, come va?».
Lei parve per qualche istante sorpresa di vederlo, ma mentre alzava lo sguardo per puntare la sua espressione su di lui, era tornata serena e sorridente.
«Oh, Errison, mi hai fatto paura».
Lui non si scompose mentre si chinava per poter stare alla stessa altezza della sorella e, con tono monocorde e un sorriso inquietante in volto iniziava: «Sai a cosa pensavo questa mattina?».
«A cosa?», chiese lei, per niente interessata.
«Al nostro secondo anno di liceo, ricordi?», continuò solo quando lei annuì con tono flebile: «Tu volevi entrare nelle cheerleaders ed eri così determinata che quando decisero di non accettarti tu la prendesti sul personale...».
Lei continuava a guardarlo come a chiedersi dove volesse andare a parare, ma lo lasciò parlare: «Perché nessuno può dire no a Darla Blake, giusto? E pochi giorni dopo, il giorno della prima partita del campionato, tutte le cheerleaders si ammalarono. Le presero in giro per mesi a causa della loro improvvisa e collettiva diarrea, ricordi?».
Ancora una volta Darla annuì, ma più circospetta di prima.
«Nessuno però sospettò che quel malessere fosse stato causato da un lassativo inserito nel loro cibo di nascosto. Io però ho sempre saputo che eri stata tu...».
Darla fu abbastanza pronta nella sua reazione a apparve sinceramente stupita dalle sue parole, ma non ebbe neanche il tempo di obiettare e discolparsi. Errison stava continuando il suo monologo, sempre con un sorriso soddisfatto in volto.
«Puoi darla a bere a chiunque, sorellina, ma non a me. Allora non dissi nulla, ma riconosco la tus firma quando colpisci», il suo tono cambiò improvvisamente e da gioviale divenne infastidito.
«Sai giocare bene le tue carte, Darla, e questo te lo concedo. Ma ricorda che io non sono un gruppo di giovani cheerleaders con la testa fra le nuvole», poi si rialzò, costringendola a guardarlo dal basso verso l'alto, per continuare ad osservarlo.
Fino a quel momento lei non aveva detto una parola, si era limitata a restare in silenzio ad ascoltarlo, quasi timorosa di ciò che potesse dire contro di lei.
«Ricordati sempre contro chi stai giocando», aggiunse lui, tornando sorridente, con una punta di malizia nel suo tono di voce.
Si voltò e fece per andarsene, mentre Darla continuava ad osservarlo interdetta e anche parecchio infastidita. Ma lui si fermò a metà strada e si girò di nuovo verso di lei, con il fare di chi si fosse dimenticato una cosa.
«E comunque, sappi che se mi fai arrabbiare finisci come la tua bambola... com'è che si chiamava?».
Darla sbiancò e con un sussurrò rispose: «Madeline».
Lui fece finta di esserlo ricordato in quel preciso istante, anche se aveva già in mente il nome, e sorrise: «Ah, certo, Madeline...chissà che fine a fatto?».
Fece spallucce con la faccia più colpevole che Darla avesse mai visto, e nell'istante in cui lui si voltava di nuovo ed entrava in macchina, la sentì urlare: «Lo sapevo che eri stato tu».
Si concesse di guardarla un istante prima di mettere in moto ed andarsene, con un sorriso che lasciava intendere quanto si stesse divertendo a far impazzire Darla.
Per il resto della giornata, mentre si riprendeva, non poté non ridere ripensando all'immagine di sua sorella, che si alzava e lo guardava furiosa. La sua "vena birichina" sulla fronte ben visibile.
Se c'era una cosa che Errison amava, anche da adulto, era far impazzire Darla. E ancor di più dichiararle guerra.
Spazio autrice:
Buonasera a tutti! Tutto bene?
Finalmente Errison e Agnes hanno capito la gravità della cosa e sembrano sul piede di guerra. Determinati a farla pagare ai loro concittadini, e sicuri del loro amore, riusciranno nel loro intento?
Che la guerra inizi.
A lunedì prossimo,
Chiara😘
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