10. Gelosia
Nonostante io abbia provato a cercarlo da qualsiasi parte, non sono riuscita a trovare comunque Dylan. Non so dove possa essere ed ho davvero paura di aver peggiorato una situazione già incrinata.
Alla fine della scuola sono costretta ad aspettare Diana nel parcheggio poiché suo padre deve venirci a prendere tra poco. Aspetto per qualche minuto, il mio piede non fa altro che battere nervosamente sull'asfalto e le pellicine delle mia dita venir tirate per via dell'agitazione.
Quanto vorrei poter avere accanto a me Dylan proprio in questo momento. Lui con la sua voce rilassante, il suo profumo che fa da anestetico a quest'agitazione che mi divora lo stomaco e i suoi occhi così profondi, in cui puoi sprofondarci tranquillamente senza sentirti in colpa e ritrovare la pace di cui si ha bisogno.
Poco dopo vedo Diana uscire dalla scuola affiancata dalla sua nuova amica Madison, la quale non fa altro che portarla giorno dopo giorno sempre più dalla sua parte. Il destino deve odiarmi davvero tanto se ha fatto diventare quelle due amiche: una, la ragazza che ha rivelato il mio segreto e di Dylan davanti tutta la scuola, e l'altra, la sorellastra a cui sembro non andare molto a genio.
Si fermano davanti a quel muretto che separa il confine del parcheggio con l'entrata della scuola, si salutano lasciandosi un veloce bacio sulla guancia, poi la riccia mi viene in contro con lo stesso sorriso falso di questa mattina. Alzo gli occhi al cielo.
<<Dylan non è qui con te?>> esordisce una volta davanti a me, portando sulla testa quegli occhiali da sole che le danno un'aria da turista. Sa perfettamente cosa ha scatenato con quel suo commento inutile, a pranzo, ma fa comunque finta di non essere la carnefice.
<<No, doveva tornare a casa urgentemente>> replico stizzita, senza degnarla nemmeno di uno sguardo, intento a cercare con lo sguardo la macchina di suo padre in modo che possa mettere fine a questa conversazione.
<<Ah si? Cos'ha di così urgente da fare un ragazzo che vive da solo?>> il fatto che sappia questa cosa, fa scattare un allarme dentro di me. La rabbia mischiata a gelosia, si impossessa di nuovo del mio corpo e questo non mi impedisce di controbattere acida.
<<Sono affari suoi>> mi avvicino al suo viso, forse troppo vicina. Diana alza un sopracciglio, un sorriso sghembo le dipinge in volto mentre le sue braccia vanno ad intrecciarsi sotto al seno pronunciato. Mi sta per caso sfidando?
Il clacson di una macchina davanti a noi, ci costringe ad allontanarci l'una dall'altra. Richard scende dalla macchina e ci raggiunge con un sorriso raggiante, stretto nel suo completo elegante e, come la figlia, con gli occhiali da sole sopra la testa.
<<Che bello vedervi parlare come foste due amiche. Avanti, salite su>> posa un bacio sulla guancia di sua figlia, poi le prende la borsa dalle mani e da gentiluomo la porta lui.
L'unica cosa a donare a me è solo un sorriso e Diana sembra percepire la mia preoccupazione che tutto questo non andrà bene, ma me lo rinfaccia comunque, così mi sorride da sopra la spalla mentre segue suo padre in macchina.
Salgo anch'io e per il resto del viaggio indosso le mie fidate cuffiette. Non so il perché, ma finisco con l'ascoltare le canzoni che ero solita ascoltare con mio padre. Forse comincia a mancarmi di nuovo, forse i sensi di colpa per averlo lasciato in quel modo, durante quel pranzo, cominciano a farsi sentire tanto forte da tornare a fare male.
E' passato davvero tanto tempo da allora e so che non dovrebbe mancarmi, che tutto quello che ha fatto non è perdonabile da una figlia, e allora perché sento così tanto la sua mancanza adesso? Perché sono stata investita dalla sensazione di volerlo perdonare e correre fino alle sue braccia solo per essere rassicurata dalla sua voce calda e profonda?
E così, senza accorgermene, siamo già arrivati a casa. Per un momento vedo nello sguardo di Diana una sorta di malinconia mentre, seduta sul sedile anteriore, non fa altro che osservare fuori dal finestrino. Ma una volta che si rende conto che la sto osservando, quello stato svanisce come una nuvola di fumo.
Li aiuto a scendere alcune di quelle pesanti valigie, sicuramente di Diana dal momento che sono tutte di colori sgargianti. Mia madre mi accoglie con un sorriso smagliante ma non faccio altro che evitarlo e fare finta di non averlo visto. Purtroppo per me, però, vedo la delusione dipingere il suo volto.
<<Bianca, tesoro, mostra a Diana la tua camera>> mi chiede mia madre, dopo aver chiuso la porta ed averci raggiunto in salotto.
<<Dormirà nella mia stanza? Ma la stanza per gli ospiti è libera>> faccio notare a mia madre con tono stizzito.
<<Lo so, ma Diana vuole decorarla per sentirla più sua e finché non saranno finiti i lavori abbiamo pensato potesse dormire in camera tua>>
<<Ti dispiace?>> mi chiede in modo cauto Richard, scambiandosi qualche sguardo con mia madre. Prima il trasferimento improvviso, adesso la mia stanza, a cos'altro dovrò rinunciare per la felicità di mia madre? Vorrei poter essere contenta per lei al cento per cento, ma egoisticamente non posso non pensare a quanto mi faccia male questa invasione di spazio privato da gente quasi del tutto sconosciuta.
Ad interrompere il mio flusso di pensieri è proprio Diana, che sembra essere entrata in modalità attrice perché assume un'espressione, un tono, un modo di muoversi totalmente diverso da quello che mostra quando siamo solo io e lei.
<<Non ti dispiace, vero Bianca? Ti prometto che sarò una bravissima compagna di stanza>> mi prega con le mani congiunte, la voce più stridula ma dolce al tempo stesso. Non capisco che gioco sta giocando. Si preoccupa di risultare una brava ragazza davanti a suo padre e, soprattutto, a mia madre?
La squadro da capo a piedi, stessa cosa faccio con mia madre e Richard, che non aspettano altro che una risposta, positiva ovviamente. E decido di concedergliela solo per farli contenti.
<<Certo che no. Vieni con me, te la faccio vedere>> dico a denti stretti, prima di salire al piano di sopra con lei dietro, che trascina la sua valigia in cui si trovano sicuramente le cose più essenziali.
Una volta spalancata la porta, non posso non notare il letto provvisorio di Diana ai piedi della finestra. Mi sembra tutto così non familiare, quasi sconosciuto. Una stretta al cuore improvvisa mi prende alla sprovvista.
<<Fa come se fosse camera tua>> dico con tono annoiato. Diana entra senza dire una parola e butta la sua valigia sul suo futuro letto. Si piega sulla valigia aprendola con poca delicatezza.
<<Dove li sistemo?>> mi chiede poco dopo, tenendo in mano una maglietta senza un minimo di rispetto.
<<Ti faccio un po' di spazio>> corro nella mia cabina armadio e comincio a restringere lo spazio necessario per far entrare almeno un po' della sua roba. Nel frattempo, mette in bocca una gomma e comincia a masticarla troppo rumorosamente forse per darmi ulteriore fastidio. Estrae il telefono dalla tasca dopo l'ennesimo messaggio arrivato e inizia a digitare velocemente sulla tastiera.
<<Spero ti possa sentire a casa>> commento, dopo aver finito il mio lavoro. Mi guarda annoiata, lasciando poco dopo spazio ad un sorriso che sfocia in una risata fragorosa quando nota lo spazio che le ho lasciato.
<<Ce ne vorrà di più di spazio per far entrare tutta la mia roba>>
<<Puoi tenere alcune cose dentro la valigia per qualche settimana>>
<<Provvederò, grazie tante>> finalmente mi rivolge uno sguardo e il tono è così acido che un brivido mi scorre lungo tutta la schiena. Perché ce l'ha così tanto con me? Non ci conosciamo neanche. Si getta sul suo letto e torna ad osservare il telefono, tornando ad ignorarmi.
<<Puoi lasciarmi da sola adesso?>> mi urla contro quando si rende conto che la sto osservando.
<<Perché ti comporti così? Non ci conosciamo neanche>>
<<Appunto, possiamo anche continuare a fare finta di non conoscerci>> mi sorride falsamente, per poi alzare gli occhi al cielo e guardare di nuovo seccata lo schermo del telefono.
Faccio come mi dice solo perché non ho molta voglia di litigare con lei, piuttosto vorrei andare da Dylan a risolvere la questione di questa mattina.
Ma sono costretta ad accontentare mia madre ed aiutare Richard a sistemare le loro cose sia nella mia stanza che nella stanza di mia madre. Nonostante fossimo in quattro a lavorare, poiché Diana era evidentemente troppo impegnata ad organizzare una congiura contro di me, abbiamo finito solo poco prima che iniziasse il mio turno di lavoro.
Corro il più velocemente possibile per prepararmi ed arrivare puntuale. Sopra alla metro qualche signora mi ha persino buttato più di un'occhiata addosso, probabilmente domandandosi come mai fossi così in disordine.
Arrivo qualche minuto dopo ma ci vuole poco per notare che Dylan non si trova qui. Per sapere di lui, fermo un nostro collega che mi passa accanto reggendo in mano il menù da mettere su uno di quei tavoli dalla tovaglia rossa.
<<Sai se Dylan deve venire?>>
<<Ho sentito dire che oggi si è preso il giorno libero>> lo ringrazio per quella notizia. Provvedo subito a mandargli un messaggio per sapere se sia vero o meno. La sua non risposta me lo fa capire e, soprattutto, mi fa capire che non ha voglia di parlare con me.
Forse non ha ancora conosciuto la mia parte testarda, però, e forse non sa che posso darmi malata anch'io e raggiungere casa sua solo per avere un confronto. E così faccio, assumo un'espressione dolorante, una mano sulla pancia e sono pronta a mettere in scena il mio spettacolo.
Il capo, vedendomi, in quello stato è lui stesso ad ordinarmi di tornare a casa, dandomi un giorno libero per potermi riprendere dal mio "male". Eseguo immediatamente l'ordine ed una volta tornata sopra la metro, sorrido vittoriosa.
Ma una volta che mi ritrovo davanti quella villa, immersa per metà nell'oscurità e l'altra metà illuminata dalla luce bianca dei faretti davanti alla porta d'entrata e nel giardino, l'ansia comincia a prendere il sopravvento.
Velocemente percorro quel vialetto di pietre squadrate per raggiungere il campanello, stringendo un po' troppo forte la spalla dello zaino nero che ho portavo con me. Salgo quei tre gradini che mi separano dalla porta in legno laccato opaco, il dito mi trema quando premo sul campanello poi il suo suono ovattato si propaga per tutta la casa, arrivando persino alle mie orecchie. E mentre aspetto che venga ad aprire, saltello da un piede all'altro per l'impazienza che viene sostituita dalla stessa emozione che ho provato questa mattina, ma in una forma un po' differente.
Di fatti, non credo ai miei occhi quando è una ragazza dal sorriso raggiante, i capelli neri ribelli e dai grandi occhi azzurri a presentarsi davanti a me, in tutta la sua bellezza simile a quella di una modella. Rimango immobile davanti a quella ragazza, i pensieri vagano veloci, cercando di trovare una scusa a questo, un modo per spiegarlo.
<<Ciao, hai bisogno di qualcosa?>> mi chiede gentilmente, cercando di nascondere dietro alla porta le gambe lunghe e snelle che la grande felpa che indossa non è in grado di coprirle perfettamente. La osservo attentamente quella felpa e la verità mi si presenta davanti più amare delle altre volte: è di Dylan.
Inizio a balbettare o forse a dire parole totalmente sconnesse tra loro, ma comincio ad indietreggiare e indicare la strada da cui sono venuta.
<<Forse ho sbagliato casa, scusami tanto>> lei mi guarda confusa, mentre io mi allontano da lì il più velocemente possibile, trattenendo a stento le lacrime. Solo quando sento il tonfo del portone chiudersi, una fitta al cuore sembra attraversarmi e un singhiozzo scombussolarmi.
Comincio a correre, diretta verso casa mia ma poi mi ricordo che proprio lì si trova Diana e la voglia di vederla adesso è pari a zero. L'unica cosa che mi viene da fare è precipitarmi a casa di Matt e farmi consolare dalle sue braccia protettive.
Mi accoglie a braccia aperte, domandandomi di raccontargli tutto davanti ad una bella tazza di cioccolata calda. Gli racconto brevemente, con gli occhi lucidi, fissi in quel mare di cioccolato fumeggiante e la vista leggermente appannata.
<<Chi pensi che sia?>>
<<Non so, la sua ragazza segreta? Non ne ho idea. Non stiamo neanche insieme, non dovrei essere gelosa o altro>>
<<Ma provi qualcosa per lui, è normale stare in questo stato>> soffia sulla cioccolata, poi ne beve un sorso <<Solo che dovresti essere arrabbiata e invece sei triste, perché?>>
<<Forse sono delusa dal suo comportamento, forse non essendo la sua ragazza non mi sento in dovere di arrabbiarmi con lui>> non ci capisco nulla neanch'io.
<<Si, ma voi vi frequentate. Dovresti essere incazzata perché un'altra ragazza, che non conosci, si trovava a casa sua in quelle condizioni. E' un tuo diritto essere arrabbiata, meriti una spiegazione>>
Non ha tutti i torti...
<<Domani ci parlo>>
<<No, Bianca, fai finta di esserti volatilizzata. Puff, sparita nel nulla, è lui a dover capire che sei arrabbiata per qualcosa, e se verrà da te allora significa che gli sei mancata e che vuole capire del perché del tuo improvviso gelo>> annuisco seguendo il suo discorso. Sforzandomi di farmi entrare ben in testa quelle parole e fare come dice lui.
<<Ripetile con me: Aspetterò che sia lui a cercarmi. Ora tu>> con un gesto della mano mi da il via libera per ripetere dopo di lui.
<<Aspetterò che sia lui a cercarmi>> dico, poco convinta. Matt se ne accorge e mi chiede di ripeterlo, ma con più convinzione. E continuo a ripeterlo finché il risultato non lo soddisfa.
<<Ti avviso che ti terrò d'occhio domani>> mi punta un dito contro, prima di bere il suo ultimo sorso di cioccolata. Mi lascio andare ad una risata prima di fare la stessa cosa.
<<Va bene, starò attenta ad evitarti allora>>
<<Bianca>> mi guarda ammonitore puntando ancora una volta il suo dito contro di me. Scoppio a ridere.
Sono felice di avere lui al mio fianco, lui che riesce a farmi ridere nonostante la mia voglia di piangere, lui che riesce a tirarmi fuori ciò che sento veramente quando vorrei solo chiudermi in me stessa, a lui che mi da ancora il coraggio di affrontare i problemi a testa alta.
Poco dopo sua madre torna da lavoro e noto una certa felicità nel rivedermi così spesso a casa loro dopo tanto tempo. Mi invita a restare per cena ed accetto volentieri. E facciamo tutto quello che facevamo quando io e Matt eravamo piccoli: parlare come tre migliori amici, cantare sulle note della musica scelta da sua madre. Lei cucina mentre io e Matt le offriamo un nostro concerto gratis.
Sua madre è sempre stata così con me, mi ha adotta come sua figlia, in un certo senso. E' sempre così gentile, solare e soprattutto giovanile. E' stata lei ad essere una madre sostitutiva quando la mia era caduta in depressione, non mi ha mai fatto mancare l'affetto che una madre può donare.
Le devo molto, a lei e a suo figlio.
E' sera inoltrata quando torno a casa mia, mia madre è sdraiata sul divano, tra le braccia di Richard e la televisione ancora accesa. In punta di piedi, vado verso la tv e la spengo, poi mi fermo ad osservare mia madre e quel sorriso che le dipinge le labbra.
Sento una stretta al cuore, ma la reprimo e mi costringo ad essere felice che sia tornata la mia mamma, la stessa che mi guardava con un sorriso quando le saltavo in braccio, la stessa che mi veniva a dare il bacio della buona notte prima di rinchiudersi nella sua stanza, dove papà dormiva già da un po'.
Le lascio un dolce bacio sulla fronte per poi chiudermi nella mia camera. Stranamente Diana non c'è, così come nel resto della casa.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top