28. Prenditi cura di te
Dylan
<<Mi raccomando, fatti sentire in questi giorni>> mi sussurra Bianca a fior di labbra, prima di far toccare le punte dei nostri nasi. Riprende pochi secondi dopo avermi dato un leggero bacio sulle labbra: <<Non sparire come tuo solito. Voglio sapere tutto di questo campeggio>>
<<Stai tranquilla, ti manderò un messaggio ogni cinque ore>> scherzo e così facendo riesco a strapparle un sorriso, che in questi ultimi tempi ho visto comparire poche volte sulle sue bellissime labbra.
Tu hai capito tutto, ma io faccio finta di nulla e continuo a raccontarti la mia bugia per farti stare tranquilla. Hai scelto di fidarti di me ed io lo apprezzo più di qualunque altra cosa.
<<Stai riuscendo a riacquisire la tua simpatia. Sono contenta, davvero>> continua lei con tono scherzoso mentre si allontana dal mio viso di qualche centimetro, ma le sue braccia rimangono intrecciate al mio busto.
Ridiamo insieme e per qualche secondo ci fissiamo negli occhi senza dire nulla.
So che mi stai studiando, stai cercando di leggermi dentro per essere sicura di quello che mi sta accadendo, mai io ho attraversato questi momenti così tante volte che ho imparato a nascondere perfettamente la mia parte incrinata.
Riprende a parlare, visto che io non aggiungo altro: <<Allora ci vediamo tra tre giorni. O anche il giorno stesso in cui torni, se non sei troppo stanco>>
<<Ti farò sapere il giorno stesso. Non posso mica prevedere come mi sentirò tra due giorni>> accompagno la frase con un sorriso che possa sembrare il più sincero possibile e lei, questa volta, sembra caderci veramente.
E invece so già come mi sentirò tra due giorni: più incrinato di oggi, ma meno rispetto al giorno dopo. E così all'infinito finché non mi sarò autodistrutto del tutto o finché qualcuno non sarà venuto a salvarmi.
Dopo un altro bacio in cui i secondi sembrano essere insolitamente più veloci, Bianca si allontana da me un po' incerta. Continua a tenermi le mani strette tra le sue finché non si allontanata abbastanza da me, facendo tanti passi indietro. Si ferma sul ciglio del primo gradino e mi osserva per qualche secondo mentre con la mano stringe forte il manico dello zainetto che si aggrappa alla sua schiena. E' agitata.
Sorride debolmente e con una mano si porta dietro all'orecchio una ciocca di capelli castani, simili al colore della pece a quest'ora del giorno, quando i raggi del Sole hanno abbandonato questo cielo per andare ad illuminare altrove. Ad illuminarci è solo la fioca luce fredda incastrata al tetto della veranda di casa mia.
<<Prenditi cura di te, Dyl. Fammi stare tranquilla>> aggiunge, come ad assicurarsi che le prometta di non distruggermi nel mentre che lei sarà lontana da me ed io lontana da lei.
Vuoi che ti prometta che mi costringerò a stare bene affinché tu lo possa usare contro di me se non dovessi riuscire a farlo. Vuoi che ti prometta una cosa di cui non sono sicuro che riuscirò a fare, indipendentemente dalla promessa.
Ma tu, qui, adesso, mi preghi con lo sguardo di farlo lo stesso ed io sono costretto a farlo.
Le mie labbra si muovono: <<Lo farò sicuramente, ragazzina. Ti farò stare tranquilla per tutto il periodo della mia permanenza in mezzo al bosco>>
Un altro sorriso timido che fa calmare il timore che le stava stritolando lo stomaco. Io la imito e prima che lei si allontani, dopo un cenno con la mano, mi appoggio allo stipite della porta e incrocio le braccia al petto perdendomi nella sua bellezza incastrata in mille parti del suo corpo. Tra la piega che le si forma quando sorride, tra i movimenti che compie quando è agitata, tra i movimenti cauti che compie ad ogni passo, come se avesse paura di apparire troppo agli occhi del mondo e volesse nascondersi a tutti i costi.
E se sono convinto che quando ci rivedremo la situazione sarà migliore di questa -e lo spero con tutto me stesso- perché queste parole sanno di nuovo di un addio? E se così dovesse essere, perché la mia vita continua ad essere fatta solo di questo?
Una volta tornato dentro casa mia e oltrepassato con l'intero corpo il silenzio che volteggia nell'aria, il mio corpo approda sul mio letto, come fa una nave dopo una notte in tempesta. Privo di energie, privo di qualsiasi voglia e privo del coraggio di resistere alla tentazione più forte che mi accompagna e mi sussurra all'orecchio ogni volta che le mie difese si abbassano.
Comincia a parlarmi come se fosse l'amica benevola che arriva per liberarti delle catene che ti tengono legato per i polsi, come la soluzione a tutti i problemi, come la quiete dopo una brutta tempesta.
E invece sei per me il male che sosta al mio fianco e mi suggerisce cose di cui so che non sarei fiero né io, né Bianca, né i miei fratelli. Sei il male che si veste da bene per approfittarsi della mia debolezza e distruggermi lentamente, in silenzio, nel buio del bagno, con la schiena a contatto con le mattonelle gelide e la sensazione di purificazione, che altro non è che una distorsione mentale della realtà.
Lotto contro quella voglia, lotto contro la voce che mi sussurra di alzarmi e muovermi meccanicamente verso il bagno senza che me ne renda conto, troppo offuscato dalla voglia di liberarmi dal dolore che è tornato a divorarmi vivo da dentro.
Mi rannicchio sul materasso, come un bambino quando ha paura e mi copro le orecchie nella speranza che tutto possa finire da un momento all'altro. Che la sua voglia di starmi accanto, di parlarmi con voce gentile, di proporre soluzioni svaniscano velocemente come fumo.
Ed è in questi momenti, chiuso dentro a questa stanza buia e immersa nel religioso silenzio in cui l'hai lasciata che mi sento sopraffare dalla tua mancanza, ancorata al mio cuore.
Il silenzio viene spezzato da un rumore, una melodia capace di risucchiare in sé il frastuono della mia testa: una chiamata. Sollevo la testa dal materasso e riesco ad individuare la posizione del mio telefono grazie all'immensa luce del display.
Mi trascino verso la scrivania e senza nemmeno guardare il mittente, rispondo: <<Pronto?>> mi lascio di nuovo andare svogliatamente sul materasso, cingendomi il fianco col braccio libero e gettandomi all'indietro.
<<Dyl, non pensavo mi avresti risposto>> la voce elettronica di Logan arriva al mio orecchio immediatamente. Riprende: <<Allora, gliel'hai detto?>>
Rimango in silenzio in sua risposta e chiudo gli occhi mentre mi lascio andare ad un profondo sospiro: sapevo che me l'avrebbe ricordato.
<<No e non deve saperlo>>
Una risatina proviene dall'altra parte del telefono: <<Stai scherzando?>> dal tono retorico che sta usando, riesco a percepire che è in disaccordo e che da qui a pochi minuti inizierà con un lungo sermone.
Ma io non ho la forza di ascoltare la verità fuoriuscire dalla tua bocca. Quindi ti prego, risparmiami per questa volta.
<<Dyl, quando hai intenzione di dirle che non stai bene? Quando smetterai di mentirle e di mentire a te stesso?>> ha alzato leggermente il tono di voce.
<<Logan, non ho voglia di discutere. Quindi, se non hai voglia di distrarmi un po' con i tuoi stupidi discorsi, allora puoi chiudere qui la chiamata>> il tono di voce che ho usato e che è uscito dalle mie labbra è risultato più scontroso di quanto lo volessi veramente. E me ne pento all'istante, quando sento il silenzio calare tra noi e un'improvvisa aria gelida aleggiare per tutto lo spazio che ci divide.
Una fitta al centro del petto, tale da farmi mordere la guancia e maledire la mia lingua troppo pizzuta.
Lui riprende, in maniera lenta, controllata, ancora composta: <<So perfettamente che dei miei discorsi non te ne importa nulla, ma lo faccio perché ti voglio bene e perché, come hai detto tu stesso, servono a farti distrarre. Ma se ti danno così fastidio, allora non dirò più nulla>> la freddezza e il distacco del suo tono mi fa raggelare il sangue nelle vene.
Tu, tu che sei sempre lì per me, non meriti tutto questo schifo che ti butto addosso. Non meriti nemmeno la mia merda, ma sono così egoista da non volerla portare da solo. Condividerlo con te mi permette di restare in piedi.
E vorrei potergliele dire quelle parole, ma in questo momento sono così preso da me che la parte più oscura del mio essere mi porta a fregarmene del dolore che gli posso aver causato con le mie parole, e così finisco col sospirare pesantemente e dando l'impressione di essere seccato.
<<Logan, lo sai che non volevo dire quello, ma se te la sei presa per così poco allora richiamami quando sarai meno suscettibile a quello che dico>>
Che stronzo che sei, trattare così il tuo migliore amico. Dovresti vergognarti di te stesso, farti schifo e fare un grande favore per lui: sparire dalla sua vita. Vivrebbe meglio e sicuramente più felice.
Cerco di ignorare quella voce, ma debole come sono adesso non riesco a non darle ascolto. E finisco pure per sentire una dolorosa fitta al cuore, come se quelle parole fossero state pronunciate direttamente da Logan, il quale è riuscito a dire cose che io penso ma che non ho mai avuto il coraggio di dirgli per il mio essere egoista e dipendente dalla sua quiete.
E se devi andarte dalla mia vita, fallo velocemente perché non potrei sopportare l'idea di vederti scivolare via dalle mie dita lentamente. Infliggimi un colpo veloce, violento e poi sparisci. Non preoccuparti nemmeno della ferita che mi lascerai perché questa volta, ti prometto, sarò capace di curarla da solo, senza di te.
Dopo minuti di silenzio torna a parlare con voce incrinata: <<Posso essere sincero con te, Dylan?>> non rispondo nemmeno, perché continua comunque <<Hai voglia di distruggerti? Allontanare le persone perché credi di essere un peso per loro? Bene, fallo. Ma sappi che io ci sarò comunque qui per te, non me ne vado e non ho intenzione di farlo>>
Oh, Logan, io non merito questo da te...
<<Sono capace di sopportare tonnellate di dolore, solo per te. Ma ti prego, non essere tu la causa del mio dolore. Abbi un po' di pietà, almeno per me>>
Anche se non riesco a vederlo, sono sicuro che gli sia scivolata una lacrima lunga la guancia.
Alle sue parole non so che rispondere, ma riescono ad accendere una fiaccola di speranza. Logan è qui per me e lo sarà sempre. Lui non vuole abbandonarmi e io non devo lasciare che lo faccia.
E così prendo la decisione che più mi sembra giusta in questo momento così delicato per me. Chiudo la chiamata e mi preparo per raggiungerlo. Qualche minuto dopo sono già in macchina, diretto verso casa sua e una volta arrivato lì, raggiungo il portone a grandi falcate e comincio a suonare il campanello insistentemente, nonostante l'ora tarda.
Qualche minuto dopo il portone si apre mentre io faccio avanti e indietro per l'agitazione. Mi volto di scatto e lo trovo sulla soglia, nascosto per metà dietro al portone e vestito di una semplice tuta e un plaid sopra le spalle, segno che voleva nascondersi sotto di esso mentre era sdraiato sul suo letto. E' solito farlo quando il mondo è troppo duro con lui e, in qualche modo, vuole proteggersi da esso con un semplice pezzo di stoffa. Lo faceva sempre da piccolo e quando accadeva, io restavo accanto a lui e cercavo di farlo uscire in tutti i modi: invitarlo a giocare fuori, a giocare con i giochi che avevamo in comune, ma si rinchiudeva nel suo silenzio ed io restavo al suo fianco finché non si sarebbe stancato. E quando ero io a perdere la pazienza con lui, prendevo una grande rincorsa e mi tuffavo sul suo corpo, finendo entrambi col ridere fino alle lacrime.
Lo raggiungo velocemente e mi fiondo tra le sue braccia, stringendolo forte e continuando a sussurrare: <<Mi dispiace, mi dispiace... Perdonami, ti prego>>
Seppur in un primo momento ogni muscolo del suo corpo è irrigidito, dopo qualche secondo si lascia andare e ricambia la mia stretta in maniera più decisa.
Nessuno dei due aggiunge altro per molti minuti, finché è lui a spezzare il suono dei nostri respiri pesanti: <<Passi qui la notte?>>
<<Se non ti do fastidio>>
<<Mai, Dyl, non disturbi mai tu>>
Una volta nella sua stanza, anch'essa immersa nel buio totale, si sdrai prima lui sotto al lenzuolo ed io lo seguo a ruota. E poi, la domanda che più temevo mi avrebbe fatto: <<Posso controllarti le braccia, Dyl?>>
Mi irrigidisco all'istante e notando immediatamente il mio silenzio, si affretta a rassicurarmi: <<Per questa sera ti risparmio il sermone, te lo prometto, ma fammi controllare per favore>>
<<Perché vuoi farlo?>>
<<Tu mi vuoi bene?>> ribatte, cambiando totalmente discorso.
Io arriccio il naso: <<Certo, ma perché me lo chiedi?>>
<<Allora fammi vedere le braccia>>
Vorrei non doverlo fare, ma lui è sempre stato l'unico che le abbia viste veramente. E sentendo di potermi fidare, mi volto verso di lui. Poso lo sguardo sulle maniche lunghe, le quali vengono tirate su, con estrema lentezza, dalle mie dita qualche secondo dopo mentre ingoio a fatica.
Logan allunga un braccio verso il comodino alla mie spalle per poter prendere in mano il telefono e puntare la torcia sulle mie braccia, che nel frattempo ho tirato fuori da sotto il lenzuolo. Nervoso come tanti anni fa, decido di non guardare la sua espressione mentre esamina gli avambracci segnati dal dolore.
Capisco che li sta analizzando attentamente dal tempo che scorre inesorabile e dal suo delicato tocco sopra alle cicatrici riaperte, quelle rimarginate e le ferite inferte da poche ore. Tremo sotto al suo sfioro e inizio a maledirmi dentro la mia testa.
Sei patetico.
A stento trattengo le lacrime, ma mi costringo a cacciarle indietro.
<<Guardami, Dyl>> esordisce dopo un po' ed io lo faccio senza pensarci. Davanti mi ritrovo il suo sguardo deluso e dispiaciuto al tempo stesso, messo in evidenza dalle ombre create dalla torcia del telefono.
Ora capisco il senso della domanda di prima. Il nostro legame di amicizia ci permette di comunicare senza che le nostre bocche fiatino e tu, adesso, mi stai parlando con i tuoi occhi cristallini esprimendo tutta la tua delusione nei miei confronti per via della mia ricaduta.
Sto per parlare, ma mi blocca all'istante: <<Non c'è bisogno che mi prometti che non lo farai più, so che non è vero>>
Una nota di imbarazzo mi colora le guance, come un bambino che viene scoperto a rubare le caramelle.
<<L'hai già detto alla tua psicologa?>> mi chiede ancora, spegnendo la torcia e posando il telefono. Ritorna sotto al lenzuolo mentre io mi abbasso le maniche e, dopo aver sistemato il cuscino sotto alla mia testa, mi rilasso lì sopra.
<<Non ancora e non so nemmeno se voglio dirglielo. Ultimamente non mi va che gli altri sappiano come sto davvero, solo tu puoi saperlo>> confesso come poche volte nella vita mi è capitato di fare. Ma Logan, oltre ad essere la persona che più conosco e mio migliore amico, è quel tipo di persona che non giudica mai nessuno e cerca sempre di mettersi nei panni degli altri per dare i migliori consigli. E' un bravo ascoltatore e questo mi porta sempre e inevitabilmente a confidarmi con molta più tranquillità rispetto a tante altre persone. Ad aiutarmi, è anche il fatto di mostrargli le spalle.
Una risatina esce dalle sue labbra: <<Mi fa piacere sapere che io sia l'unico ad avere questo privilegio, ma alcune persone meritano di saperlo, tipo la tua psicologa, tipo... Bianca>>
<<Lei non deve saperlo, Lo>> stringo la presa sul cuscino, guardando fisso davanti a me.
<<Perché Dyl?>>
Al centro dello stomaco si apre un'enorme voragine, tanto che sento i sintomi della nausea farsi sempre più prepotenti, quasi insopportabili. Cerco di trattenere di nuovo le lacrime e stavolta con molta più difficoltà.
Ecco che il dolore torna a farsi sentire, sempre pronto a rivendicare il suo posto al mio interno e per l'ennesima volta esco sconfitto dalla battaglia tra me e lui.
Il senso di nausea mi impedisce di restare ancora sdraiato sul suo letto e sono costretto a correre in direzione del bagno, spalancando la porta una volta là davanti. Cado in ginocchio davanti alla tazza mentre il rumore dei passi di Logan mi raggiungono, scanditi dai piedi nudi contro il parquet. Mi regge la testa per la fronte quando inizio a riversare quel poco che sono riuscito ad ingerire.
Dopo essermi ripreso, mi prendo qualche altro minuto prima di mettermi seduto con le spalle contro al muro e i gomiti poggiati sulle ginocchia piegate. Osservo il pezzo di carta che Logan mi ha passato per asciugarmi la bocca e lo rigiro tra le dita, mentre la vista si annebbia leggermente.
Ingoio a fatica: <<Perché si arrabbierebbe, soffrirebbe e potrei perderla. E io non voglio e non posso perderla. Le ho promesso che mi sarei preso cura di lei ed io devo farlo>> chiudo gli occhi mentre una lacrima sfugge al mio controllo. La voce mi trema e inizio a tirare su col naso mentre finisco col posare la fronte sulle ginocchia.
I passi lenti di Logan riprendono a muoversi e lo portano a sedersi sulla tazza, poi la sua mano si posa delicatamente sulla mia spalla, che prende ad accarezzare con estrema delicatezza, come avesse paura di spezzarmi ancor di più: <<Bianca sapeva benissimo a cosa andava incontro quando ha scelto te. Pensi davvero che potresti perderla così facilmente?>>
Una luce di speranza riesco ad intravedere in mezzo al buio di questo tunnel.
Logan riprende: <<Lei ha bisogno di te quanto tu ne hai di lei. Entrambi siete il sostegno dell'altro, la spalla su cui piangere, la mano da stringere quando avete paura e il braccio da afferrare se sentite di star cadendo. Voi avete la capacità di salvarvi a vicenda e sono certo che entrambi, egoisticamente, sceglierete sempre l'altro al posto di voi stessi perché voi siete anche parte dell'altro>>
Le parole di Logan, confortanti e rassicuranti come un ritorno a casa dopo una lunga giornata fuori. Decido di crederci a quelle parole e dopo essermi spostato per poter poggiare la testa sulle gambe di Logan, soffio: <<Grazie Lo, grazie di esserci sempre>>
Lui non risponde, ma sono sicuro che sta sorridendo mentre la sua mano continua ad accarezzarmi i capelli.
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