Prologo

Pomeriggio d'estate.

Caldo e soleggiato, solo le ombre degli alberi offrivano delle zone fresche dove poter fare la pennichella.

La piccola che si nascondeva dietro le foglie del cespuglio, però, non aveva voglia di fare una pennichella.

Tirò la testa fuori da esso, annusando l'aria.

"Bene. Via libera. " Disse tra sé e sé, saltando fuori dal suo nascondiglio.

Aveva con sé un'ascia che sarà stata grossa almeno il doppio di lei e, sopra l'adorabile vestito rosa, indossava un copricapo in cui erano state cucite una paio di orecchie e zanne da troll, con un ciuffo di finti capelli rossi che ne decoravano le estremità.

L'aveva cucito con le sue mani.

"I nemici fanno bene a non farsi vedere - disse ancora, puntando orgogliosamente davanti a sé la pericolosa arma - perché io, la Principessa Troll, gli strappo le budella e gliele faccio ingoia...".

"Loretta! " Una mano le levò il copricapo violentemente dalla testa.

" Di nuovo con l'ascia in mano? E che cos'è questo linguaggio? " la sgridò la vecchia badante, tirandola per il polso.

"E' il linguaggio da... Ahi, non tirarmi così forte! Il mio copricapo! Ridammelo!" si agitò lei, dimenandosi e cercando di acchiapparlo.

"Forza, vostro padre vi sta aspettando! E non capisco cosa ci trovate di divertente in... questo. " commentò lei, tenendo quello strano copricapo cucito male con disgusto tra due dita.

La bambina, Loretta, lo prese al volo e lo strinse a sé gelosa "Non puoi capirlo, sei vecchia!".

La poveretta sussultò, offesa, lasciando la presa.

La bambina ne approfittò per distanziarsi da lei. "Loretta! Almeno l'ascia lasciatela! ".

"Hahaha! L'ascia lasciatela!" ridacchiò lei.

All'inizio non capì, poi la badante, resasi conto del gioco di parole che aveva inconsciamente detto, rise anche lei.

Anche se le faceva venire i capelli bianchi in anticipo con tutti i guai che passava, non poteva fare a meno di volerle bene, alla piccola principessa Loretta.

"E va bene... lascio l'ascia lasciandola a te!" si avvicinò ubbidiente la piccola, porgendole l'arma.

"E comunque... che vuole mio padre?" chiese con aria scocciata.

"Vuole sapere come stanno andando i vostri... studi " sospirò la vecchia serva, con aria mesta.

L'iperattività di Loretta era sempre stata un problema, almeno secondo i suoi pedagoghi: le ostacolava l'apprendimento.

Solo una principessa come lei aveva il privilegio di ottenere tali studi.

Ma che ne poteva sapere una bambina come lei?

Voleva solo giocare, come tutti: non riusciva a stare composta e ferma nemmeno a tavola, e solo le attività all'aperto la facevano stare bene.

Ma Loretta non preferiva le tipiche attività regali che si svolgono di solito, come la caccia, i picnic o i giochi con la palla.

È sempre stata un tipo mascolino.

Preferiva attività più fisiche, come la lotta con i suoi amici ( tutti maschi, chissà perché non era mai riuscita a legare con le femminucce), braccio di ferro, o giocare alla guerra con le spade di legno.

Le uniche lezioni in cui un pedagogo era sicuro di ottenere la completa attenzione della piccola ribelle erano di storia, storia di guerre e battaglie soprattutto.

L'epica, con quei cavalieri erranti che salvano città, combattono i malvagi e salvano damigelle.

Lort conosceva tutti i loro nomi a memoria, e si immedesimava sempre nei cavalieri e guerrieri, mai nelle dame come lei.

E anche lo studio delle razze la faceva impazzire.

Tutto sommato, interessi del genere potevano essere accettabili da parte di suo padre.

Sperando che la sua fosse una fase, una di quelle voglie passeggere che poi da grande tendono a scomparire, le faceva fare lezioni di scherma medievale e lotta, come avrebbe fatto se sua figlia fosse nata maschio.

Ma c'era un problema. Un piccolo insignificante problema.

Dopo esser rientrati a palazzo, la vecchia badante la portò nella sala del trono.
La grande sala solitamente era occupata dai suoi consiglieri, ministri, ambasciatori, insomma tutte persone che chiedevano udienza al padre della piccola principessa.
Ma ora erano soli,  e il padre poteva finalmente passare un po' di tempo con la sua unica amata bambina.
La stava aspettando seduto sul suo trono di pietra, affiancato dal consigliere.
I passi della piccola riecheggiavano lungo la sala quadrata, mentre si avvicinava imbronciata al suo regal genitore.

"Loretta, tesoro mio – la accolse il padre, stropicciandole le guance – tu sei una principessa! Perché non ti metti la coroncina? Dai che ti sta bene! Sei così carina... ".
"Ma mettitela tu quella stupida coroncina!!! – sbraitò lei, scostandolo in malo modo – e poi non mi chiamo Loretta! Il mio nome è Lort! ".

Aveva sempre odiato quel nome aulico. Loretta. Loretta! Diminutivo di Laura, femminile di Lauro.

Il nome di una pianta da condimento! Non era per niente un nome guerresco!

"Oh tesoro, ti ho dato questo nome affinché le tue parole siano ispirate in futuro, quando farai i discorsi davanti ai tuoi sudditi e prenderai le decisioni più importanti in guerra! Come i poeti che indossano la corona d'alloro... " spiegò il padre con aria ispirata.

"Oh allora... Posso dimostrarti quanto sono ispirata, padre?" chiese la figlia con un tono angelico e gentile.

Senza aspettare il consenso del padre, salì sulla tavola e prese la posa regale da principessa, come le avevano insegnato: schiena diritta, mani congiunte, rigida come un paletto.

"Miei cari devoti sudditi..." iniziò lei, con aria solenne.

Il re allungò il collo, incuriosito e quasi compiaciuto che finalmente sua figlia avesse preso...

"... ARRUVUGLIAT' TUTT COS CHE AROPP' FACIMM FESTAAAA!!!! TAAAAZDINGOOOOOO!!! E ai consiglieri di guerra dirò... AIZATE CHELLE SPADE E CHELLE ASCE E PIGLIATELI TUTTI A PISC FITIENT !!!!" urlò lei, facendo tre con entrambe le dita, ululando e saltellando vittoriosa.

"Loretta! Cos'è questo linguaggio? " sbottò il padre, infuriato.

" E' la lingua dei Troll, papino!" rispose lei serafica, tenendo le mani dietro le spalle e dondolando a destra e sinistra.

"E chi te l'ha insegnato? ".

"Nessuno, la sto imparando da sola! O meglio... - precisò lei innalzando le spalle, come se la risposta fosse ovvia -... dalle urla che sento fuori dalle mura quando combattete coi troll..." .

Il padre era sconvolto.

"Vuoi che te lo insegni? " propose la piccola, non sapendo cosa fare.

"No Loretta!!! – sbottò il padre, riprendendosi dallo choc – adesso ti metti a parlare anche la loro lingua?! Smettila! Una principessa impara l'elfico, la lingua dei nani... non ha bisogno di imparare a parlare l'insulsa lingua dei troll! ".

"Invece sì! – urlò lei – Ne avrò bisogno eccome, quando entrerò a far parte della loro tribù!".

Il re la guardò ammutolita.

"Se posso aggiungere una mia osservazione – alzò la mano il vecchio consigliere – una lingua merita la sua attenzione quando il popolo che ne parla ha una storia e una cultura importante! E loro... non ce l'hanno!".

La bambina fece un'occhiataccia a quella mummia rinsecchita.

"Sono esseri disgustosi, con un'assoluta noncuranza dell'igiene personale! Uh, sapeste quanto puzzano! – spiegò lui, con aria disgustata - Ogni cosa che dicono la urlano o la imprecano, segno di un popolo incivile e senza istruzione. Oh ma è tutta colpa della loro costituzione, che pena... hanno un grave difetto nella corteccia celebrale che li porta sì ad essere resistenti in battaglia ma deboli nell'applicare la loro intelligenza oltre ai bisogni primari di cui necessitano!".

Re e principessa lo guardarono con aria confusa.

"Sono forti ma stupidi, maestà. Forti ma stupidi. Tutto muscoli e niente cervello." Riassunse il consigliere.

"Aaah! E parla come mangi!" disse Lort.

"Quando hai ragione hai ragione... " concordò il padre.

" E poi non sono per niente il modello di bellezza ideale... – continuò il consigliere - ...Con quelle zanne lunghe e solo tre dita per mano! ".

" Ma nemmeno lei rispecchia il modello di bellezza ideale per qualsiasi donna umana! Si è mai chiesto perché non si è mai sposato, eh?" rispose Lort.

Il consigliere sussultò offeso.

Soffocando una risata, il re alzò la manica, mostrando la brutta cicatrice che portava sul braccio sinistro.

"Loretta... il consigliere ha ragione. Non c'è una storia laddove c'è violenza e sete di sangue. Non c'è cultura laddove si predicano dei Loa che portano i loro fedeli ad uccidersi a vicenda e mangiarsi. Non c'è niente da imparare da loro." Concluse il re con aria seria.

"Discriminazione! Nient'altro che discriminazione! Non tutti i troll sono degli assassini, e non tutti i troll praticano il cannibalismo! -urlò lei, non potendone più di quei falsi miti – La puzza... beh quella resta. Ma non è colpa loro se combattono tutto il giorno e sudano...".

"Da dove l'ha imparata quella parola? Discriminazione? Ha solo 8 anni! " pensò il consigliere.

"Appunto, non conoscono nient'altro linguaggio che il combattere e l'omicidio! Sono pericolosi Loretta! – urlò il padre - non c'è mai niente di buono ad avere a che fare con loro! E se le mie punizioni e divieti non basteranno a fartelo capire, lo farà la realtà dei fatti. Sei umana, e vivrai sempre come un umano. Non potrai mai cambiarlo questo. ".

L'espressione di collera si tramutò in uno sguardo di dolcezza e comprensione paterna.

Le prese la mano per avvicinarla a sé.

Lort cercò di opporsi, ma alla fine, cedette e si lasciò abbracciare.

"Una tribù di troll non ti accetterebbe mai per quella che sei... qui invece c'è qualcuno che lo fa! La tua famiglia, è tutto quello di cui hai bisogno. Persone che ti amano, anche se fai i capricci! Chi ti amerà là fuori tanto quanto ti amiamo noi, tesoro?".

La bambina era agitata e aveva bisogno di affetto, e quindi per un po' rimase stretta a lui, a ricevere il caldo abbraccio di suo padre.

Ma poi si ritrasse. Era testarda, non c'era niente da fare.

"Un giorno ti dimostrerò che non è così... - mormorò Lort, quasi in lacrime - rassegnati padre. Non sarò mai una principessa! Io sarò un troll!".

Detto questo, corse via.

Così Lort si allontanò dal palazzo, ritornando nella foresta, il suo luogo di giochi.

Non smise di correre finché non fosse sicura di essersi allontanata abbastanza da non sentire il padre che la chiamava.

Tanto conosceva benissimo quella parte di foresta, poteva tornare indietro in tutta tranquillità.

La minaccia di essere attaccati in qualsiasi momento dai troll aveva portato il regnante a creare una grande muraglia che coprisse non solo il palazzo, ma anche tutto il regno, fino alla più piccola casa che avesse richiesto la cittadinanza in esso.

L'unica parte che non sembrava avere dei limiti ufficiali, ma comunque era super sorvegliata dalle guardie e dai cacciatori, era quella porzione di foresta che collegava i due regni nemici.

Veniva usata per la caccia o, nel caso suo, per giocare.

Era lì che aveva spiato diverse volte le imboscate e gli attacchi dei troll.

È così che aveva imparato qualche cosa in dialetto.

La prima volta che li aveva visti, le erano sembrati non tanto spaventati quanto strani, all'inizio.

Poi, rimase affascinata dalle loro tecniche di combattimento, le magie degli sciamani e le invocazioni dei loro Loa, questi spiriti della natura, che i troll pregavano e invocavano durante i combattimenti per farsi aiutare.

Ma una sera le capitò proprio di avvicinarsi ad un gruppo di troll accampati e di ascoltare le loro storie.

La sincerità con cui si insultavano, le spallate violente e le risate sboccate...

Era un'atmosfera che lei avrebbe tanto voluto ricercare in un gruppo di amici. O in una famiglia.

Sua madre era morta non appena l'aveva data alla luce, e da allora Lort e il padre sono rimasti soli.

Ed essendo molto impegnato a governare un regno, non aveva molto tempo per lei, che era stata affidata fin dall'infanzia a badanti e servitori.

Per quanto loro facessero di tutto per farle compagnia, non si sentiva di stare in una vera e propria famiglia.

E in quanto ad amicizie, la piccola aveva già sperimentato attraverso gli occhi dei suoi coetanei il peso dell'accondiscendenza forzata.

Le piccole dame di compagnia con lei sembravano sorridere o addirittura divertirsi.

Ma, diverse volte, le era capitato di mettersi nascosta dietro un cespuglio o alla porta della sua cameretta (dipende in quel momento dove stessero giocando), e di sorprenderle a sparlare di lei, approfittando della sua momentanea assenza.

Parlavano di quanto fosse strana, e di come il suo urlare e i suoi modi di fare, quando giocavano alla guerra insieme ai maschi (diciamo pure che le costringeva a giocare perché non voleva essere l'unica femmina del gruppo) fossero così inopportuni.

Eppure lei non si lamentava quando giocava con loro a prendere il tè!

Ma alla fine, decise di non prendersela più di tanto.

Fece sì un paio di pianti le prime volte, ma poi ritenne che non meritassero le sue attenzioni.

I maschi invece le piacevano perché per natura sono sinceri, fanno i giochi più divertenti, e con loro potevi fare a botte, cosa che a lei piaceva moltissimo.

Con quanta sporcizia tra i capelli lunghi e corvini se ne ritornava la sera, e con tutti i vestiti sporchi di terra e di fango!

Faceva venire gli infarti alla badante.

In poco tempo, era diventata la loro beniamina, tant'è che si era formata attorno a lei una sua piccola compagnia con cui passava i pomeriggi.

Però si vedeva che, durante i giochi, qualcuno di loro la lasciasse vincere, e aveva scoperto che i bulli più grandi la temevano non perché fosse veramente forte, ma perché era la figlia del re, e temevano di essere puniti .

Ebbene, ecco il problema.

Mentre tutte le altre principesse adoravano gli unicorni, il rosa ed essere sottomesse a un marito... a lei piacevano i Troll.

Da sempre le piacevano, e il suo più grande desiderio era diventare un troll, più di qualsiasi altra cosa.

Sentiva che il mondo dei troll era il posto adatto per una come lei, sentiva che lì poteva essere quello che voleva.

E adesso, la sfuriata del padre le aveva fatto passare ogni voglia di rimettersi il copricapo da troll in testa e tornare nel suo mondo immaginario.

Così, si limitò a passeggiare e a guardarsi intorno.

Magari avrebbe trovato un posticino all'ombra dove sdraiarsi, o magari avrebbe incontrato qualcuno dei ragazzi per giocare.

D'un tratto però, Lort dovette fermarsi.

Tese l'orecchio: sentì uno strano verso provenire dal fondo della foresta.

Sembrava un ruggito sommesso, forse per via della distanza e dei tanti alberi che ne ostacolavano il suono.

Un adulto si sarebbe allontanato da quel segnale di imminente pericolo di incontrare una bestia feroce.

Ma non Lort, lei era una bambina.

I bambini sono curiosi.

Aprendosi una via tra gli arbusti e i cespugli alti, si avviò nella parte più fitta della foresta, quella che solo i cacciatori più esperti potevano varcare.

Ma la curiosità muoveva i suoi piedi, perciò si incamminava con passo deciso.

Un altro ruggito, stavolta più forte, la chiamò.

Stava per scostare l'ennesimo ramo basso che le copriva la visuale.

Ma come sussultò il suo piccolo cuore quando i suoi occhi videro una massa rossa davanti a sé!

Si nascose dietro al tronco, con la speranza che la belva non si fosse accorta di lei.

Non sentì nessun rumore, e lentamente scostò il ramo.

La massa rossa in mezzo al verde era pelosa e ricoperta di strisce.

Capì di trovarsi davanti al corpo di una tigre!

Lort prese un bel respiro e si avvicinò. La bestia era sdraiata su un fianco .

Aveva gli occhi chiusi, ma non era morta: la massa di strisce che attraversavano la sua pelliccia si abbassava e si rialzava, a intervalli irregolari.

Dalla gola della tigre si udivano deboli mugolii di sofferenza.

Girando, con accortezza, attorno alla tigre, Lort scoprì il motivo del suo dolore: una tagliola per orsi stringeva una della sue zampe posteriori, completamente macchiata del suo sangue.

"Povera creatura! – pensò Lort con profonda compassione – guarda come sei ridotta!".

Avvertita la presenza di un altro essere, la tigre aprì gli occhi , spaventando la bambina.

Dalle sue fauci partì un ruggito, la belva si agitò e cercò di darle una zampata.

Ma il dolore alla zampa era lancinante, e il potente ruggito uscì fuori come un debole guaito.

La zampa cadde a terra con un tonfo, sollevando un polverone.

"No! Stai calma! Calma! Non voglio farti del male!" la rassicurò Lort, tenendo le mani davanti a sé.

Aveva paura, eppure... non seppe resistere.

Piano piano, poggiò le mani sul suo corpo.

La schiena della tigre sussultò, ma vedendo che non contrastava il suo gesto, la accarezzò.

Il suo pelo era così caldo e soffice, e aveva i riflessi del sole.

"Stai soffrendo tantissimo, non è vero? – disse lei – non temere. Adesso ti libero. Cerca solo di stare ferma...".

Raggiunse la tagliola minacciosa e sporca di sangue della sua vittima e, dopo un attimo di esitazione, mise le dita tra gli spazi e cominciò a tirare per aprire la trappola.

Era bloccata.

Dapprima aveva cercato di fare piano per non tagliarsi le dita tra i denti arrugginiti della tagliola, ma adesso infilò ancor di più le mani tra gli spazi per tirare meglio.

La tigre la osservava con due enormi occhi gialli, piena di stupore per quanto la piccola umana fosse così coraggiosa.

Con uno scatto, la tagliola finalmente si aprì.

Si asciugò il sudore dalla fronte con la manica pulita e riprese fiato.

"Riesci a muoverla?" chiese lei.

La tigre tentò di alzarsi, ma le fitte alla zampa le impedivano qualsiasi movimento.

A quel punto, la piccola si strappò l'orlo del vestito.

"Tanto ci inciampo sempre..." disse tra sé e sé.

Notò un ruscelletto che scorreva davanti a loro, vi intinse il pezzo di stoffa e lo strinse delicatamente attorno alla zampa insanguinata.

Al secondo tentativo, la tigre riuscì ad alzarsi con un po' di fatica.

Ora si che sembrava minacciosa agli occhi di Lort!

" Evvai! – esultò lei, con un po' troppo entusiasmo – adesso sei li...".

Il muso della tigre arrivò a pochi centimetri dalla sua faccia, bloccandole le ultime sillabe in gola.

Lort rimase lì, paralizzata dalla paura.

Per un minuto interminabile, non fecero altro che rimanere lì in silenzio, a fissarsi.

Nessuno dei due osava staccare gli occhi di dosso all'altro.

Come ipnotizzata, la piccola allungò una mano verso la sua enorme testa e la accarezzò.

La tigre era bellissima.

Aveva due occhi che ti incantavano . Anzi, uno, visto che l'altro era solcato da una lunga e profonda cicatrice e restava chiuso.

Sotto il muso comparivano due enormi denti a sciabola che avrebbero potuto spezzare il femore di un elefante come se fosse stato un grissino.

A differenza delle comuni tigri, questa aveva una folta criniera rossa che attraversava la sua spina dorsale.

Le dava un aspetto ancora più regale, secondo Lort.

Fu uno sparo in lontananza a svegliarle entrambe: i cacciatori si stavano avvicinando! Avranno sentito i ruggiti!

"Fuggi! Presto!" sussurrò Lort alla tigre.

Ma, ad un tratto, Lort inarcò la schiena: il proiettile di uno dei cacciatori l'aveva colpita!

La tigre indietreggiò spaventata.

Ma Lort, come se nulla fosse, si toccò il fianco, e da un buco del vestito tirò fuori la pallottola.

Non sentiva alcun dolore, e neanche una goccia di sangue bagnò la sua rosea veste.

La tigre sembrò guardarla esterrefatta.

"Hehe! Non ti preoccupare, sto bene! – sorrise lei, mostrandole il proiettile ammaccato – io sono invulnerabile. Lo sono da quando sono nata!".

Lort non era una bambina come tutte le altre.

Sin dal suo primo istante in cui aveva esalato il suo primo respiro, Loretta Vuich, figlia del re Samuel Vuich di Katel'Seas, aveva acquisito un grande potere: l'invulnerabilità.

Nessuna lama può scalfirla, nessun proiettile può colpirla.

Il suo corpo era protetto. 

In buona parte almeno... 

"Sarebbe stato peggio se mi avessero colpito qui! – spiegò lei alla belva, indicando il plesso solare -è il mio punto debole! Se mi toccano lì... beh... muoio. ".

Disse queste ultime parole con tanta tristezza.

Una bambina non dovrebbe sapere cosa sia la morte, figurarsi avere da sempre la sua ombra minacciosa su di sé, pronta a prenderla.

"Però... io sono forte. - si incoraggiò lei, rialzando lo sguardo- E un giorno diventerò un guerriero. Anzi. Diventerò un troll! Dovesse essere l'ultima cosa che faccio!".

L'occhio della tigre emanò un bagliore dorato a quelle parole.

"In realtà non dovrei dirti il mio punto debole. È un segreto. Beh... vorrà dire che adesso sarà il nostro segreto, va bene?" ammiccò Lort.

Ma il suo segreto, l'aveva detto ad una tigre! Le tigri a stento capiscono quello che dici!

E in fondo, mica parlano...

" Il nostro segreto... " le labbra nere della tigre si mossero, mormorando quelle tre semplici parole con tono sommesso.

La bambina spalancò gli occhi esterrefatta.

" Grazie piccola umana! Mi ricorderò di questo tuo gesto, semmai un giorno ci rivedremo..." disse la tigre, con una voce profonda.

Voltò la testa e corse via, scomparendo dietro gli arbusti, lasciando la bambina a bocca aperta, sola, in mezzo alla foresta. 

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