Tu e la Fata Rosa
TW: riferimento a molestie sessuali, anche nei confronti di minori.
Tu.
Sei una giovane donna che cammina verso la fermata del tram. Ti vedo, con l'incedere goffo e frettoloso e la paura di cascare su quelle caviglie troppo deboli anche solo per degli stivaletti dimessi.
Vuoi raggiungere l'entrata del mezzo prima che ti si chiuda davanti, ma lo zaino da lavoro è troppo pesante e sembra trattenerti. Un cenno all'autista ti permette di sperare: è raro, ma la clemenza a volte la si può trovare in occhi sconosciuti; e questa volta ci prendi in pieno.
Sei contenta, una piccola soddisfazione che ti fa credere che la giornata possa procedere per il verso giusto.
Ti siedi; vicino a te una signora anziana legge le curiosità contenute dentro la Settimana Enigmistica. Ti vedo sorridere, mentre guardi un punto indefinito davanti a te.
Sei una ragazza normale, hai ventisei anni e troppi desideri in testa, così come le speranze che affollano il tuo cuore.
Tu.
Ragazza sul tram, che non conosce nessuno, ma ha un destino simile a tutte le persone sedute lì dentro: dopotutto, anche tu stai andando da qualche parte.
Nello zaino hai il computer aziendale, svariati blocchetti per gli appunti e un libro che parla di Giappone.
Potresti prenderlo, aprirlo e metterti a leggere nei minuti che ci vogliono per arrivare alla tua fermata, ma non ne hai granché voglia.
Leggere in movimento è detestabile, quasi quanto tante altre cose a questo mondo. Te ne vengono in mente alcune, in un baleno:
Gli spinaci.
"Dopo ti devo dire una cosa".
Seriamente, gli spinaci.
Le domeniche.
Quelli che mettono la risata come reazione agli articoli su Facebook che parlano di violenze sessuali.
Il pollo alla piastra.
Con gli spinaci.
Tu.
Cerchi le cuffie Bluetooth nel tuo cappotto. Ci metti un po', a capire come farle funzionare. È quasi routine ormai: le prendi, provi ad accenderle, una si connette e l'altra no, poi nessuna si connette e il cellulare fa partire a tutto volume i Neighbourhood, con tuo sommo imbarazzo.
Perché dovresti imbarazzarti? È buona musica, magari educhi anche qualcuno, una buona volta.
La voce nella tua testa è sempre impertinente, a tratti arrogante.
Il tuo lato più nascosto è anche quello più onesto.
Lei lo sa, tu lo sai.
Io lo so.
Le cuffie finalmente funzionano, ed ora puoi isolarti per il tempo che rimane. Controlli l'ora sul cellulare: le otto e quindici.
Pensi a quello che farai dopo il lavoro: c'è il bagno da pulire, le sessioni di Yoga che continui a non capire - come diavolo si farà la sequenza rana-corvo? - la spesa online, e poi devi decidere lo svago serale: libro o film? Musica con cui percorrere a perdifiato più e più volte ogni centimetro della tua minuscola stanza singola, o anime da guardare a basso volume, perché le pareti sono talmente sottili che i tuoi vicini rischiano di spoilerarsi My Hero Academia?
Intanto sono solo le otto del mattino e hai una lunga giornata in ufficio davanti a te, prima di pensare a qualsiasi altra cosa.
Un uomo seduto più avanti tossisce, attirando la tua attenzione. Potrebbe avere poco più di cinquant'anni. Vestito modestamente, si pulisce la bocca con un fazzoletto e continua a fissare il vuoto, con il labbro inferiore leggermente sporgente, simile a un broncio.
A te viene da ridere: sembra uno strano pesce.
Ti guardi intorno e poi scorgi il tuo riflesso nel vetro di fronte.
Forse ti sbagli: siete tutti pesci in quell'acquario che cammina a passo d'uomo.
Ogni volta che il tram rallenta o si ferma, c'è sempre qualcuno che ci guarda dentro. È una legge automatica della vita urbana, potrai essere la persona più banale di questo mondo, ma troverai sempre qualcuno, lì fuori, a guardarti come un pesce nella boccia.
Tu.
Non hai mai avuto particolare timore nel sentirti osservata, ma hai sempre paura di sentirti inadeguata.
Hai affrontato sicuramente tante sfide e momenti complicati; almeno, tu li giudichi così.
Il lavoro che hai trovato è ricco e a volte appagante. In altri momenti è solo monotono, come qualunque occupazione di questo mondo.
Ma seriamente, chi è che ama lavorare?
E perché tu dovresti essere diversa?
Sai benissimo che il valore che apporti alla tua azienda potrebbe essere velocemente creato da qualcun altro. Eppure hanno scelto te, e vuoi far vedere che non hanno alcun motivo di pentirsene.
Vuoi che siano convinti di questo, perché tu non lo sei affatto. Non ti daresti mai una chance.
Scuoti la testa: i brutti pensieri non fanno bene. Questa non sei tu.
Non solo, almeno.
Tu.
Il tram frena bruscamente. Una bici ha tagliato la strada senza curarsi troppo della potenziale tragedia che si sarebbe potuta verificare.
Nonostante foste entrambe sedute, la signora al tuo fianco ti è finita completamente addosso.
La sua Settimana Enigmistica è a terra.
- Mi scusi- abbozza la signora.
Tu fai cenno con la testa che non c'è problema. Ora sono i Justice a risuonare nelle tue orecchie, e lo fanno talmente forte che ogni conversazione è, fortunatamente, per te impossibile.
Le raccogli la rivista, probabilmente deve averti ringraziata; le sorridi, facendole capire che questa sarà la massima interazione a cui potrai prestarti.
C'è un'intera festa nella tua mente.
La giornata è uggiosa, e tu ti senti vestita bene, ma non troppo.
C'è sempre qualcosa di storto nella tua apparenza: l'orlo della camicia, la pelle degli stivaletti, quella ciocca che sfugge ai tuoi capelli raccolti, la peluria delle tue sopracciglia folte.
Non appari come una persona ordinata, perché di fatto non lo sei.
A casa, per esempio: la tua coinquilina si concede sempre cinque minuti per rifare il letto prima di andare in ufficio. Ogni procedimento del suo rituale mattutino è gestito meticolosamente e con dovizia di attenzioni.
Tu sistemi tutto alla rinfusa. Le coperte sono vittime della tua battaglia notturna, e tali devono rimanere per tutto l'arco della giornata.
L'intera stanza è un'espressione del caos che hai dentro: pantofole gettate a terra con noncuranza, scrivania sempre piena di cianfrusaglie, il pigiama alla testa del letto. Piegarlo? Nemmeno per sogno.
Caffè.
Non hai fatto colazione e sogni una tazza enorme di caffè bollente.
Le abitudini sono sempre difficili per te: ci sono dei momenti in cui sviluppi un'ossessione, e te la vivi tutti i giorni a tutte le ore. Dopo qualche settimana, o, ottimisticamente, qualche mese, decidi che ne hai abbastanza: mandi tutto all'aria, perché semplicemente non ti importa più.
Le tue ossessioni hanno molteplici forme e entità. Non sono solo cose materiali o routine giornaliere.
Persone.
Ricordi.
Tu.
- Signora lei non può spingere così però, ci sono delle persone che rischiano di cadere! -.
Voci concitate ti arrivano alle orecchie dal fondo, inspiegabilmente intasato, del tram.
Due signore, una giovane e una più anziana, litigano per le maniere poco filantropiche dell'ultima. La giovane, con i capelli raccolti e l'aria stanca, fissa duramente l'anziana, piccola e scontrosa, ma con la testa alta.
Si respira nervosismo già di prima mattina.
Controlli meglio la situazione per capire se sia il caso di intervenire, ma ci sono almeno una ventina di persone tra te e le due litiganti, e una parte di te vuole ancora godersi la festa che esplode dalle cuffie.
Chiudi gli occhi e decidi di abbandonare il mondo fisico.
Almeno per venti minuti.
È comprensibile, il nervosismo delle persone. È comprensibile la rabbia che ti porta a voler dare una lezione a tutti. Lo è per te, ed è per questo motivo che decidi di ignorarla.
Ti ricordi quella battuta presente nel primo film degli Avengers: qualcuno chiedeva a Bruce Banner quale fosse il suo segreto per rimanere sempre controllato, senza esplodere in trasformazioni indesiderate.
Io sono sempre arrabbiato, aveva risposto Banner.
Fai un respiro profondo e socchiudi un po' gli occhi.
Una nuova persona si è seduta al tuo fianco. Non la vedi benissimo, e non vorresti sembrare maleducata girandoti a fissarla, ma noti subito i suoi lunghi capelli rosa e il cappello grigio.
Dal riflesso di fronte capisci che è più giovane di te, ma molto più curata nel look.
Forse un tantino troppo truccata per l'orario, ma non riesci a non provare invidia per quella meticolosità, quella costanza nel curare ogni particolare, che traspare dalla sua apparenza, quando a te scoccia mettere anche solo un paio di collant.
Gli occhi, allungati dalla precisa linea di eyeliner, sono fissi a terra.
Anche lei ascolta la sua musica e ignora tutto il resto.
I lineamenti affilati suscitano la tua ammirazione. Quella ragazza ti ispira un'immediata simpatia, e per una volta vorresti trasgredire al tuo mutismo e disturbarla, solo per provare a scambiarci due parole.
La tua bocca rimane semiaperta, incerta nelle sue intenzioni.
Cosa potresti mai dirle?
E perché?
Vorresti presentarti. Dirle chi sei, quanti anni hai e dove stai andando.
Farle capire che probabilmente amate la stessa musica e forse leggete anche gli stessi libri, e che sei caduta vittima di un tenue colpo di fulmine che ti ha resa ridicola a tal punto da spingerti a parlarle.
Vorresti complimentarti per il suo abbigliamento audace e chiederle cosa ama e cosa le fa paura.
Anche lei odia gli spinaci?
Anche lei ha delle ossessioni?
Quali sono i suoi traumi?
Tu.
Speri con tutto il cuore che la sua indifferenza verso l'ambiente circostante sia tale da non averti notata, così rigida al suo fianco, mentre la osservi di sottecchi.
Prendi il telefono per perdere un po'di tempo e fingere un contegno.
Non riesci a credere di essere stata sul punto di attaccare bottone con una sconosciuta senza un'apparente motivo.
Cosa ti interessa poi, dei suoi traumi, tu che hai sempre taciuto i tuoi?
Il dito scorre tranquillo lungo il Feed di Instagram. Doppio clic di apprezzamento ad ogni foto che passa sotto le tue pupille.
La tua apparenza è tranquilla e vagamente annoiata, un po' banale e a tratti spenta.
Eppure il tuo cervello ora corre a briglia sciolta verso una prateria di pensieri fastidiosi e per questo difficili da schivare.
Tu.
Giovane donna di ventisei anni sul tram.
Puoi rispondere a una domanda per me?
A che età hai capito di essere stata molestata?
Un'altra brusca frenata.
Stavolta non sai di chi possa essere la colpa.
La ragazza al tuo fianco soffoca una parolaccia, mentre si toglie le cuffie. Un bambino rischia di scivolare su una pozza bagnata di sinistra provenienza. La madre, per fortuna, interviene in tempo, ma, nella foga di tenere la mano del piccolo, è sul punto di cadere lei stessa.
Tu e la tua compagna di viaggio abbozzate contemporaneamente una risatina, alla vista di quel comico siparietto, che è stato fortunatamente contenuto prima di sfociare in una spiacevole situazione: la madre è riuscita ad afferrare la maniglia in alto.
Vi guardate e, per un attimo, vi regalate un momento di inaspettata intesa. Ti passa come in un baleno la consapevolezza di sapere cosa stia pensando. È un momento fulmineo, lievemente percettibile, come un battito di ciglia, che sembra tuttavia darti la conferma che sì, voi due siete simili.
La ragazza dai capelli fatati si rimette le cuffie e torna nella sua bolla intoccabile.
A che età hai capito di essere stata molestata?
Ti senti come irrigidita.
Guardi in basso, fingendo che sia per affondare ancora di più nella musica che ascolti.
Anche lei, al tuo fianco, sembra fare lo stesso.
Le tue dita si attorcigliano sulla gonna, come a cercare un posto, una fessura, qualunque cosa abbastanza capiente in cui nascondersi.
Questa domanda arriva sempre all'improvviso e quasi mai annunciata. Stai facendo la spesa tra gli scaffali della colazione. Sei davanti al bancomat pronta a prelevare. Sei sul marciapiede in attesa che il semaforo diventi verde.
E la domanda arriva. Incisiva e fredda come una lama sulla schiena, ti costringe a cambiare espressione e a scuotere la testa dalla parte opposta, come se non volessi guardare avanti.
Perché è sempre lì davanti, la domanda, che ti attende.
Attende una risposta.
Fai un sospiro e guardi l'orologio; il tram si è lentamente svuotato, sono poche le persone che arrivano fino al capolinea.
La ragazza è ancora a fianco a te, che si morde distrattamente le unghie, per poi ricordarsi di averle smaltate e smettere di colpo.
In questo tram, che improvvisamente sembra sospeso in una dimensione galleggiante, dove tutto resta immobile e distorto, osservarla ti reca conforto.
Il tuo faro rosa nel buio.
Patetica.
Lo hai capito tardi. Forse troppo.
In un certo senso è stato positivo, perché di fatto non ricordi di aver avuto particolari ripercussioni o incubi in tenera età.
Certo, a un certo punto hai avuto un'improvvisa paura del buio.
A un certo punto hai voluto dormire con tua madre, costringendo tuo padre nel tuo lettino singolo fino all'età di undici anni.
Ma sei stata una bambina felice, che non avrebbe mai collegato queste abitudini a un trauma passato.
C'è uno psicologo in sala?
La tua infanzia è stata protetta in quella bolla di amore e apprensione che i tuoi genitori avevano accuratamente costruito per te.
L'unica figlia. Zemra ime.
Per anni non ci hai più pensato, proseguendo indisturbata la tua adolescenza e soffrendo i turbamenti, per te inspiegabili, dell'età.
Ti è capitato di esagerare con l'alcool, oppure di rifiutare una sigaretta. Quasi sempre hai lottato per affermare la tua personalità, ancora nello status di crisalide.
Estati, inverni, baci e prime esperienze sessuali si sono susseguite, non così speditamente; a volte hai voluto mantenere i tuoi tempi, altre volte sono stati gli altri a farti aspettare.
Un giorno, a diciotto anni, sei a letto con quel ragazzo strano, il primo che hai modo di conoscere anche intimamente.
La persona è quella sbagliata, ma quante altre ce ne saranno, dopo di lui!
E in quel momento di intima confidenza, un po' per gioco e un po' per indifferenza, gli racconti che una volta qualcuno ti ha toccato.
Non ti dilunghi in dettagli, non indugi sull'età che avevi quando era successo. Non ci badi molto.
Non capisci ancora, e lui nemmeno.
Trasformi quell'esperienza in un momento di innocente scoperta dell'altro sesso, come se due bambini della stessa età imparassero per la prima volta cosa significhi dare un bacio.
Gli anni passano e le relazioni cambiano, e tu esci sempre di più da quella crisalide, ormai troppo stretta per le tue ali maestose.
Vai all'università, ti innamori una volta e poi non ti innamori più.
All'inizio ti senti disastrosa, nelle relazioni. Passi dalla totale indifferenza all'ossessione, anche nei confronti di persone che per te non significano niente.
Ma è più forte di te. Tu desideri che qualcuno ti ammiri.
Che qualcuno ti ami.
Così affamata, esci per conoscere ragazzi nuovi, a cui chiedere di venerarti.
Nel frattempo consolidi le tue amicizie, ti introduci nel mondo del lavoro e continui a fare una vita assolutamente regolare. Si potrebbe dire che impari a bastarti da sola.
Poi, un giorno.
Quando l'hai capito?
Quando non potevo più voltarmi e scappare, perché dietro c'era un muro.
Sei una persona che legge molto. Ti piace stare al passo con le informazioni e soprattutto nutrire quella bolla sociale in cui tutti la pensano come te e gli interessi sono condivisi.
Facebook e Instagram sono questo, dopotutto. Bolle in cui crogiolarsi, perché c'è gente che sa cosa provi e appoggia i tuoi pensieri. Il confronto è fastidioso e il più delle volte inopportuno.
Ti viene da ridere.
La Fata Rosa - così hai deciso di chiamare la tua affascinante compagna di sedile- ti guarda con la coda dell'occhio.
Tu rimani inebetita, con quel sorrisetto inquieto bloccato sul volto. Ridi perché realizzi che i social sono quanto di più anti-sociale che esista.
In pratica, un luogo in cui puoi auto rinchiuderti nella tua gabbietta mentale e muovere la ruota.
È banale forse, ma tu l'hai capito solo ora.
Eppure è stato proprio su Facebook che la tua bolla, per un attimo, si è infranta.
... avevo sei anni, mio nonno mi aveva chiesto di andare con lui nella rimessa del capannone dietro casa....
... a dodici anni un ragazzo più grande per cui avevo una cotta mi chiede se voglio fumare con i suoi amici...
... sul bus, da sola, di ritorno da scuola, questo tizio si mette dietro di me...
... un vicino di casa mi bloccò i polsi lì sul pianerottolo...
... non mi hanno creduto quando l'ho raccontato...
... era mio cugino...
... era di famiglia...
... mi sono fidata...
... non capivo...
... non l'ho detto a nessuno...
... non l'ho detto a nessuno...
... non l'ho detto a nessuno.
Testimonianze silenziose di persone senza volto. Storie anonime, pubblicate su una pagina che si dedicava ai diritti civili, restano lì, davanti ai tuoi occhi, fisse e solenni come pietre tombali conficcate nel terreno.
Avevi letto quelle parole per caso.
La pallida luce dello smartphone vibrava, ma tu ricordi bene quanto, in quell'occasione, somigliasse più a una torcia accecante, puntata dritto sui tuoi occhi.
Quelle parole sullo schermo, una, poi cinque, poi dieci, venti, cento, erano il tuo interrogatorio.
Dov'eri quando avevi cinque anni?
Cos'è successo esattamente?
Chi c'era con te?
Parla! Confessa!
Non è stata una rivelazione immediata. Non un'epifania angosciante, né un momento catartico in cui crolli, ti prendi il volto tra le mani e piangi tutte le tue lacrime.
Hai letto quelle parole e poi hai riposto il telefono in borsa.
Tuttavia, i semi erano stati gettati: le idee hanno sedimentato, crescendo a rilento, come una pianta rigogliosa pronta ad abbracciarti, o, in alcuni casi, un rovo minaccioso pronto a stringerti.
Ogni mattina in cui ti sei svegliata, durante ogni passo che hai compiuto, ad ogni gesto che hai espresso, da quel momento in poi l'idea si è fortificata fino ad invaderti completamente.
Perché non si trattava di due bambini che esploravano il contatto fisico, con curiosità dei reciproci corpi.
Tu eri una bambina, è vero.
Ma lui no.
Non ti sei mai chiesta quali siano gli effettivi anni di differenza tra voi due.
Otto? Dieci? Dodici?
Non te lo sei mai chiesta perché hai troppa paura di scoprirlo.
Questa non è la storia di due bambini che si piacciono e imparano a mandarsi richieste di fidanzamento tramite bigliettini colorati.
È la storia di una persona che ti era vicina, una persona della tua famiglia, che ti ha presa come se fossi un giocattolo e si è divertito fin quando tu, stanca e forse sospettosa, ti sei alzata e te ne sei andata.
Sentivo che qualcosa non andava.
Non l'ho detto a nessuno.
Non ti ha mai fermato e non l'ha più rifatto.
Poi sono passati degli anni. Tanti anni, costruiti su questo singolo episodio che avrebbe potuto far marcire le fondamenta e far crollare ogni cosa.
A tua volta, hai decorato le pareti della tua vita con scusanti, infinite scusanti di quello che era successo, al punto da rischiare di far ammuffire tutto il resto.
Ma non è crollato niente.
Nulla è marcito.
Tra tre fermate puoi finalmente scendere.
Un anziano signore sale a fatica il gradino del tram. Una mano è impegnata a reggersi alle pareti mentre l'altra resta salda sul suo bastone.
Fai per alzarti e cedergli il posto, ma la Fata Rosa è più veloce.
- Signore, si vuole sedere? -.
Una voce melodiosa e inaspettatamente dolce.
Non è vero, me lo aspettavo.
Il signore la guarda un attimo, forse preso alla sprovvista dalla chioma pastello della ragazza e dal suo sorriso tinto di nero, ma poi fa un cenno e ringrazia.
Adesso lei è in piedi davanti a te.
Senza nemmeno pensarci ti alzi anche tu, lei ti guarda incuriosita, forse pensa che tu debba scendere.
- Se vuoi, siediti qui-.
Non capisce. Perché le stai cedendo il posto?
- Ma non fa nulla, figurati! Tanto tra tre fermate scendo -.
- Anche io. Ma non ho più voglia di stare seduta -.
A quel punto non sa come reagire; ti sorride con calore e si siede al tuo posto. Tu ricambi a malapena il sorriso, ma continui a guardarla.
Mi prenderà per una stalker.
La verità è che non riesci a stare seduta perché d'improvviso ti manca l'aria.
Probabilmente da fuori non si nota nulla, ed è solo nella tua testa.
Anzi, lo è di sicuro. Ma dentro stai scoppiando. Stoppi la musica e decidi che ne hai abbastanza delle cuffie, vuoi solo uscire da questo cazzo di tram.
Da quando hai visto questa ragazza il primo pensiero che ti è balenato è che fosse da proteggere.
Ed è un pensiero tremendo, ripugnante e completamente sbagliato.
Perché dovrebbe essere protetta, e da cosa poi?
Chi ti dice che abbia bisogno di protezione?
Chi ti dice che siano tutte come te?
Tu vuoi sentirti protetta?
No, io voglio sentirmi rispettata.
E allora non puoi pensare che le ragazze vadano protette.
Tu.
Tu non sei qualcosa da tenere in una teca di cristallo o nella comoda nube elaborata dall'apprensione genitoriale.
Tu ami, lotti, mordi e fai anche a pugni se serve. Nessuno può metterti i piedi in testa e nessuno ti definisce.
Tu e anche tu, Fata Rosa! Cammini per strada con aria di sfida e una dolcezza pronta a disarmare.
Non chiedi scusa a nessuno per la tua apparenza, e se qualcuno ti ha fatto del male in passato, non è quello a disegnarti così come sei.
Brilla, Fata Rosa, brilla ancora! Fai amicizia e muoviti come solo tu sai fare. Ascolta la tua musica, vai ai tuoi concerti e ama chi ti pare!
Tu e lei non vi conoscete e non vi conoscerete mai, ma siete così vicine, in questo momento, che l'una brilla della luce dell'altra.
È come se anche i tuoi capelli fossero un po' più rosa, adesso.
Ultima fermata, il sole sembra fare un timido capolino tra le nuvole.
Ti prepari a scendere senza troppa fretta, il lavoro sarà lì ad aspettarti per otto lunghe ore.
Il tram apre le porte e tu hai finalmente il viso all'aria aperta.
- Ciao! -.
La dolce voce di prima ti arriva alle spalle. Ti giri e la vedi, mentre si appresta ad andare nella direzione opposta alla tua.
Ricambi il saluto con la mano, impacciata.
Speri di rivederla.
Il tram va via, pronto a raccogliere nuovi pesci nel suo acquario, e tu pensi a te stessa: al fatto che non sei la somma delle molestie che hai subito o delle ferite che ti sono state inferte.
Ma credi anche che sia un bene, averlo realizzato.
Sei una giovane donna, non più sul tram, che sta andando al lavoro e che è stata molestata quando aveva circa cinque anni.
Poteva crollare tutto ma non è successo, perché fortunatamente tu sei più di questo.
Un giorno lo dirò, forse.
Un giorno forse farai i conti con quello che è stato, anche ad alta voce.
Ma adesso hai altri piccoli passi da compiere.
Starò a guardarti mentre li fai, orgogliosa di te come sono sempre stata.
Tu.
Io.
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