8. Diario
CORRETTO
La mattinata appena passata è stata un Inferno. Non ho seguito neanche una lezione, non ho ascoltato neppure una singola parola pronunciata dai miei professori e a' mala pena ho rivolto il saluto al mio migliore amico dopo l'abbraccio caloroso che ci siamo scambiati.
Ho incontrato Dylan un paio di volte nei corridoi senza riuscire a scambiare uno sguardo, un sorriso, perché ogni volta che l'ho incrociato lui poneva la sua attenzione su qualche sciocca civettuola al suo fianco. Mi fa imbestialire.
Per fortuna è l'ora di pranzo e mi ritrovo in compagnia dei miei due amici Matt e Sophia, come ogni giorno, con l'unica differenza che questa volta non sto seguendo il discorso perché non riesco a togliermi dalla mente l'immagine di mio padre felice con la sua nuova famiglia.
Perché fa così male ricordare? Perché questo dolore non smette neanche per un secondo di graffiarmi l'anima?
Poi, un vuoto allo stomaco.
«Senti Sophia, posso chiederti perché hai deciso di andare via dalla vecchia scuola?» chiede ad un tratto Matt prestando attenzione al suo piatto e non curandosi dell'espressione imbarazzata della ragazza.
«Oh Matt, lasciala in pace. Le hai già fatto questa domanda e ti ha già dato una risposta» rispondo acida intromettendomi nel discorso. Sbuffo mentre pianto i gomiti sulla superficie di legno e i palmi delle mani vanno subito a sorreggere il mento.
Sono sicura che Matt mi lancia un'occhiataccia, con tanto di labbra arricciate e le fronte ridisegnata da rughe.
La voce di Sofy si intromette: «Ti ringrazio Bianca, ma non preoccuparti. In fondo non ho mai raccontato la vera storia» sorride rivolgendo uno sguardo malizioso verso Matt, il quale non perde molto tempo per arrossire violentemente e distendere l'espressione dura che gli si era stampata in viso per colpa mia. Le labbra gli increspano in un sorriso dolce mentre poggia il mento sul palmo della mano destra, pronto per lasciarsi ammaliare dalla voce pacata della ragazza dai capelli biondi e grandi occhi verdi.
Farò finta di non aver assistito a questa scena.
«Non è semplice da raccontare, diciamo che il clima in cui ho vissuto non era bello e rilassato come quello che c'è qui» inizia.
«Che intendi con questo?» tiro un calcio da sotto al tavolo al mio amico impiccione che, ovviamente, inizia a frignare come una femminuccia mentre si abbassa per massaggiare il punto ancora dolente dello stinco.
«Tranquilla, davvero. Sono felice che vi interessi la mia storia.» ci sorride debolmente prima di fermarsi a pensare, lasciando scorrere lo sguardo per tutte le pareti candide della mensa.
Dopo qualche secondo, il vocio che aleggia nella stanza viene spezzato dal suono della sua voce: «Allora, da dove comincio. Diciamo che non ero particolarmente popolare, o meglio non lo ero nel senso in cui avrei voluto esserlo. La mia famiglia è molto ricca, perché mio padre ha lavorato per tutta la sua vita in una delle aziende più importanti del Paese. Lo ringrazio per questo, sia chiaro, ma mi ha causato davvero molti problemi.»
Le sue parole, le prime a cui inizio a prestare veramente attenzione, dividono il mio animo in due metà. Infatti, non so se essere triste per il fatto che non posso vantarmi della mia famiglia o se confortarla per la sua infelicità.
E noi, mamma, abbiamo qualcosa di cui vantare nella nostra famiglia? Papà ci ha lasciato, tu non sorridi più ed io e Alex non facciamo altro che sorregerci l'uno all'altra per non affogare nel mare di dolore che abbiamo dentro.
«In quel periodo ero fidanzata con un ragazzo, si chiamava Clive e stavamo insieme da qualche mese quando ha deciso di tradire la mia fiducia con l'aiuto delle mie migliori amiche» ammette amareggiata, abbassando il capo ed iniziando a giocherellare con le dita.
Poi, prende un bel respiro e continua: «Ho sempre avuto delle belle macchine, bei vestiti, belle case e questo ha fatto scattare in loro il bisogno di starmi vicino per approfittare di tutti questi benefit. Amavo divertirmi, fare festa con loro, ballare, ridere, ma dopo un po' mi sono accorta che ai miei amici e al mio pseudo ragazzo interessava di più la mia villa gigante e le feste stratosferiche che potevano organizzarci dentro» sibila, cercando di trattenere la rabbia che prova dentro mentre le braccia le circondano la vita, come per proteggeresi ancora da quelle lame invisibili che l'hanno ferita tempo fa.
Per quanto possa valere, Sofy, ti prometto che quelle lame non ti faranno più alcun male. Resteranno cicatrici che ti ricorderanno cos'hai passato, ma verranno curate dalla bontà di me e Matt che meriti.
Con gli occhi persi nel ricordo doloroso, comincia a scuotere la testa mentre le sue labbra continuano la storia: «Quando hanno realizzato che avevo inteso le loro azioni, si sono alleati e hanno trovato un modo per far tornare quelle loro stupide facce tra le mie grazie: cyberbullismo per poi potermi consolare nel momento in cui ne avevo bisogno» una lacrima le riga il viso mentre gli occhi fissano chissà cosa fuori dalla finestra della mensa.
I raggi del Sole si infrangono contro la sua pelle diafana, mettendo in evidenza il verde dei suoi occhi e risplendendo la goccia di dolore che si blocca per qualche istante sotto al mento, per poi cedere alla forza di gravità e bagnare una manica del maglioncino lilla che indossa oggi, abbinato a dei semplici jeans larghi e strappati sulle ginocchia.
Poi conclude con voce tremante: «Mi hanno usato e mi hanno fatto male, molto male»
Né io né Matt sappiamo cosa dire, il mio cuore è in pezzi. Le afferro la mano nella speranza di farle arrivare tutto il mio affetto e tutta la mia comprensione.
Stringila forte quanto vuoi, trai forza da me a costo di lasciarmi senza, ma tra le due sei tu quella ad averne più bisogno.
«Sei li avessi qua davanti non esiterei nemmeno un secondo per tiragli un destro» commenta Matt con tono divertito, solo per alleggerire la tensione. Poi, mima il gesto di sferrare un pugno a qualcuno col braccio destro, mentre l'altro rimane stretto al petto «E poi un sinistro - l'altro braccio taglia l'aria a metà mentre il destro torna indietro- E continuo così finché non chiederanno pietà»
Matt e il suo sentirsi come sempre il supereroe della storia che viene in soccorso dei più deboli per donargli di nuovo il sorriso.
Sei prezioso Matt, lo auguro a tutti un amico come te, sempre pronto a sacrificarsi e a sacrificare il suo tempo per tenderti una mano e riportarti a galla per respirare.
Schiaccia l'occhiolino in direzione di Sophia, che gli risponde con un sorriso riconoscente.
«E io sarò lì, insieme a te, a godermi lo spettacolo» concludo io, riportando l'attenzione sullo sguardo ora disteso di Sophia ma dagli occhi ancora lacrimosi. Continuo, più seria: «Quello che ti hanno fatto è davvero orrendo, ma il passato è passato e tu non puoi far altro che metterci una pietra sopra e pensare che quelle persone adesso non fanno più parte della tua vita»
«Vi ringrazio ragazzi, non pensavo che in così poco tempo avrei trovato dei veri amici» i suoi occhi si alternano tra la mia figura e quella di Matt. Ci sorridiamo sornioni tutti.
«Sai, la vita fa schifo e potrà buttarti addosso tutta la spazzatura di questo mondo, ma ci siamo noi con te e ti aiuteremo a superare ogni cosa» dico quasi in imbarazzo mentre le nostre mani si stringono ancora forte e i nostri visi si trovano ad una distanza minore rispetto a prima.
«Come siamo dolci oggi. Abbraccio di gruppo!» le voce squillante di Matt interrompe quel breve attimo di serietà e super entusiasta lascia che le sue lunghe braccia ci avvolgono entrambe in un abbraccio fortissimo. Quella presa, forte a calorosa come solo il mio migliore amico sa fare, è capace di sciogliere tutta la tensione accumulata in questa giornata.
E adesso sorrido, grazie a te e alla tua allegria, spontaneità e positività. Il mio Sole nella notte.
Mentre i nostri corpi sono ridotti ad un intreccio di braccia, oltre la spalla di Matt riesco ad intravedere oltre la porta grigia della mensa che conduce al cortile, la figura di Dylan disteso all'ombra di un albero e Logan che divora una mela tra i rami di questo.
Vai, questo è il momento perfetto per poter parlare con lui.
Aspetta, perché voglio farlo? Io dovrei stare lontana da lui, non scambiare delle parole con la persona più odiosa su questa Terra!
«Ragazzi scusatemi, torno subito, devo chiedere una cosa a Collins» dico sciogliendo l'abbraccio.
No, Bianca, cosa stai facendo? Devi restare qui, non azzardarti a muovere un solo passo verso di loro!
Ed ecco che mi alzo velocemente dal tavolo e a grandi falcate mi dirigo verso l'uscita della mensa. Un soffio di vento mi sfiora la guancia, facendomi rabbrividire e incassare il collo nelle spalle ma i raggi del Sole che mi colpiscono violentemente sono capaci di ristabilire l'equilibrio del calore corporeo. I passi attutiti dall'erba verde del prato e il cinguettio degli uccellini mi accompagnano nella mia corsa verso i due ragazzi.
«Per quanto tempo pensi di poter ancora resistere amico? Non puoi ridurti così ogni volta!» lo rimprovera Logan, il ragazzo dagli occhi blu che sta sulla bocca di tutte le ragazze della scuola e invidiato da molti per i suoi capelli biondo cenere e di media lunghezza sempre ordinati, lisci e lucenti.
Semplicemente perfetti, così come in tanti definiscono il suo profilo: naso piccolo e costernato da tante lentiggini marroncine che si fanno più evidenti alla luce del Sole, il labbro inferiore più carnoso e più sporgente di quello superiore e la mandibola squadrata che tutti, almeno una volta nella loro vita, hanno desiderato voler sfiorare con un dito.
«Piantala di urlare, sta arrivando la ragazzina» sussurra Dylan, facendo finta di non vedermi.
E' inutile che sussurri Collins, il vento è mio alleato e ha condotto da me le tue parole.
Logan alza gli occhi al cielo, lasciandosi andare contro la superficie rugosa del tronco su cui poggia la schiena e siede comodo sul primo ramo di questo. Lascia una gamba penzolare fuori e oscillare avanti e indietro, avanti e indietro mentre porta una mano dietro la testa per evitare di farsi male.
Mi sono sempre chiesta come fa uno come lui, un ragazzo con la testa sulle spalle, sempre gentile con tutti, mai inopportuno e divertente senza mai risultare volgare, a stare in compagnia di Collins.
A chiunque si chieda in giro, risponderanno che sono amici di infanzia e che Dylan non è sempre stato il ragazzo che è adesso, ma nessuno sa che legame particolare ci sia tra i due da tenerli legati nonostante siano il giorno e la notte, la luce e il buio.
«Non volevo disturbare, continuate pure con il vostro battibecco» dico una volta là davanti. Poi mi siedo di fronte a loro sui ciuffetti d'erba tagliati da poco e che sprigionano il profumo della natura. Incrocio le braccia al petto e punto lo sguardo in quello di Dylan, il quale mi rivolge uno sguardo truce cercando di capire cosa ci faccio qui.
Come ci si sente ad essere osservati insistentemente Collins? E' davvero così piacevole sentirsi spoglio di quelle protezioni di cui ognuno di noi si veste e restare nudo davanti agli occhi di un estraneo? Perché è questo quello che tu hai fatto con me e adesso sono io ad avere in mano le redini del gioco.
«Perché sei qui ragazzina? Sopportarti per tutto il pomeriggio basta e avanza» un sorriso sghembo gli ridipinge le labbra carnose mentre si sistema meglio sull'erba. Poggia il peso su un solo gomito mentre lascia che l'altro braccio giacia sul suo ventre quasi inerme, come se avesse difficoltà a muoverlo mentre distende le gambe incrociandole sulle caviglie.
I nostri occhi rimangono incastrati e più secondi passano, più mi perdo e rimango affascinata dalla sfumatura azzurra brillante dei suoi. Basta questo a farmi abbassare le difese e perdere il controllo di quelle redini che prima tenevo ben salde. Perdo il fiato.
Poi, i suoi occhi passano in rassegna tutta il mio corpo e si soffermano per qualche secondo di più sulle mie labbra. Adesso, quella a sentirsi spoglia sono io.
Hai capito il mio intento, complimenti Collins ma non lascerò che sia tu a guidare il gioco stavolta.
«Scusate ragazzi, io me ne vado. Mi sento di troppo» la voce di Logan interrompe quella lotta di sguardi, dopodichè con balzo salta giù dall'albero e dopo aver salutato il suo migliore amico con un buffetto leggero sulla nuca, si dilegua a passo veloce.
Quelle parole mi riportano alla realtà, facendo sì che quella bolla magica venisse infranta. Mi muovo a disagio tra i ciuffi d'erba ma mi sforzo di restare calma e di affrontare nel miglior modo possibile Dylan.
Bene Bianca, ora che sei qui e per giunta da sola con lui, trova immediatamente una scusa per poterci parlare.
I pensieri viaggiano alla velocità della luce per poter dire qualcosa, qualsiasi cosa per giustificare la mia presenza qui e la voglia di parlarci. Finalmente trovo la cosa che fa al caso mio. Sorrido, prima di tornare a guardarlo.
«Che hai fatto al braccio?»
La domanda deve dargli fastidio perché quel sorrisetto che aveva si distende subito un una linea dritta e dura, gli occhi gli si illuminano di una luce diversa.
«Credevo di essere stato abbastanza chiaro con te. Io e te non abbiamo così tanta confidenza da raccontarci quello che facciamo al di fuori di queste mura. Vattene, mi stai dando fastidio» afferma acido, voltandosi dall'altra parte e perdendosi con lo sguardo nel grande cortile pieno di ragazzi che camminano da una parte all'altra e di alberi che riempiono la terra e donano ombra a tutti coloro che vogliono stare fuori e al fresco, così come noi.
Qualche giorno fa mi sarei fatta intimorire da questo modo di fare burbero, ma ora penso di conoscerlo quanto basta per capire che quello che mostra al mondo non è il vero Dylan. Questo non è il Dylan che ho visto il primo giorno di ripetizioni.
«Non ti libererai di me fino a quando non mi dirai che cosa ti è successo» mi avvicino a lui e, incrociando le gambe, attendo una risposta. Io suoi occhi iniziano di nuovo a fissarmi. Io lo fisso.
Poi alza gli occhi al cielo e sbuffa pesantemente: «Avanti ragazzina, chiedimi a parole quello che stai cercando di comunicare con quei grandi occhioni da cerbiatto»
Anche se voltato dall'altra parte, posso giurare di averlo visto arrossire, camuffato per metà da quel livido ancora rosso. Arriccia le labbra e la fronte torna a corrugarsi, donandogli l'aria di un bambino arrabbiato.
Tum.Tum.Tum. E' successo ancora, perché?
Sono sicura non sia nulla, perché tu Bianca, un cuore non ce l'hai più. Solo le ceneri che ostentano a restare là dove prima si trovava l'organo pulsante.
«La mia domanda te l'ho già fatta. Rispondi a quella»
Alle mie parole, getta la testa all'indietro e scoppia a ridere: «Credi davvero che creda a questa tua preoccupazione?» dice quasi con difficoltà mentre si riprende dalle risate che gli hanno sconquassato il petto. Perché il suo tono è dolce e acido allo stesso tempo?
«Perchè ti stupisci così tanto che io sia preoccupata per te?».
«Perchè le ragazze come te, dolci e carine, stanno alla larga da quelli come me. Lo hai detto pure tu, ragazzina» il suo sorriso si spegne poco a poco, fino a diventare una linea dritta e la scintilla che prima splendeva nei suoi occhi insieme ai raggi del Sole, si attenua fino a venire inghiottita dalla tempesta che tiene nascosta dentro di sé. «E fidati, è meglio così. Ora me ne vado» dice, prima di alzarsi con qualche difficoltà e incamminarsi con passi lenti e meccanici.
Mi ha chiamata "carina"? Te ne sei accorto Collins o l'hai fatto apposta per suscitare in me una reazione? Perché se il tuo intento era quello, allora ci sei riuscito e ti odio per questo.
«Ei! È maleducazione lasciare così una ragazzina dolce e carina» grido ammiccante, ormai alle sue spalle. Lo sento ridere, scuote la testa e infine la getta all'indietro, lasciando che i raggi lucenti gli riscaldino il volto.
Si volta poi e torna indietro per poi sedersi sui talloni e puntare di nuovo il suo sguardo gelido su di me. Accorcia ogni distanza tra noi tanto che riesco a percepire il suo respiro mischiarsi col mio e il suo profumo di vaniglia invadere le narici senza che io gli conceda di varcare quei limiti. La mia guancia si infuoca quando con il dorso della mano la sfiora delicatamente, come a non volermi far male. Il respiro si blocca in gola.
Fermati ti prego, il mio cuore non è più così abituato a correre così velocemente. Io il cuore l'ho perso tempo fa ed è impossibile che sia ancora incastrato tra le costole della gabbia toracica. Non può essere lui, non può essere.
«Devi stare lontano da me, ragazzina» soffia mentre mi osserva di nuovo le labbra leggermente schiuse. Poi immerge di nuovo quel mare nei miei occhi per un breve istante, mi fa l'occhiolino e si allontana. Lo strano vuoto che lascia è incomprensibile.
Cos'è stato? Continuo a ripetermi, non trovando però alcuna spiegazione in grado di rispondere alle mille domande che frullano per la testa.
Dopo qualche minuto passato da sola sul prato mi alzo e, con una lentezza spaventosa, mi avvio verso Matt e Sophia che noto intenti a spiarmi da una finestra della mensa.
«Perchè stavi parlando con Dylan, Bianca?» chiede Matt una volta varcata la soglia della grande stanza e avermi raggiunto, seguito da Sophia.
«Dylan Collins? Quello a cui dai ripetizioni?» domanda Sophia. Matt annuisce in sua risposta.
«Ho l'impressione che sia lui uno dei ragazzi coinvolti nella rissa dell'altra sera» dico senza prestare molta attenzione alle loro parole, prima di raccontare brevemente alla ragazza la terribile esperienza che avevo vissuto.
«Bianca, cosa ti fa credere che lui abbia fatto parte della rissa?» domanda ancora lei incredula davanti ad una simile affermazione. Non sono pazza!
«Ma dai! Guardatelo! Ha un labbro spaccato, il volto tumefatto e un braccio dolorante. Fino a ieri non aveva nulla!» esclamo esasperata.
«Sono sicuramente motivazioni valide, ma perché ti interessa di Collins?» sussurra Matt, nessun tono scherzoso che caratterizza la sua voce. E' serio e molto preoccupato.
«Non mi interessa Collins! Diciamo che questi pomeriggi passati insieme mi hanno fatto capire che Dylan non è la persona che tutti vediamo. Non il vero Dylan almeno» ammetto pensierosa, facendo scorrere lo sguardo su tutti i ragazzi che si godono la pausa pranzo ridendo e scherzando con i propri amici.
Tra questi volti quasi del tutto sconosciuti, tu non ci sei.
Istintivamente afferro la collana che porto sempre al collo e inizio a tirarla appena, portandola da una parte all'altra.
Perché sei nervosa Bianca? L'unica cosa da dedicare a quel ragazzo è l'indifferenza...
Con la bocca asciutta per via dei miei pensieri, continuo: «Con noi è stata una persona orribile, per anni mi ha dato il tormento, ma andiamo non può essere semplicemente stronzo. Avrà sicuramente dei problemi che lo spingono a comportarsi così»
«E tu pensi di riuscire a risolverli?» Matt pianta i pugni chiuso nei fianchi e mi osserva in attesa di una risposta: «Pensi non ne sia in grado?»
«Penso che non sono affari tuoi i suoi problemi, Bianca. Che impari a risolverseli da solo!» dice Matt, spalancando le braccia e guardandomi sempre più incredulo.
So che Matt mi vuole bene e si preoccupa per me, ma io in questo momento non riesco a pensare ad altro se non a quel ragazzo affascinante e misterioso che fino a qualche minuto fa tentava di fare il carino con me.
Visto che non lo ascolto, continua con voce più bassa: «Bianca, sono preoccupato per te. E se i suoi problemi alla fine ti coinvolgessero e ti mettessero in pericolo?»
Matt ha ragione. Mi volto verso di lui prima di avanzare di qualche passo fino a ritrovarmi ad una spanna dal suo viso: «Starò attenta, te lo prometto» gli accarezzo la guancia con tutta la dolcezza di cui sono capace.
Gli sorrido ma lui non ricambia, anzi, si imbroncia e spezza il contatto visivo mentre incrocia le braccia al petto.
«Ti voglio bene, ma ora devo andare se non voglio arrivare in ritardo alle ripetizioni.»
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Saluto i miei amici davanti alla porta della biblioteca prima di addentrarmi all'interno. Dylan ovviamente non è ancora arrivato così inizio a cercarlo tra i grandi scaffali disposti uno dopo l'altro, ma di lui nessuna traccia.
Mentre lo aspetto, sfoglio libri a caso per almeno mezz'ora ma Dylan sembra proprio non voler venire. Mi affaccio alla finestra per godermi i raggi pomeridiani del sole, e sarei rimasta volentieri in quella posizione per molto tempo se il mio sguardo non avesse notato il corpo di Dylan seduto sul muretto della scuola.
Ha il cappuccio sul capo da cui esce il filo bianco delle cuffie, chissà che cosa sta ascoltando. Con la schiena curva, la mano si muove velocemente sui fogli lisci e a righe del quaderno che regge sulle gambe mentre la penna stretta tra le dita lascia dietro di sé tracce di inchiostro. Di tanto in tanto si blocca e alza lo sguardo, come se stesse aspettando qualcuno.
Lo osservo per qualche minuto, cercando di rimanere nascosta per evitare che mi veda, prima di accorgermi di una figura in lontananza che si avvicina a Dylan. Mi sembra di conoscerlo, di averlo già visto in giro ma non ricordo dove. Poi, un flash: è l'uomo vestito di abiti scuri e gli occhiali da sole.
Stavolta le gambe lunghe sono fasciate da semplici jeans mentre il busto è stretto in un maglione a collo alto. Avanza verso Dylan con passo spedito sul marciapiede dalle piastrelle grigie che precede il vialetto che conduce all'entrata della scuola, le mani sprofondate nelle tasche del giubbotto color cammello e di tanto in tanto si guarda in giro per assicurarsi che nessuno lo veda e possa riconoscerlo.
Mi dispiace per te, ma io l'ho già fatto. L'altra volta sarai stato attento a coprirti gli occhi dagli occhiali da sole, ma non sfugge nulla al mio occhio attento che si è concentrato su altre parti del corpo: la capigliatura, i tratti del viso, la corporatura e persino la postura sempre dritta.
Raggiunge Dylan, il quale salta giù dal muretto aiutandosi col braccio sano e chiudendo il quaderno in una mano. Prima di prestare attenzione all'uomo, lo ripone velocemente dentro allo zaino. Dylan, fermo davanti a lui in posizione eretta e tenendo il braccio malconcio piegato e stretto al busto, lo guarda accigliato mentre l'altro gli dona un mezzo sorriso.
Si scambiano qualche parola prima di stringersi la mano e allontanarsi da lui in una manciata di secondi.
Che si saranno detti questa volta? Ma la vera domanda è: perché a me importa così tanto? Matt ha ragione, i suoi problemi non sono affare mio.
Prima che possa accorgersi di me, torno al mio posto a rimuginare su ciò che ho appena visto e solo qualche minuto dopo la porta della biblioteca si spalanca lasciando entrare il corpo marmoreo di Dylan.
Sobbalzo mentre mi desto dallo stato di trance in cui ero entrata: «Ciao» dico nella sua direzione.
«Allora ragazzina, iniziamo?» dice lui, trascinando la sedia contro il pavimento per spostarla e potersi sedere. Si abbandona su di essa con una piccola smorfia di dolore.
«Sì, sì, certo. Con cosa vuoi iniziare?» dico, tirando verso di me la mia borsa nera a tracolla un po' usurata dal tempo e da tutte quelle volte che l'ho usata.
Gli lancio un'occhiata furtiva da dietro i libri che uno ad uno tiro fuori dalla borsa, mentre le sue labbra si muovono per rispondere alla mia domanda. Non ascolto neanche troppo concentrata sui miei pensieri. Vorrei chiedergli il perché si sia scambiato quel saluto, perché sia arrivato in ritardo, che cosa stesse scrivendo sul quaderno che aveva sulle gambe.
Tutte quelle domande, vogliose di risposte, preferisco metterle da parte e spostare la mia attenzione su Dylan durante queste ore. Prima finiamo e prima potrò dimenticarmi di Dylan Collins. Mi dico, scuotendo impercettibilmente il capo e arricciando le labbra.
Non sono del tutto sicura di volerlo fare, però.
Spazio autrice
Ci tengo a ringraziare othersense17 per l'impegno che ci sta mettendo nell'aiutarmi a sistemare la mia storia ❤
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