14. Resta con me, ti prego
⚠AVVISO⚠
Questo capitolo contiene tematiche abbastanza delicate, quindi è consigliata la lettura ad un pubblico consapevole.
Inoltre vi chiedo di non giudicare il modo in cui viene affrontata la tematica, ma di analizzare il perché delle azioni e dei dialoghi dei personaggi. Più avanti capirete anche di più ovviamente. Grazie per aver letto. Come sempre fatemi sapere che ne pensate con una stellina o un commento.
Buona lettura.
(ps. la parte in cui troverete L'ASTERISCO (*) si tratta di un FLASHBACK)
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Dylan
Se avessi potuto, avrei evitato.
Se fossi stato meno orgoglioso le avrei chiesto aiuto perché so che lei può offrirmelo.
Se fossi stato meno incasinato, a quest'ora la starei rendendo la ragazza più felice del mondo. Ma non posso permettermelo, se farla soffrire significa tenerla al sicuro da tutta la merda che mi circonda, allora mi accontento di questo.
Non c'è niente e nessuno che è in grado di tirarmi fuori da questo mare in tempesta che è la mia anima...
Sapevo sarebbe andata a finire così, perché ogni volta che accadono cose del genere nella mia vita, so già di voler tagliare i rapporti con tutti solo per la consapevolezza che starebbero meglio se non dovessero pensare a risolvere anche i miei problemi.
E lo avevo capito da quel messaggio mandato da mia madre in cui mi chiedeva disperatamente aiuto. Lei non lo l'ha mai fatto da quando il nostro rapporto si era così incrinato da diventare irrecuperabile, allora ho intuito che c'entrasse mia sorella. Sapeva che solo così sarebbe riuscita ad attirare la mia attenzione.
Da quelle semplici parole ho percepito la paura di mia sorella scorrere nelle sue vene fino a mozzarle il respiro, ho percepito la paura di mia madre nel perdere sua figlia per mano di quell'uomo che si ostinava a tenere al suo fianco, pensando che potesse essere la soluzione ai nostri problemi. Il vero problema, invece, era proprio lui.
Ho capito subito che la situazione fosse tanto grave da non potermi trattenere ancora a lungo lontano dalla mia famiglia. Allora ho dovuto lasciare Bianca con mille domande ronzanti per la testa e dentro ai nostri petti la paura di poterci perdere veramente stavolta.
E forse è questo il nostro addio, amore mio...
Le pulsazioni alle stelle, lo stomaco in subbuglio e la fronte imperlata di sudore erano solo un avvertimento di quello che stavo per scoprire nel salotto di casa mia.
In quel momento ho smesso di respirare, le mani hanno iniziato a tremare e il cuore non smetteva di battere alla velocità della luce mentre la paura si avvinghiava alle caviglie e si espandeva per tutto il mio corpo fino ad arrivare al centro del petto e colpire sempre più forte, sempre più a fondo.
Mia madre era inginocchiata a terra e singhiozzava silenziosamente mentre tra le braccia reggeva il corpo inerme e ferito di mia sorella. Non si muoveva, non sembrava nemmeno respirare.
Tutto in quel momento ha perso dinamicità, riducendosi solo ad uno stupido slow motion che mi rendeva sempre più consapevole della scena a cui stavo assistendo, secondo dopo secondo.
Resisti Ash, tuo fratello è qui per te. Adesso sei al sicuro.
Con le gambe molli, ho deciso comunque di avvicinarmi al loro groviglio di corpi: la testa di mia sorella giaceva sulle ginocchia di mia madre mentre quest'ultima la cullava dolcemente e le lacrime bagnavano le guance pallide della ragazza.
Ancora qualche passo e non potrai più tornare indietro, Dylan. Sei pronto a rivirere questa scena? Ricordi ancora il dolore lancinante che ti divideva in due?
Ho cercato di scacciare via quei pensieri e trovare il coraggio di avvicinarmi ancora un po' per poter constatare le condizioni fisiche di mia sorella.
Tu devi stare bene Ash, fallo per il tuo fratellino. Ti prego, non puoi lasciarmi solo.
Alla fine sono arrivato là davanti e solo in quel momento ho notato il volto tumefatto di mia sorella, una scia di sangue le sporcava quel lembo di pelle che intercorre tra il naso e le labbra carnose e gli occhi erano ancora aperti e gettati totalmente all'indietro. Era svenuta ma il suo cuore batteva ancora.
Lei era ancora lì con me.
Le gambe non sono riuscite a reggere più il peso del mio corpo e hanno lasciato che cadessi pesantemente sulle ginocchia. In una mossa veloce, poi, ho strappato mia sorella dalle braccia di mia madre e ho cominciato a stringerla forte, ad accarezzarle il viso e sussurrarle all'orecchio che tutto sarebbe andato per il meglio.
La mia voce tremava così come le mie mani e le lacrime minacciavano di uscire. In quel momento ho persino messo da parte il mio rancore nei confronti di mia madre e le ho ordinato di portarla al pronto soccorso.
Dovevo salvarla e per farlo avevo bisogno di tutta la forza che sapevo di possedere nella parte più profonda di me, come una riserva da utilizzare in un momento di bisogno. E quel momento era già arrivato. Così l'ho presa in braccio e l'ho trasportata velocemente fino all'auto di mia madre per poi depositarla sui sedili posteriori, mentre delle paroli rassicuranti uscivano dalle mie labbra.
Piano piano, un sentimento diverso ha cominciato a bruciare dentro allo stomaco tanto da farmi serrare la mascella, corrucciare la fronte e stringere i pugni così forte da far diventare le nocche bianche: era rabbia.
Sapevo di doverla vendicare, che tutto ciò che meritava quel bastardo erano dei forti pugni in faccia fino a vederlo sanguinare e implorare pietà. Ero pronto a farlo ma nel momento in cui a grandi falcate mi stavo dirigendo verso la mia auto per poter raggiungere quell'uomo, la mano di mia madre ha afferrato il mio braccio e mi ha costretto a fermarmi.
Il suo volto indossava una smorfia di supplica mentre mi sussurrava a corto di fiato: <<Non farlo, ti prego>>.
A lei non importava se quel mostro aveva picchiato fino allo sfinimento sua figlia, lei era sempre pronta a difenderlo e il suo essere codarda la portava persino a supplicarmi di non andare da lui e ridurlo allo stesso modo.
Così mi sono avvicinato al suo volto come non facevo da tempo, i miei occhi chiari contri i suoi castani e il suo profumo si era schiantato con prepotenza contro le mie narici, riportando a galla il ricordo di quei giorni in cui consideravo quel profumo "casa".
<<Hai davvero il coraggio di supplicarmi dopo che quel mostro ha ridotto tua figlia in quel modo?>> le ho detto a denti stretti, mentre con un dito indicavo la figura di mia sorella.
Mia madre ha continuato a guardarmi fisso negli occhi mentre sulle sue guance continuavano a colare copiose delle lacrime che dietro di loro portavano con sé quel trucco utilizzato come maschera.
<<Guardami negli occhi e dimmi che hai davvero il coraggio di rivivere la stessa scena di qualche anno fa. Anche questa volta rimarrai ferma a guardare, proprio come hai fatto con me?>> ho continuato.
E non ho provato un minimo di pietà nel sputarle addosso quelle parole piene di odio, dolore e farle ricordare ciò di cui dice di pentirsi ogni giorno.
E non mi ha fatto pena vederla scossa da singhiozzi, gli occhi serrati e le labbra incurvate all'ingiù, mentre altre lacrime cominciavano a bagnarle la maglietta blu come la notte. Per non darmi la soddisfazione di vederla così debole davanti ai miei occhi ha infine abbassato il volto e serrato i pugni lungo i fianchi.
Io spero davvero che ti maledica ogni giorno per non aver fermato quel mostro mentre mi picchiava. Io spero davvero che tu sia fortemente dispiaciuta, ma mi dispiace dirti che dentro al mio cuore non c'è rimasto un solo posto per te.
Le lacrime hanno minacciato di uscire, mi hanno impedito di vedere chiaramente ciò che accadeva attorno a me ma io ho avuto la meglio su di loro e sono riuscito a tenere dentro tutte quelle emozioni che piano piano stavano aprendo una voragine al centro del petto.
Tu sei forte, trattieni tutto questo dentro di te e curati in silenzio solo in un secondo momento, lontano da tutti.
Con la voce tremante, le ho detto le ultime parole che avevo da dirle: <<Per una volta dopo tanto tempo, prenditi cura di uno dei tuoi figli>> poi mi sono allontanato velocemente.
Ma la sua voce rotta mi ha fermato subito, accompagnata da qualche passo scandito dai tacchi contro l'asfalto freddo: <<Ti prego Dylan, sai che può fare di peggio. Lo capisci questo, vero Sunny?>>
Mi sono bloccato immediatamente nel sentire quella parola e subito un brivido freddo ha attraversato tutta la spina dorsale fino ad arrivare sulle punte dei capelli. Quel nomignolo che mi avevano dato lei e mio padre quando ero solo un bambino, non aveva alcun valore adesso pronunciato dalle sue labbra.
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* <<Papà, papà>> corsi velocemente verso mio padre che si trovava nella stanza adibita alla musica. Al centro si trovava un grande pianoforte sotto al quale giaceva un tappeto bianco in finta pelle, le pareti decorate da ritratti dei più grandi musicisti delle storia e spartiti su cui lavorava sparsi per tutta la stanza. Lui era seduto sullo sgabello davanti al pianoforte, mentre cercava di comporre nuova musica da dedicare alla sua famiglia.
Il suo volto venne illuminato per metà dai raggi del sole che filtravano dalla finestra laddove le tende color panna non coprivano ancora il vetro sempre luccicante.
Si voltò verso di me con un sorriso a trentadue denti, lasciando perdere per un attimo i tasti su cui abilmente premevano sempre le sue dita lunghe e affusolate. E si allargò ancor di più quando mi vide quasi cadere per via del pavimento in marmo sempre lucidato a dovere dalla donna delle pulizie.
<<Ho scoperto che Spider Man non si chiama veramente così>> gli confessai mentre mi avvicinavo ancora di qualche passo a lui. Il sole mi scottò subito la pelle e solo in quel momento mi resi conto di star sudando. Era estate e non bastava avere le maniche corte, dei pantaloncini e dei sandali per non sentire caldo.
Scoppiò in una fragorosa risata che mi fece accigliare, ad essere onesti. Misi su il broncio e incrociai le braccia al petto, indignato mentre lui si piegava verso di me e mi diceva: <<E come si chiamava veramente?>>
<<Peter Parker>>
Mio padre continuò a ridere mentre mi sollevava da terra e mi faceva sedere sulle sue gambe. Mi guardò negli occhi dal colore uguale al mio, un grande sorriso ancora gli illuminava il viso e faceva venire fuori quelle rughette d'espressione.
<<Ci sei rimasto male, tesoro?>>mi chiese mentre con una mano gentile mi spostava la frangia sudata dalla fronte, permettendo alla mia pelle di prendere un po' d'aria.
<<Sì. Non si dicono le bugie, tu e la mamma me lo dite sempre. E allora perché tutti dicono una bugia? Quello non è il suo vero nome, devono chiamarlo come si chiama>> avevo davvero a cuore quella questione.
Quando ancora il mio unico problema di bambino era capire il perchè gli altri dicessero bugie...
<<Hai perfettamente ragione, ma quello è un nomignolo che Peter Parker si è dato da solo per non svelare la sua identità, capisci?>> arriciai il naso mentre i miei occhi vagano per la stanza alla ricerca del senso di quelle parole.
Mio padre rise di nuovo, poi continuò: <<Tu scriveresti mai il tuo nome alla fine di un bigliettino d'amore imbucato nell'armadietto della bambina che ti piace?>> scossi rigorosamente la testa <<Ecco, è per quello che i supereroi non voglio rivelare il loro nome, perché se no gli altri lo guarderebbero con ammirazione e loro non se ne fanno nulla di quello. A loro piace salvare gli altri e farli sentire al sicuro senza avere nulla in cambio>>
In quel momento tutto aveva preso un senso dentro la mia testa. Venimmo interrotti dai passi di mia madre, che sbucò poco dopo da dietro la porta col fiatone. Indossava un vestito smanicato e fiorato mentre i capelli erano raccolti in uno chignon ordinato. Impeccabile come sempre, nonostante la fronte imperlata di sudore e le guance rosse.
<<Dyl, tesoro, sei qui. Ti ho visto correre urlando e mi hai fatta spaventare>> disse con voce sollevata e ancora stanca per la corsa. Si avvicinò a noi tenendo la mano al centro del petto, come se potesse aiutare il suo cuore a rallentare. Stampò prima un bacio sulla mia fronte, poi uno sulle labbra di papà.
<<Ei Dyl, lo vuoi pure tu un nomignolo?>> mi chiese all'improvviso mio padre. Io annuii freneticamente.
<<Che ne dici tesoro -rivolgendosi a mia madre- di Sunny?>> mia madre prese a sorridere subito, mentre mio padre portava di nuovo l'attenzione su di me: <<A te piace, Dyl?>>
<<Io credo sia fantastico>> aggiunse mia madre prima che io rispondessi.
<<E' bellissimo papà!>> gridai con voce molto acuta prima di gettare le braccia al collo di mio padre e mia madre scoppiasse a ridere. Le nostre risate si mischiarono, creando la musica più bella che avessi mai ascoltato e che consideravo più bella di qualsiasi altra melodia avesse prodotto mio padre.
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In quel momento sono tornato coi piedi per terra scuotendo il capo freneticamente.
Maledetti ricordi.
Ho deciso di ignorarla e di continuare per la mia strada, mettendo fine a quella stupida discussione per concentrarmi sulla ricerca di quel cercando bastardo. Ho cercato in tutti i luoghi in cui di solito avrei potuto trovarlo, ma nulla, come se fosse sparito, volatilizzato.
Così non ho potuto far altro che andare all'ospedale da mia sorella che dopo ore si era finalmente svegliata. Era quasi irriconoscibile, ma i suoi occhi azzurri non avevano smesso di brillare e qualche ciocca di quella massa ingestibile di capelli neri le ricadeva in viso. Stava bene, un po' ammaccata, ma stava bene.
Abbiamo parlato un po', finchè non mi ha detto di sentirsi davvero stanca e allora ci siamo addormentati sul suo letto, stringendoci la mano. Pochi giorni dopo l'hanno dimessa ed è tornata a casa e da quel momento non mi ha lasciato da solo nemmeno per un secondo, come adesso.
<<Allora, parlami un po' di questa ragazza. Bianca, giusto?>> mi chiede, mentre sorseggia il suo amato tè. Distesa sul mio letto, le gambe lunghe e snelle dalla pelle diafana portate quasi vicino al petto e lasciate scoperte probabilmente per via dei riscaldamenti troppo alti. Voglio che lei stia bene.
<<Sì, si chiama Bianca e credo sia l'unica ad avermi strappato il cuore al primo sguardo>> dico sognante quando involontariamente prendo a sorridere, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia girevole della mia scrivania.
<<E' una cosa bella questa, lo sai?>>
<<Lo so, vorrei solo poter essere il ragazzo che si aspetta o che si merita>>
L'espressione di mia sorella si indurisce e le labbra, che portano ancora la ferita di un taglio, si fanno più pronunciate.
<<Cosa non hai tu che vorresti darle?>>
<<Semplicemente una vita normale, una mente libera da poter dedicare tutta a lei, un cuore privo di così tante cicatrici>>
Ashley posa la tazza sul comodino accanto a lei, poi si avvicina a me camminando a carponi sul letto. Trovo coraggioso questa forza dopo aver subito una cosa del genere. Lei sì che è davvero forte.
<<Dylan, non so cosa ti manca, ma so perfettamente cosa hai di troppo: il pensiero che le persone si stufino di te solo per i tuoi problemi. Nessuno ha una vita perfetta o normale, nessuno ha la mente libera e sempre piena di positività e nessuno si ritrova ad una certa età senza nessuna cicatrice>> mi accarezza la guancia con la sua mano docile, mentre quel brutto taglio le impedisce di sorridermi come farebbe normalmente.
<<Si chiama vita questa e non sai quante volte proverà a metterti in ginocchio, così tante che perderai pure il conto. Però, ogni volta che vorrà farlo, tu fai finta di allacciarti le scarpe>>
Adesso sono io che iniziò a ridere. La ammiro molto come persona, come sorella, come amica, come complice.
<<Dove l'hai sentita questa?>> la prendo in giro, per smorzare un po' quest'aria satura di pensieri pesanti.
<<L'ho letta da qualche parte, lo ammetto>> confessa, alzando le mano in segno di resa. Scoppiamo entrambi a ridere.
Sei così bella quando ridi.
Continua dopo essersi ripresa: <<Però tienila in considerazione lo stesso, ti sarà utile>> poi mi scompiglia i capelli in modo affettuoso.
Il silenzio aleggia per la stanza per qualche minuto mentre i miei occhi si perdono a guardarla con le ferite ancora non del tutto guarite. Solo dopo riesco a parlare di nuovo: <<Perché ti ha fatto questo?>>
Ashley sospira alla mia domanda, poi abbassa lo sguardo come se ad un certo punto si vergognasse di mostrare i segni della violenza.
<<Sono intervenuta per difendere la mamma, stava per picchiare lei>>
Stringo forte i pugni, serro la mascella cercando di metabolizzare ciò che ha detto. Nonostante odi mi madre, non riesco ancora a lasciar correre una cosa del genere, il mio istinto di protezione agisce ancora quando le mie orecchie sentono una cosa del genere.
<<Non potevo lasciarglielo fare, non di nuovo>> continua mentre la voce si riduce ad un flebile sussurro.
<<E' già successo?>>
<<Sì, Dyl, e le è stato fatale>>
<<Fatale? Di che parli?>> alla mia domanda, punta il suo sguardo nel mio, stupita.
<<Mamma non te l'ha detto?>> scrollo il capo e lei sospira <<Aspettava un bambino, da lui ovviamente, ma l'ha perso per via di una litigata andata male>>
E se prima stavo ribollendo di rabbia, adesso credo di star uscendo fuori di testa. Vorrei alzarmi, cercare quel bastardo fino in capo al mondo se dovessi e spaccargli la faccia per tutte quelle volte in cui ci ha costretti a stare in silenzio. E' vero, odio mia madre, ma non permetto a nessuno di farle del male o di sfiorarla con un solo dito. Stessa cosa vale per mia sorella, ma in modo più significativo.
Capendo la direzione dei miei pensieri, Ashley posa immediatamente una mano sul mio pugno e con voce gentile mi riaccompagna verso questo mondo: <<Non fare cose stupide Dyl, ti prego o ci metterai tutti nei guai>>
<<Io mi sono stancato di starmene con le mani in mano>> sibilo, mentre le nocche della mani diventano sempre più bianche <<Quanto ancora deve durare questa storia?>>
<<Il tempo necessario per risanare tutti i debiti, lo sai. La mamma se ne sta occupando, io me ne sto occupando, così come Chloe, Liam e te>>
<<Vorrei solo poter fare di più>> ammetto, afflitto.
<<Dobbiamo pur vivere, Dyl, non fartene una colpa fratellino>> mi sorride di nuovo, un po' tirato per via del dolore e mi scompiglia di nuovo i capelli. Con un colpo di reni si avvicina a me e mi stringe forte tra le sue braccia,mentre io esito a stringerla a mia volta per paura di farle male.
<<Mi dispiace averti lasciato qui, fratellino. Quando finirai la scuola, però, potrai venire nell'appartamento in cui viviamo io e Chloe>> interrompe il nostro contatto.
<<Vuoi dirmi che devo iscrivermi nel vostro stesso college?>>
<<Non vuoi studiare legge anche tu? E poi diventeremo di nuovo coinquilini, non saresti felice?>> dice con voce eccitata dal pensiero di tornare a vivere insieme. Le sorrido di rimando.
<<Sarebbe un sogno, forse mi sentirei meno solo>>
<<Certo, avrai di nuovo le tue sorelle girare per casa, un bellissimo college da frequentare, una materia che ti appassiona veramente e una bellissima ragazza che ti sostiene in tutto ciò che fai>> mi fa l'occhiolino con quel sorrisetto malizioso, tipico di mia sorella. Io non posso far altro che sospirare a quell'affermazione che mi stringe lo stomaco.
<<Devi lasciarla entrare nella tua vita in tutto e per tutto se la reputi una ragazza davvero importante. Pensaci davvero bene, ne vale la pena perdere una persona che ti rende felice, solo per paura?>>
Le sue parole mi fanno riflettere, mi aprono ad una nuova prospettiva e questo non impedisce, ovviamente, la nascita di nuove domande a cui non posso evitare di dare una risposta.
Ne vale davvero la pena perdere Bianca, solo per paura?
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