Capitolo 4: Gabrielle
Cari lettori oggi Gabrielle affronterà finalmente il colloquio? Come andrà?
Se qualcuno mi avesse detto che le cose sarebbero andate bene come immaginavo io, di certo avrei dovuto schiaffeggiargli la faccia.
«Dove è finita la mia cartellina?»
Ero furiosa!
Quella mattina mi ero alzata e la cartellina lasciata sul comodino la sera scorsa si era smaterializzata.
«Mamma l'hai presa tu?» domandai ansiosa.
«Cosa? Io non ti ho toccato niente.»
Cercai di prendere grossi respiri.
«Dove accidenti è sparita? Possibile che si sia volatizzata da sola?»
Cercai ovunque: dentro ai cassetti, negli armadi, sotto al letto, in cortile.
Niente. Assolutamente niente!
«Sono rovinata! Quel curriculum l'avevo preparato e revisionato per oggi. Ci abbiamo impiegato tre ore!» Cominciai ad urlare in preda all'ansia.
«Calmati tesoro!»
Provò a tranquillizzarmi papà, ma inutilmente.
«Tra un'ora ho l'aereo. Come faccio! Non ce la farò!» continuai a disperarmi.
Mi sedetti sul divano, ma due secondi dopo dovetti rialzarmi e camminare.
Se restavo ferma i pensieri cominciavano a ronzarmi in testa senza sosta.
«Non si può rifare?» domandò mamma, cercando di trovare una soluzione.
«No! Almeno non in così poco tempo...»
«E presentare l'altro?»
«Cosa non vi è chiaro dell'averlo revisionato? Ho corretto tutto. Lì sono puntigliosi, non come la Red Velvet» dissi con le mani sulle tempie.
Non c'era speranza. E io stupida che non avevo nemmeno stampato una copia!
«Sei sicura che l'ultimo luogo in cui l'hai posata è stato il comodino?»
«Sì, perché poi mi sono addormentata. Possibile che non si trovi?»
Mi affacciai alla finestra perché avevo bisogno di aria.
«Abbiamo ancora tempo. La troveremo» disse mamma accarezzandomi la spalla destra.
«E se non succede? Sarà un disastro il colloquio. Un punto in meno!»
Salii in camera e mi cambiai. Tanto ormai non avevo alternative!
Scrivere a Brianna mi avrebbe aiutato, ma poi si sarebbe preoccupata.
Non solo. L'avrei delusa e così avrebbe pensato che non mi importava realmente del posto.
No. Non potevo farglielo sapere...
Il tempo scorreva e quella cartellina non usciva fuori.
Recuperai il curriculum vecchio, un po' stropicciato, sperando che questo incidente di percorso non avrebbe influito sul resoconto finale.
«Tesoro, andiamo ti accompagno all'aeroporto» disse papà afferrando le chiavi dell'auto.
«Stai tranquilla. Andrai alla grande lo stesso.»
Mamma mi baciò la fronte.
Riuscii a ringraziarla, anche se sarei voluta scoppiare a piangere dalla disperazione.
Salii in auto e mi urlò un "In bocca al lupo".
Probabilmente sarei stata mangiata dal lupo davvero questa volta!
.....
Ed eccomi a New York, precisamente nell'Upper West Side, diretta verso il Lincoln Centre.
Lì era situata la sede della "New York Times Magazine". Quello era un posto ricco di cultura ed era tutto così affascinante!
Dal finestrino del taxi osservai i palazzi non troppo elevati, i quali andavano ad alternarsi tra i colori del marrone e del bianco. Degli alberi un po' spogli, non essendo arrivata ancora la primavera, costeggiavano i marciapiedi e i passanti si muovevano tranquilli lungo le strade. Qualcuno andava in bicicletta, alcuni gruppetti di ragazzi con un'ampia felpa con su scritto "Columbia University" e lo zaino in spalla, attraversarono la strada quando ci fermammo al rosso.
Avevo letto su Internet che quella era una zona non troppo caotica, anzi probabilmente era il quartiere più tranquillo di New York. Se tutto fosse andato bene quella sarebbe stata la mia prossima casa. Mi sarei trasferita da sola, per portare avanti il lavoro che avevo sempre desiderato. Al solo pensarci un misto di emozioni si mescolarono dentro il mio corpo.
All'improvviso il taxi si fermò e io pagai, per poi scendere. Le gambe non mi reggevano e tremavano come due foglie quando stavano per cadere a terra, una volta staccatasi dall'albero.
Non appena misi piede fuori dall'auto color senape, mi ritrovai di fronte ad un edificio enorme.
Alzai gli occhi e quella struttura mi sembrò infinita. Aveva una quarantina di piani se non di più!
E poi quella targa in bella vista, con su scritto "NYTM", fece aumentare ancora di più l'ansia dentro di me.
Strinsi la borsa e mi diedi un'occhiata veloce allo specchietto di un'auto parcheggiata accanto al marciapiede.
Presi un bel respiro e percorsi la piazzola di marmo bianco che conduceva all'entrata.
La porta vetrata si aprì automaticamente e venni investita da un lusso disarmante: alla mia sinistra c'erano dei divanetti in pelle beige, ma con una sfumatura di nero ai bordi, quelli erano poi circondate da dei tavolini sempre in vetro di forma ovale. Le pareti erano bianche, ma ornate di foglie oro, disegnate sicuro a mano. Alla mia destra trovai invece la reception.
Mi avvicinai e dietro al bancone c'era una donna sulla sessantina che mi accolse con un sorriso forzato.
«Buonasera. Ho un colloquio fissato per le 18. Mi chiamo Gabrielle Jones» spiegai brevemente, tamburellando le dita sul bancone.
Era ansiosa e impaziente. Prima finivo e meglio era.
La donna controllò sul suo computer attenta. La cosa che mi colpii subito fu un ciondolo attaccato al collo. Doveva essere una margherita stilizzata molto particolare. Chissà dove l'avesse trovata!
«Può accomodarsi al sesto piano. Verrà chiamata appena sarà il suo turno» mi comunicò con tono serio.
La ringraziai lasciandole un sorriso, ma non venni ricambiata.
Che felicità! Mi sa che eravamo in due ad avere una giornata storta eh?
Presi l'ascensore che per fortuna era vuoto e appena arrivai al sesto piano presi posto sui divanetti che circondavano l'atrio di questo piano.
Non riuscii a non pensare a cosa sarebbe potuto accadere lì dentro.
Sicuro se mi sarei presentata così impaurita sarei stata subito scartata.
Cercai di rilassare i muscoli della faccia e fare grandi respiri.
Ripetei mentalmente che sarebbe andata bene. Sperai che il problema del curriculum non compromettesse l'esito del colloquio.
La porta dell'ufficio si spalancò e il mio cuore sembrava un assolo di batteria.
«Gabrielle Jones giusto?» Una donna bassina, un po' robusta e con degli occhiali dalla montatura rosa, chiamò il mio nome.
«Si. Sono io!» Mi alzai di scatto.
«Può entrare. Mr. Mirror la aspetta.»
Indicò con le braccia l'interno della stanza e così a passi svelti mi ci catapultai dentro.
E fu in quell'esatto momento che dimenticai il dialogo pronto, quanti anni avevo, come mi chiamavo e perché ero lì.
I capelli biondo cenere ordinati in un ciuffo pieno di gel, la barba attorno al labbro e gli occhi azzurri.
Sembrava un sogno! Mr. Mirror, la persona con cui avrei sempre voluto parlare, era di fronte a me. Realmente!
I miei tacchi rumoreggiarono sul pavimento in ceramica marrone con delle linee oro che costituivano rettangoli in tutta la stanza. Alla mia destra grandi portefinestre illuminavano la stanza anche se le tapparelle in acciaio erano tirate giù per metà. Sempre a destra erano posizionate due poltrone grigie scure e un divano in pelle nera con al centro un piccolo tavolo in ceramica nero e sopra di esso un portacenere.
Non potevo non essere colpita dalle immense certificazioni appese sulle pareti grigio topo, stile effetto pietra, e dalle immagini che scorrevano sulla televisione posizionata alla parete.
Mr. Mirror era seduto dietro alla grande scrivania in marmo lucido rifinito.
«Si accomodi» mi disse precedendo il mio saluto.
Feci come mi venne detto e cercai di sembrare il più rilassata possibile. Stavo per morire dentro!
«Mi parli un po' di lei!»
Cominciò subito senza degnarmi della sua attenzione. Era intento a smanettare qualcosa sul suo Mc grigio.
«Mi chiamo Gabrielle Jones, ho 27 anni e sono nata e cresciuta a Chicago. Ho frequentato la C. Chaplin High School e al termine mi sono iscritta a un'università per conseguire la laurea in scienze della comunicazione.»
L'uomo iniziò a sfogliare tutto il mio curriculum, anche se la sua faccia non sembrava promettere niente. Era neutra, apatica. E questa cosa mi mise ancora più ansia!
«Da come posso leggere qui è uscita con il massimo dei voti. Si vede subito che è una ragazza intelligente, lo si può notare anche dal linguaggio con il quale mi sta parlando.»
Sorrisi. «La ringrazio. Entrare qui dentro sarebbe un sogno.»
«Ha fatto anche un tirocinio in Argentina? Cosa ha appreso? Me ne parli un po'» chiese poi.
Non mi aspettavo questo tipo di domande. A parte il fatto che non ricordavo nulla di ciò che avevo programmato di dire e stavo mettendo assieme parole a caso che potessero avere senso logico, o almeno speravo che ai suoi occhi fosse così.
«Sicuramente quanto sia importante la comunicazione. In questi ultimi anni, con l'avvento della tecnologia, è diventata indispensabile. Un pc, uno smartphone, un libro o anche un rapporto faccia a faccia possono influenzare milioni di persone in poco tempo. Internet è un'arma potente che bisogna saper gestire per offrire migliori contenuti agli utenti, che siano veri e soprattutto utili alle loro esigenze.»
«Perché vorrebbe entrare alla "New York Times Magazine"?»
«Lavorare con voi significherebbe fare sul serio. Ho voglia di dimostrare le mie doti. So di avere le carte in regola per avere un posto qui.»
Il signore lasciò stare i fogli e mi osservò per qualche secondo.
«Signorina io odio tergiversare, perciò glielo dico adesso...»
Ci fu un attimo di silenzio poco rassicurante.
«Mi dispiace, ma non ha ancora la giusta esperienza per lavorare qui. Ha ottimi requisiti, questo sì, inoltre si nota la sua determinazione. Ma vede, ci sono tante altre persone come lei che hanno già una carriera alle spalle. Fra qualche anno, quando avrà acquisito più esperienze, ritorni.»
Il mio cuore si frantumò in tanti piccoli pezzettini. Non ci potevo credere che avevo fallito...
Il primo insuccesso della mia vita!
Ma non potevo lasciare che vincesse lui. Almeno dovevo reagire!
«Scusi se mi permetto, ma lei si è contraddetto. Se mi ritiene idonea per quale motivo mi servono altri anni di esperienza? Mi sembra un ragionamento... assurdo!»
Lui mi puntò uno sguardo glaciale e poi incrociò le braccia al petto.
«Assurdo dice? Si spieghi meglio.»
Perché parlavo sempre così tanto? Sarei potuta uscire con un "grazie e arrivederci", e invece no. Dovevo mettermi nei guai!
«Sì, so che non dovrei permettermi, ma credo di meritarla una possibilità. Le farò capire che sono pronta ad affrontare questo campo con serietà e professionalità.» Attenuai un po' il mio tono, in fondo non potevo mettermi contro una persona illustre come lui.
«Raramente mi era capitata una situazione simile. Molti uscivano piangendo affranti. Invece lei mi ha dato le sue spiegazioni, sta portando avanti quello per cui crede con le unghie» rispose con lo sguardo perso altrove.
Qualcuno bussò alla porta e fece capolino nella stanza la donna che prima mi fece accomodare nell' ufficio.
«Scusi Mr. Mirror, non voglio bloccare il suo colloquio, ma devo comunicarle che Alan ha rifiutato quel lavoro che le aveva affidato» disse aggiustandosi la montatura degli occhiali con fare nervoso.
«Non si preoccupi, so già chi può fare al caso nostro...»
Lui puntò la mia figura con un sorrisetto che poteva dire tante cose e che in quel momento non riuscii a decifrare.
«Mrs. Jones, ho un lavoro che potrebbe fare al caso suo. Secondo me lei è perfetta. Ha la grinta giusta per farlo, il carattere tosto che mi serve!»
Io non capii cosa intendesse.
«Scusi mi sta dicendo che sono dentro la rivista?»
«Facciamo così: se lo porterà a termine entrerà a far parte del nostro team. Le confesso che non sarà una passeggiata.»
Cercai di metabolizzare ciò che mi stava dicendo. Era molto lunatico, ma come si dice meglio tardi che mai!
«Dice sul serio?» Sgranai gli occhi e sul mio viso ricomparve un leggero sorriso.
«Mai stato più serio.»
«Ma di cosa si tratta?» chiesi, perché stavo capendo letteralmente nulla.
Lui protese il suo corpo verso di me, unendo le mani a conca sotto al mento.
«Rivelare l'identità di un personaggio famoso.»
«Oh! Non me lo aspettavo!» rivelai, schiarendomi la voce.
Non era il mio campo. Io non volevo occuparmi di quello. Il mio obiettivo erano i fatti importanti, non il gossip.
«Appena finito entrerà nel settore della cronaca nera, promesso!»
Fu come se mi avesse letto nella mente e io dovevo ancora elaborare il tutto.
«Allora? Accetta?» domandò speranzoso.
Infondo non avevo più nulla da perdere.
«Sì, Mr. Mirror. Accetto!»
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