15. Tutta questione di colon
«Ma dove eri finito?».
Agnes si era ripromessa di trattenere la frustrazione e di sembrare tranquilla.
Ma le prime parole che riuscì a pronunciare furono quasi un'accusa. E ormai era troppo tardi per trovare un tono migliore.
Errison comunque non sembrò accorgersi del malumore di Agnes, e aveva l'aria stanca.
«Non hai idea di cosa mi sia successo... Di tutto! Una giornata, anzi una serata da dimenticare proprio».
Stava continuando a parlare mentre si toglieva la giacca e posava le chiavi della macchina sul piattino posato sul mobile accanto alla porta.
«Prima tutti i miei concittadini che si sono presentati allo studio, poi mi hanno chiamato perché una giumenta stava partorendo. E sono corso fin dall'altra parte di Backsonville per aiutarla a partorire ma quando sono arrivato, aveva già fatto tutta da sola. Così stavo per andarmene ma...».
«Ti sto aspettando da tre ore... Da tre ore», lo interruppe, evidenziando la frase "tre ore", per ben due volte.
Solo in quel momento Errison notò il tono infastidito e si voltò a guardarla.
«Scusami, tesoro, non avevo previsto di fare così tardi ma ti avevo avvisato che avevo avuto un imprevisto, no?».
Agnes incrociò le braccia, restando seduta al suo posto e fissandolo ancora con leggero astio.
«No, non mi hai avvisato».
«Ma certo che l'ho fatto, ti ho lasciato un messaggio in segreteria».
«Non c'è nessun messaggio sul mio telefono... E sai come lo so?».
Non attese che Errison le desse una risposta e aggiunse: «Perchè ho controllato il telefono almeno venti volte in queste ultime tre ore... Mentre ti aspettavo».
E ancora una volta, prima che il suo compagno potesse anche solo aprire bocca, continuò con più fervore.
«Ho perfino pensato che ti fosse successo qualcosa di grave ed ero sul punto di chiamare tua madre. Non l'ho fatto solo perché temevo di farlo a preoccupare inutilmente... Ma credevo davvero che ci dovessero essere una buona ragione per il tuo ritardo».
«E infatti è così, non è colpa mia... E giuro di averti mandato un messaggio».
Errison iniziò a tastarsi le tasche dei jeans: «Ora ti faccio vedere... aspetta», ma all'improvviso si ricordò una cosa e aggiunse: «Credo di essermi dimenticato il cellulare da Steve».
Alzò gli occhi al cielo e sbuffò ma quando si rese conto che Agnes restava seria, aggiunse: «Non ti sto dicendo una bugia, ti ho davvero mandato un messaggio».
Anche uno stupido avrebbe compreso che Agnes non gli credeva ma alla fine la ragazza decise di lasciar perde. Tirò un sospiro, infastidito ma anche un po' arrendevole e alò le mani.
«Lasciamo perdere», con tono accondiscendente: «La serata non è ancora finita e si può rimediare».
Anche Errison tirò un sospiro di sollievo e le sorrise: «Scusami ancora», prima di prendere posto di fronte a lei.
Anche Agnes sorrise, ma il suo fu più tirato, quasi forzato: «La cena si è freddata...».
«Non importa, scommetto che è buona lo stesso», azzardò lui, ancora fiducioso e cercando di non far pesare troppo il suo ritardo.
E proprio per questo decise di non continuare la sua storia e di non raccontarle tutto quello che era successo dopo essere arrivato al maneggio di Steve. Bensì, cercò di coinvolgerla in una conversazione normale.
«La tua giornata com'è andata?», disse mentre abbassava lo sguardo sul piatto di fronte a lui e prendeva il cucchiaio per assaggiare la sua zuppa di ceci.
«Bene», fu la secca risposta di Agnes che non accennò a dare ulteriori informazioni. La tensione era così palpabile nell'aria che Errison rabbrividì di paura quando sentì il suo tono.
Era intento a cercare un modo per alleggerire l'atmosfera e riuscire così a salvare il loro anniversario mentre si portava alla bocca un po' di quella zuppa.
Lui l'aveva preparata tante volte, e anche sua sorella l'aveva fatta ogni tanto, perciò notò subito che aveva un sapore un po' strano. Non era male, ma aveva un retrogusto che gli ricordava nulla di commestibile.
«Com'è?», chiese lei, mentre assaggiava a sua volta. Notò sicuramente anche lei che c'era qualcosa di strano ma invece di farlo notare lo fissò, in attesa.
Era evidente che lo stese sfidando a dire la verità, proprio nel momento meno opportuno, e visto che Errison non era stupido, e che non voleva farla arrabbiare ancora di più, sorrise ed annuì.
«Ottima».
«Davvero?».
«In assoluto la miglior zuppa di ceci che io abbia mangiato», ed entrambi continuarono a mangiare, fissandosi come se stessero aspettando che uno dei due cedesse.
Finirono tutta la zuppa in silenzio. Ogni volta che Agnes lo guardava lui sorrideva in risposta mentre quel retrogusto strano diventava più sopportabile ad ogni cucchiaiata.
«Come sta tuo nonno?», le chiese prendendo un lungo sorso d'acqua e pulendosi la bocca dal sapore strano.
«Bene», ancora una secca risposta, fredda. Era evidente che lei non riusciva proprio a mandare giù il suo ritardo.
«Credevo che avessi detto di lasciar perdere...», iniziò lui, quasi sconfitto, mentre posava con fare rassegnato il tovagliolo accanto al piatto: «Eppure è chiaro che non riusciremo ad andare avanti con questo atteggiamento».
A quel punto Agnes incrociò di nuovo le braccia: «Non so che dire, Errison. Io sono qui con te, ho preparato la cena e ho accettato le tue scuse. Non so che altro vuoi».
«Bene, forse posso farmi perdonare dandoti il regalo che ti ho comprato», Errison non voleva arrendersi e aveva tutta l'intensione di farsi perdonare.
Per questo si alzò per andare a prendere il suo regalo, che teneva nella tasca della giacca, appesa accanto alla porta.
Era tutto fiero, sorridente e speranzoso quando tornò da lei, che non aveva messo un attimo di guardarlo storto, e le porse una busta bianca.
Agnes fissò prima lui, poi la busta e poi di nuovo lui che le sorrise incitandola: «Prendila, è per te».
Nell'istante in cui Agnes toccò la carta con le sue dita e prese il regalo in mano, l'espressione di Errison cambiò da sorridente a sofferente.
Strabuzzò gli occhi, divenne bianco in viso e posando una mano sullo stomaco disse soltanto: «Scusami un attimo», prima di correre via verso il bagno.
Agnes sentì la porta del bagno chiudersi con un sonoro tonfo e rimase interdetta per qualche istante. Fece appena in tempo a chiedersi se una cosa del genere fosse normale in un appuntamento, quando iniziò a sentire anche lei un leggero movimento intestinale.
Un leggero movimento intestinale che nel giro di pochi istanti si fece sempre più intenso, fino a quando comprese, suo malgrado, che non sarebbe stata in grado di resistere o di aspettare.
Per questo seguì Errison lungo il corridoi e si chiuse nel secondo bagno, proprio di fronte al primo.
Qualche interminabile minuto dopo, uscirono entrambi, più pallidi e affaticati di prima. Errison si appoggiò allo stipite della porta, sudato e provato.
«Ma che hai messo dentro la zuppa?».
Risentita, Agnes cercò di raddrizzarsi, per sembrare più alta, ma non ci riuscì: «Mi stai dando la colpa?».
Ma prima ancora che Errison riuscisse a darle una risposta, lei fu costretta di nuovo a rinchiudersi in bagno, in preda ai dolori. Seguita a ruota dal povero Errison qualche istante dopo.
Quasi un ora dopo e ben quattro visite al bagno, entrambi sedeva stravaccati sul divano del soggiorno, tenendosi lo stomaco come se ciò potesse fermare il problema, fissando il soffitto.
Nessuno die due riusciva a parlare, o anche solo a guardarsi e restarono in silenzio per molto tempo.
«Volevi farmela pagare per aver fatto tardi?», provò a scherzare lui, senza però riuscire neanche a sorridere.
«E sarei così idiota da avvelenare anche me?».
«Bè, magari ti sei confusa».
«In questo momento non ho neanche la forza per respirare, ma sappi che vorrei ucciderti», disse lei a denti stretti.
«Perché? Io non ho fatto nulla... sei tu l'aspirante nuova Mary Bateman».
«Io ho seguito la ricetta e mi sono fatta aiutare da tua sorella, perciò non è colpa mia», affermò con sicurezza lei, sempre più offesa: «Qualcosa deve essere andato a male».
Errison rimase in silenzio, sbuffando solando, mentre lei continuava: «Tu invece sei colpevole eccome di aver rovinato questa serata».
Agnes poté sentire chiaramente il suo secondo sbuffò spazientito ma non si arrese: «Hai fatto tardi e non mi hai neanche avvertita. Non importa quale scusa inventi, io non ho ricevuto nessun messaggio».
Più parlava e più s'infervorava, iniziando a ritrovare le forze che l'avevano abbandonata a causa dei dolori di stomaco.
«E poi mi hai tenuto nascosto che ti vedevi con quella Lea».
Errison si voltò a fissarla: «Cosa? Io non ti ho tenuto nascosto proprio nulla», si difese lui. Entrambi indispettiti l'uno dall'altra, si lanciarono occhiate guardinghe.
«Hai omesso di avvisarmi, però».
«E cosa avrei dovuto dirti? E' solo una ragazzina che vuole un po' di aiuto per l'iscrizione all'università. Non è mica una mia ex super attraente che si fa rivedere dopo anni e mi bacia».
Agnes gli puntò un dito contro, con gli occhi sbarrati: «Ah ah... lo sapevo», affermò quasi urlando con un gridolino di gioia.
«Cosa?», il tono infastidito di Errison era sempre più palese mentre lei era sempre più soddisfatta: «Che sei geloso... lo sapevo! Mi sembrava troppo strano».
«Certo, chiunque sarebbe geloso di un tipo come Archie. Va bene che sono un uomo moderno, ma anche io sono preda dei miei istinti e delle mie insicurezze ogni tanto», le fece notare, stizzito.
«Allora è per questo che mi hai parlato del bacio? Perché volevi vedere la mia reazione?», Errison la fissò in attesa, pronto a coglierla in fallo.
«No, idiota», sbottò lei: «Te ne ho parlato perché volevo essere sincera... e perché volevo evitare che qualcun altro te lo venisse a dire prima di me. Considerato che in questo posto nessuno si fa gli affari suoi e che tutti vorrebbe vederci litigare, ho pensato che fosse saggio...».
Ma invece di continuare il suo discorso, Agnes interruppe la sua filippica irosa all'improvviso, senza un motivo palese. Lasciando Errison interdetto e anche più infastidito di prima.
«Allora?», la incitò tra i denti. Stava solo aspettando il suo turno per poterle recriminare qualcosa, qualunque cosa, per cercare di passare dalla parte della ragione.
Cosa alquanto difficile, visto che in realtà aveva ben poche cose da farle notare. A parte la cena orribile.
Ma lei ignorò la sua richiesta di continuare e sussurrò, con tono di sorpresa: «Adesso ho capito».
In un primo momento non disse nient'altro, ma rimase a fissare Errison come se tutte le verità dell'universo le si fossero palesate davanti al volto.
«Ma certo, che idioti che siamo stati... perché non ci ho pensato prima?», Agnes si picchiò la fronte e scosse la testa, ancora più sconcertata da ciò che aveva capito.
«Spieghi anche a me?», Errison rimase in attesa, con espressione eloquente, poco avvezzo a restare in disparte.
Ma Agnes si alzò di scatto, con molta più energia: «Vieni con me», disse soltanto, incitandola ad alzarsi a sua volta. Sembrava davvero rinvigorita a tal punto che lo aiutò perfino ad alzarsi, visto che invece Errison non aveva più energie.
«Prendi la giacca», gli disse, tutta euforica, mentre anche lei si avvicinava all'attaccapanni, pronta ad uscire.
Ma prima ancora che Errison potesse chiederle dove stavano andando, lei aggiunse: «Ma prima sarà meglio andare in bagno un'altra volta».
Spazio autrice:
Buonasera a tutti! Come va?
Cena piuttosto movimentata. Ero tentata dal creare un divisore in tema ma alla fine mi sono trattenuta e ho lasciato quello del capitolo precedente... sarebbe stato davvero troppo.
Agnes ha capito cosa sta succedendo? E' riuscita finalmente a comprendere che li stanno sabotando tutti insiemi? E soprattutto, dov'è che stanno andando?
A lunedì per il prossimo capitolo,
Chiara
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top