9. Caos

In quel momento, mentre i suoi occhi mi guardavano come se stesse per rivelarmi il segreto del secolo, il mio cuore ha cominciato a battere come un tamburo. Ho cominciato a temere di vedere qualcosa di davvero brutto, ma quando ha finalmente aperto c'era solo la sua stanza super disordinata ad aspettarci.

Il letto, che si trova al centro della stanza è sfatto, per terra sono sparse magliette probabilmente già usate, pezzi di carta appallottolati che sembrano essere caduti dal cestino ormai troppo pieno, la scrivania lasciata immersa da libri, quaderni piccoli e grandi, e ancora fogli scritti e non.

L'unica cosa a dare un po' di ordine in quella confusione è la grandissima porta finestra, lasciata aperta per far prendere aria, la stessa che fa ondeggiare lentamente e in modo ipnotico la tenda azzurra abbinata al colore delle pareti e del copriletto.

Senza accorgermene sono entrata e fatto un giro su me stessa per osservare ogni centimetro di quella stanza in cui predomina solamente il caos, un po' come Dylan, sembra essere lo specchio della sua anima.

<<E' questa la mia stanza. Non ti ci ho fatto entrare prima perché mi vergognavo del fatto che sia ridotta in questo modo. Non ho abbastanza soldi per una cameriera, non ho abbastanza tempo per farlo da solo e per questo rimane così per giorni interi>>

Noto solo adesso che le pareti turchesi sono costernate da fotografie di un Dylan piccolo, i capelli abbastanza corti e tendenti al biondo cenere e un sorriso sdentato. In alcune insieme al resto della sua famiglia, in altre, solo con un uomo che comincio a pensare sia suo padre, dato che si trova in tutte le altre foto.

Mi avvicino ad una di queste e la osservo attentamente: ritrae lui e suo padre, in mezzo ad una piazza che non riesco a riconoscere, entrambi reggono una chitarra in mano mentre il loro sguardi che si fissano fanno percepire ancora quella magia che si veniva a creare e che neanche uno scatto è riuscito a spezzare, anzi, trattenere a sè gelosamente.

<<Ci piaceva un sacco andare a Downtown, era il posto in cui riuscivamo entrambi a liberarci dei pensieri, delle paure, delle preoccupazioni solo per qualche ora, ma era così bella la sensazione che te le facevi bastare quelle ore>> sorride al ricordo di lui e del padre insieme. Sono così felice che mi stia parlando di lui, finalmente.

<<Sai ancora suonare?>>

<<Si, ma non lo faccio da un sacco di tempo>>

<<Ma ce l'hai ancora la chitarra, non è vero?>>

<<Certo, è lì>> me la indica, dall'altra parte del letto e che io non avevo visto. Sembra esserci scritta una dedica sopra.

<<Tua madre non si occupa anche della tua stanza, quando non puoi?>> domando e Dylan abbassa lo sguardo. Mi rendo conto di aver toccato una corda troppo sensibile.

<<Lei passa molto tempo fuori per lavoro, insieme al mio patrigno, non è mai qui. E anche se ci fosse, è sempre la cameriera a pulire, ma quando sono solo...>> apre le braccia per indicare la situazione in cui si trova ogni volta che si trova solo.

<<Ti va di rimettere a posto?>> gli domando all'improvviso, lui arriccia subito il naso e assume un'espressione confusa.

<<Iniziamo dalle piccole cose: la stanza. Mettiamo un po' di ordine in questa vita folle>> continuo con un sorriso incoraggiante, che lui ricambia una volta capita la mia idea.

Così ci dividiamo i compiti, ma prima di iniziare a pulire quella stanza in cui sembra essere passato un uragano, mettiamo della musica che ci riempie di energia. Io rifaccio il letto, Dylan raccoglie le magliette da terra e le porta in lavanderia, poi raccoglie le carte da terra mentre io metto in ordine la sua scrivania.

Continuo a passare l'aspirapolvere per terra, utilizzando ogni tanto un microfono immaginario per cantare le note di quella canzone di cui vado pazza, Dylan mi segue a ruota per poi scoppiare a ridere per le mie stonature. Prima di rendercene veramente conto, abbiamo già finito.

Ci buttiamo sul suo letto, sfiniti ma ci basta tornare a guardarci negli occhi per trovare l'energia necessaria per lasciarci andare ad una fragorosa risata. La sua è molto più bella quando è libera da ogni preoccupazione.

<<Grazie per aver fatto tornare ad essere guardabile questa stanza>>

<<Grazie a te per avermi fatta ridere>>

<<Vuoi dire a te>> dice, prima di lasciarmi un bacio a stampo sulle labbra <<Spero di riuscire a tenerla così>>

<<Pensa a me ogni volta che metti qualcosa fuori posto. Io faccio così da quando mi hai fatto notare che la mia stanza era disordinata: perché mettere più disordine in una vita già complicata di suo?>>

<<Vuol dire che lo farò>> mi bacia di nuovo e di nuovo il mio cuore fa una capriola. Dopodiché ci prepariamo per davvero ad andare a lavoro, dove trascorriamo la maggior parte del tempo a parlare di cose nostre così da non sentire la fatica che si accumula alla gambe e alla schiena.

Ma alla fine del turno, mi tocca tornare a casa e passare la mia ultima notte da unica figlia femmina sotto il tetto di casa mia. Stessa cosa per mio fratello.

<<Vedrai che andrà tutto bene>> mi dice Dylan senza staccare gli occhi dai miei, il mio volto tra le sue mani tiepide.

<<Lo spero davvero tanto>> lo bacio di nuovo, prima di tornare in casa e aver scambiato un ultimo sguardo con il... mio ragazzo? Solo ora mi rendo conto di non esserci dati un nome. Ci penserò domani, ho altro di cui preoccuparmi in questo momento.

Mia madre è già in camera sua che dorme sogni forse tranquilli, forse no, ma la luce della bajour della camera di mio fratello è ancora accesa. Busso delicatamente alla porta e aspetto il suo "avanti" per entrare. Alex si trova già sotto le coperte ma con ancora col telefono in mano che gli illumina il volto.

<<Posso dormire con te, Alex?>> gli chiedo, al che lui corruccia le sopracciglia ma si fa comunque di lato, lasciandomi lo spazio necessario per potermi sdraiare accanto a lui.

<<Anche tu hai paura per domani?>> mi chiede gentilmente, mentre una sua mano mi accarezza i capelli.

<<Da matti>>

<<Mamma mi ha raccontato cos'è successo, mi dispiace di non avertelo detto prima>> le parole fanno fatica ad uscire fuori da quelle labbra.

<<Non fa nulla, la situazione non sarebbe cambiata più di tanto>>

Alex mi abbraccia forte per mettere termine a quella conversazione, io spengo la luce e lascio che l'oscurità ci investa insieme a tutti i mille pensieri. Mi ci vuole un sacco di tempo prima di sprofondare nel sonno profondo.

L'indomani mattina, dopo che io e Matt varchiamo la soglia dell'entrata della nostra scuola notiamo subito un sorta di euforia mai vista qui dentro, apparte quando arrivano ragazzi nuovi. E così i pensieri vanno subito a lei, Diana, che mi buttano giù di nuovo.

<<Ricordati ciò che ti ho detto>> mi ricorda Matt, notando il mio cambio d'umore. Annuisco. Non ci vuole molto prima che la incrociamo nel corridoio, mente ci stiamo dirigendo verso la classe della nostra prima ora.

E' vestita molto simile a quando l'ho incontrata alla festa, con top troppo corto per venirci a scuola, una gonna super striminzita a fasciarle le gambe e un giubbotto troppo piccolo per coprire almeno la metà della scollatura eccessiva.

Quello che torna a farmi agitare è proprio la presenza di Madison accanto a lei. Mi fissano entrambe, con un sorriso strano in volto. Comincio a sperare con tutta me stessa che non si fermino a parlare con noi ma, evidentemente, le mie preghiere non sono bastate.

<<Ciao sorellina>> dice Diana rivolgendosi a me, poi verso Matt <<Ciao, amico sfigato di mia sorella>> accompagnato da una smorfia, poi i suoi occhi chiari si posano di nuovo su di me e con un sorriso a trentadue denti <<Dopo scuola verrà mio padre a prenderci, tieniti pronta perché ho davvero tante valigie dietro di me>>

Mi fa l'occhiolino, accompagnato da un ghigno sta volta. Poi entrambe si allontanano senza che io e Matt possiamo aggiungere qualcosa.

<<Bianca, ti ricordi ancora quello che ti ho detto?>> annuisco alla domanda di Matt <<Ecco, scordatelo, abbiamo un bel problema>> eh già, un grosso problema. L'incubo di cui avevo più paura si sta avverando e non mi piace per nulla.

Durante l'arco della giornata scopro diverse cose sulla mia "sorellastra" come il fatto che abbia riscontrato largo successo solo per via della sua amicizia con Madison e forse anche per qualcos'altro, le piace sentirsi al centro dell'attenzione, non rispetta nessuno al di fuori di se stessa e, la notizia più bella, ha un anno in più di me. Questo significa solo una cosa: dovrò sopportarla solo per qualche mese.

<<Non dovrà essere una convivenza piacevole>> commenta Sofy, mentre siamo seduti tutti e tre al nostro tavolo e teniamo puntati gli occhi su Diana e Madison che ridono tra loro, insieme al gruppetto che le circonda.

<<Spero che non sia così anche a casa>> dico io in preda allo sconforto, disperazione, non so nemmeno io bene cosa.

<<Per chi ha famiglie del genere, arriva prima o poi questo momento. Spero per te che non sia brutto>> dice Sofy tornando a mangiare, così come Matt.

Diana ed io ci incrociamo con lo sguardo e quel sorrisetto maligno che mi dona non mi piace per nulla. Poi guarda qualcosa o meglio, qualcuno dietro di me e non aspetta altro tempo per alzarsi e dirigersi nella nostra direzione. O almeno, così pensavo stesse per fare, ma ci sorpassa. Mi volto per vedere dove sia andata ed eccola che la trovo vicina a Dylan, facendo gli occhi dolci e stando davvero troppo vicina solo per scambiare qualche parola innocente.

Sento subito il fuoco accendersi dentro di me, i pugni si serrano e batto un leggero colpo sul tavolo. Matt e Sofy se ne accorgono ma è solo il mio migliore amico a parlare <<Adesso ci vuole provare con lui?>>

E quell'affermazione deve fare ancora un po' del male a Sofy, perché si alza velocemente dal tavolo e si allontana da noi. Io e Matt ci guardiamo negli occhi finché io non dico <<Va da lei, me la caverò da sola>>

Annuisce e si alza velocemente per poter raggiungere il prima possibile Sofy. Dopo questa cosa, mi sento terribilmente in colpa, come se la stessi costringendo a riallacciare i rapporti quando in realtà avrebbe ancora bisogno di tempo. Vorrei raggiungerli ma so che non è la cosa giusta da fare, che quello di cui Sofy ha bisogno in questo momento è un po' di spazio e delle braccia amiche circondarle il busto e ricordarle che non è da sola.

Così non mi resta che raggiungere Dylan e Diana, cercando di tenere sotto controllo quella rabbia che sento montare dal centro del petto ed espandersi per il resto del corpo, impossessandosi avidamente di me.

<<Disturbo?>> domando con un sorriso finto sulle labbra. Diana mi guarda come se mi stesse aspettando. Al contrario di Dylan, che trasale leggermente una volta notata la mia presenza accanto a loro. Capisco perfettamente la direzione dei suoi pensieri e devo ammettere che ha davvero un ottimo intuito.

<<Assolutamente no, Bianca, anzi, ti stavo cercando>> Dylan si affretta a rispondere.

<<Stavamo ricordando i bei momenti di questo Natale, non è così Dylan?>> si volta verso di lui, facendo strisciare la sua mano delicata, dalla pelle scura lungo tutto il suo braccio, partendo dalla spalla e accompagnando ogni suo movimento con un sorriso ammiccante.

Quel gesto, quella vicinanza troppo ravvicinata non fa altro che aumentare quella morsa alla bocca dello stomaco. I miei occhi non perdono occasione per chiudersi in due fessure e le mani chiudersi in due pugni troppo stretti.

E poi... di che bei momenti parla? Il cuore aumenta di battito all'istante, nonostante sia sicura che tutta questa messa in scena sia fatta apposta per farmi un dispetto, che se solo lei volesse, potrebbe mettersi in mezzo e distruggere ogni cosa con molta facilità.

Megera! Si sbaglia a pensare che basta una tocca di braccio possa far diminuire il mio amore per Dylan, perché io e lui siamo felici adesso e nulla potrà separarci. Sarà così?

Dylan, d'altro canto, continua ad osservare i suoi movimenti, la sua mano scivolare fino ad andarsi a schiantare contro il suo pettorale, ma l'espressione confusa e schifata allo stesso momento mi manda in totale confusione.

<<Forse è meglio che vi lasci da soli ragazzi. Io torno a mangiare, ho davvero troppa fame. Buona giornata>> punta di nuovo il suo sguardo da cerbiatta indifesa negli occhi del mio lui e osa persino fargli l'occhiolino. Poi la sua chioma riccioluta si allontana da noi per tornare da quella vipera di Madison e il suo gruppetto, agitando un po' troppo i fianchi per i miei gusti.

<<Di che momenti felici parla?>> incrocio le braccia al petto, leggermente arrabbiata.

<<Aspetta, credi davvero a quel che dice?>>

<<Vorrei ma...>> lascio in sospeso la frase, così come le mie braccia che cadono lungo i miei fianchi. Il continuo della frase deve essere davvero scontata dal momento in cui lui sembra capirne subito ciò che volessi dire. E se prima la sua espressione era paragonabile a quella di un cucciolo smarrito, la cui intenzione era solo di venir da me per uno scambio di sguardi, baci, silenzi, adesso i tratti si sono fatti più duri, pronto a distruggere ogni mia convinzione errata.

<<...Ma sono pur sempre il ragazzo che ha tradito Sofy, non è così? Prima di dare del traditore a me, pensa a ciò che hai fatto tu, sei colpevole almeno quanto me>> mi sputa quella parole ad un passo dal mio viso, con un tono davvero aggressivo. Non aspetta altro per voltarsi e allontanarsi da me a passo spedito.

<<Dylan, aspetta non volevo dire quello>> gli corro dietro ma la sua voce mi fa bloccare.

<<Lasciami da solo, Bianca, non ho voglia di parlarti in questo momento>> mi si gela il sangue a quelle parole.

Il senso di colpa adesso sostituisce quella che penso fosse gelosia, insediandosi nelle parti più piccole, più nascoste, di cui non ne sapevo nemmeno l'esistenza.

L'ho fatto soffrire di nuovo, probabilmente ho annullato persino tutto quello che abbiamo costruito in questi giorni. Come è potuto passarmi in mente una cosa del genere? Che diritto ho io di accusarlo di un errore che avevamo commesso in due?

Anche Sofy avrebbe potuto dire lo stesso di me, ma io sapevo di meritarmi parte di quell'odio e allora perché lo stavo accusando di essere un traditore, se la prima traditrice sono io?

Che stupida che sono, continuo a ripetermi, maledicendomi secondo dopo secondo. 

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