32. Sta bene

Digito velocemente sulla tastiera del mio cellulare per avvisare mio fratello che questa sera non tornerò a casa. I miei occhi, poi, si posano sulla figura di Dylan sdraiata sul letto della camera da letto che Logan ha gentilmente messo a disposizione per farci riposare qui a casa sua per questa notte.

Il suo corpo ridotto a un ammasso di ossa e muscoli, appare ai miei occhi come una nave approdata su una spiaggia dopo un lungo viaggio in mare, esausta di navigare tra le onde impetuose di un mare in tempeste.

La quiete dopo una tempesta. La consapevolezza di avere un momento di tregua prima di tornare alla vita di sempre.

E io mi rendo conto solo adesso delle condizioni in cui ti ho lasciato da solo. Il senso di colpa non smetterà mai di divorarmi dall'interno, ma farò di tutto per riparare ai miei danni.

I ricordi del suo volto tumefatto, un occhio gonfio e arrossato e il labbro inferiore spaccato, così come quello superiore, mi colpiscono violentemente in pieno volto, come uno schiaffo doloroso. Sulla mandibola e sulla fronte, invece, erano ancora presenti delle tracce di sangue che molto probabilmente Logan gli aveva ripulito dalle abrasioni che adesso gli coprono piccoli lembi di pelle.

Non ho fatto domande, non gli ho detto nulla, ma ho semplicemente portato una mano alla bocca mentre la vista si appannava di più e le mani iniziavano a tremare sempre più forte. Mi sono sentita parte della causa che gli avevano procurato quelle ferite sul volto e che sarebbero guarite almeno qualche settimana più tardi.

L'arrivo di un messaggio mi desta dai miei pensieri. E' mio fratello che mi chiede se va tutto bene e dove passerò la notte, se non a casa nostra. Gli rispondo velocemente dicendogli che glielo avrei spiegato e chiedendogli di coprirmi, dicendo alla mamma che dormivo da Matt.

Matt e Sofy. Sono rimasti sconvolti da ciò che aveva rivelato la luce dopo essere stata accesa, tanto che entrambi, prima di andare via definitivamente, mi hanno chiesto come stessi veramente. Ho cercato di confortarli il più possibile, abbozzando un sorriso e stringendo forte le loro mani, ma hanno guardato con sospetto al mio atteggiamento, soffermandosi sui miei occhi.

Hanno perso la loro luce per adesso, ma tornerò a riconquistarla grazie a Dylan. I miei occhi torneranno a brillare perché torneranno a farlo anche quelli di Dylan. E se lo faranno i suoi, varrà anche per i miei.

Li ho ringraziati mentalmente quando non mi hanno fatto domande e sono usciti dalla casa in religioso silenzio, tenendosi stretti per mano e con il capo chino mentre Logan li riaccompagnava alla porta.

Tengo stretto il telefono tra le dita e lo stomaco mentre spengo la luce del bagno in camera e mi dirigo al buio e a piedi nudi verso il grande letto. Mi siedo delicatamente sul materasso, il quale si modella sotto al mio peso.

Poso il telefono sul comodino e con un grande nodo alla gola mi sdraio in posizione supina, poggiando sul mio stomaco le mani intrecciate e rimanendo a fissare il soffitto per i minuti successivi, in cui i pensieri girovagavano per la mente senza fermarsi neanche per un istante. Improvvisamente sento una goccia calda bagnarmi la pelle e accarezzarmi la guancia con una lentezza disarmante. Mi rendo conto di lasciarmi andare solo quando Dylan è ormai voltato dall'altro lato, dormiente, senza che i suoi occhi di ghiaccio mi costringano a mostrarmi forte di fronte a lui.

La verità è che io, di forza, ne trattengo poca dentro al mio corpo. Coraggioso sei tu, che affronti tutto questo sempre da solo, tu che non chiedi mai aiuto agli altri perché sai che potrebbero soffrire. E io ti dico che sto soffrendo per te in questo momento, ma non me ne pento assolutamente perché questo per me significa salvarti un po' dai tuoi problemi.

Piango silenziosamente mentre i miei occhi si sono adagiati sulla sua figura che si abbassa e alza a ritmo costante. Le labbra mi tremano, le lacrime solcano le guance e dei singulti iniziano a scombussolarmi il petto. Per evitare di svegliarlo col pianto, copro la bocca con una mano.

E mi addormento così, con la voglia di toccare il suo corpo per offrirgli il calore di un mio abbraccio, ma la paura di fargli male per via dei lividi rossastri sparsi per tutto il corpo, con mille pensieri per la testa, le gambe vicino al petto e la sensazione di bagnato sotto alla guancia, poggiata sul cuscino.

Il silenzio ci fa da testimoni per i giorni successivi, dove entrambi sentiamo il bisogno di stare accanto all'altro ma con la consapevolezza di non essere ancora pronti per parlare veramente. Vorrei fargli delle domande, ma ho paura di una sua reazione e mi convinco che sia troppo presto per parlarne e che devo rispettare i suoi tempi.

Continua a trascorrere le sue giornate a casa si Logan, il quale è l'unico che si reca a scuola regolarmente mentre l'assenza di Dylan a scuola diventa sempre più evidente. Tra i corridoi sono persino riuscita ad origliare qualche conversazione tra alcune ragazze, le quali sostenevano che avesse ripreso con gli affari illegali. E' davvero così risaputo a scuola? Davvero gli altri conoscono cose della vita di Dylan che io conosco solo in parte?

Sofy e Matt hanno fatto di tutto per far nascere un sorriso sulle mie labbra ed io ho cercato di accontentarli abbozzando sempre e solo sorrisi tirati o, addirittura, finti. Probabilmente anche loro vorrebbero fare domande per saperne di più, ma hanno entrambi una sensibilità tale da capire che questo non è ancora il momento perfetto, anche perché, nemmeno io saprei rispondere alle loro domande.

In compenso, però, mi restano accanto senza essere invadenti, stringendomi semplicemente una mano un po' troppo forte per farmi sentire la loro vicinanza. Ed io non potrei esserne che riconoscente.

Anche Andrew continua a restarmi accanto per tutto il tempo in cui sia Matt che Sofy non sono con me. Cerca di farmi sorridere a tutti i costi e, ad essere sincera, ci è riuscito. La sua faccia buffa, le sue battute appositamente divertenti e il suo spirito allegro sono stati come un uragano, capace di trascinarmi dentro al suo vortice e lasciare che mi distraessi dai pensieri.

Dopo scuola e aver mangiato qualcosa al tavolo di un bar in compagnia di Andrew, mi dirigo sempre a casa si Logan che trovo sempre seduto sulla poltrona accanto al divano e guardare Dylan mangiare. Vedere il suo corpo così magro e indebolito mi fa bloccare sempre il fiato in gola e per qualche minuto sembro non respirare. E inevitabilmente, accade anche oggi, ad una settimana dall'accaduto.

La mia aria, il mio ossigeno. Come faccio a vivere senza? Quando tornerai a farmi respirare, Dyl?

Mi poggio con un fianco sul muro e li osservo da qualche metro di distanza. Dylan mastica lentamente e a ogni boccone sembra venirgli sempre più difficile mandare giù il successivo. Il mio cuore si ferma qualche secondo quando i suoi occhi si perdono in un punto indefinito della stanza mentre fa una pausa.

Logan cerca di risvegliarlo dai suoi pensieri: <<Devi finirlo tutto, Dyl, ieri me l'hai promesso>>

Ma Dylan non sembra dargli ascolto perché estraniato da questa realtà.

Una stretta al cuore.

Poi, le sue labbra si muovono in flebili sussurri: <<Credevo di riuscirci, Lo. Non ce la faccio>> la voce gli si spezza e una lacrima gli riga la guancia. Logan scatta in piedi e gli toglie dalle mani il panino che stava mangiando per posarlo su un tovagliolo adagiato sul tavolino in legno di fronte al divano: <<Sì che ce la fai, Dyl, io ne sono sicuro>> si siede accanto a lui mentre gli stringe forte le mani nelle sue.

Adesso che ti vedo in questo stato, la paura è tornata a farmi visita ed è rimasta sull'uscio del mio cuore per attaccare nei momenti in cui mi sento più vulnerabile. E questo momento lo è, vederti succube, schiavo di un mostro che nasce dentro di te e che non se ne andrà mai del tutto via perché è ormai parte di te, mi rende così vulnerabile che la voglia di scappare torna a farsi sentire prepotente.

Ma poi mi ricordo che io ti amo e chi ama non rimane indifferente al dolore dell'altro, ma lo accoglie in sé per aiutare l'altro. E per quanto la paura mi gridi di andarmene, stavolta resterò accanto a te e mi prenderò cura di te.

Mi avvicino a loro e una volta davanti a Dylan, mi siedo sui talloni e poso entrambe le mani sulle sue ginocchia. L'occhio è ormai sgonfio ma comunque arrossato, mentre le piccole abrasioni della mandibola e della fronte si sono rivestite di crosticine di colore rosso scuro.

Punto il mio sguardo nel suo velato da uno strato di lacrime, col cuore in gola, poi gli prendo le mani che sono state liberate dalla presa di Logan e le stringo forte tra le mie: <<E' tutto okay Dyl, sei stato bravissimo fino a questo momento, hai mangiato più della metà di quel panino enorme>> gli sorriso incoraggiante e grazie a questo i singhiozzi smettono di scombussolargli il petto.

Abbozza un sorriso: <<Ma avevo promesso a Logan che l'avrei mangiato tutto. Non sono riuscito a mantenere la promessa>>

<<Non è stato deciso ancora nulla, puoi ancora finirlo. Non hai infranto la tua promessa, non è così Logan?>> mi volto verso Logan, il quale annuisce e accarezza il braccio di Dylan coperto da una maglietta a maniche lunghe. Quel dettaglio non riesce a sfuggire ancora una volta dal mio sguardo attento.

<<Prenditi qualche minuto e ricomincia quando ne avrai voglia. Nel frattempo, io e Logan saremo qui al tuo fianco>> mi siedo sul divano, accanto a lui. La sua gabbia toracica si gonfia per accogliere in sé un grande respiro. Annuisce debolmente mentre la guancia si gonfia leggermente per via di un sorriso.

Segue il mio consiglio, infatti, dopo qualche minuto riprende tra le mani quello che resta del panino e lo porta alla bocca. Torna a mangiare, lentamente, e non riesco a trattenere un sospiro di sollievo e un lieve sorriso quando la scena si mostra ai miei occhi.

Ad un certo punto un'idea mi sfiora la mente che decido di esporre a Logan quando si allontana verso la cucina per prendere un bicchiere d'acqua a Dylan. Lo raggiungo e con un fianco mi poggio contro il bancone di marmo bianco: <<Logan, per caso sapresti dirmi se c'era un piatto che il padre di Dylan gli cucinava sempre e di cui lui andava pazzo?>> sussurro a pochi centimetri dalla sua figura intenta a versare l'acqua nel bicchiere.

Corruga la fronte e ci pensa per qualche istante dopo aver posato il bicchiere sul bancone. Quando la risposta gli si presenta davanti, schiocca le dita: <<Suo padre era un grande cuoco, ma se c'era una cosa che sapeva fare benissimo era la Cobb Salad. Dylan ne andava pazzo>> sorride e scuote leggermente la testa mentre mi oltrepassa con il bicchiere in mano per tornare da Dylan.

<<Perché me lo chiedi?>> mi domanda, prima che io lo blocchi per un braccio e gli faccia segno di abbassare la voce. Si scusa con uno sguardo.

<<Ho pensato che se gli avessi preparato un piatto che suo padre sapeva fare bene e che a lui piaceva, allora avrebbe mangiato con più voglia. Cosa ne pensi?>>

Il suo sguardo si vela di malinconia mista a dolcezza. Le sue labbra non troppo sottili si incurvano all'insù: <<Penso che sia una bella idea, Bianca. Credo gli farebbe spuntare fuori un sorriso vero>>

Alle parole di Logan, non perdo altro tempo e con una scusa banale torno a casa solo dopo aver comprato tutto il necessario. Saluto ad alta voce, ma nessun rumore proviene dalle altre parti della casa. Non ci presto attenzione più di tanto e a passo spedito mi dirigo in cucina per iniziare a preparare la cena per Dylan.

Spero che almeno con questo ti possa tornare il sorriso.

Leggo la ricetta ancora una volta per essere sicura che non mi sia dimenticata nulla, poi passo ai procedimenti e inizio a fare come mi dice quel blog di cucina che ho trovato su internet.

<<Cosa stai facendo?>> la voce di Diana mi fa sobbalzare e rischio di versare fuori l'acqua dal pentolino che serve per far bollire le uova. Butto fuori l'aria dai polmoni mentre accendo il fuoco e i passi di Diana mi raggiungono velocemente.

<<Sto preparando un piatto che piace molto a Dylan>> le spiego, non prestando molta attenzione poiché il mio sguardo è concentrato a leggere i procedimenti. Si muove per la cucina, osservando gli ingredienti adagiati sul bancone e arricciando un po' il naso quando porta un pezzo di formaggio al naso.

<<E non potevi cucinarlo direttamente a casa sua?>> mi domanda, finalmente immobile e poggiata al bancone della cucina. Le braccia incrociate al petto e un sorriso furbo contornato dalla massa di capelli ricci. La supero per recuperare i pomodori e l'avocado, iniziando a tagliare per primi i pomodori sopra al tagliere di legno.

<<E' una sorpresa, non potevo cucinare a casa sua>> commento con voce quasi annoiata. Rimane in silenzio per qualche minuto, sentendo addosso le sue iridi chiare osservare attentamente le mie mani intente adesso a tagliare l'avocado.

Le sue labbra carnose si muovono per formulare parole più serie di quelle di prima: <<Come sta?>>

I muscoli delle braccia si irrigidiscono in modo quasi impercettibile, per poi continuare a muoversi, ignorando il rumore del mio cuore spezzarsi per l'ennesima volta in una sola settimana. Stranamente sembrava essere davvero preoccupata quando non ho dormito a casa quella notte, la notte in cui ho ritrovato Dylan e in quelle condizioni, tanto che una volta tornata a casa mi ha chiesto cosa fosse successo perché sapeva che stessi nascondendo qualcosa. In quei giorni, talmente ero sconvolta che non ho resistito a raccontarle il necessario per farle capire il mio stato d'animo e, al contrario di tutte le mie aspettative, Diana non ha fatto neanche una battuta a riguardo o un insulto sottile, anzi, è stata molto apprensiva. Si è chiusa in un religioso silenzio e il suo unico segno di vicinanza è stata una carezza sul braccio.

Al contrario, mia madre e Richard non hanno fatto molte domande riguardo al mio stato d'animo e non sanno nemmeno le innumerevoli volte in cui li ho ringraziati mentalmente per aver rispettato il mio silenzio.

Alex, come loro, mi è stato vicino fisicamente e mi ha fatto compagnia durante gli interminabili momenti di silenzio, stringendomi forte tra le sue braccia e asciugandomi le guance con il pollice una volta che queste venivano bagnate da lacrime salate e che io non mi ero accorta di star versando. Non ho potuto fare a meno di promettergli che gliene avrei parlato meglio quando me la sarei sentita e quando ne avrei saputo anch'io qualcosa in più di ciò che è successo veramente a Dylan, ma questo l'ho tenuto per me.

Vorrei che tutto questo finisse presto, ma so che devo restare forte per Dylan. Devo farlo per lui e per me, per evitare che entrambi finiamo inevitabilmente schiacciati dalla somma dei nostri problemi.

<<Adesso sta meglio, credo sia fisicamente che mentalmente>> rispondo dopo interminabili minuti di silenzio. L'acqua in cui sono immerse le uova inizia a bollire, così mi muovo verso il piano cottura per spegnere il fuoco e riprendere poi a sistemare le verdure appena tagliate in un piatto.

<<In questi momenti non puoi far altro che stargli accanto. E' così logorante vedere che le persone a cui vuoi bene non si siano accorte delle condizioni in cui ti trovi>>

Mi volto ad osservare il suo profilo. Adesso i suoi occhi sono fissi sul pavimento mentre il nodo delle sue braccia si è sciolto per cingere i suoi fianchi e stringere la presa sulla stoffa che le copre la pelle scura.

Stai pensando a lei, a tua madre. I ricordi ti stanno colpendo in pieno volto, ma tu non osi spostarti perché, seppur faccia male, a volte vale la pena soffrire un po' per ricordare com'era averla accanto, il suo profumo, i suoi sorrisi che ti facevano sentire al sicuro, il suono della sua risata e il calore di un abbraccio per ricordarti cosa significa trovarsi a casa.

Si risveglia dal suo stato di trance dopo qualche secondo, il tempo necessario per rendersi conto che i ricordi stavano diventando troppo dolorosi da essere vissuti una seconda volta. Si stacca dal bancone e con mia grande sorpresa mi sorride in maniera forzata: <<Hai bisogno di una mano?>>

Non mi soffermo su quanto sia gentile con me in questi giorni, non penso a quale scherzetto potrebbe farmi nell'aiutarmi a preparare questo piatto per Dylan, ma scelgo di fidarmi delle sue parole e delle sue azioni. Sorrido a mia volta e annuisco, lasciando che il discorso di prima caschi nel vuoto. Mi aiuta a preparare quasi in totale silenzio, poi qualche parola esce dalle mie labbra e da lì a poco si apre un vero e proprio discorso nuovo che ci porta anche a ridere a crepapelle.

Quando scendo dall'auto di Matt, il quale è stato così gentile da accompagnarmi fino a casa di Logan insieme a Sofy, li ringrazio velocemente mentre mi ricordano ancora una volta di salutare entrambi da parte loro.

Suono al campanello e aspetto ferma immobile, con il piatto adeguatamente coperto per il trasporto tra le mani. Una leggera folata di vento caldo mi sfiora la pelle e la luce esterna mi allumina metà volto.

Logan mi si presenta davanti agli occhi qualche secondo più tardi, vestito di semplici bermuda verde militare e una larga canotta che lascia scoperte le braccia muscolose. Prima di farmi entrare, porta un dito davanti alle labbra in segno di fare silenzio. Non mi fermo per aspettarlo, ho imparato a memoria la strada che mi condurrà da Dylan e non aspetto un altro secondo per raggiungerlo.

Perché la tua mancanza diventa sempre più forte, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto e quando finalmente i nostri cuori sono vicini, il tempo subisce l'effetto contrario di quando siamo lontani: si restringe talmente tanto che i minuti sembrano secondi.

Quando arrivo in salotto e lo trovo seduto sul divano con le gambe allungate e poggiate un puff, incrociate sulle caviglie, l'aria torna a passare dalle narici e mi sento vivere di nuovo.

E' qui, sta bene. Il mio Dylan sta bene.

I miei passi devono tradirmi perché Dylan si volta verso di me, puntando gli occhi di ghiaccio sulla mia figura immersa nel buio. Le labbra si schiudono quando realizza che mi trovo veramente qui. Avanzo verso il divano e mi unisco a lui sotto al fascio di luce proveniente dalla televisione, unica fonte di illuminazione di tutto il salotto: <<Ciao, amore>> lo saluto, lasciando che un sorriso mi illumini il volto.

Dylan continua ad osservarmi mentre porta istintivamente le mani sulle maniche alzate della maglietta per abbassarle fino ai polsi, per poi intrecciare le braccia ai suoi fianchi e iniziare a sorridere: <<Ciao, ragazzina. Che ci fai di nuovo qui?>> 

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