43. Cicatrici

CORRETTO 

Attraverso il corridoio della scuola con tanta sicurezza dentro, quasi che non mi riconosco nemmeno. Arrivo davanti alle porte della palestra, scansando di qua e di là le orde di ragazzi impegnati nelle decorazioni per il ballo.

Raggiungo Sofy solo dopo aver chiesto scusa ad un' enorme quantità di ragazzi. Lei coordina tutto e in questo momento si trova alla giusta distanza dalla scala appoggiata al muro mentre un ragazzo posiziona lo striscione, per poter constatare quale sia la migliore posizione.

Tra l'indice e il pollice tiene stretto il mento e le tipiche labbra da gallina spuntano involontariamente sul suo viso. Trattengo una risata per la faccia davvero buffa, i capelli alla meno peggio per la troppa fretta e con ancora il trucco del giorno precedente.

Picchietto sulla sua spalla, in cerca di attenzioni. Si volta in una mossa secca e mi guarda in cagnesco per aver interrotto un lavoro davvero importante per lei, ma inizia a sorridere.

<<Bianca, sei tu... Che c'è?>>

<<Sei sicura di saper gestire tutto?>> indico tutto ciò che si trova davanti ai nostri occhi, ridendo un po'. Lei sospira con un mezzo sorriso.

<<Si, credo di si>> non appena finisce di parlare accanto a noi passa una ragazza con in mano uno scatolone in mano, diretta verso la palestra <<Lidia, quelli non vanno in palestra, ma all'entrata della scuola>> le fa notare. Quando Lidia, imbarazzata, torna sui suoi passi Sofy alza gli occhi al cielo e sospira.

<<Che volevi dirmi?>>

Sto per parlare ma il ragazzo sopra alla scala e che continua a reggere lo striscione, si spazientisce e mi interrompe.

<<Sofy, non ho tutto il giorno, puoi dirmi dove devo attaccare questo?>>

<<Possiamo parlare dopo, Bianca, ti dispiace?>> posa una mano sul mio braccio con faccia dispiaciuta. Sorrido e poso la mia mano sulla sua.

<<Sta tranquilla, parliamo dopo>>

<<Grazie>> scappa via verso quel ragazzo <<Potresti povarere a metterlo più in basso... Ecco, così>>

La guardo e non posso altro che pensare a quante volte io già abbia rimandato la cosa. Più passa il tempo, più sento che questa cosa pesa sempre di più sul mio cuore e, a volte, mi sembra che mi soffochi. Sospiro pesantemente e me ne vado via da lì.

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Arrivo a mensa nella speranza di poter finalmente parlare con Sofy e vuotare tutto il sacco, ma una volta arrivata al nostro tavolo trovo solo Matt ad aspettarmi.

<<Dov'è Sofy?>>

<<E' tornata a casa prima oggi, non stava molto bene>>

Sbuffo. Il destino mi prende in giro o cosa? Adesso non ho più voglia di mangiare. Guardo il mio vassoio mentre torturo il cibo con la forchetta.

<<Che hai?>>

<<Nulla, solo le voglio parlare da giorni ma non sono mai riuscita a dirle niente>>

<<Cosa le vuoi dire? Se vuoi glielo dico quando vado a casa sua questo pomeriggio>>

<<Vai da lei oggi?>> alzo lo sguardo stranita. Lui guarda prima a destra e poi a sinistra pensando di aver detto qualcosa di strano.

<<Si, è quello che ho detto>> alza, infine, le spalle e continua a mangiare.

<<Voi due passate molto tempo insieme, ultimamente>>

<<Beh, il ragazzo che ha deciso di amare non è per nulla presente in questi giorni, anzi, da settimane e invece che accorgersi della bella persona che si trova accanto è troppo occupato a fare l'orgoglioso e a far soffrire Sofy>>

<<Per prima cosa, non si sceglie chi amare, e secondo Dylan non sta facendo l'orgoglioso, ha solo bisogno di tempo per capire cosa vuole veramente, sa di aver accanto una persona fantastica>> quasi mi sento in dovere di difenderlo e Matt mi conosce troppo bene per non capire subito cosa sto facendo.

<<Lo difendi? Perché lo difendi?>>

Mi lascia senza nessun modo di rispondere, così mi ritrovo a mordermi la guancia e aspettare che non parli di nuovo.

<<Vedo che non sono l'unico a passare tanto tempo con qualcun altro>>

<<Dylan non è il mostro che credi, Matt, se solo provassi a non essere così superficiale>>

<<Io? Superficiale? Lui ha fatto soffrire te, prima di tutti, poi me e adesso anche Sofy... Voi ragazze dovete per forza farvi male prima di capire che non sono i cattivi ragazzi a rendervi davvero felici>> adesso inizia a gridare, segno che l'ho colpito in pieno.

<<E vorresti negare che non sei superficiale? Stai giudicando una persona dalle apparenze>> anch'io inizio a gridargli contro, pronta con unghia e denti per sostenere la mia causa.

Lui mi guarda con occhi rabbiosi, i pugni stretti poggiati sul tavolo e i mille occhi puntati addosso da tutta la mensa. Persino dalla signora che distribuisce cibo.

<<Sei innamorata di Dylan, è questo quello che vuoi dire a Sofy, non è vero?>>

Rimango di nuovo senza parole. L'azzecca sempre e sapere che lui mi capisca così bene mi rende felice da una parte, ma furiosa di essere un libro aperto ai suoi occhi.

Abbasso la guardia, così come il volto.

<<Ti prego, non le dire nulla, devo dirle io le cose come stanno>> abbasso la voce che è diventata dolce e supplicante.

Matt abbassa lo sguardo e sembra pensarci, ma alla fine annuisce. Poi se ne va, mi lascia da sola con i miei pensieri e mi sento così sola ad un tratto che vedo la vista annebbiarsi. Ma non mi concedo di cedere così facilmente, così mi strizzo gli occhi e inizio a mangiare in totale solitudine.

Un messaggio arriva contemporaneamente, da un numero che non ho mai visto: "Non sei molto carina quando tieni il broncio, ragazzina. Vieni in biblioteca".

Guardo a destra e a sinistra e lo vedo là, appoggiato accanto alla porta d'entrata della mensa. Dylan mi sorride, poi si stacca dal muro ed esce da lì. Probabilmente dirigendosi in biblioteca.

Lo seguo pochi secondi dopo.

Varco la soglia della biblioteca e inizio a cercarlo per i vari corridoi. Mi manca venire qui ogni pomeriggio a passare un po' di tempo con lui. Sorrido al ricordo.

Poi lo trovo, seduto a terra con il libro di "Romeo e Giulietta" tra le mani, le gambe distese e i piedi incrociati tra loro.

Non appena mi vede, mi sorride ed io non faccio altro che restituirglielo. Con una mano batte a terra, accanto a se, come invito a venire da lui. Mi siedo al suo fianco.

<<Per un momento avevo pensato che qualche altro ammiratore segreto avesse preso il mio numero da chissà dove>> scherzo.

<<Hai un' ammiratore segreto?>>

<<Oh si, ci scambiavamo dei messaggi ma nulla di chè, adesso non lo fa più>> solo dopo averlo detto realizzo una cosa. Il cuore fa una capriola e uno strano calore mi inonda le guance.

<<Invece ci sono aggiornamenti per il tuo telefono? L'hai più ritrovato?>>

<<No, ho perso le speranze, ho disattivato la scheda e fatto la denuncia ma nulla di più... Ho dovuto accettare che sono cose che capitano>>

<<Capisco>> rispondo semplicemente <<Perché ci troviamo qui?>> cambio volutamente argomento. Mi mostra il libro con un sorriso buffo.

<<Per leggere ovviamente, non l'abbiamo mica finito>>

<<Oh, capisco... Iniziamo subito allora>> sto al suo gioco. Lui apre il libro, precisamente alla pagina a cui eravamo arrivati, probabilmente se l'era segnato mentalmente.

Poi picchietta sulla sua spalla per dirmi silenziosamente di appoggiare lì la testa . Lo faccio senza alcuna esitazione. Poi inizia a leggere e continuiamo così, leggendo e ridendo o anche trattenendo qualche lacrima, finché il suono della campana decreta la fine della pausa pranzo.

<<Mi dispiace, ma è arrivato il momento di tornare alla triste realtà>> esordisce con un sospiro. Ci alziamo da terra.

Ci avviamo verso l'uscita ma prima che io possa aprire la porta, lui mi tira per un braccio e mi cinge la vita con le sue braccia che percepisco protettive. Mi stringe forte come se avesse bisogno o forse per dare conforto a me.

<<Grazie, ne avevo bisogno>> ammetto. Poi mi rilasso del tutto e mi godo questo piccolo momento di tenerezza tra noi.

Ma la magia finisce presto e si allontana da me, lasciando solo un piccolo vuoto.

<<Si vedeva>>

Sorrido, felice che mi sia rimasto almeno lui e che sia riuscito a capirmi. Ci scambiamo dei dolci sorrisi senza scambiarci però alcuna parola ed è così bello questo momento che vorrei durasse in eterno.

<<Dovremmo andare>> dico in fine in totale disagio. Lui concorda.

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Torno a casa giusto in tempo per mangiare qualcosa al volo, lavarmi e scegliere i vestiti giusti da indossare per andare a lavoro. Oggi è il mio primo giorno e sono tanto emozionata quanto spaventata di come possa andare.

Quando varco la soglia di casa, interrompo una dolce conversazione tra mia madre e un uomo che mi sembra già di aver visto da qualche parte, seduti sul divano.

<<Salve>>

<<Ciao>> mi saluta con un gesto della mano dalla pelle scura e un sorriso smagliante sul volto. Ha degli occhi piccoli dall'intenso color castano scuro, che mi guardano con una sorta di imbarazzo, e coperti qualche ciocca di capelli riccioluti.

<<Bianca, lui è Richard>> mi avvicino a loro e gli do la mano <<Richard, lei è mia figlia Bianca, la minore>>

Guardandolo meglio, credo di aver ricordato dove l'ho già visto: al ristorante, per il pranzo di famiglia.

<<Piacere>> risponde lui ed faccio lo stesso.

<<Scusate ma vado di fretta>> mi dirigo correndo verso le scale.

<<Dove vai?>>

<<A lavoro>> grido per farmi sentire da lei, che si trova al piano di sotto. Prendo dalla cabina armadio una semplicissima maglietta nera e dei jeans. Li indosso in un attimo e torno da loro.

<<Hai un lavoro?>>

<<Si, voglio aiutarti con i soldi... Non sei arrabbiata perché non te l'ho detto, vero?>>

<<No, assolutamente, sono solo... sorpresa>> mi sorride con quel suo modo dolce di fare. Ricambio, sollevata.

<<E dove lavori?>>

<<In un ristorante, per adesso solo come lavapiatti credo... Ti spiego tutto più tardi, devo davvero sbrigarmi>> mi avvicino a lei e le stampo un veloce bacio sulla guancia <<Ti voglio bene>> apro la porta di casa <<Arrivederci RIchard>>

Chiudo la porta solo dopo aver sentito le loro risposte. Chissà cosa bolle in pentola per mia madre.

Di fretta a furia prendo la metro e arrivo solo qualche minuto dopo. Corro dentro la ristorante e trovo il proprietario che coordina alcuni dipendenti a sistemare al meglio i tavoli.

<<Oh Bianca, sei arrivata.. presto indossa la divisa e aiuta i tuoi colleghi>>

<<Certo, capo>>

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Arriva l'orario di apertura ma noto che Dylan non è ancora arrivato. Dovremmo essere colleghi ma ancora nessuna traccia di lui.

Mi giro e rigiro nella speranza di intravederlo dall'oblò della porta che divide la cucina dalla sala principale ma, quando perdo ogni speranza di poter lavorare insieme a lui oggi, eccolo che entra velocemente dentro al ristorante.

Il mio cuore fa una capriola e aumenta di battiti dopo nel vederlo. E mi vien da ridere se penso che ci siamo vestiti allo stesso modo.

Il capo lo sgrida per via del ritardo, si scusa velocemente e in un batter d'occhio arriva qui. All'inizio non sembra nemmeno vedermi, scivola via dentro lo spogliatoio del ristorante, riservato solo al personale, e solo dopo essere uscito da lì con le mani dietro la schiena ad allacciare il grembiule da lavapiatti che mi vede già in posizione pronta a lavorare.

Ha la faccia di chi è sorpreso di vedermi qui. Rimane imbambolato davanti alla porta degli spogliatoi mentre i nostri colleghi sono in un via vai di ordinazioni.

Poi, come a spezzare la magia, torna a muoversi e mi raggiunge. I primi piatti sporchi arrivano, noi indossiamo i guanti ed iniziamo a lavorare.

<<Che ci fai qui?>>

<<Lavoro, avevo bisogno di denaro>>

<<Si, ma perché qui?>> dice, poi si avvicina al mio orecchio per evitare di farsi sentire dagli altri colleghi <<Detto tra noi, ci sono posti migliori dove lavorare>>

<<Perché? Il posto sembra carino e il capo non è per nulla scortese>>

<<Forse con te, sei una ragazza, non potrebbe mai esserlo>> dice a denti stretti, mentre sembra metterci troppa forza per pulire il piatto che ha in mano.

Ha le maniche arrotolate fin sopra gli avambracci dove riesco a vedere meglio quelle lunghe cicatrici poco visibili. Cerco in ogni modo di non farmi vedere ma lui nota lo stesso l'invadenza dell'occhio impiccione.

Si appoggia al bordo del lavandino e sospira pesantemente.

<<Per te saranno cicatrici ma per me è solo il segno permanente del dolore, come dei tatuaggi: ogni volta che le guardo mi ricordano quei periodi del passato che vorrei solo dimenticare, ma gli stessi che hanno fatto di me quello che sono oggi>> volta verso sù gli avambracci in modo da farmi vedere meglio <<Ma mi ricordano anche gli errori che ho fatto, così da diminuire le possibilità di ricaderci ancora e ancora>>

<<E' successo tanto tempo fa?>>

<<Il tempo necessario per farmi rendere conto che avessi ancora tanto tempo davanti per buttarlo via così>>

I suoi movimenti diventano lenti, gli occhi si oscurano d'un tratto e capisco di essere entrata in un territorio abbastanza minato, pieno di ricordi dolorosi.

<<Ero convinto mi aiutasse a sentire meno il dolore ed era così in effetti...Ma accadeva solamente perché ero completamente sconnesso dal mondo, non riuscivo a percepire nient'altro che il vuoto che avevo dentro>>

<<E ti faceva sentire meglio?>> domando un po' spaventata dalla risposta.

Lui non risponde, continua indifferente a pulire il piatto che ha in mano e meccanicamente ne prende un altro.

<<Mi diceva che ero ancora capace di sentire qualcosa>> si volta verso di me e punta i suoi occhi nei miei. Mi spaventa leggermente tutto il dolore che ci vedo dentro, ma non do nessun segno di squilibrio.

Quando si rende conto di aver mostrato una parte fragile di sé e che gli ha velato persino gli occhi d'uno strato di liquido lacrimale, si volta dall'altra parte e si asciuga gli occhi con il polso.

<<Ragazzi, hanno bisogno di piatti di là, in cucina>> ci avvisa uno dei camerieri, interrompendo bruscamente la nostra conversazione.

<<Si, arrivano subito>> rispondo velocemente.

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Le ore passano talmente velocemente che all'ora di chiusura non mi sembra di aver lavorato così tanto. Anche se la stanchezza ai piedi, alle gambe e alla schiena si fa sentire più che mai, per non parlare delle mani completamente rugose.

E' Dylan ad offrirsi di riaccompagnarmi a casa ed io non potevo rifiutare di certo.

Per tutto il resto del viaggio rimaniamo in silenzio, sia per la stanchezza, sia perché non abbiamo nulla di cui parlare. La macchina si ferma una volta arrivata davanti al vialetto di casa mia. Dylan si lascia andare sul sedile e fissa il suo sguardo su di me.

<<Che c'è? Sono sporca da qualche parte?>> scherzo e quando inizia a ridere mi sento più leggera.

<<Alla fine hai ricevuto qualche invito al ballo?>>

<<Tasto dolente>> sospiro <<Mancano tre giorni e non ho nessun accompagnatore... Forse non ci andrò e basta>> dico un po' a disagio <<E tu? Verrai?>>

<<Dovrei andare con Logan, ci andiamo ogni anno insieme ma sempre con la stessa voglia: nessuna>> alzo gli occhi al cielo ma con un sorriso sulle labbra.

<<Facciamo così, se nessuno entro tre giorni ti chiederà di venire al ballo, allora noi non ci andremo>>

<<E cosa faremo?>>

Lui alza le spalle e fa il labbruccio. Torna a guardare davanti a sé per cercare qualche altra parola da dire o semplicemente per riflettere su cosa fare nel caso in cui nessuno si farà avanti per chiedermi di venire al ballo.

Ma alla fine si volta di nuovo verso di me e, nonostante sia poca la luce che ci avvolge come un velo protettivo dal mondo esterno, riesco a vedere i suoi occhi colorarsi di una luce diversa, più intensa.

<<Sei la persona, dopo i miei fratelli e Logan, che sa la storia di queste cicatrici>>

<<Penso che più ne parli, più il problema diventa meno pesante>>

<<Non so nemmeno io il perché te l'ho detto, forse perché ogni volta che ti guardo so di potermi fidare, c'è qualcosa nei tuoi occhi che quasi mi costringe a dirti ciò che non va nella mia vita>>

<<Beh, sono contenta che tu ti fidi di me... Mi rende felice questa cosa>> non riesco a guardarlo negli occhi per via delle parole che gli dico, vengono direttamente dal mio cuore e ho paura a mostrarmi così vulnerabile ai suoi occhi. Il cuore non mi aiuta affatto dal momento che inizia ad aumentare di battiti e il mio stomaco comincia a riempirsi d'una strana sensazione.

Dylan si tira su e si sporge verso di me, a metà strada tra il suo sedile e il mio.

<<Ti rende felice?>> il suo sussurro interrompe quell'infinita sequenza di silenzi uno dopo l'altro, per poi farlo tornare in una frazione di secondo.

Mi volto verso di lui, anch'io mi sporgo dal sedile così da finire a pochi centimetri dal suo volto poco illuminato dal lampione a pochi metri dalla macchina e da un gentile raggio di luna.

<<In verità>> mi blocco subito da quello che sto per dire, i suoi occhi fissi nei miei che mi supplicano di continuare. E il fiume di parole che vuole rotolare giù per la mia lingua diventa difficile da contenere e alla fine mi lascio andare per una volta, anche se so che questo peggiorerà la situazione <<In verità tu mi rendi felice, quando sto con te mi sembra possibile anche andare sulla luna con la sola forza delle nostre gambe>>

Dylan inizia a sorridere gentilmente e assume sempre di più l'aspetto di chi non avrebbe saputo spiegare meglio tutte quelle sensazioni. Mi sembra persino di vedere i suoi occhi più lucidi di prima e totalmente assorto in quello che sto dicendo. Questo mi incoraggia a continuare.

<<Mi hai fatto vedere come divertirsi con poco, quanto sia bello provare almeno una volta quella sensazione di adrenalina quando si infrangono delle regole e quanto sia bello provare questa sensazione>> comincio a fissare le sue labbra che fanno emergere dei ricordi che dovrei cancellare e basta ma troppo belli per essere dimenticati così facilmente. Sento i battiti del cuore alla gola e per questo sussurro le ultime parole.

Lui si avvicina ancora un po', lasciando solo pochi centimetri tra le nostre labbra.

<<Che sensazione?>> provo di nuovo cosa significa sentire il suo fiato sfiorare delicatamente e riscaldare la mia pelle. Cerco di riprendere il controllo, ma ogni tentativo diventa vano per via della forte attrazione che provo in questo momento. Così preferisco agire che aggiungere altre parole inutili. 

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