19. Mantieni il segreto

CORRETTO 

Poggio la fronte contro il metallo freddo dell'armadietto per via della stanchezza. Mi prendo qualche minuto di tempo, prima di raccogliere la forza necessaria per affrontare questa giornata.

Con i libri della prossima ora stretti al petto, cammino per i corridoi, accanto al muro così da evitare di farmi vedere da troppe persone. Al mio sguardo, però, non sfugge certo la figura di Matt che parla con un gran sorriso con alcuni ragazzi.

Sembra così contento senza di me.

Dovrei iniziare a pensare che sia diventata un peso anche per lui?

Non mi parla probabilmente da una settimana e cioè da quando non sono riuscita a dire a Sofy la verità. Ho provato a farlo, davvero, ma una volta arrivata di fronte quell'enorme casa i muscoli si sono paralizzati e ogni discorso che mi ero preparata sembrava aver abbandonato la mia mente.

Non sapevo come dirglielo, cosa dirle.

"Ei, Sofy, ti ricordi quando ti ho detto che avresti potuto provarci con Dylan perché mi ha detto che sei il suo tipo di ragazza? Bene, scherzavo. Io non so minimamente quali siano i suoi gusti". Oppure "Dylan non ha nessun interesse verso di te, ma io ti ho mentito perché avevo paura che quella strana sensazione che provo con lui potesse accrescere e così ho deciso di tagliarlo fuori dalla mia vita per non correre quel rischio, scaricandolo a te, che probabilmente non hai attirato nemmeno la sua attenzione".

Solo a pensarlo, suona davvero come una bruttissima cosa. Mi odio per averlo pensato e mi odio per aver scelto la strada sbagliata.

Sofy non ha fatto altro che essere gentile e carina con me e io la ripago così, con bugie.

A tutto questo, si aggiunge anche... lui. Mio padre ha invitato me e mio fratello ad un pranzo. Forse perché vuole darci la bella notizia che diventeremo ancora fratelli.

Io non avrò mai un altro fratello o sorella, per me esisterà sempre e solo Alex. E' lui la mia famiglia, nessun altro.

Una fitta al cuore mi accartocciare il viso in una smorfia di dolore. Mi allontano da lì, da Matt che si diverte anche senza di me, per cercare di respirare di nuovo.

Mi sento soffocare e non so quale sia la vera causa.

Cammino a grandi falcate per il corridoio, urtando anche qualcuno con la spalla. Dopo qualche altro passo sono costretta ad appoggiarmi con una mano sul muro per riprendere fiato, in un posto più appartato.

La gola è secca e il respiro sempre più irregolare. Chiudo gli occhi e poso la mano al centro del petto per massaggiare sul punto dolorante e continuo così, prendendo grandi respiri finché non mi sono calmata quasi del tutto.

Mi raddrizzo, mi sistemo i capelli, asciugo delle lacrime che erano colate sulle guance e, dopo un bel respiro, torno di nuovo in mezzo alla massa di ragazzi. E se pensavo di essermi calmata, era solo una bugia perché in lontananza, in fondo al corridoio, vedo Sofy che parla con un gruppo di ragazze.

Agita le braccia per aria con molta enfasi, come se stesse raccontando qualcosa di straordinario e si muove in maniera divertente in quei jeans troppo larghi e una semplice maglietta gialla a maniche corte. La coda ondeggia in seguito ai suoi movimenti, rendendo la scena ancora più comica.

Sorrido.

«Mi fai quasi pena. Da sola, ad osservare come i tuoi amici si divertono senza di te» una voce, la sua voce, giunge alle mie orecchie. Lancio un'occhiata al mio fianco e lo vedo, le braccia incrociate al petto e le guance gonfie per via di un sorriso. Non c'è malizia nella sua voce, piuttosto il tono sembra quello di una battuta scherzosa.

Si volta di poco per osservarmi con la coda dell'occhio e il sorriso si allarga ancora di più, mettendo in mostra la dentatura lucente.

Vederlo qui, accanto a me, bello come sempre se non di più, mi fa dimenticare tutti i problemi. Una magnifica sensazione di sollievo mi fa contemplare l'idea di poter iniziare a levitare per aria.

La boccata d'ossigeno di cui avevo bisogno.

Mi spavento per il pensiero appena avuto. Mi ricompongo e mi schiarisco la gola, ma decido comunque di stare al gioco.

«Ti sbagli, non vedi che c'è qualcuno qui con me?»

Si guarda attorno per poi tornare a puntare gli occhi di ghiaccio nei miei. Alza le spalle: «Io non vedo nessuno»

Finta offesa, porto una mano sul cuore e spalanco la bocca: «Questo non dovevi assolutamente dirlo! Billy si è offeso»

«E chi sarebbe "Billy"?» dice cercando di nascondere una risatina.

«Non è ovvio?» inarca un sopracciglio, aspettando che gli risponda, «Il mio amico immaginario»

Cerca di trattenersi, invano. Il petto viene sconquassato dalle risate mentre porta una mano sullo stomaco e si curva in avanti per via delle troppe risate.

Io, d'altro canto, non riesco a restare indifferente di fronte ad una scena del genere e mi ritrovo a ridere, ma in maniera trattenuta.

Perché questa sensazione di sollievo che senti adesso è qualcosa che non dovresti provare. Ci tiene a ricordarmi la mia mente. Perché l'unica a doverle provare è Sofy.

Mi ricompongo, di nuovo, reprimendo il subbuglio dentro al mio stomaco.

«Wow, ragazzina, prima mi parli di tuo padre, adesso del tuo amico immaginario. Ti stai per caso affezionando, Anderson?»

Ti stai per caso affezionando, Bianca? O forse, stai per caso provando qualcosa di più?

Quella domanda mi spaventa, perché è la verità.

Ma non voglio che sia verità. Io non posso tenere a te perché noi ci odiamo.

Un risolino mi fa vibrare le labbra: «Ero solo ubriaca, non sapevo quello che dicevo scusami» punto di nuovo lo sguardo su Sofy, non riuscendo ad avere il coraggio di guardarlo negli occhi mentre le guance prendono colore.

«Perché ti scusi? E' stato carino sentirti parlare in quel modo»

Mi volto di scatto. I suoi occhi sono lì ad aspettarmi e li trovo, scelgo di aggrapparmi ad essi. Il cuore perde un battito e lo stomaco fa una capriola.

Odio sentire tutto questo, ma non posso negare che mi piaccia perché questa è la dimostrazione tangibile che io riesco a provare ancora qualcosa.

Per quanto sia bella, non è giusta, per Sofy.

E così la reprimo, facendo finta di nulla: «A differenza tua» dico, riferendomi a ciò che ha provato a fare.

La sua espressione, da luminosa qual'era, si rabbuia in un istante. Adesso è lui a distogliere lo sguardo da me e serrare la mascella. Si schiarisce la gola: «A proposito di questo» fa una breve pausa, «Volevo chiederti di mantenere il segreto. Nessuno deve venire a saperlo, nemmeno Logan» si volta completamente verso di me. Avanza di qualche passo, tanto che i nostri corpi sono così vicini da permettermi di sentire il suo odore leggero ma prepotente.

«Promettimelo, ragazzina» soffia, autoritario.

Non so perché vuole che rimanga un segreto, ma colgo l'occasione per rimediare a ciò che ho fatto. Ingoio con fatica: «Va bene, te lo prometto» lui sembra tirare un sospiro di sollievo, «Ma voglio qualcosa in cambio»

Si acciglia, confuso. Stringo forte i pugni e raccolgo tutto il coraggio che posseggo per far rotolare giù dalla lingua queste parole che mi bruciano lo stomaco: «La vedi la mia amica laggiù?» indico verso Sofy, la quale adesso sta ridendo insieme alle altre ragazze. Dylan annuisce.

«Le piaci e voglio che tu esca con lei»

Alle mie parole, Dylan si irrigidisce all'istante. Punta lo sguardo di nuovo su di me, tra il preoccupato e il confuso.

«Si chiama Sofy ed è stata la prima ragazza a capire che dietro quella maschera che ti piace indossare c'è una brava persona»

«Significa che anche tu sei arrivata a comprendere ciò?» chiede, dopo interminabili secondi.

Avvampo e per non darlo a vedere, mi volto dall'altra parte. Il cuore batte come un tamburo e la gola si secca.

Ammettilo, Bianca, digli che anche tu hai capito che tipo di persona è lui.

Non aggiungo nulla, lascio che il tempo scorra e che lui sospiri, rassegnato: «Va bene. E' una bellissima ragazza, sembra simpatica»

La guarda come un ragazzino alle prime armi con la sua prima cotta, saltellando sul posto per l'ansia di chiederle di uscire.

«Alla fine devo solo fare questo» sussurra, più a se stesso che a me. Dopodiché, si allontana da me mentre si sistema i capelli e la giacca sportiva.

Lo guardo allontanarsi e inevitabilmente sento i resti del mio cuore frantumarsi ancora, sempre di più.

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«Prendete carta e penna perché oggi è un giorno da segnare sul calendario!» esordisce Sofy, posando il vassoio sul tavolo della mensa e sedendosi poi accanto a Matt.

Un gran sorriso le arriva da una guancia all'altra: «Dylan mi ha chiesto di uscire!» Matt si strozza con l'acqua, «Non è fantastico?!» continua lei mentre Matt tossisce forte.

Appena si riprende, mi lancia un'occhiata assassina.

Lo ignoro e sorrido a Sofy: «Che bello, Sofy! Sono davvero contenta per te» le stringo una mano, «Te l'avevo detto che gli interessavi»

«Ti ha parlato di me?»

«Diciamo di sì. Mi ha detto che sei sei bellissima e che sembri simpatica e non vede l'ora di conoscerti»

Quasi salta sulla sedia per la troppo felicità.

Mentre io mi sento sprofondare in un mare di dolore.

Un gridolino di euforia le fa tremare le corde vocali mentre strizza gli occhi e si morde il labbro inferiore in un sorriso: «Non ci credo che tutto questo sta succedendo proprio a me, insomma sono abituata a ragazzi stronzi a cui non importava nulla di me» lo sguardo si rabbuia per qualche secondo.

Matt, sprofondato in un silenzio insolito, sospira pesantemente mentre continua a mangiare e tenere lo sguardo basso.

Sofy deve notarlo perché gli lancia un'occhiata, poi una a me: «E' successo qualcosa?»

«A chi? A noi?» domandiamo all'unisono.

«Sì, è da tutta la settimana che siete strani. Avete litigato?»

«No!» gridiamo entrambi, prima che continui io, «E' solo che... sono un po' stressata ultimamente perchè mio padre ha invitato me e mio fratello a pranzo da lui»

Sofy arriccia il naso e prima che possa darle una spiegazione, Matt parla al posto mio: «I suoi genitori sono separati. Con suo padre ha tagliato quasi tutti ponti»

Continuo io: «E adesso sta insieme ad un'altra donna, la stessa con cui ha tradito mia madre» lo sguardo si perde sul cibo nel vassoio, «Credo che ci voglia annunciare di aspettare da lei un altro bambino e io non sono pronta a una cosa del genere»

«Capisco cosa intendi. Non è facile accettare di vedere accanto a tuo padre qualcuno che non sia tua madre» il sorriso di prima si affievolisce e la luce nei suoi occhi si spegne quasi del tutto, «Io ho vissuto la stessa cosa e non ti posso negare di aver odiato la nuova compagna di mio padre, avevo paura che me lo portasse via, in fondo lui era l'unico genitore che avevo sempre avuto. Ma quando l'ho conosciuta, ho capito che è stato prematuro giudicarla in quel modo»

«Come si fa ad accettare una situazione del genere? Come hai fatto a rivalutarla?»

«Ho semplicemente visto come mio padre la guardava, come lo faceva sentire e lì ho capito che mio padre aveva avuto l'occasione dalla vita di tornare ad essere felice. Mio padre mi ha dimostrato che lei non mi avrebbe cancellato dal suo cuore, ma che mi avrebbe fatto compagnia. Mi ha semplicemente dimostrato che per quanto amasse lei, non avrebbe mai smesso di farlo con me»

Quanto vorrei provare ciò che provi tu, quanto vorrei poter dare una possibilità ad entrambi. Ma come si fa quando è proprio lei ad aver portato via mio padre da me?

«Devi solo darti tempo, Bianca» conclude, afferrando di nuovo la mia mano per stringerla forte.

La vista si annebbia per le sue belle parole, per la consapevolezza di non riuscire a metterle in pratica perché sono ancora così piena di rabbia da risultarmi impossibile, per la realizzazione di quanto sia puro l'anima della ragazza di fronte a me. E poi ci sono io, che non faccio altro che riempirla di bugie solo per un tornaconto personale. Io, che la tratto neanche la metà di come lei tratta me.

E devi farti schifo per questo.

Tutto diventa troppo da sopportare. Mi alzo di scatto e con una scusa banalissima mi allontano da quel tavolo per scappare e rifugiarmi dentro ad uno dei bagni per non farmi vedere nel bel mezzo di una crisi di pianto.

Il dolore al petto di questa mattina torna a farmi male e stavolta non basta massaggiare il punto dolorante. Per un attimo mi manca il respiro. Penso di non farcela. Ma alla fine, come tutte le altre volte, ce la faccio sempre.

Dopo aver sciacquato il viso, esco dal bagno sovrappensiero.

«Come stai?» la voce di Matt arriva alle mie orecchie, da dietro. Mi volto di scatto e lo trovo poggiato con le spalle al muro, le braccia incrociate e un'espressione tra il preoccupato e l'arrabbiato.

Male

«Bene» soffio, un po' imbarazzata. Era da tempo che non gli mentivo.

Si stacca dal muro per raggiungermi. Mi fissa per interminabili secondi.

Chiedimi come sto veramente e io non esiterò a dirtelo. Ti prego Matt, dimostrami che possiamo ancora essere quelli di prima.

Dopo attimi in cui sembra esitare nel volermi dire qualcosa, finalmente apre bocca: «Era vero ciò che hai detto poco fa, a mensa?»

Il cuore si spezza, ancora.

«Sì, e dico sul serio, Matt, non mi sono inventata nulla»

Sospira: «Sei sicura che stai così solo per tuo padre?»

«Sì, oltre a quello che ha provato a fare Dylan. A volte penso cosa sarebbe successo se non fossi arrivata in tempo» dico, ripensando a quella sera, «E tu? Sei sicuro di essere arrabbiato con me solo per la questione di non ferire Sofy?»

«Sì, non voglio che lei soffra, quindi» avanza di un passo, «Sarà meglio per lui che dica la verità»

Si allontana da me, ma prima di lasciarlo andare lo richiamo.

«Se ci dovesse essere qualcos'altro, me lo diresti?»

Alza le spalle: «Non lo so, tu lo faresti?»

Non sentendo alcuna risposta provenire dalle mie labbra, si allontana da me e stavolta definitivamente.

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L'umore di oggi non è dei migliori e questo si riflette anche sulle ripetizioni che sono costretta a dare a Dylan. Dopo quasi mezz'ora dall'inizio della lezione, mi innervosisco a tal punto da rifiutarmi a continuare.

«Significa che posso andare?»

«Fai quello che ti piace, Dylan, non mi importa nulla ma assumiti le responsabilità delle tue azioni» incrocio le braccia al petto e mi getto contro lo schienale della sedia.

«Stavo scherzando, ragazzina» sorride, imitando la mia posa. Se fino a stamattina quel nomignolo poteva risultare dolce alle mie orecchie, adesso mi infastidisce.

«Non chiamarmi così, non ne sono proprio in vena, Collins» sputo acida.

«Ah si? E come dovrei chiamarti allora?»

Sto per rispondergli, ma la sua mano raggiunge il mio fianco e lo pizzica. Salto sulla sedia e lui scoppia a ridere. Continua a farlo mentre io cerco di sottrarmi al suo tocco e di non ridere.

Perché è questo quello che stai riuscendo a fare nel modo più naturale e buffo che tu conosci.

«Magari col mio nome? I miei me l'hanno dato per questo scopo» riesco a dire nascondendo un sorriso durante un momento di tregua.

«Vedo che ogni giorno diventi sempre più simpatica» mi stuzzica ancora il fianco e stavolta non riesco a trattenermi: scoppio a ridere mentre mi dimeno come un'anguilla per scansare i colpi veloci.

Le nostre risate si mischiano e tutti i motivi per cui avrei categorizzato questa giornata come una tra le più brutte della mia vita svaniscono nel nulla.

«Mi dovrei sentire onorata per questo?»

«Oh sì, certo che sì. Non capita tutti i giorni di sentirsi dire una cosa del genere da un ragazzo popolare come me!» scherza.

«Studia di più e fai meno lo spaccone Collins, al preside non interessa chi sei qui dentro» mi ricompongo, sistemandomi sulla sedia, «Riprendiamo a studiare che mi è riapparsa magicamente la voglia»

Sfoglio le pagine del libro per riprendere il filo del discorso, ma con la coda dell'occhio riesco a veder nascere sulle sue labbra un sorriso furbo.

«Non è che hai paura di scoprire che, in verità, parlare con me, ti piaccia più del dovuto?»

Alzo la testa di scatto per fissare i miei occhi nei suoi.

Odio questa tua capacità di leggermi così facilmente.

Decido di mentire, ancora una volta. Ricambio il suo sorriso e mi avvicino pericolosamente al suo viso: «Non preoccuparti per me, io non corro alcun rischio» gli schiaccio un occhiolino.

Si mette a ridere ma non ribatte, lasciando che io torni a fare il mio lavoro e lui a seguire ciò che dico. Ma una domanda non smette di frullare per la mia testa.

«Come fai a essere così tranquillo dopo quello che ti è successo?»

Il suo sguardo si rabbuia all'istante e la contentezza di prima si dissolve nell'aria come fumo.

«E' solo un aiuto» fa una pausa, «Un aiuto per evitare che possa rifarlo»

Non aggiunge nient'altro, né io domando qualcosa di più. Si vede lontano un miglio che non ha voglia di parlarne e soprattutto con me.

Non sono nemmeno affari tuoi, tienilo a mente.

Ci tiene a ricordarmi la vocina nella mia testa e io, che non ho il coraggio necessario per metterla a tacere, la ascolto senza esitazione.

Continuiamo, come desiderava lui finché l'ora di tornare a casa arriva puntuale come un orologio svizzero.

«A domani, allora» dice, una volta usciti dalla scuola, nello stesso posto in cui le nostre strade si separano.

«A domani, Collins» lo saluto di rimando e mentre lui si allontana dopo un attimo di esitazione, mantengo lo sguardo fisso su di lui. In lontananza, noto ancora una volta quell'auto parcheggiata dall'altro lato della strada.

Corro verso il muro della scuola per nascondermi dietro ad esso e spiare ancora una volta la strana presenza di quell'uomo.

Dylan, come immaginavo, si gira per assicurarsi che io me ne sia andata così che la strada sia definitivamente libera. Si sistema meglio lo zaino sulla spalla e si avvia verso quell'auto e l'uomo con gli occhiali da sole e vestito di abiti totalmente neri, stavola e con le braccia incrociate al petto, in attesa di qualcosa.

Quando Dylan si trova ormai di fronte a lui, si stacca dal veicolo contro cui ero poggiato e infila una mano nella tasca interna del giubbotto che indossa. Un sorriso malvagio gli compare sul volto mentre porge a Dylan la mano in cui stringe una busta gialla, appena estratta dalla tasca.

Si avvicina al suo orecchio per sussurrare qualcosa, qualcosa che deve far innervosire Dylan perché inizia a stringere forte un pugno lungo il fianco.

L'uomo gli lancia un'ultima occhiata prima di risalire in macchina e sfrecciare via dai nostri sguardi, lasciando Dylan da solo, dall'altro lato della strada, fermo ad osservare la busta che stringe in una mano. 

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