18. Luce in fondo al tunnel

<<La prossima volta che passi una notte fuori e dici di dormire da me, almeno avvisami>> mi rimprovera Matt, mentre beve quasi tutto d'un fiato il suo cappuccino gettando indietro la testa. Io, a differenza del mio migliore amico, preferisco gustare il mio cornetto alla marmellata di albicocche ed è per questo che gli ho dato ancora solo qualche morso.

Alzo gli occhi al cielo mentre ripenso alla notte passata con Dylan. Solo noi in quella spiaggia, rimasti svegli fino a notte tarda per raccontare di noi, degli aneddoti della nostra vita e ridere delle brutte figure fatte in pubblico. E ci siamo addormentati così, stretti tra le braccia dell'altro e con le labbra tirate in un sorriso che ancora sapeva di noi.

Sorrido mentre porto la mia colazione alla bocca, ma la suoneria del telefono mi avvisa che è arrivato un messaggio. Mi volto velocemente mentre allungo una mano verso il telefono che giace sul marciapiede dalle mattonelle grigie e che conduce verso le nostre case, un po' più distanti.

Inizio a sorridere quando leggo il nome di Dylan sul display: "Scusa piccola, ma oggi non possiamo vederci. Ti prometto che tornerò a prenderti" e un cuore rosso alla fine.

La nostra promessa.

Il sorriso si allarga. Poso il telefono sul marciapiede e quando mi volto mi ritrovo gli occhi di Matt puntati addosso, accompagnati da un sorriso malizioso e un sopracciglio alzato: <<Era il tuo lui?>> dice ammiccante.

Divento subito paonazza in volto mentre gli do una spallata: <<Sì e mi ha detto che oggi non possiamo vederci. Quindi, per tua sfortuna, sarai costretto a passare la nostra giornata libera con me>> dico scherzosamente, ma il suo sorriso si spegne all'istante e inizia a fissare le sue dita giocherellare tra loro, vestendosi di quello stupido imbarazzo che non gli dona per niente.

E adesso che succede? Qual è la brutta notizia?

Torno seria: <<Che c'è Matt? Ho detto qualcosa di sbagliato?>>

Si riscuote dal suo improvviso silenzio e inizia a gesticolare con le mani: <<No, no, tu non hai fatto nulla. E' solo che oggi sono un po' occupato>> dice guardandomi negli occhi, prima che il suo sguardo viene attirato da qualcos'altro oltre le mie spalle.

Si morde la guancia mentre io mi volto verso la persona in questione. Sophia. Se ne sta con i piedi piantati per terra a qualche metro di distanza da noi, passando il peso da una gamba all'altra a disagio. Si stringe nella sua giacca a quadretti verdi, incassando la testa nel collo per ripararsi da una folata di vento mentre in mano regge un bicchiere di Starbucks ancora fumante.

Non si avvicina nemmeno per salutare e di tanto in tanto stacca gli occhi dai passanti o dagli alberi mossi dal vento per guardare la mia figura e quella di Matt seduti sul marciapiede.

Crack. Cos'era quello? Il tuo cuore che si spezzava, Bianca e la consapevolezza che la nostra amicizia è finita per colpa tua.

Punto lo sguardo sul mio cornetto. Improvvisamente non ho più fame.

La voce di Matt spezza il silenzio: <<Scusami tanto, Bianca>> sussurra. Alzo di scatto la testa e mi volto a guardarlo. La sua solita allegria è svanita del tutto, lasciando posto a delle labbra imbronciate e un flebile sussurro al posto della voce.

Intervengo subito: <<Ma cosa hai capito, Matt? Non sono arrabbiata perché mi lasci da sola>> i suoi occhi da cucciolo si spostano su di me. Riprendo: <<Ok, forse sì perché mi costringi a stare in compagnia di Diana, ma non è questo il punto -torna a sorridere, scuotendo leggermente la testa- Sono triste perché Sofy è ancora così arrabbiata e delusa che non riesce nemmeno ad avvicinarsi per salutarmi. Mi si è spezzato il cuore e mi manca>> ammetto, poi il silenzio invade ogni spazio ma non elude la confusione che sento dentro la mia testa.

La sua mano gentile si posa sulla mia spalla: <<Vedrai che prima o poi riuscirà a perdonarti. Dalle tempo, è l'unica cosa che le serve in questo momento ma non arrenderti con lei>> dice dolcemente, regalandomi poi un suo meraviglioso sorriso. Ricambio.

Poi, con colpo di reni si alza in piedi e io lo seguo con lo sguardo mentre si stiracchia un po' prima di voltarsi verso Sofy e farle un gesto con la mano per avvisarla che arriva subito.

<<Recupereremo il tempo perduto quando sarà il tuo compleanno>> mi fa l'occhiolino mentre mi colpisce delicatamente lo stinco con la punta delle sue scarpe.

<<Oddio, il mio compleanno! Me ne ero quasi dimenticata. Passo così tanto tempo con Dyl che perdo persino la cognizione del tempo>> rido tra me e me mentre passo una mano sulla fronte.

Da quando mio padre ha deciso di cambiare vita non ho amato molto il mio compleanno, perché era sempre lui a renderlo un giorno davvero speciale. E sapere che da quel momento in poi non avrei passato un compleanno memorabile, ho preferito evitare di ricordarmene per soffrire di meno e far sì che i ricordi rimangano lì dove sono. Custoditi in una parte della memoria che mi sono imposta di rendere poco accessibile.

La risata di Matt che fa eco tra la strada ancora vuota di persone ma già piena dei raggi timidi del Sole. Quando il suo petto smette di venir sconquassato dalle risate, posa entrambe le mani sui fianchi e risponde: <<Ti sei proprio fottuta il cervello, cara socia. Spero di non finire come te, sarebbe un po' imbarazzante perché ho una reputazione da "cuore di ghiaccio" da mantenere>>

<<Sei uno stronzo>> gli confesso con un gran sorriso stampato sul volto. Strizzo gli occhi per riuscire a vedere bene la sua figura slanciata, vestita di una maglietta bianca con una scritta al centro, una giacca a strisce bianche e azzurrine e dei pantaloncini risvoltati sulle ginocchia. Dietro di lui, i raggi del Sole filtrano tra i rami dell'albero e lo illuminano, come fosse un angelo sceso sulla Terra.

Già, il mio angelo custode.

<<Quindi che farai questo pomeriggio?>> mi domanda una volta tornato serio.

<<Probabilmente inizierò il progetto con Diana>>

Strabuzza gli occhi alle mie parole: <<Non avete ancora iniziato?>>

<<Diana è strana in questo periodo. Deve star passando qualcosa che la scombussola molto, per questo suo padre è così comprensivo con lei>>

<<E tu vuoi scoprirlo, non è così?>> mi chiede, tornando ad alzare il sopracciglio e incrociando le braccia al petto.

<<Cosa te lo fa pensare?>> dico ammiccante mentre do un altro morso al cornetto che reggo ancora in mano.

<<Primo, perché ti conosco e, secondo, perché conosco quella faccia e sta esplicitamente dicendo che non vede l'ora di farsi gli affari degli altri>> conclude sventolando davanti al mio volto le due dita alzate che ha utilizzato per tenere il conto di ciò che elencava.

Rido mentre cerco di allontanare le sua mano, invano.

Torna in posizione eretta e alza un braccio per posare lo sguardo sull'orologio da polso: <<Resterei ma devo andare. Quei tizi dell'Aquarium of the Pacific sono davvero puntuali, potrebbero non farci entrare se arriviamo con un secondo di ritardo>> dice scherzosamente. Ma quando nota che sorrido solo in modo tirato, torna serio. Si schiarisce la voce mentre si sistema il cappellino nero con la visiera: <<Allora vado, ci sentiamo questa sera>>

<<Ci sentiamo, socio>> lo saluto con il gesto militare mentre lui si volta e si incammina verso Sofy, la quale prende a sorridere vedendolo finalmente lontano da me.

Ci scambiamo uno sguardo, così breve che faccio l'unica cosa che più viene naturale: alzare una mano e sventolarla nell'aria. Lei osserva il mio saluto, il sorriso le si spegne all'istante. Continua a osservarmi mentre io mi rendo conto di star iniziando a contare i secondi che passano dal suo saluto ricambiato.

Uno, due, tre.

Hai due scelte davanti a te: ricambiare il gesto o non farlo. E se lo farai, allora significa che insieme possiamo raccogliere i pezzi rotti della nostra amicizia e ricomporli con molta pazienza.

Quattro, cinque, sei. Matt sta per arrivare da lei, qualche metro e non potrà più tornare indietro. Mi mordo la guancia.

Andiamo, ti prego, alza la mano e salutami.

Sette, otto, nove, dieci. Matt è arrivato, riporta l'attenzione su di lui e un sorriso fa capolino tra le sue guance rosse. Si salutano con un bacio a stampo, poi Matt le circonda le spalle con un braccio e insieme si allontanano. Si volta e mi lancia un'altra occhiata da sopra la spalla, sembra non sapere bene cosa fare.

Ci spero, fino all'ultimo, finché si volta definitivamente e inizia a ridere per qualcosa di stupido che le avrà dett Matt. Non mi ha salutata.

Forse non sei ancora pronta a fare quel passo. Ma come dice Matt, farò finta di nulla del dolore che ho sentito e continuerò a provarci. Non mi arrenderò con te, te lo prometto.

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Una volta seduta a tavola per consumare la cena, non faccio altro che pensare a ciò che ci siamo detti con Matt. Diana. Cos'è quella cosa che l'ha resa una persona diversa in questi ultimi giorni? Voglio scoprirlo. Così, dopo aver osservato per un tempo indefinito il posto vuoto di fronte a me, mi allontano dal tavolo con una scusa banalissima.

L'atmosfera che mi lascio alle spalle è diversa da quella di molto tempo fa. E' fatta di risate, argomenti diversi e condivisi tra Alex e Richard e sorrisi a trentadue denti di mia madre, a differenza di quei silenzi assordanti di molti mesi fa.

E' bello vederci di nuovo felici dopo molto tempo.

In una manciata di secondi sono già al piano superiore, in mezzo al corridoio buio e davanti alla porta in legno bianco. Busso prima di aprire delicatamente la porta cigolante. La stanza è sommersa dall'oscurità, neanche un raggio di Luna filtra dalla finestra.

Dopo aver chiuso la porta alle mie spalle, mi avvio in direzione del mio letto, sperando ad ogni passo che faccio che non vada a sbattere contro qualcosa. E quando sto per esultare di essere arrivata al mio comodino sana e salva, ecco che vado a sbattere forte la mano contro il legno. Impreco silenziosamente, poi accendo la lampada con un po' troppa violenza. Solo allora mi volto e trovo il corpo di Diana avvolto completamente dalle coperte, rivolto verso la finestra.

So che non sta dormendo perché ho sentito un pianto strozzato provenire da qua dentro prima che entrassi. E una volta dentro, è sparito.

Mi fa ancora strano vedere queste due facce totalmente diverse tra loro: una stronza, menefreghista e senza scrupoli, e l'altra debole, gentile, addolorata. Non so a quale credere di più.

Mi siedo sul materasso, il quale mi accoglie modellandosi sotto al mio peso, poi mi rilasso con la schiena contro la testiera del letto e punto lo sguardo sulla sua figura mentre cerco le parole giuste da poter dire.

Mi mordo il labbro inferiore: <<So che non stai dormendo, ti ho sentita poco fa>> silenzio. Continuo: <<E' strano ammetterlo, ma questa è anche la tua stanza quindi se vuoi continuare a piangere puoi anche farlo. Non ti giudico, sta tranquilla>>

Passa qualche secondo prima che si volti di scatto verso di me, rivelando il suo volto stremato dal pianto: le guance rigate dalle lacrime, gli occhi rossi e acquosi mentre le labbra sono gonfie.

<<Si può sapere cosa vuoi da me?! E' così difficile capire che voglio stare da sola?!>> grida col tono intriso completamente dalla rabbia.

Sobbalzo per via della violenza con la quale si schiantano le sue parole acide contro le mie orecchie. L'unica scelta giusta da prendere sia quella di non continuare oltre questa discussione e lasciarla da sola col suo dolore: <<Scusami, non volevo darti fastidio>>

Mi cambio il più velocemente possibile, così da infilarmi sotto le coperte e riempire quel silenzio imbarazzante. E mentre la mia mano sta spegnendo la luce, il tarlo che si è insinuato nella mia testa non smette di gridarmi di scoprire cosa turba quella ragazza tanto sgarbata con me.

Continuo a domandarmi del perché si comporti così solo con me, visto che mio fratello ha ripetuto più d'una volta di trovarsi davvero bene con lei. Ma la cosa che mi ha spezzato il cuore è stata una frase che ha detto: "Mi sembra di avere una seconda sorella". Non credevo alle mie orecchie. In quel momento ho desiderato non avere l'udito per non sentire quelle parole che mi hanno provato un vuoto allo stomaco e al petto.

E nonostante la notte passata, al mio risveglio sento ancora quella brutta sensazione aggrappata all'organo pulsante e infiltrata nei polmoni, tanto che mi viene quasi difficile respirare.

Quanto vorrei che Dyl fosse qui per rifugiarmi tra le sue braccia protettive e lasciare fuori questo mondo ancora doloroso.

Cerco di non pensarci quando un'idea sfiora la mia mente dopo essere uscita dal bagno, fresca come una rosa grazie ad una lunga doccia. In piedi di fronte al mio letto, vestita solo del mio intimo con sopra una maglia di Dylan che ho preso in prestito, osservo la cabina armadio, la stessa che Diana ha svuotato dai miei vestiti per metterci i suoi.

Che stronza.

E' probabile che nasconda qualcosa dentro le tasche dei pantaloni o forse qualche frammento del suo passato nascosto nella parte più profonda di qualche borsa che non usa mai.

Provaci, cerca quel che ti interessa prima che lei arrivi e ti scopra. Non hai nulla da perdere.

A grandi falcate raggiungo la cabina armadio dalle ante di legno e le spalanco con irruenza prima che inizi la mia ricerca, rovistando nelle tasche dei jeans, tra le maglie posate negli scomparti o tra i vestiti abbandonati sul pavimento in completo disordine.

<<Bianca, che stai facendo dentro la mia cabina armadio?>> la sua voce arriva forte e chiara alle orecchie, cogliendomi con le mani nel sacco. Impreco a bassa voce contro me stessa per non essere stata attenta ai suoi passi.

Mi volto velocemente e lo sguardo assassino che mi dona non mi rincuora affatto. Con le braccia incrociate al petto, il volto distorto della rabbia e le gambe scoperte per metà dalla gonna nera che indossa, un piede batte impaziente sul pavimento mentre aspetta una spiegazione.

Pensa velocemente, inventa una scusa.

Faccio scorrere lo sguardo all'interno della camera ma non trovo nulla.

Qualsiasi cosa Bianca, andiamo o se ne accorgerà che menti!

Le mie labbra si muovono finalmente: <<Vorresti dire la "nostra" cabina armadio>>

Alza gli occhi al cielo mentre scuote leggermente la testa: <<Fa lo stesso. Questo non ti da il permesso di rovistare nella mia roba>> dice acida.

<<Sì, invece, visto che stavo cercando qualcosa>> avanzo di un passo, scavalcando una piccola montagna di vestiti che giacciono sul pavimento. Cerco di sembrare il più sicura di me, incrociando anch'io le braccia al petto e indossando un'espressione corrucciata.

Ci scambiamo degli sguardi per non so quanto tempo, finché le sue labbra tinte da un lucidalabbra rosellino riprendono a parlare: <<Sbrigati, mio padre ha fissato per oggi l'incontro con il gruppo di sostegno. Siamo in ritardo>> dice alla fine per poi voltarsi e allontanarsi dalla stanza a passo sostenuto.

Butto fuori tutta l'aria che avevo accumulato nei polmoni. Per stavolta l'ho scampata.

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L'auto rallenta la sua corsa, così come il vento lentamente diventa sempre meno impetuoso nello schiantarsi contro la mia pelle chiara mentre la musica rilassante si diffonde per tutto l'abitacolo. Alex ferma la macchina tra due strisce bianche disegnate sull'asfalto colpito dai raggi pomeridiani del Sole di questo grande spazio utilizzato come parcheggio, qualche metro più lontano della struttura simile ad un ospedale e dalle mura grigie.

Spero che l'accoglienza sia migliore dell'aspetto del palazzo alto qualche metro.

Alex spegne l'auto con un giro di chiavi prima di rilassarsi sullo schienale del sedile: <<So già a cosa stai pensando sorellina e la risposta è no. Richard dice che le persone che ci lavorano sono gente super professionale>>

Poso lo sguardo sulla figura di mio fratello che adesso guarda oltre il finestrino. Poi si volta verso di me e sorride. I suoi occhi verdi si illuminano mentre il ciuffo di capelli castani viene spostato da una folata di vento entrata dal finestrino semi aperto.

Gli sorrido.

Siamo ancora capaci di intenderci senza che troppe parole escano dalla nostra bocca. Forse siamo ancora noi, forse nel tuo cuore esisterò sempre e solo io come sorella.

<<Avanti sbrighiamoci, non ho voglia di passare troppo tempo chiusa in una gabbia di scapestrati>> commenta Diana con voce annoiata mentre esce dalla macchina.

La seguo senza pensarci troppo dopo aver salutato mio fratello. La raggiungo con una piccola corsetta, ma cammina così veloce che anche dopo averla affiancata ho difficoltà a starle dietro.

<<La battuta che hai fatto era davvero infelice>> le faccio notare con un certo disappunto, ma lei mi ignora e aumenta il passo tenendo le mani sprofondate nella tasche del giubbotto di pelle. A testa alta e con una chewingum alla menta dentro alla bocca, raggiunge la porta di vetro scorrevole e varca la soglia senza di me.

Sospiro pesantemente. Sarà un lungo pomeriggio questo.

Una volta dentro anch'io, rimango stupita nel vederla all'impiedi nella hall, davanti al bancone bianco lucido e con su una scritta dai caratteri rossi, a guardarsi intorno mentre mi aspetta. La raggiungo.

<<Grazie per avermi aspettata>>

Non mi guarda nemmeno, prestando attenzione alle pareti bianche sulle quali sono attaccate delle luci fredde e quadri contemporanei dai colori spenti: <<Non stavo aspettando te, ma la signora che ci deve accompagnare>>

Era ovvio. Pensavi davvero che stesse aspettando te? Che stupida che sono.

Stringo forte al petto il quaderno che ho portato con me mentre unisco forte le labbra tra loro. Mi allontano di qualche passo da lei per poi fare un giro su me stessa per poter osservare questo ingresso privo di anima. Il bianco delle pareti rende l'ambiente così impersonale che per un attimo mi sento fuori posto, come se non mi sentissi accolta.

L'aria è satura della puzza di alcol tanto che inizio a sentire lo stomaco ribaltarsi lentamente ma in modo costante. Una smorfia disgustata mi dipinge il volto. Decido così di distrarmi posando lo sguardo sul personale di questa struttura, i quali si distinguono proprio per via delle loro magliette bianche con su scritta una frase: "C'è sempre una luce in fondo al tunnel. Cercala e raggiungila".

Sorrido leggermente in modo istintivo. Poi, una signora formosa e di bassa statura si dirige nella nostra direzione con un gran sorrise.

<<Ecco la nostra guida. Sia ringraziato il cielo>> bofonchia Diana.

<<Smettila. Mostra un po' più di entusiasmo per favore>> la rimprovero piano mentre con un sorriso tirato sventolo lentamente una mano nella direzione della signora. Pochi secondi dopo è di fronte a noi.

<<Benvenute, voi dovete essere le ragazze del progetto scolastico>> dice in modo allegro, quasi disturbante e inusuale per un posto del genere. Annuisco.

Batte le mani solo dopo averle sfregate tra loro, facendo sobbalzare Diana che non stava prestando molta attenzione alla donna: <<Perfetto, io sono la signora Patel. Seguitemi, i ragazzi stanno già aspettando>> ci fa un occhiolino prima di voltarsi e farci segno di seguirla.

Imbocchiamo un lungo e stretto corridoio prima di svoltare un angolo che sbocca in un'altra grande stanza piena di sedute sulle quali si trovano ragazzi dal volto distrutto con accanto un genitore che continua a riempirgli le orecchie di parole che non vogliono sentire.

Un brivido mi percorre la schiena. Aumento il passo quando mi accorgo di essere rimasta un po' indietro. Varchiamo la soglia di una porta che ci conduce in un altro corridoio più illuminato fino a fermarci davanti ad una porta di legno chiaro a due ante.

Sto per parlare con l'intento di ringraziare la signora Patel, ma quest'ultima si gira lentamente e ci guarda con uno sguardo diverso da quello di prima, più serio. Porta l'unica ciocca di capelli castani lasciata fuori dalla coda super ordinata prima di aprire bocca: <<Qualcuno di questi ragazzi non ripone quasi nessuna speranza in questi incontri. Pensano di non aver bisogno di aiuto e che queste persone vogliono solo fargli del male. Anche solo un'occhiata potrebbe essere interpretata male da loro>> gli occhi, oltre le lenti degli occhiali, diventano così piccoli che non si riescono più a notare le sfumature del loro colore.

<<Oh, nessun problema signora Patel. Grazie per averci avvisate, faremo di tutto per non far accadere nulla>>

Alle mie parole, sembra tranquillizzarsi un po', poi prende un bel respiro e spalanca le porte, mostrandoci così il cerchio di sedie azzurre di plastica occupate da diversi ragazzi. Alcuni sembrano in condizioni peggiori di altri, alcuni ci sorridono debolmente mentre ci avviamo al centro del cerchio mentre altri ci lanciano delle occhiate assassine.

La signora Patel ci presenta prima che ognuno dei ragazzi cominci a raccontare i miglioramenti della settimana mentre ad altri viene chiesto di raccontare la loro storia visto che questo è il loro primo incontro.

Diana, seduta accanto a me con le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto, non presta molta attenzione alle loro parole mentre a me spetta tutto il lavoro. Velocemente scrivo degli appunti e miei pensieri sul quaderno che saranno sicuramente utili per l'elaborato finale che dovremo consegnare.

La situazione cambia improvvisamente quando l'altra ragazza, più giovane della signora Patel, dai capelli biondi raccolti in uno chignon ordinato, gli occhi azzurri come il cielo e il corpo esile domanda ad una ragazza nuova di condividere con noi la sua storia.

Infatti, quando la ragazza dai lunghi capelli neri e dai grandi occhi castano scuro tanto da sembrare del medesimo colori della chioma inizia a raccontare la sua storia commovente, Diana si sistema sulla sedia a aguzza l'orecchio per non perdersi nessun particolare della storia.

La ragazza, seppur con qualche difficoltà, riesce a raccontarci di come abbia sfogato il suo dolore nella droga dopo che sua madre è morta a causa di una malattia rara. Suo padre, invece, non riuscendo a sopportare la sua morte, ha deciso di togliersi la vita proprio davanti agli occhi della figlia che l'ha ritrovato sul lampadario del salotto.

Nonostante non la conosca, la sua storia mi tocca nel profondo tanto che sento un vuoto al centro del petto e delle lacrime minacciano di uscire copiose.

Continuava a tremare, la voce le si è spezzata più volte mentre raccontava finché Diana ha fatto un gesto che mai mi sarei aspettata: ha allungato la mano verso la ragazza che, dopo averla guardata attentamente con sguardo provato dall'uso di droga, la afferra in una presa ferrea.

Diana sorride in modo sincero ed è allora che una lampadina invisibile si illumina sopra la mia testa. Scrivo frettolosamente sul retro del mio quadernetto: "Sua madre. A Diana manca sua madre".

Sottolineo l'ultima parola per tenerla bene a mente. 

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