25. Io sono qui...

CORRETTO 

<<Allora, come conosci questo posto?>> inizio a mangiare ciò che ho ordinato, instaurando una conversazione con Andrew che mi imita. Mastica bene e poi risponde, almeno è educato.

<<Diciamo che ci venivo quasi ogni sera con i miei, tanti anni fa>>

<<Che è successo dopo?>>

<<Diciamo che i miei non hanno passato un bel periodo, ma si sono ripresi e hanno saputo far rinascere ciò che ormai sembrava morto>> usa un tono malinconico prima ma che sfocia in una felicità nascosta poi.

<<Sono felice di questo>>

<<Anch'io, davvero tanto... Tu, invece, hai un bel rapporto con i tuoi?>> porta alla bocca un altro boccone e aspetta la mia risposta.

<<Non siamo né la famiglia perfetta né l'esempio concreto di famiglia, ma la sto superando col tempo e grazie all'aiuto dei miei amici>> confesso a cuore aperto. Mi fido di lui e so per certo non mi giudicherà se dovessi dirgli della mia famiglia disastrata. E' qualcosa che ha passato pure lui e so perfettamente che sarà capace di capirmi.

<<Ti capisco, ci sono passato anch'io e mi dispiace che anche tu lo stia passando, pensare di poter vivere con i tuoi genitori che si guardano in cagnesco ogni secondo o urlano di continuo è qualcosa che nessun bambino o ragazzo dovrebbe provare>> beve un sorso di vino dal bicchiere di vetro e si perde un po' con lo sguardo.

Io faccio lo stesso, vedendo camminare tra i tavoli il ragazzo che non ha smesso di attirare la mia attenzione.

Andrew sembra accorgersene e fa cadere "accidentalmente" il bicchiere, facendo versare così il vino sulla tovaglia.

<<Oh, ma che sbadato...Cameriere?>> alza una mano al cielo per attirare l'attenzione di un cameriere.

Io nel frattempo cerco di tamponare con dei tovaglioli la macchia, illudendomi per qualche secondo che veramente possa toglierla. Il cameriere ci raggiunge e quando alzo lo sguardo incontro quello di Dylan.

<<Mi dispiace ma è caduto per sbaglio un po' di vino sulla tovaglia>>

<<Per sbaglio, eh?>> Dylan lo guarda in cagnesco e si trattiene nel prenderlo a pugni davanti a tutti o, peggio, al suo capo.

<<Si, mi dispiace davvero tanto>> Andrew fa finta di nulla e continua a sorridere provocante.

<<Andrew, smettila>> lo riprendo mentre Dylan pulisce la tovaglia, ma non ci fa molto caso perché è impegnato nel pensare alla prossima cosa da chiedergli.

<<Banca, è un cameriere, lo sto facendo solo lavorare... Potresti portarci un altro po' di vino?>> Dylan gli lancia un'altra occhiata ricolma di odio e va via per andare a prendere una bottiglia di vino.

<<Non c'è bisogno di trattarlo così>>

<<Ah no? Me la deve dopo tutto questo tempo, anzi, ce la deve>>

<<Perché, che ha fatto a te?>> gli chiedo ma non mi risponde, mordendosi la guancia e pensando alla prossima mossa. Sospiro e, lo ammetto, per l'ennesima volta ho parlato troppo presto.

Dylan torna e versa del vino in ognuno dei bicchieri, non osa nemmeno lanciarmi un'occhiata accidentale.

Sta per andarsene, quando Andrew gli fa lo sgambetto con l'intento di farlo cadere ma, probabilmente, non ha calcolato il buon equilibrio di Dylan che riesce a salvarsi. Stessa cosa però non si può dire della bottiglia che si schianta a terra provocando il tipico suono del vetro che si scontra col pavimento, spezzandosi in mille pezzi.

Tutti si voltano a guardare l'accaduto e persino il capo non ci mette tanto ad arrivare con un'espressione davvero arrabbiata.

<<Dylan, ma è possibile che ogni volta ne combini sempre una? Raccogli i vetri e sparisci dove meriti di stare>> Dylan raccoglie i pezzi di vetro con un tovagliolo, in silenzio e chiedendo scusa al suo capo, che lo guarda dall'alto in basso con fare superiore.

Mi fa pena vederlo così, lui che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, farsi piccolo piccolo per evitare sicuramente di perdere il posto di lavoro.

Andrew sorride sotto i baffi e fa finta di nulla quando il proprietario ci chiede infinitamente scusa.

Io non resisto e mi appresto ad aiutarlo a raccogliere gli ultimi pezzi più grossi con un tovagliolo in mano.

<<Bianca, non ce ne bisogno>> mi sussurra Dylan con tono di rimprovero, prima che il suo capo mi aiuta ad alzarmi e dirmi di lasciare fare tutto a lui.

<<Sono cose che capitano>> ha detto alla fine Andrew e solo quando quell'uomo ci liquida con un sorriso tra l'imbarazzato e l'educato, mi rivolgo verso Andrew.

<<Sono sincera Andrew, ti credevo un bravo ragazzo, non mi sarei mai immaginata questo da te... Umiliarlo davanti a tutti, perché?>>

<<Perché così è quasi sicuro che una volta per tutte lo licenzino>>

<<Perché vuoi fargli perdere il lavoro?>>

<<Perché lui ha bisogno di soldi e odio il fatto che la possa passare sempre liscia, quindi mi faccio giustizia da solo>> il suo sorriso cambia, anche la sua espressione, diventa più cupa e simile a quella degli psicopatici.

Butto il tovagliolo sul tavolo, in un gesto arrabbiato, e mi alzo.

<<Dove vai?>>

<<Sei venuto qui solo per umiliarlo davanti ai miei occhi, pensando anche solo minimamente che mi faccia piacere vederlo così dopo tutto quello che mi ha fatto... Pensavo fossi diverso da lui, ma vedo che sei ancora un bambino a cui piace vendicarsi>> prendo il mio giubbotto ed esco dal locale il più velocemente possibile.

Ho sbagliato a dire quelle cose, è stato troppo presto. Mi pento persino di avergli confessato quelle cose sulla mia famiglia. Che stupida che sono stata.

<<Bianca, aspetta, mi dispiace>> mi raggiunge con una corsetta.

<<No, Andrew, dispiace a me di non aver capito prima che tu fossi come lui>>

<<Io non sono come lui>>

<<Allora non avresti dovuto fare tutto questo>> gli grido contro. In verità non sono sicura che Dylan avrebbe potuto fare una cosa del genere, ma ormai non mi stupisce più nulla di quel ragazzo.

<<Ora voglio solo andare a casa>> dico dopo un lungo silenzio.

<<Va bene, ti accompagno>>

<<No, sta arrivando mio fratello>> bugia, ma serve solo a farlo andare via. Mi guarda a lungo, capendo che ha rischiato grosso stasera con me e dopo un po' se ne va, lasciandomi da sola.

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Aspetto fino a tarda sera, fino alle due e mezza di notte, seduta sul marciapiede fuori dal ristorante, fino a che non vedo Dylan uscire da lì con il giubbotto sulla spalla e una sigaretta tra le labbra, con una mano a coppa davanti per aiutarsi ad accenderla e l'altra che regge l'accendino... che non sembra funzionare però.

Io mi alzo e finalmente sembra notarmi da lontano. Rimane un po' spiazzato di vedermi ancora qui, poi si avvicina.

<<Che ci fai tu qui?>>

<<Ti stavo aspettando>> mi stringo nel mio giubbotto per via del venticello freddo.

<<Fino a quest'ora? Tu sei completamente pazza>> tira giù il giubbotto dalla spalla e lo poggia sulle mie. Sa di profumo maschile, mischiato all'odore del fumo. Mi piace questo odore, tanto che non lo rifiuto.

Ci guardiamo a lungo finché lui si guarda intorno, grattandosi la nuca a disagio.

<<Beh, volevo parlarti>>

<<Potevi farlo a scuola>>

<<Ci ho provato per tutta la settimana, ma non c'eri>>

<<Ho avuto da fare>> dice velocemente e fingo di crederci, annuendo <<Che volevi dirmi?>>

<<Per prima cosa, mi dispiace per il comportamento di Andrew>>

<<Deve scusarsi lui, non tu>>

<<Lo so, ma volevo farlo lo stesso e poi...>> avanzo di qualche passo verso di lui <<Volevo dirti che non ce l'ho con te, per l'altra sera, davvero non m'importa>> mi riferisco al suo tentativo di tirarmi un pugno.

Continua a non guardarmi, come se non ci riuscisse forse perché si vergogna di quello che stava per fare. Allora mi avvicino a lui e gli poso le mie mani fredde sulle guance. Lo costringo a guardarmi e, non so perché, ma mi sento meglio quando lo fa. Mi sembra di prendere una boccata d'aria dopo tempo.

Forse sarà solo l'effetto di quel vino.

<<Dico per davvero, se è per questo che mi eviti, ti dico che puoi guardarmi negli occhi senza che tu ti senta in colpa>> poggio la fronte sulla sua e chiudo gli occhi, accarezzando la sua pelle morbida al tocco.

<<Lo so Bianca, tu sei fin troppo buona, ma se ti dovessi guardare negli occhi non farei altro che ricordarmi che mostro sono>> si stacca da me e mi accarezza le mani che continuano a fare dei cerchi immaginari sulle sue guance.

Rimango in silenzio perché da questa sera mi è sorto un grande dubbio: lui è davvero un mostro, come si vuole fare credere o è lui che cerca di convincersene e di convincere la gente?

Comincio a pensare alle parole di Logan della scorsa settimana: "Lu pensa di meritare l'indifferenza delle persone"

<<Ti accompagno a casa>> avanza verso il parcheggio ed io non posso far altro che seguirlo.

Mentre guida verso casa mia, rimaniamo entrambi in silenzio ma all'improvviso decido di dirgli una cosa che premeva di uscire da molto.

<<Io non ti considero un mostro Dylan, penso soltanto che le tue azioni siano il frutto di tanto dolore>> stringe forte il volante e irrigidisce la mascella.

Mi tornano in mente tutte le volte in cui l'ho visto debole, in cui quella corazza di pura sicurezza in se stessi crollava senza che lui se ne rendesse conto e da questo traggo la mia affermazione.

<<Perché tutta questa curiosità? Non eri già chiara su chi fossi?>>

<<No, mi sbagliavo, dopo tutto quello che ho visto e quello che è successo questa sera non so chi tu sia Dylan, tu sei la luna e il sole contemporaneamente, è difficile capire chi sei>> mi metto comoda sul sedile, chiudendo gli occhi a causa della stanchezza.

Sospira ma non risponde.

<<Perché lavori a quel ristorante? Non ti bastano i soldi che prendi con la droga?>> dico senza peli sulla lingua. Non so nemmeno io del perché, ma lascio le cose come sono.

<<Cosa? E tu come lo sai?>> si ferma ad un semaforo rosso, sospirando pesantemente e stringendo ancora di più il volante.

<<Ti ho seguito una volta... Mi dispiace, non so nemmeno perché te lo sto dicendo>> mi lamento con voce assonnata. Mi sistemo meglio sul sedile e poi nulla, il vuoto.

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Quando mi sveglio mi ritrovo sul mio letto ma non ricordo assolutamente come io ci sia arrivata.

Mi metto a sedere e mi stiracchio il più possibile e poi sospirare soddisfatta. Mi guardo intorno un po' spaesata, poi controllo l'orario dalla mia sveglia, 12:30.

Caspita, ora ricordo. Ero sulla macchina di Dylan e stavamo parlando delle sue consegne segrete grazie all'effetto dell'alcol della bottiglia di birra che avevo bevuto prima di incontrarlo.

Poi mi sarò addormentata mentre gli parlavo di quello che ho scoperto su di lui, gli sarò sembrata una stupida.

Scendo sotto e trovo mia madre intenta a cucinare e mio fratello smanettare al computer con accanto la sua fidata tazza di latte.

<<Buongiorno Bianca, dormito bene?>> domanda mia madre.

<<Si, benissimo>> mi siedo accanto mio fratello rubandogli qualche sorso di latte.

<<Stavo pensando, Bianca, che ho proprio bisogno di allenarmi al sacco>>

<<Davvero vuoi riprendere?>>

<<Si, è ora di rimettersi in forma>> scende dallo sgabello, mettendo a lavare la tazza.

<<Bene, ti aiuto a prendere il sacco in cantina?>>

E' curioso sapere che Alex vuole riprendere lo sport che ci ha insegnato nostro padre se fino a qualche settimana fa litigava con lui.

<<No, non ho intenzione di appendere quello alla mia stanza, ho già parlato con la mamma e andrò in palestra>> ecco, mi sembrava strano. Figurati se avesse appeso il sacco regalatogli da nostro padre.

<<Andremo, voglio andarci anch'io>> mi rivolgo a mia madre, che acconsente con un'alzata di spalle e un sorriso.

<<Va bene, lunedì andrò ad iscriverci>> sparisce dalla mia vista ed io rimango in cucina a far finta di fare compagnia a mia madre.

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Nel pomeriggio vado a fare una passeggiata dopo pranzo, cammino per la città con le cuffie alle orecchie e non smettendo di pensare alla vergogna che provo nel ricordare come ho parlato a Dylan ieri sera.

Ad un certo punto, come a farlo apposta, mi ritrovo di fronte a quell'entrata segreta che conoscono in pochi, tra cui anche Dylan.

Raggiungo il centro di quello splendore della natura, ma non sono da sola come l'altra volta, infatti ci trovo già Dylan seduto sotto l'albero con attorno il fumo di una sigaretta.

Lo raggiungo con massima discretezza, fino a sedermi accanto a lui. Lo guardo con la coda dell'occhio e mi sembra di scorgere un'espressione distrutta, provata, in viso. Prendo tutto il coraggio che mi rimane in corpo e mi volto per vederlo meglio.

Ha le guance bagnate, gli occhi stanchi e arrossati e le labbra, di un rosso più vivo, più gonfie del solito.

Una mano avvicina meccanicamente alle labbra quel che ne rimane della sigaretta e butta fuori il fumo dalle narici, come se lo facesse apposta per rovinarsi maggiormente.

<<Grazie per avermi riportato a casa, ieri sera... Ero un po' ubriaca e non sono nemmeno io tanto sicura del perché volessi aspettarti alla fine del turno>>

<<Non devi ringraziarmi, non ce ne bisogno>> il silenzio cala di nuovo, non so che dire e ho una paura fottuta di sbagliare.

Così decido di non dire nulla e di allungare una mano verso la sua guancia, sobbalza al mio tocco improvviso ma chiude gli occhi non appena passo ad accarezzarla, per asciugarle dalle lacrime.

Vederlo così mi fa percepire di nuovo quella sensazione di pesantezza al cuore e vorrei davvero sapere del perché di questo suo stato d'animo.

<<Voglio aiutarti Dylan>> dico e lui inizia a ridere.

<<Lascia stare ragazzina, per una come te è meglio rimanere alla larga dal nero che porto dentro>>

<<Non sono la ragazzina indifesa che tanto credi, non vivo nel mondo delle favole già da troppo tempo e, nonostante mi manca provare quella spensieratezza, sono sicura che sono davvero pronta ad affrontare quello che nascondi>> dico con voce sicura, ma spaventata al tempo stesso che quello che dica sia vero e potrei scappare a gambe levate quando me lo mostrerà per qualche assurdo motivo.

Ho paura di deluderlo e non voglio.

Toglie la mia mano da sua guancia e mi fissa negli occhi. Mi sembra un gesto tanto sforzato, come se volesse raccontarmi tutto ma che per qualche motivo me lo tiene nascosto.

<<Non sarà un mondo di fiabe quello in cui vivi, ma sarà sicuramente meglio del mio...Vorrei tanto non doverlo fare, ma sono costretto ragazzina, non meriti di vivere con un peso enorme sulla coscienza>>

<<Da come ne parli sembra davvero una cosa brutta... Lo è così tanto?>>

<<Credimi se ti dico che più stai lontana da me, meglio vivrai... Non è vittimismo o egocentrismo, forse per la prima volta nella mia vita penso costantemente alle altre persone ed evito a chiunque di starmi alla larga>> si allontana da me e si asciuga le lacrime sull'altra guancia.

Si alza in piedi, nasconde la mani chiuse in pugni dentro le tasche ed è pronto ad andare, proprio come fa chi continua a restare forte nonostante muoia dentro.

E ammiro il fatto che ci riesca da solo, sempre e solo lui e se stesso. Questa è una dimostrazione di una grande forza interiore, una forza modellata e migliorata grazie al tempo che, probabilmente, per lui sembra scorrere sempre più lento rispetto a me, a Matt, a Sofy, rispetto a tutti.

Mi alzo velocemente e prima che la sua figura, che mi sembra camminare con un'aura oscura intorno che lo rende non qualcosa di inquietante ma di un'anima sola, lo raggiungo con una corsetta.

Lo abbraccio da dietro e con le mani mi fermo proprio al centro del suo petto, come se servisse a proteggere il suo cuore. Lo stringo forte, mentre lui rivolge il volto al cielo in un gesto di ennesimo crollo emotivo.

<<Nessuno merita di stare da solo e non ti costringerò a dirmi cosa ti rende così pieno di angoscia, ma sappi solo che io ci sono anche se non siamo l'esempio di migliori amici in questo mondo>> lo sento leggermente sorridere per via del suono che produce il pianto spezzato, silenzioso.

Poi crolla per terra e si lascia andare per la prima volta in un pianto liberatorio, davanti a me, senza preoccuparsi più di tanto. Si aggrappa al mio braccio, come se per la prima volta cercasse di aiutarsi ad uscire da quel vortice oscuro di dolore ed io non finisco di accarezzargli i capelli, iniziando a piangere con lui dalla felicità di essere riuscita a convincerlo che non c'è nulla di male nel chiedere aiuto a qualcun altro, per adesso. 

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