Capitolo 3: Gabrielle

Cari lettori oggi vedremo Gabrielle alle prese con l'inizio del suo sogno. Cosa succederà? Ce la farà?
Scrivetemelo nei commenti!❤

Riuscii a dormire si e no due ore. La notte era passata in un batti baleno.

Non ero riuscita a chiudere occhio per due motivi: dovevo concludere il lavoro per la rivista e per il resto della notte ero stata rapita da quel foglio che mi aveva dato Brianna.

Lo rilessi così tante volte che lo imparai tutto a memoria.

Quello che mi stava offrendo era sicuramente una grande opportunità, però mi porsi delle domande che avevano bisogno di una risposta precisa.

Mi alzai dal letto che il sole non era ancora sorto e dopo aver indossato dei vestiti puliti chiamai Brianna.

E così, dopo un'ora, ci ritrovammo insieme ad un tavolino di un bar per parlare.

Era a pochi passi dalla Red Velvet.

Ci venivamo spesso durante le pause ed era un posto tranquillo, ma molto particolare. Sembrava di essere dentro due locali diversi, infatti una metà possedeva delle poltrone e dei tavoli rettangolari grigio chiaro, mentre l'altra dei divani tutti uniti in pelle marrone scura, insieme a delle sedie di fronte e in mezzo dei tavoli quadrati, anche questi di legno.
Noi ci sedevamo sempre nello stesso posto: quarta poltrona, situata al centro delle altre disposte in modo simmetrico.

Ordinammo due succhi d'arancia e due waffles, sperando che arrivassero subito perché avevo un certo languorino. La cena della sera precedente l'avevo saltata perché avrei perso del tempo che non potevo permettermi di sprecare.

«Allora? Ci hai pensato?» chiese la bionda con un sorriso smagliante.

«Bri non capisco. Perché proprio io? Voglio dire, sarebbe fantastico, ma Peter l'ha sicuramente proposto a te. Io non c'entro.»

Accarezzai il foglio che posizionai al centro del tavolo.

«Tesoro, credi che io te lo abbia dato per niente? Io ormai sto bene nella rivista e conoscendomi non sarei capace di occuparmi così duramente di questo lavoro. Tu sei perfetta! Sei giovane, sveglia e con tanta voglia di raggiungere l'apice del successo. Ho subito pensato a te. Peter lavora come avvocato lì dentro e ha detto che pochissimi ce la fanno ad entrare. Non farti scappare il posto che meriti!»

Sorrisi. Un sorriso vero, un po' timido e imbarazzato.
Non avrei mai pensato che Brianna pensasse quelle cose di me e per di più lasciarmi qualcosa che in realtà doveva appartenere a lei.
Aveva capito quanto era importante per me tutto quel mondo e confermai quello che avevo sempre pensato di lei: era una donna meravigliosa in tutti i sensi!
Poche se ne incontravano in giro come lei: vere, senza gelosia o invidia nei confronti del prossimo.

«Tu credi davvero che posso farcela?» accennai guardandola dritta degli occhi.

«Assolutamente sì. Vedrai!»
Mi schiacciò l'occhiolino e mi sorrise.

Nel frattempo arrivarono le nostre ordinazioni e iniziammo a mangiare.

«Bri, ma quando devo presentarmi lì?» domandai, sorseggiando il mio succo.

«Entro domani.»

Per poco non mi strozzai.

«Tranquilla. Devi solo presentare il tuo curriculum e fare un breve colloquio. Peter mi ha detto che Mr. Mirror odia tergiversare e va dritto al sodo.»

«E quando pensavi di dirmelo?»

Cercai di riprendermi schiarendomi la voce.

«Oggi, ovviamente. Dovrai abituarti a questi tempi stretti!»

Sospirai e rimasi un attimo in silenzio.

Per una volta il mio cuore e il mio cervello si misero d'accordo.

«Va bene. Lo farò!» confessai e Brianna lanciò fuori un gridolino di gioia, ma si acquietò subito, ridendo poi di soppiatto insieme a me.

«Dobbiamo fare la cosa più importante però» disse lei afferrando il mio smartphone.

La guardai confusa. «Che stai facendo?»

Lei digitò qualcosa, lo mise all'orecchio e mi fece segno con la mano di aspettare.

Dopo tre squilli lo passò a me e io non riuscii ancora a capire cosa avesse in mente.

Appena sentii la voce e il nome di quel mittente telefonico persi un battito.

«"New York Times Magazine", mi dica.»

Ora le cose avevano ricominciato ad avere senso! La mia mente ritornò a quello che era scritto su quel foglio: bisognava prenotarsi per fare il colloquio.

«S-salve. Sono Gabrielle Jones. Vorrei fare un colloquio» dissi con voce tremolante.

Stava accadendo tutto troppo in fretta, neanche il tempo di metabolizzare!

«C'è un posto libero verso domani le 18» comunicò in modo conciso e diretto.

«Domani alle 18?»
Guardai Brianna che alzò il pollice in su in segno di approvazione.

«La aggiungo alla lista?» domandò.

«Sì!» risposi sicura.

«Perfetto. Si ricordi la puntualità, Mr. Mirror non aspetta nessuno» mi avvertì con tono serio.

Stavo davvero per fare il mio ingresso nelle grandi catene editoriali!

«La ringrazio» spiaccicai prima di chiudere.

Brianna cominciò a ballare entusiasta. Mi venne da sorridere.

«Quel posto è già tuo. Fidati di me!»

Non volevo farmi troppe aspettative, perché sapevo che ci sarei rimasta malissimo, ma quella volta non ce la feci proprio. Io quel posto lo volevo.
A tutti i costi!

.....

Le ore in ufficio sembrarono interminabili, ma grazie a Brianna riuscii a ricontrollare il curriculum e a preparare un breve discorso per presentarmi.

Mancava sempre meno e non riuscivo a distogliere lo sguardo dall'orologio. Contavo non solo le ore, ma addirittura i secondi che mi separavano da quell'incontro tanto importante.

Tornai a casa a sera inoltrata e stranamente trovai già i miei genitori. Di solito lavoravano fino a tardi o iniziavano il turno prima che io potessi rientrare. Fare il medico era duro, soprattutto per gli orari complessi, ma loro non mostravano mai segni di cedimento. L'amore verso il lavoro l'avevo ereditato sicuramente da loro!

La mia famiglia era composta da me, mio padre, mia madre e mio fratello più piccolo, Thomas.
Vivevamo in una casa di due piani in stile coloniale, a pochi passi dal centro di Chicago. Da quando ero nata io non ci eravamo mai spostati.

La facciata era caratterizzata da un prosperoso ingresso centrale dalla forma semisferica e ad anticiparlo vi era un porticato, al quale erano annesse 4 colonne poste in ordine simmetrico.

All'interno le pareti, riverniciate da papà ogni quattro mesi, erano di un bianco molto acceso, mentre il tetto era costituito da rifiniture in legno di ciliegio. Tutte le stanze possedevano le stesse caratteristiche e a volte poteva sembrare troppo seria ed elegante. Per dare un po' di colore mamma aveva posto sono vari oggetti posti qua e là tra cui vasi, due bonsai all'ingresso e in salotto, qualche bomboniera e così via...
In generale però era proprio bella, con il suo parquet lucido e l'odore di vaniglia e di ricordi.
Lì ci avevo passato l'infanzia e la mia adolescenza. Ogni angolo mi riportava a quei tempi ormai lontani.

Si cresce troppo in fretta!

«Che strano vedervi tutti qui!» esclamai, attaccando la borsa e il giubbotto all'appendiabiti.

«Eh già. Bentornata amore. Ho già preparato la cena. Ci mettiamo a tavola tra dieci minuti»
Mamma mi accolse fra le sue braccia.

«Si sente un odorino! Mi cambio subito e torno. Devo parlarvi di una cosa importante» dissi lasciandola sulle spine.

Thomas era intento a guardare la televisione in salotto, così entrai e gli diedi un bacio sulla guancia.

Salendo le scale trovai papà che stava uscendo dalla sua stanza. «Tesoro! Già a casa?»

«Dovrei dire la stessa cosa di voi. È un miracolo che siate qui così presto!» Lasciai anche a lui un bacio volante. «Torno tra poco!»

Entrai in camera e mi buttai sul letto sorridendo.

Ero al settimo cielo! Forse era arrivato il mio momento!

Già mi immaginavo tra le strade di New York fiera della mia posizione e dei miei traguardi. Sognai le collaborazioni con gente importante, la stesura degli articoli, le interviste in vari continenti!

Sapevo che non sarei riuscita a non farmi mille aspettative!

Cambiai i vestiti con il mio pigiama preferito, mi struccai e tornai sotto.

Mi sedetti a tavola insieme al resto della mia famiglia.

Mamma mi servii il pollo al curry con le patate.

«Da quanto tempo non lo mangiavamo!» esclamai, divorandolo già con gli occhi.

«Allora cosa aspetti? Assaggialo!» mi incitò lei e io non me lo feci ripetere due volte.

«Se questo pollo potesse parlare direbbe da solo che è super buono!»

«Ma i polli non parlano!» disse Thomas guardandomi strano.

«Lo so. Era un modo di dire. Devo cominciare ad insegnarti il sarcasmo!» Gli stropicciai i capelli e lui fece una smorfia.

Thomas aveva otto anni, eppure era un vero ometto. Guardando lui sembrava di rivedere mio padre: occhi chiari, mento sporgente, naso piccolo e capelli scuri. Io di aspetto ero tutta mia madre: occhi a cerbiatto color pece, capelli castani, fisico abbastanza proporzionato e fronte larga. Il mio carattere era un misto di estroversione, testardaggine,  dolcezza, impulsività e gentilezza, tratti tipici di entrambi, mentre Thom era razionale e precisino, uguale a mia madre.

Quest'ultima si sedette e io continuai ad assaporare quella prelibatezza fino a quando non prese la parola.

«Allora, cosa ci dovevi dire di così importante?» azzardò lei.

«Di cosa state parlando?» chiese papà, confuso.

«Non è niente di cui preoccuparsi, anzi. Conoscete Brianna no? Ecco, ha conosciuto questo uomo che si chiama Peter e che lavora alla "New York Times Magazine", » Mamma sgranò gli occhi. «Ed è riuscita a farmi avere un colloquio domani alla rivista!»

A quella notizia tutti esultarono felici. Non se lo aspettavano.

«Bisogna brindare allora!» esclamò papà, alzandosi dalla sedia per prendere il vino.

«Ma non bisogna festeggiare prima, Luis!» lo ammonì mamma scuotendo la testa.

«Ma è una notiziona Elle!»

«Lo faremo domani il brindisi. Dopo il colloquio.»

Mamma era troppo scaramantica. Mai contraddirla, altrimenti diventava una furia!

Alla fine papà si arrese e riprese posto a tavola.

«Comunque sappi che noi siamo felicissimi per te. Hai studiato duramente e ora meriti un lavoro come tale» disse poi lui con gli occhi lucidi.

Ma quanto era fortunata ad avere loro accanto? A volte mi chiedevo cosa avessi fatto senza di loro. Sicuramente niente. Erano loro a spronarmi, a darmi quella carica giusta!

«Ha ragione papà. Vedrai che quel posto sarà tuo e potrai andartene da quella rivista noiosa.»

«Elle!» la rimproverò l'uomo.

«È la verità.» Scrollò spallucce.

Sorrisi. «Hai ragione mamma. Lo spero anche io!»

Se avessi avuto il posto mi sarei dimessa dalla "Red Velvet" immediatamente. La "New York Times Magazine" era tutto quello che avevo sempre sognato!

Dopo aver passato due ore a parlare con loro, recuperai la cartella dalla borsa con tutto il necessario per domani.

Mi sedetti sul letto e lo rigirai fra le mani. Sorrisi e lo appoggiai sul comodino, per poi chiudere gli occhi e riposare.

Domani mi sarebbe aspettata una giornata piena di emozioni!

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