17. Cosa sono diventata?

CORRETTO

«Bene ragazzi, io vado a cercare Dylan» esordisce Sofy, battendo il bicchiere di plastica rosso sul bancone delle bibite. Sono passati alcuni minuti da quando siamo entrati dentro questa casa di lusso e dal mobilio super moderno, ma Sofy ha già bevuto almeno tre bicchieri di birra, come se l'alcol le servisse per scaricare la tensione e abbandonare qualsiasi inibizione per poter parlare senza timore col ragazzo che le piace.

Le guance sono già rosse e il sorriso non le abbandona più il viso. Si allontana da noi a passi lenti e barcollando un po', ma agitando le braccia in aria a ritmo di musica.

Ai miei occhi risulterebbe pure buffa, se solo la sua felicità non fosse determinata da Dylan. Non riesco a togliermelo dalla testa, il suo sorriso e la pieghetta che si forma all'angolo delle labbra, i suoi occhi, il suo profilo e il suo tono di voce, profondo e quasi roco.

Un brivido mi scuote, attraversando la schiena e finendo sulle gambe. Una strana sensazione comincia a bruciarmi il ventre, ma diversa da quella che ho sentito il giorno in cui ho detto a Sofy che avrebbe potuto provarci. E' più intensa, tanto da infuocarmi anche le guance.

Basta, Bianca. Fai finta di nulla e sopprimi anche questa stupida sensazione. Tu non puoi provare qualcosa di simile per lui. Tu e lui vi odiate. Tu e lui non siete e mai sarete nulla.

Un fitta al petto mi fa capire che è arrivato il momento di smettere di pensare a questo e spostare la mia attenzione sulla figura di Matt, poggiato coi gomiti al bancone mentre beve dal bicchiere.

«Ce l'hai ancora con me?»

Mi lancia un'occhiata veloce, prima di voltarsi verso la pista da ballo, poggiare la schiena al bancone e fissare il liquido dentro al bicchiere: «Mi conosci, Bianca, sai come sono fatto»

Allora è un sì.

Sbotto: «E va bene, ho sbagliato, ok? Non avrei dovuto mentirle, ma questo non mi sembra un motivo valido per non parlarmi più!» grido, per essere sicura che riesca a sentirmi per via della musica troppo alta, «Sono umana, sbaglio anch'io cazzo!» poso lo sguardo sui corpi che si scatenano in pista, muovendosi a ritmo di musica o dell'alcol che gli scorre nelle vene, per evitare di fargli vedere che ho la vista annebbiata.

«Tu hai paura»

Arriccio il naso mentre mi volto di nuovo verso di lui: «Paura? Di cosa?»

Finalmente, dopo tempo, riesce a guardarmi negli occhi: «Dei tuoi sentimenti. Hai paura di poterti innamorare di Dylan»

Rimango attonita di fronte alla sua osservazione. Sospoto il peso da una gamba all'altra per l'agitazione. Ingoio a fatica: «Ma che dici? Cosa te lo fa pensare?»

«Passi ogni pomeriggio con lui, quando non sei con lui lo cerchi sempre con lo sguardo e quando lo trovi in mezzo a tutti gli altri, ti perdi, ti esili dalla realtà e non presti attenzione più a nulla» posa il bicchiere sul bancone e lentamente si avvicina a me, «Quindi scusami se la domanda mi sorge spontanea: ti stai innamorando di Dylan, Bianca?»

Ad una spanna dal mio viso, trovo difficile mentirgli.

Ma è quello che hai fatto negli ultimi tre anni e mezzo.

Prendo coraggio e pronuncio la risposta che le sue orecchie non si sarebbero aspettate di sentire: «Non so davvero cosa tu abbia visto, ma ti posso assicurare che tutto ciò che hai appena affermato è falso. Io non provo nulla per Dylan. Io e lui non siamo nulla e non smetteremo mai di farlo»

Dirlo ad alta voce fa un altro effetto.

E se dovrebbe essere giusto così, allora perché non smette di fare male il petto?

Matt mi fissa negli occhi cercando spiegazioni, cercando la verità nella parte più profonda di me, ma gli anni mi hanno insegnato a nascondere bene quella parte di me. Le verità le nascondo così bene che a volte dimentico persino di dove le abbia nascoste.

Ritenta: «Hai pensato di dirle la verità, ma poi ti sei resa conto che questo avrebbe comportato il fatto di spendere maggiore tempo con lui, così che i tuoi sentimenti si sarebbero sviluppati fino a farti male, fino a bruciarti le budella e l'incapacità di riuscire a farli smettere» si avvicina ancora mentre io resto a corto di fiato pensando a quelle sensazioni, «Hai avuto paura di affrontare tutto questo per una persona che ti ha reso la vita impossibile. E ora guardami dritti negli occhi e dimmi che non hai pensato a questo»

Serra la mascella e il viso si accartoccia in un'espressione quasi arrabbiata. Respiro a fatica, ma la voce nella mia testa mi incita a mentire ancora: «Ti sei dimenticato una parte importante: l'ho fatto per renderla felice»

«No, Bianca, sei stata egoista e l'hai usata per proteggerti dai tuoi sentimenti» dice a denti stretti.

«Oh, ma insomma! Perché ti preoccupi così tanto?! Hai paura che lei non potrà mai provare qualcosa per te?!» urlo, come non avevo mai fatto con lui.

La sua sicurezza vacilla un po'. Poi riassume il controllo: «Io le voglio bene, mi preoccupo del fatto che Collins le possa spezzare il cuore e sai pure tu che lei non se lo merita. E poi, se provassi qualcosa per lei, io sarei sincero, al contrario di te» mi punta un dito contro. Non avevamo mai alzato la voce così contro l'altro.

Afferro un bicchiere dal bancone con i nervi a fior di pelle: «Va' al diavolo, Matt!» e mi allontano da lui mentre porto il bicchiere alle labbra, bagnandole immediatamente col liquido che contiene, il quale mi riscalda il petto qualche secondo dopo essere scivolato giù per la gola.

Cammino tra i corpi sudati dei ragazzi, rischiando di cadere su qualcuno per via delle spinte di questi corpi ubriachi dopo solo un'ora. Raggiungo l'altro lato del grande salotto, dirigendomi verso le scale per riuscire a trovare un posto più tranquillo, in cui la musica smette di rimbombare prepotente nei timpani.

Trovo posto su un divano, vicino ad una coppia intenta a baciarsi appassionatamente. Persa nei miei pensieri e ripensando alla conversazione appena avuta, continuo a bere il mio drink e a perdermi con lo sguardo nella penombra di questo piano.

Sapevo che non era una buona idea venire qui.

Matt non mi parla, Sofy è convinta di avere qualche possibilità con Dylan e io rimurgino sulle colpe di cui mi sono macchiata. Come ho potuto fare male alle poche persone che mi vogliono bene?

«Brutta serata anche per te?»

Una voce alla mia destra mi distrae dai miei pensieri. Con sorpresa, la coppia di prima ha lasciato il divano e adesso è occupato da un ragazzo dalle fossette evidenti e un sorriso mozzafiato. Nonostante la luce fioca riesco a distinguere i tratti delicati del suo volto e gli occhi color nocciola, simile al colore dei capelli disordinati.

E' davvero un bel ragazzo.

«Brutta serata» ammetto, posando lo sguardo sul bicchiere.

Il ragazzo accanto a me sospira pesantemente: «Ti va di fare un gioco?»

Lo guardo confusa, allora lui torna a sorridere: «Raccontiamoci del perché questa sera è una merda, senza giudicarci e senza sapere chi siamo»

«Non me ne volere, ma io non ti conosco nemmeno e non mi piace raccontare i fatti miei agli sconosciuti. Non credo sia una buona idea»

«Per questo non dovremo sapere chi siamo. Se vuoi possiamo darci dei soprannomi, così non saremo costretti a chiamarci "sconosciuti"» sorride ancora, un sorriso capace di scaldarmi il cuore e farlo aumentare di battito.

Forse è solo colpa dell'alcol.

Sorrido: «Va bene» gli porgo la mano, «Chiamami Aria, allora»

Mi stringe la mano e parla di nuovo: «Piacere "Aria"» calca il nome, «Io sono Vlad»

Una risata mi fa vibrare il petto e per un secondo dimentico tutto ciò che mi turbava prima.

«Prima le ragazze, Aria» mi incita ad iniziare, voltandosi col corpo verso di me e poggiando la testa sulla mano chiusa a pugno.

Prendo un bel respiro prima di cominciare: «Qualche giorno fa ho mentito alla mia amica. Le ho detto che il ragazzo che le piace gli interessa. Il mio migliore amico se l'è presa e adesso non mi parla più, lasciandomi da sola a questa festa a cui non volevo nemmeno venire» mi massaggio la fronte con la mano libera dal bicchiere.

«Che merda. Senza che io ti giudichi» alza le mani in segno di resa, allargando il sorriso, «Ti consiglio di dire la verità alla tua amica. Se non si è sinceri con loro, con chi dovremmo esserlo?»

«Lo so, mi sento una merda per quello che ho fatto. Ma so di poter recuperare e vorrei farlo» sospiro, bevo un altro sorso e mi rivolgo di nuovo a lui, «Ora tocca a te»

«Il mio ragazzo non mi calcola perché ha litigato col suo migliore amico e quando accade si dimentica completamente di quello che gli sta intorno»

«Nemmeno tu sei messo molto bene. Io ti consiglio di parlargli e farglielo notare»

«E' quello che ho pensato, ma so che finiremo per litigare e io odio litigare con lui»

«Ma non credi che anche i litigi siano utili in una coppia? Aiutano a conoscersi meglio e a superare i problemi»

Sospira pesantemente e lascia andare la testa sulla spalliera del divano. Fissa il soffitto per qualche secondo, prima di tornare a sorridere e scattare in piedi: «Hai ragione, grazie per avermi dato la spinta necessaria per farlo» beve l'ultimo sorso del liquido dentro al bicchiere, «Ora, se mi vuoi scusare, ho un litigio da affrontare. Buona fortuna con la tua amica!» grida quasi per farsi sentire, visto che corre in direzione delle scale, morendo dalla voglia di rimettere a posto la situazione col suo ragazzo.

Dannazione. Il destino deve odiarmi profondamente per farmi incontrare un ragazzo che non riuscirebbe a distrarmi dal volto di Dylan.

Sbuffo sonoramente prima di bere anch'io il mio ultimo sorso e dirigermi di nuovo al piano di sotto. Cerco i miei amici in mezzo alle braccia levate in aria e i movimenti scoordinati dei corpi sudati e solo dopo qualche minuto riesco a trovare Matt. Sta parlando con una ragazza dai capelli corvini e dal sorriso smagliante. Ridono insieme, parlano come fossero amici di vecchia data e vederlo così con un'altra ragazza mi ferisce profondamente.

Sospiro pesantemente prima di tornare a cercare con lo sguardo Sofy. Finalmente la trovo. La fitta al cuore torna a fare male quando vedo accanto a lei Dylan, stretto in jeans strappati sul ginocchio e una semplice maglietta bianca gli copre l'addome mentre sopra alle spalle ha deciso di indossare una giacca nera.

Sorride alle parole di Sofy e al suo intenso gesticolare con le braccia, ma le dà comunque corda forse per non essere scortese oppure perché gli interessa davvero quello che gli sta dicendo. In entrambi i casi, quella strana sensazione torna a consumarmi lo stomaco e anche stavolta la reprimo.

Non trovando più un motivo valido per restare a questa stupida festa, decido di andarmene senza dire nulla. Gli lascerò solo un messaggio.

Mentre mi dirigo verso l'uscita, una voce richiama la mia attenzione: «Bianca, dove vai?» non riconosco la voce e così mi volto per scoprire chi sia. E' Andrew.

Il cuore perde un battito e non riesco a frenare la corsa dei ricordi che presto vanno a battermi contro, dolorosi, come uno schiaffo in pieno viso.

Lo ignoro ed esco di casa camminando il più velocemente possibile. In lontananza sento la porta di quella casa sbattere con un tonfo ed essere poi sostituita da passi scanditi dalla suola delle scarpe contro l'asfalto del vialetto della casa.

«Bianca, ti prego fermati! Voglio solo parlarti!» mi grida.

La rabbia comincia a scorrere nelle vene: «E sentiamo, di cosa vorresti parlare?!» mi volto di scatto, stringendo i pugni lungo i fianchi e trattenendo a stento le lacrime.

L'umiliazione di quel giorno continua a fare male. Ritrovarmelo davanti agli occhi mi fa ricordare la bruttissima sensazione di impotenza, le risate dei compagni, la voglia di rispondergli o ripagarlo con la stessa moneta, ma l'incapacità di riuscire a farlo per la mancanza di coraggio.

«Di quello che ti ho fatto» si avvicina lentamente, fermando la sua corsa a pochi passi da me. Leva leggermente le mani in aria, come per rassicurarmi che non si avvicinerà oltre e che quindi sono al sicuro.

Fissa i suoi occhi nocciola nei miei: «Mi pento ogni giorno di quello che ho fatto. Ho sbagliato, tutti sbagliamo, non è così?»

Quelle parole sono le stesse che io ho pronunciato a Matt. Mi acciglio: «Ci stavi spiando?»

«Ero accanto a voi, era impossibile non sentirvi»

Butto gli occhi al cielo. Faccio per andarmene ma la sua voce mi blocca di nuovo: «Non voglio giustificarmi per quella brutta azione, ma ci tenevo che sapessi che non è stata mai mia intenzione volerti ferire»

Quelle parole mi fanno perdere l'ultimo briciolo di autocontrollo che avevo, così mi volto di scatto di nuovo verso di lui, avanzando di qualche passo: «Ah no?! Quindi quando mi hai scritto quella cosa sulla fronte hai pensato potesse farmi piacere o addirittura ridere?!» grido mentre la vista si appanna sempre di più.

Lui rimane immobile a fissarmi con un'espressione dispiaciuta, in silenzio. Continuo: «Pensavi che facessi i salti di gioia, che mi sentissi felice e appagata?!»

Abbassa lo sguardo, forse perché non è più in grado di sostenere il mio, furibondo: «Mi dispiace così tanto, Bianca, davvero. Ma sono stato costretto a farlo»

Una risata amara mi fa vibrare il petto: «E tu speri davvero che io ci creda?»

Con grande coraggio, posa di nuovo gli occhi nei miei: «Puoi oppure non puoi farlo, ma è la verità»

Le mie sicurezze iniziano a vacillare, tanto da sorgermi il dubbio se mi sta dicendo la verità o no. Incrocio le braccia al petto, restando in silenzio in un segno tacito di continuare con la sua spiegazione.

«E' stata Madison a dirmi di farlo, perché sa qualcosa di me che nessuno deve venire a sapere» avanza di qualche passo, «Capiscimi, non avrei potuto fare altrimenti»

Madison, una delle ragazze più odiose e prepotenti della scuola. La tipica ragazza che necessita di stare al centro dell'attenzione per poter continuare a vivere e con una vita così poco interessante da andare a creare scompiglio in quelle delle altre.

Un'idea mi sfiora la mente: «Cosa sa?» chiedo e Andrew arriccia il naso, i sensi di nuovo in allerta. Avanzo di un passo, sicura più che mai: «Se vuoi che io ti creda devi darmi la prova di quello che sa. Dimmelo e forse potrei riuscire a fidarmi davvero delle tue parole» dico a denti stretti.

Andrew mi fissa per lunghi e interminabili secondi, alternando lo sguardo dai miei occhi al terreno. Respira velocemente, i pugni si stringono e la confusione che ha nella testa riesce a riflettersi nei movimenti del suo corpo.

Torna a fissarmi negli occhi, forse pronto a parlare, ma alla fine non dice nulla.

Un sorriso di scherno mi dipinge il volto: «Come immaginavo»

Mi allontano da lui, cosciente del fatto che abbia potuto ferirlo, ma talmente egoista da fregarmene di quello che può aver provato e di come possa essersi sentito.

Hai osato colpirmi e farmi male, lasciarmi sul luogo del delitto e scappare come un vigliacco. Adesso, quella vigliacca e che ferisce per ripagare il dolore con altro dolore, sono io.

Mentre cammino per le strade, ripenso a quello che ho fatto e solo dopo qualche secondo mi ritrovo a trattenere le lacrime. Il labbro inferiore inizia a tremare e il petto viene scosso da una serie di singulti. Le gambe si fanno molli e, non riuscendo a sostenere più il mio peso, si lasciano andare contro il terreno.

Chi sono diventata? Cosa sono diventata? Da quando ferisco per non farmi ferire?

Delle lacrime calde mi bagnano le guance mentre stringo in due pugni il tessuto del vestito. Mi guardo intorno per assicurarmi di non essere in mezzo alla strada e rischiare di essere investita, ma mi trovo sotto al fascio di luce di un lampione, sul marciapiede di una strada poco trafficata ma poco distante da un'arteria della metropoli.

Prendo profondi respiri prima di asciugarmi le guance dalle lacrime e dal trucco colato. Cerco di sistemarmi il più possibile, prima di tornare in piedi e ricominciare a camminare.

Attraverso la strada ma sono costretta a fermarmi per togliermi i tacchi perché ad ogni passo mi rendono sempre più impossibile il cammino. Li appendo a due dita e continuo a camminare, verso la strada stracolma di macchine che sfrecciano ad alta velocità.

Poco più lontano, nonostante l'oscurità, riesco a distinguere una figura intenta ad osservare le macchine scorrere. Regge in mano qualcosa, simile ad una bottiglia di birra e barcolla un po'.

Un'idea mi sfiora la mente, ma preferisco metterla da parte perché non mi sento abbastanza in forze di farlo.

I piedi si muovono nella sua direzione, i dettagli della figura si fanno sempre più chiari e finalmente riesco a capire che è un ragazzo, alto, le spalle larghe e possenti.

Mi blocco di scatto, quando lo riconosco. Dylan. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top