39. Empatia
CORRETTO
Per i giorni successi non ho incontrato molto Dylan, le uniche volte sono state nella biblioteca della scuola per aiutarlo a studiare e i discorsi sono stati solo quelli riguardanti gli argomenti di ogni materia.
Ma la cosa che mi ha lasciata un po' di stucco è stato il fatto che abbia fatto finta di nulla per tutto il tempo. Sembra interessato solo ed esclusivamente agli argomenti. Nessuna battuta, nessun riferimento a me, nessuna discussione tra "amici".
E non mi sarei mai aspettata di sentire una forte stretta al cuore quando mi avrebbe salutato, finita la lezione, per andare da Sofy e cercare di chiarire uno degli ennesimi litigi della settimana.
Da quando Sofy ha scoperto che Dylan va dalla psicologa e hanno litigato la prima volta per questo, da lì hanno cominciato a ridire su tutto quello che faceva l'altro.
Passano giorni interi a litigare ed io ho dovuto consigliare a Sofy le migliore mosse da fare per riappacificarsi a Dylan.
Matt, nonostante soffra per la relazione tra Sofy e Dylan, è stato sempre il primo a consolarla quando finiva per piangere sul suo letto, da sola. Per lei farebbe di tutto, anche farsi spezzare il cuore da lei per aggiustare il suo.
Per via di tutto questo, Matt sembra essersi scordato di venire a casa mia per scoprire i segreti di Dylan. Così sono stata costretta a scoprirli da sola.
Ho continuato ad ascoltare i messaggi lasciati in segreteria e comincio a fare due più due.
E anche questo pomeriggio, dopo essermi ritirata dalle lezioni pomeridiane per Dylan, mi getto sul mio letto, metto le cuffiette alle orecchie e torno ad ascoltare uno di quei messaggi.
<<Ciao papà, oggi è un anno che non ci sei più e la situazione non fa altro che peggiorare qui a casa. Le gemelle sono andate al college, studiano giurisprudenza, proprio come te>> sorride orgoglioso di suo padre.
<<Senza di loro la casa sembra sempre più vuota. Liam dovrà partire l'anno prossimo ma io non voglio perché significherebbe che resterò davvero da solo. La mamma ha iniziato un altro lavoro ma non so quale sia e non mi interessa, viaggia sempre e ci lascia sempre da soli>> prende una pausa dove, in realtà, sembra cercare di trattenersi dal non piangere.
<<I soldi ci bastano appena per sopravvivere, Liam lavora tutto il giorno e passa poche ore a studiare. Vorrei aiutare anch'io ma la mamma continua a screditarmi e alla fine sono finito col crederci veramente. Non sto bene papà, mi manchi e mi sembra di non resistere tanto a lungo, tanto che il preside mi ha consigliato di farmi aiutare da qualcuno ma non mi sembra di essere così disperato>> grida più a se stesso che per la rabbia.
Cerca di convincersi che non ha bisogno ma da quello che dice ne ha davvero bisogno.
<<Tra l'altro mamma ha scoperto che tengo io il tuo telefono e lo so che non sei veramente tu, ma questo metodo mi fa sentire un po' più vicino a te>> la voce si spezza, tanto che anche attraverso il telefono si riesce a percepire il dolore che stava provando in quel momento.
Anche i miei occhi si riempiono di lacrime, dopo aver capito finalmente che suo padre non c'è più, proprio come aveva detto il suo patrigno.
<<Mi ha urlato contro che sono pazzo e che niente riuscirà a riportarti da noi, che sei... morto e basta>> inizia a singhiozzare ed io insieme a lui.
Le lacrime scorrono lungo le guance e non riesco a fermarle. Sento un grosso peso sopra al cuore e mi sembra di provare le stesse cose che ha provato lui, anche perché io, in un certo senso, ho perso mio padre.
Credo che io e Dylan abbiamo provato lo stesso dolore, segnati dalla stessa mancanza e cambiati secondo questa.
MI lascio trasportare dalla forte emozione che mi scombussola interamente e mi abbandono ad un pianto liberatorio.
<<Ma io non credo di essere pazzo, solamente mi manchi tu... Cosa posso farci se mi sento morire da quando non ci sei?>> questo è il colpo decisivo. Non riesco a continuare ancora. Sono troppi i ricordi, le emozioni provate, il dolore che sento arrivare ad alta velocità e schiantarsi con brutalità contro il mio cuore ancora provato.
Strappo via le cuffiette dalle mie orecchie, come se servisse ad evitare tutto il male che sento dentro, ed inizio a piangere come quella volta in cui mio padre se ne andò definitivamente da casa nostra.
Mi sembra di risentire tutto ciò che ho provato quel giorno e i giorni a seguire e non riesco a controllarlo. Inizio a spaventarmi a tal punto che non riesco più a sentire il mondo esterno e nemmeno mio fratello che corre in camera mia per controllare cosa mi succedesse.
Sento la sua voce leggermente ovattata, mentre mi copro le orecchie con entrambe le mani e piango senza riuscire a fermarmi.
<<Bianca, che succede?>> Alex mi abbraccia forte, come se volesse tenermi ancorata a questo mondo facendomi realizzare di riuscire a percepire ancora il suo tocco.
<<Fa male, Alex, fa davvero male>> riesco a dire a pena, con il fiatone.
<<Cosa fa male, Bianca?>>
<<L'ho sentito di nuovo ma sembrava come amplificato>>
<<Che cosa, Bianca?>> mi scuote un po' con volto totalmente preoccupato.
Lo guardo dritto negli occhi, quello smeraldo piano piano mi fa tornare con i piedi per terra e a realizzare ciò che è successo.
<<Il dolore... lo stesso che ho sentito quando papà se ne è andato da questa casa>> sussurro. Negli occhi di Alex noto come un attimo di smarrimento, ma si riprende velocemente e torna ad abbracciarmi.
<<Va tutto bene adesso, ci sono io con te>>
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Nel pomeriggio, dopo quell'intenso e strano episodio di dolore, mi sento ancora abbastanza scossa.
Dopo quello che ho sentito oggi, quasi mi sento in dovere di aiutarlo, adesso che riesco a comprendere il suo comportamento. Nonostante non sia arrivata a conoscerla, mi sembra di riuscire a vedere la sua anima prima di tutto quello.
Pura, gioiosa, normale come tutte le altre.
Mi vengono in mente le parole di Logan, gli episodi dentro allo spogliatoio e quel gesto estremo che ha cercato di commettere. Tutto sembra avere un senso adesso.
Dylan è solo un ragazzo costretto a crescere troppo presto, ad assumersi responsabilità che non gli spettavano, un'anima più fragile di quello che vorrebbe far credere a chi non lo conosce. Ma io sto imparando e solo adesso riesco a vedere la parte più bella di Dylan, quella che probabilmente tiene nascosta per evitare di far affezionare le persone a lui e lui alle altre persone.
Bevo l'ultimo sorso di tè e mi alzo dalla seduta della finestra. Scendo al piano inferiore ed esco di corsa da casa senza avvisare mio fratello.
A quest'ora dovrebbe aver iniziato il turno al ristorante, dovrei riuscire a trovarlo.
Prendo la metro e raggiungo il ristorante in cui ho avuto l'unico appuntamento con Andrew. E' da tanto che non lo vedo, solo qualche sguardo scambiato in corridoio ma nulla di più.
Guardo la facciata del ristorante. Non so cosa dirgli quando lo vedrò, non so come iniziare il discorso e questo mi mette in agitazione, comincio persino a pensare che sia stata una pessima idea venire qui. Ma la parte più istintiva di me continua a ripetere che non vede l'ora di vederlo, anche solo per incontrare i suoi occhi, il suo sorriso smagliante.
Mi faccio coraggio, prendo un bel respiro ed entro nel ristorante. Prenoto un tavolo e quel ragazzo gentile e molto disponibile, mi ci accompagna.
Aspetto che il mio cameriere venga a prendere la mia ordinazione, ma nel frattempo vedo cosa offre il menù. Poi sento dei passi avvicinarsi e una voce annoiata, cantilenante attirare la mia attenzione.
<<Buonasera signorina, cosa desidera ordinare?>>
Alzo lo sguardo ma non è Dylan il ragazzo davanti ai miei occhi. Nonostante presa della delusione del momento, ordino il piatto del giorno e un bicchiere d'acqua.
<<Scusa, ma Dylan oggi lavora?>> gli domando, prima che possa sfilare via sotto ai miei occhi.
<<Si, ma in cucina, è il lavapiatti>>
<<Lavapiatti? Non serviva i tavoli insieme a te?>>
<<No, solo quando c'è troppa gente al ristorante>> mi sorride, forse prendendomi in giro per il mio errore.
Consumo la mia cena in totale solitudine e, una volta finito, pago il conto ed aspetto nel retro del ristorante che Dylan esca per fumare la sua solita sigaretta.
Passano secondi, minuti, persino le ore ma Dylan non esce ancora. La sera è già calata e direi che l'ora non è una delle migliori: 23:00. Sfrego le mani contro le braccia per via della leggere brezza che inizia a farsi sentire. Mi scombina un po' i capelli ma spero di sembrare comunque carina agli occhi di Dylan. Aspetta... che?
La porta che da sul retro si apre e io mi sistemo un po', aspettando che Dylan varchi la soglia ed eccolo lì, vestito d'una semplice maglietta nera, dei jeans e il grembiule bianco da lavapiatti.
Ha una sigaretta in bocca, la mano a coppa per aiutarsi ad accenderla e l'altra mano che regge l'accendino. Quando mi vede, si blocca un attimo. Poi inizia a sorridere e avanza verso di me con quella aria sicura che lo caratterizza.
<<Che ci fai qui, ragazzina?>>
<<Ti stavo aspettando>>
Arriccia il naso.
<<Perché?>>
<<Volevo vederti>> alzo le spalle e rispondo tranquillamente. Lui continua a sorridere, forse a disagio.
Si dirige verso una macchina e la utilizza come appoggio. Comincia a fumare la sua sigaretta mentre guarda l'orizzonte, dove si riesce a scorgere il mare.
Mi metto vicina a lui e non posso non notare le sue mani.
<<Che hai fatto alle mani?>> gliene prendo una e la guardo da più vicino. Sono completamente spaccate e qualche ferita sanguina un po'.
<<Mi sono fatto male mentre colpivo il sacco da box e lavare piatti tutti i giorni non aiuta affatto>>
<<Ma non usi i guanti?>>
<<No, sono inutili e peggiorano la situazione>> torna a guardare l'orizzonte ed io insieme a lui.
<<E' davvero bello>>
<<Il mare?>>
<<Si, ci sono particolarmente legata>> mi guarda mentre aspira dalla sigaretta. Inizia a fissarmi come stesse pensando a cosa poter fare. Credo una pazzia.
Inizia a sorridere, butta a terra la sigaretta ed inizia a correre verso la spiaggia che si trova a pochi metri dal ristorante.
<<Vieni, non ho molto tempo>> grida ridendo.
Io inizio a sorridere e non ci penso due volte ad iniziare a correre pure io e seguirlo dovunque lui voglia portarmi.
Cerco di raggiungerlo ma non ci riesco, è troppo veloce e più allenato di me. Capendo probabilmente la direzione dei miei pensieri, rallenta la sua corsa per aspettare me e una volta che ci troviamo l'uno accanto all'altra, mi prende per mano e mi aiuta a stare al suo passo.
<<Aspetta, non ce la faccio>>
<<Forza, manca poco>> mi incoraggia e non so perché ma mi da la forza, la carica necessaria per qualche altro metro fino ad arrivare in spiaggia.
Rallentiamo e prendiamo fiato, con le mani poggiate sulle ginocchia per reggere il peso del corpo. Continuiamo a guardarci negli occhi, il tempo sembra fermarsi e il cuore continua a battere forte ma non per la corsa, ma per altro che non vorrei provare.
Mi sento in colpa a sentire questo battito accelerato, quella leggera scossa quando mi ha afferrato la mano e quella sensazione dentro allo stomaco quando finisco per perdermi dentro ai suoi occhi.
Poi inizia a correre di nuovo, io lo seguo con molto piacere. Le nostre risate si mescolano, non sento la stanchezza alle gambe, sarei in grado persino di spiccare il volo se solo lui iniziasse a farlo con me.
Corro avanti a lui, non posso permettergli di essere più veloce di me. Ma la stanchezza ha la meglio su di me e non mi resta che fermarmi.
Lui fa lo stesso.
<<Corso troppo veloce, ragazzina?>> riesce a dire a stento. Io non ho abbastanza fiato per rispondere, così annuisco in risposta.
Lui, che sembra essersi ripreso abbastanza per tornare a camminare, si avvicina alla riva del mare. Io gli vado dietro, finché non decide di fermarsi ed osservare il pelo dell'acqua. La luce fioca del lampione ci illumina.
I suoi occhi hanno cambiato intensità, sembrano come più cupi, immersi in qualcosa che ancora lo ferisce.
Vorrei poggiare una mano sul suo braccio per dimostrargli che io sono qui se avesse bisogno di me, ma ho paura che possa non fargli piacere che io prenda questo tipo di confidenze. Alla fine, però, decido di farlo lo stesso.
Sento una piccola scossa partire dalla mano e continuare per tutto il braccio, fino ad arrivare alla bocca dello stomaco e serrarlo con forza.
<<Che succede?>> domando con un sussurro.
Lui non risponde all'inizio, come se stesse combattendo contro se stesso per mantenere un segreto che vorrebbe tenere solo per sé. Ma sento un forte bisogno di dirlo a qualcuno che, probabilmente, non sia la sua psicologa e decide di abbassare la sua barriera quel poco che basta per farmi scorgere il necessario che mi è concesso sapere.
<<Venivo sempre qui con mio padre, ci preparavamo sui pezzi che avremmo dovuto suonare alla sera nella piazza più affollata di Los Angeles>> sorride nostalgico mentre io l'ascolto tutta orecchi. Poi Dylan avanza verso le onde del mare che vanno e vengono, ignare di quanti ricordi portino a galla a persone come me e Dylan.
<<Ci sedavamo qui, lui con la chitarra tra le braccia ed io che lo guardavo con occhi sognanti... Era il mio sogno nel cassetto diventare come lui>> indica il punto preciso con un dito, poi si siede sulla sabbia fredda e ne raccoglie un po' in un pugno ben stretto. La lascia cadere piano piano e la guarda come ipnotizzato.
<<Perché "era"? Ora lo consideri uno stupido sogno da bambino?>>
<<Perché la vita ha cambiato i miei piani e non ho tempo di giocare al ragazzino sognatore che spera di diventare come suo padre>>
<<Non è il gioco di un bambino sognare di diventare come qualcuno a cui si voleva bene... I sogni, per quanto tenti di cacciarli via, resteranno sempre qui dentro>> poso una mano sul suo petto, nel punto preciso in cui si trova il cuore.
Sento ogni palpitazione sotto al palmo della mia mano, alleggerisco la pressione per evitare di mandare in frantumi quel che resta di questo cuore infranto.
<<Ci sarà sempre una parte di che continuerà a sperare che quei sogni diventano realtà e non solo immaginazione... Basta crederci davvero per realizzarli>>
Fissa il suo sguardo nel mio, ascolta attentamente le mie parole e dentro ai suoi occhi riesco a vedere una luce di speranza sbarluccicare nella parte più profonda di essi.
Volta lo sguardo altrove e scuote ripetutamente la testa, poi un sorriso affranto gli dipinge le labbra.
<<Quanto darei per essere come te, Bianca, vorrei essere anch'io così positivo come lo sei tu>>
<<Non c'è nulla di male a provare ad esserlo>>
<<Sembri la mia psicologa, anche lei dice così>> stavolta ride divertito. Io a malapena accenno un sorriso.
<<Se non sai come si fa a non perdere la speranza, lasciati aiutare, lascia che io ti insegni a tornare a sperare>> gli dico dopo un paio di secondi passati ad ascoltare solamente la melodia delle onde.
Si volta a guardarmi e quel ghiaccio sembra supplicarmi di aiutarlo, che lui lo voglia o no.
Gli offro la mano con gentilezza, il palmo rivolto verso il cielo blu ricoperto di stelle, e accompagno il tutto con un sorriso incoraggiante, gentile, ricolmo di speranza.
Lui guarda la mia mano come l'unica via d'uscita dal suo eterno dolore, poi guarda i miei occhi cercando la certezza che io riuscirò a salvarlo da se stesso.
<<Fidati di me, ce la farai>>
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