29. E' solo Andrew
Dylan
Respiro profondamente, l'aria entra e la sento scorrere tra le pareti dalle narici fino ad arrivare dritta ai polmoni. Il torace si modifica e amplia per accoglierla tutta. Mi concentro sui battiti del cuore che risuonano tra le costole e cerco, per quanto mi sia possibile, di liberare la mente dai pensieri superflui e concentrarmi sul mio vero obiettivo: sferrare un duro colpo.
Riapro gli occhi di scatto quando sento la rabbia montare dallo stomaco e risalire fino al petto, e finalmente sferro il mio primo colpo al sacco da boxe appeso ad una catena che scende dal tetto della palestra.
Un destro, un sinistro, poi di nuovo un destro e ancora un altro sinistro. Continuo così finché non sento i muscoli delle braccia bruciare e supplicarmi di fermarmi. Ma non mi fermo, continuo, ancora e ancora, finché un crampo non mi costringe a farlo. Impreco a denti stretti.
Mi piego in avanti portando una mano a massaggiare il muscolo dolorante mentre trattengo tra le labbra un grido di dolore. All'improvviso tutto torna a far casino intorno a me, i suoni tornano ad infrangersi prepotenti nelle cavità uditive e a riportarmi sulla Terra.
Dalla mia prospettiva riesco a vedere delle gambe coperte da pantaloni di tuta venire vicino a me: <<Tutto bene Dylan?>> mi domanda il mio coach dandomi una pacca sulla schiena piegata a metà.
Drizzo la schiena solo per liberarmi di quel tocco mentre annuisco debolmente con il labbro inferiore stretto nella morsa dei denti. Non aggiunge nient'altro e si allontana da me, guardandomi colpire ancora il sacco da qualche centimetro di distanza.
Un destro, un sinistro, poi un altro destro e ancora un sinistro. Mi fermo, ancora dolorante dal crampo di prima. Riprendo, mi fermo. Riprendo, mi fermo. Gocce di sudore iniziano a colare lungo tempie e dalla fronte, scivolando giù per la mandibola e cadendo poi sulla canotta che indosso.
Mi lascio completamente andare sulla panca in legno dietro di me, stremato. Inizio a bere dalla borraccia d'acqua mentre ascolto ciò che ha da dirmi il coach, anche se non gli presto molta attenzione. Fisso il sacco come fosse il mio peggior nemico sul quale sfogare la mia rabbia.
<<L'incontro sarà tra due giorni. Non puoi presentarti in queste condizioni>> mi confessa alla fine, sedendosi accanto a me.
Chiudo gli occhi e lascio andare il capo contro il muro alle nostre spalle per recupero le forze. La voce del coach torna a parlare: <<Stai seguendo la tua solita dieta? E la notte, dormi le ore che ti ho consigliato di dormire?>>
<<Cazzo, non sei mica mia madre>> sibilo a denti stretti.
Il suo sguardo si sposta su di me: <<Se per ricordati cosa devi fare affinché il tuo fisico sia pronto devo essere tua madre, allora sì, lo sono e tu devi prestarmi attenzione>> la sua mano si posa sulla nuca e stringe la presa, portandomi più vicino a lui per sussurrarmi all'orecchio <<Mi hai detto che hai bisogno di soldi e io sto rischiando di mettermi nei guai con il tuo patrigno per farti avere una parte della vincita. Quindi, adesso, tu segui tutto ciò che ti dico senza lamentarti ulteriormente>> mi spinge verso il sacco da boxe facendomi cadere a terra in ginocchio.
Mi rialzo con l'aiuto delle mani contro il pavimento mentre gli lancio un'occhiata torva. Il suo sguardo rimane fisso sul mio mentre si alza e si posiziona nel punto in cui trovava prima. Incrocia le braccia al petto e con un gesto del capo mi dice di riprendere.
Stringo i pugni lungo i fianchi e dopo qualche altro secondo decido di avvicinarmi al sacco e riprendere a colpirlo con tutta la rabbia che ho in corpo, immaginando che al posto di quell'ammasso di sabbia e cuoio ci sia Markus o il coach.
Perché se non fosse per colpa tua adesso non starei qui ad allenarmi per i tuoi stupidi incontri, usati da te come un mezzo per risanare i debiti di mio padre e guadagnare allo stesso tempo per i tuoi sporchi lavori.
All'ennesima volta in cui mi fermo, il coach mi grida contro: <<Con più forza, femminuccia! Devi stendere il tuo avversario, non fargli le carezze!>>
E allora tiro con più forza, la quale mi risucchia via le ultime energie che ero riuscito a conservare in questi giorni. Mi fermo di nuovo, il petto che si alza e si abbassa velocemente e lo stomaco inizia a gridare. Mi piego in due per il dolore mentre prego mentalmente il mio corpo di resistere ancora per un po'. Ma lo stomaco brontola sempre di più e il giramento di testa di questa mattina torna a farsi sentire, costringendomi a cadere a terra a carponi.
<<Dylan, hai sentito cosa ti ho detto?!>>
La sua voce arriva alle mie orecchie ovattata così come il rumore dei suoi passi diretti verso di me. Una volta vicino, mi prende per le spalle e mi raddrizza la schiena con forza: <<Rialzati! Non c'è tempo per riposarsi!>>
Non riesco più a distinguere i tratti del suo volto e non riesco più reggermi neanche sulle ginocchia, così cado tra le sue braccia, le quali mi reggono all'istante e lo portano a cadere in ginocchio. Solo in quel momento si rende conto della situazione.
Impreca a denti stretti mentre lo sento chiamare qualcuno a gran voce, ma non riesco a distinguere neanche una parola di quello che dice. All'improvviso il cuore inizia a battere più forte dentro al petto e la paura mi assale e divora completamente nel giro di qualche secondo. Cerco di pensare a qualcosa che possa calmare il mio animo e subito i miei pensieri si rivolgono a lei: Bianca.
La vedo in lontananza, la sua figura si allontana da me e di tanto in tanto mi lancia un'occhiata da sopra la spalla. Mi sorride. I lunghi capelli castani si muovono al ritmo dei suoi passi e qualche ciocca finisce per incastrarsi tra le ciglia lunghe. Le sposta dietro ad un orecchio in un movimento lento, simile ad uno slow motion che mi permette di notare ogni suo particolare.
Sorrido a quell'immagine, distratto dalla presenza della mia ragazza vestita da un semplice vestito fiorato e che le lascia le gambe nude fino al ginocchio, quando una forte luce si espande attraverso lunghi raggi che riescono ad oltrepassare la sua figura.
Quell'immagine sbiadisce sempre di più fino a che l'oscurità inghiottisce completamente la realtà, piano piano, prima che i miei sensi si attenuano e le bestie con cui condivido il mio corpo iniziano a divorarmi da dentro.
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Bianca
Le dita delle mani non smettono di torturarsi tra loro mentre mi mordo l'angolo del labbro inferiore. Diana, ferma all'impiedi al mio fianco, sembra essere molto più tranquilla di me, ma so perfettamente che dentro sta fremendo per l'attesa snervante.
Richard si toglie gli occhiali e dopo averli posati dentro al taschino della sua camicia a strisce azzurre, alza lo sguardo verso di noi. I suoi occhi nocciola si alternano tra me e Diana, poi di nuovo da me e poi da lei.
Diana inizia a dare i primi segni d'ansia e sposta il peso da una gamba all'altra, battendo nervosamente il piede a terra. Alla fine sbotta: <<Allora, papà, come è? Ti è piaciuto?>>
Un sorriso gli gonfia le guance: <<Sì, Diana, mi piace un sacco il vostro elaborato>>
Un sospiro di sollievo.
Torno a respirare, senza essermi resa conto di star trattenendo il respiro e inizio a sorridere anch'io mentre porto le mani intrecciate al centro del petto.
Richard continua: <<Il modo così delicato con cui avete parlato di quei ragazzi e delle loro storie, di come, nel vostro piccolo, siate riuscite a scorgere delle congruenze con le vostre vite. Davvero un ottimo lavoro, complimenti ragazze>> annuisce piano mentre un sorriso fiero gli si dipinge sulle labbra e gli illumina lo sguardo.
Quasi butto un urlo di felicità, ma mi trattengo. Stessa cosa non posso dire del mio corpo, il quale inizia a muoversi per esprimere la gioia che mi sta facendo esplodere il cuore di gioia e così, senza accorgermene, mi volto verso Diana e mi getto tra le sue braccia, stringendola forte a me.
Oh povera me, ma che mi è preso! Abbracciarla è stato l'errore più grande che potessi commettere e non oso neanche immaginare come reagirà.
Rendendomi conto del madornale errore commesso, mi ritraggo immediatamente con le guance ormai paonazze. Non oso neanche lanciarle un'occhiata e inizio a sorridere imbarazzata: <<G-grazie Richard, apprezzo molto le tue parole>>
Richard si alza dalla sedia della cucina e mi porge i fogli in cui si trova scritta la nostra relazione mentre le sue labbra sono ancora distese in un gran sorriso. Li prendo in mano delicatamente, come se mi preoccupassi di sgualcirli anche al più piccolo movimento troppo violento.
<<Dopo due giorni di duro lavoro vi meritate un po' di riposo, non è così?>> si rivolge subito a sua figlia, ancora un po' scossa dall'abbraccio di prima. Lei annuisce, cercando di non darlo a vedere troppo.
Suo padre continua: <<Andate adesso, siete libere>> scherza, scacciandoci con un gesto delle mani che sferzano l'aria a metà. Ci allontaniamo dalla cucina solo dopo aver riso insieme a lui e averlo ringraziato.
Entrambe saliamo le scale per dirigerci nella nostra stanza. Diana si muove verso il suo comodino per estrarre da questo il pacchetto di sigarette che tiene nascosto sotto a delle riviste e qualche paia di calzini. Sale con le ginocchia sul letto e apre la finestra, per poi sedersi sul materasso e accendersi una sigaretta con qualche difficoltà per via di qualche folata di vento.
Io, nel frattempo, scelgo gli abiti da indossare per andare a lavoro nel più totale silenzio.
<<Bianca?>> mi richiama la sua voce e io sobbalzo un po' mentre le do le spalle. Strizzo gli occhi, aspettandomi che dica la qualsiasi su quel contatto fisico non richiesto.
Cerco di sembrare il più naturale possibile: <<Sì?>>
La sento gettare fuori il fumo dalle labbra: <<E' inutile che ti porti dietro quell'imbarazzo, mi sembri un po' ridicola. Ho già dimenticato tutto e ti prego di non rifarlo un'altra volta>>
Era come mi immaginavo, ma non quello che mi aspettavo. Tu, Diana, sai sempre come sorprendermi ma non finisci mai di usare quel tono acido per nasconderti la possibilità di esprimere le emozioni come le persone normali. Ma tu non sei normale, tu sei fuori dall'ordinario e, anche se so che lo negherai fino alla tomba, so che non ti è dispiaciuto quell'abbraccio.
Non sono molto sicura delle mie sensazioni, ma preferisco comunque immaginarla sorridere debolmente dopo aver detto queste parole.
In fondo, riesco a percepire che il nostro rapporto sta iniziando a cambiare.
La suoneria del mio telefono mi avvisa che mi è arrivato un nuovo messaggio, sperando che non sia ancora Matt che mi invia foto di lui o con Sofy per tenermi costantemente documentata riguardo a quello che accade durante il loro campeggio.
Le mie foto in risposta hanno sempre rappresentato me accanto al nostro elaborato e, qualche volta, sono riuscita persino a convincere Diana a sorridere di fronte alla telecamera per scattarci un selfie da mandare al mio migliore amico.
Lo afferro dal comodino e con non molta sorpresa vedo che in verità è stato Andrew a scrivermi. Sono rimasta davvero senza parole quando ho scoperto che ha rinunciato ad andare in campeggio per restare qui con me, in città. Non ci eravamo più sentiti così spesso, ma in questi ultimi giorni ha approfittato dell'assenza di Dylan per farsi di nuovo avanti. Ai miei occhi non potrà che esserci più di un'amicizia tra noi, ma lui sembra voler insistere comunque.
Leggo il messaggio con un sorriso sulle labbra: "Oggi ti accompagnerò a lavoro, fatti trovare pronta perché sono subito da te" e alla fine due faccine: una con gli occhiali da sole, l'altra che fa l'occhiolino.
<<Finalmente Dylan ti ha scritto?>> mi interrompe Diana, la quale continua a fumare davanti alla finestra con le gambe strette al petto.
Finalmente i nostri occhi si incontrano e da essi capisco che è davvero interessata nell'avere notizie di Dylan. Durante questi tre giorni confinate dentro le mura di questa stanza, non abbiamo potuto fare a meno di farci un po' gli affari dell'altra e sono rimasta stupita di fronte al reale interesse di Diana nell'ascoltare le mie lamentele.
Mi ha ascoltata attentamente quando le ho confidato di aver chiesto esplicitamente a Dylan di mandarmi dei messaggi quando gli sarebbe stato possibile e che lui aveva persino promesso di farlo, proprio la stessa sera del mio compleanno, ma che nonostante questo non l'ha fatto comunque. E' sparito, di nuovo, e continua a non rispondere ai miei messaggi.
Diana è stata molto diretta nel dirmi: <<Per me ti sta mentendo. O ti sta tradendo o ti sta nascondendo qualcosa di davvero molto grosso>> ed io so perfettamente che è la seconda opzione.
Ho scelto di fidarmi della tua verità nonostante sapessi che fosse solo una bugia, ma sono stata una codarda ed egoista perché avevo paura di rovinare la nostra relazione.
Le rispondo dopo la mia breve pausa di riflessione: <<No, è solo Andrew>>
I suoi occhi chiari si illuminano di una luce strana e un sorrisetto malizioso le si dipinge in volto, prima che le sue labbra si posano di nuovo sulla sigaretta per aspirare da quest'ultima con più avidità di prima: <<"Solo Andrew"? Ma non vedi che quel ragazzo ti divora con gli occhi? Io gliela darei una possibilità>> fa spallucce e io alzo gli occhi al cielo mentre torno a decidere cosa indossare.
<<Io sono fidanzata, Diana, e già innamorata del mio ragazzo>> le spiego.
<<Ma se non fa altro che riempirti di bugie. Non che me ne importi più di tanto tanto, ma se io fossi in te cercherei di mettere in chiaro la situazione>>
Sospiro, voltandomi verso di lei: <<E come dovrei fare?>>
<<Prima di tutto esci le palle e ti fai rispettare come ragazza e come persona, poi metti in chiaro la situazione: o smette di raccontarti bugie oppure lo lasci e dai una possibilità a quel ragazzo che saprebbe amarti sicuramente meglio di come fa lui>>
Le sue parole riescono a colpirmi dritta al petto e anche alla testa. Dovrei veramente riflettere su una scelta del genere?
No, non dovresti perché voi vi amate e l'amore vi basta, voi vi bastate.
Sospiro, alzando in aria il top che reggo in mano per dargli un'ultima occhiata, prima di decidere di continuare ad indossare la maglia di Dylan che ho preso dal suo armadio un pomeriggio in cui mi trovavo a casa sua.
Con questa scusa almeno so di averti vicino al cuore.
La saluto prima di uscire di casa e aspettare l'arrivo di Andrew alla fine del vialetto di casa mia. Il ragazzo dai capelli e dai grandi occhi castani, che alla luce del sole si colorano di un colore più chiaro, si palesa pochi minuti dopo a bordo della sua BMW azzurra. Salgo senza attendere oltre e il sorriso splendente di Andrew mi accoglie una volta in macchina, oltre l'aria condizionata che mi permette finalmente di respirare dell'aria fresca durante questi giorni in cui la primavera sta per lasciare il posto all'estate.
<<Non capisco come fai a resistere là dentro con questo caldo. Vi pagano profumatamente, non è così?>> scherza lui una volta che ci troviamo già per strada in direzione del ristorante in cui lavoro.
Una risatina mi fa vibrare le labbra: <<Io lavoro come lavapiatti, diciamo che lì dentro il caldo non è esagerato come quello che c'è in cucina. Lì sì che si muore di caldo>> le nostre risate risuonano per tutto l'abitacolo e mi fanno vibrare il petto di serenità.
Passiamo il resto del viaggio a parlare di cose stupide e di tanto in tanto mi adula attraverso battute sottili. In quei momenti non posso che alzare gli occhi al cielo e fare finta di nulla.
Una volta arrivata al ristorante, la voce di Andrew mi blocca: <<A che ora monti di preciso?>>
<<Tra qualche minuto, perché?>> chiedo confusa. Il mio volto segue poi il suo movimento del capo, il cui sguardo si posa oltre al finestrino sulla spiaggia in lontananza e i raggi del Sole venir risucchiati dalle onde stranamente tranquille dell'oceano.
Le sue labbra tornano a modellare parole: <<C'è un bel tramonto>> dal suo tono di voce traspare della mascherata malinconia, che mi fa nascere un debole sorriso.
<<In verità, posso montare a lavoro anche tra un po'. Ti va se osserviamo insieme il tramonto?>> gli propongo, al che si gira di scatto verso di me e un sorriso smagliante mi colpisce nell'immediato.
Annuisce, prima di scendere dall'auto, seguito da me, e insieme attraversiamo la strada spalla contro spalla. Ci appoggiamo alla ringhiera grigia che delimita il confine tra questa parte di città e la parte più a valle, dove una distesa di sabbia è infestata da ragazzi che si tuffano tra le onde, altri che vanno in skateboard sul grande marciapiede che precede la spiaggia e altri che passeggiano semplicemente.
Di tanto in tanto qualche folata di vento caldo ci fa svolazzare le ciocche di capelli, poi il cinguettio degli uccellini e il rumore delle onde che si schiantano sulla spiaggia che arriva fino a qui, vengono interrotte dalla voce di Andrew: <<E' davvero fantastico tutto ciò>> chiude gli occhi e respira l'aria marina a pieni polmoni, poi allarga le braccia e un gran sorriso gli gonfia le guance una volta che ha buttato fuori l'aria dalla bocca.
<<"Tutto ciò" cosa?>> chiedo.
Si volta verso di me e i nostri sguardi collidono. Sul suo volto, illuminato per metà dal sole, si crea un gioco di ombre che mette in evidenza gli occhi sottili e piccoli, le labbra leggermente carnose e rosee e la mandibola ben definita.
Con un sorriso ancor più grande di quello di prima, mi risponde: <<Il tramonto, il mare, la spiaggia>> si avvicina di qualche centimetro <<L'aria calda>> si interrompe di nuovo, alternando lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra. Alza una mano per prendere tra le dita una ciocca di capelli e portarla dietro all'orecchio, mentre si avvicina di qualche altro centimetro, tanto che il suo odore si schianta contro le mie narici.
Incastra di nuovo i nostri sguardi mentre io mi ritrovo a trattenere il respiro senza che ne sappia veramente il motivo: <<E te>> soffia troppo vicino al mio viso, tanto che il suo fiato mi sfiora le labbra.
Un tuffo al cuore. Strano, diverso, nuovo.
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