Capitolo 36 - Coboldi e Catacombe
Viaggiarono per tutto il giorno lungo la foresta, attraversando la penisola fino ad arrivare in corrispondenza a quelle che venivano chiamate le Antiche Rovine.
Non si sa di preciso a che popolo appartenessero, se troll o di elfi antichi.
Si sapeva soltanto che erano lì, ad arricchire la penisola di storie di culture antiche e sconosciute e di leggende che spaventavano i bambini.
E sotto di esse, come in molte città, vi erano dei cimiteri formati da tunnel sotterranei scavati: le catacombe.
Là non vi abitavano più nemmeno le anime di chi vi era stato sepolto.
Almeno così sapeva Lort.
Ma Zannuncino lungo il cammino ebbe modo di spiegarle quanto segue:
"Devi sapere, purpetiella, che 'ste catacombe dove ti sto portando sono infestate. Ma non da spiriti o ragni come penserai tu. I coboldi sono i suoi abitanti.".
La paladina fissò il Capitano incredula.
Coboldi? Quegli esseri alti quanto lei che somigliavano a topi umanoidi, avidi di oggetti preziosi, di denaro, e altre cose che fossero ai loro occhi ciechi luccicose?
" Ma che mi dici? Coboldi? Credevo che fossero stati sterminati molti secoli fa!" aggiunse Lort, sorpresa.
"E invece no. A quanto pare si sono proliferati di nascosto, come topi di sardina, e hanno formato 'na enorme colonia. Proprio sotto i nostri piedi." spiegò il Capitano, battendo il tacco sul terreno.
La paladina tenne gli occhi fissi per terra.
Si immaginò migliaia e migliaia di quelle creature topesche muoversi sottoterra, scavando tra le zolle e le rocce sottoterra con le loro zampette artigliate, sporche e ricurve...
"Si dice che il loro Re sia molto spietato, e di certo accoglie benevolmente chi osa intrufolarsi nelle sue catacombe... spellandolo vivo!".
Il Capitano disse quest'ultima frase agitando la mano ad artiglio davanti a lei, facendola sobbalzare.
Scoppiò a ridere insieme ai suoi compagni.
" Oh, nun farti venire paura proprio adesso. 'Na Campionessa cumme a te... Nun avrà mica paura di qualche topo gigante?".
"Non ho paura. Non ho mai avuto paura dei topi." Si difese Lort.
"Nel tuo diario scrivi il contrario!- controbatté la pirata, sfogliando il diario- Non ricordi? Quando sei entrato nel cesso e per poco un topo nun ti mordeva...".
Rantolando rabbiosa, Lort scattò per saltarle addosso, ma l'orco con la gamba di legno la sollevò da terra.
"Ti ho detto di non leggere più il mio diario! E non era un topo! Era un ratto!" sbraitò Lort, agitanto i piedi risollevati.
"Gettala!" ordinò Zannuncino.
L'orco obbedì, buttandola dentro una buca aperta nel suolo come un sacco della spazzatura.
La paladina a causa della spinta si ritrovò ad atterrare con il muso su un pavimento freddo, nel buio improvviso.
Mugugnò una serie di bestemmie, rialzandosi dolorante: "Maledetta stronza... pazzoide... figlia di una murloc...".
"Shh! E Stat' zitt !" le bisbigliò lei, mentre tutti accendevano delle fiaccole.
Allungò una mano e la risollevò violentemente da terra.
"Accussì i Coboldi ti sentiranno! So' ciechi come talpe, ma hanno un udito eccezionalmente acuto!" spiegò lei a bassa voce, scuotendola violentemente.
Ora che lo spazio era stato illuminato, Lort potè capire dove fosse: era dentro una stanza, scavata artificialmente sottoterra, con il soffitto alto il doppio di lei sorretto da colonne di pietra.
Era l'antro di una catacomba, e quelle su cui si era ritrovata ad inciampare erano una breve fila di scale che portava dentro essa.
Davanti a lei la stanza si allungava in quello che Lort all'inizio pensò fosse un corridoio.
Ma quando si avvicinò all'antro, dovette ritirare il passo, perchè il pavimento sprofondava in un'enorme fossa.
Rabbrividì: il precipizio scendeva per chissà quanti metri sottoterra, ed era così buio da non riuscire manco a vedere il fondo.
Con la punta del piede, fece cadere un sasso nel precipizio.
Aspettò di sentire l'impatto. Dopo minuti che parvero eterni, non arrivò niente alle sue orecchie.
Si sentì improvvisamente tirare ai fianchi.
"Piano, Purpetiella! Nun ti ho manco legato la corda in vita! Ha! Vuoi forse farla finita?" chiese Zannuncino, ridendo malefica.
"Il loro rifugio inizia là sotto. Adesso, chello che devi fare, è scendere lì e cercare la candela. Appena arrivi giù, dovresti ritrovarti una serie di corridoi illuminati, attraversali e cerca una cripta. Di solito accumulano i loro tesori nelle stanze più grandi con le loro candele. Non badare a loro. Prendi solo la candela più grande che trovi, nient'altro.".
Il tauren, con l'aiuto delle torce, iniziò a legare attorno alla vita di Lort una dura e spessa corda.
L' estremità era già stata legata ad una roccia là vicino.
"Ci saranno casse piene di oro, argenti e altre cose preziose là sotto...- disse la paladina, scettica- perchè vuoi proprio una candela?".
"Nun sono candele qualsiasi. Possono restare accese per un anno intero senza consumarsi mai. Se vendute al mercato, una sola di quelle vale quanto il galeone che mi hai distrutto." spiegò Zannuncino.
"Ma... devo andarci solo io?" chiese Lort, con un pò di tremore nella voce.
L'occhio le cadde in fondo all'abisso.
Per quanto si sforzasse, non riuscire a vedere niente di niente in quel dannato buio.
Non voleva scendere e rischiare di non risalire mai più per un misero pezzo di cera.
"Avrei bisogno di qualcuno che mi accompagni. Che li distragga magari, nel caso in cui dovessero...".
La mano di Capitan Zannuncino poggiata sulla sua spalla bloccò la scusa che stava formulando per non intraprendere quella folle impresa da sola.
"Hai paura del buio, Loretta? Hai forse paura... di buttarti nell'Abisso? In fondo ti capisco.".
Pose questa domanda con una voce così materna e rassicurante che Lort non potè fare a meno di perdere per un attimo la paura e mettersi ad ascoltarla.
"Allieva mia... Stiamo cominciando proprio da una delle lezioni più difficili...".
Tenendole amorevolmente un braccio attorno alle spalle, la avvicinò ancora di più all'orlo.
Lort la lasciò fare, visto che, in quella circostanza, fu come se le sue braccia fossero il posto più sicuro in cui stare.
" Sei stata nella Luce troppo a lungo, piccerè. Hai vissuto i tuoi vent'anni di vita aggrappata alle tue certezze." mormorò Zannuncino, in un tono di voce strano, che fece alzare lo sguardo della paladina.
I suoi occhi, che alla luce della torcia sembravano dorati, erano abbassati sul profondo abisso.
Non sorrideva, nè tantomeno era arrabbiata; sembrava stare in piena meditazione.
Alzò le tre dita della sua mano trollesca, afferrò il mento della giovane e le impose forzatamente di continuare a guardare giù.
"Ma sai che cosa penso, Loretta? Che le certezze so' na trappola. L'animo si affida a loro come dei rampini per aggrapparsi ed risalire da 'sta vita demmerda. Ma non si rende conto che quelle che tiene tra le mani non sono rampini. Sono catene, che lo legano e fanno peso, rigettandolo ancora più a fondo.".
Si girò a fissare la sua prigioniera.
Le sue parole stavano ottenendo l'effetto desiderato: la fanciulla stava guardando ancora in basso, presa anche lei dalla meditazione delle sue parole.
"Prova a riflettere. - continuò il Capitano- La tua sicurezza, il tuo stare alle regole ti hanno aiutato fino ad ora o ti hanno ostacolato? Quando hai provato a battermi ti hanno forse aiutato? No. Hai incominciato ad agire bene quando hai colpito la mia nave co' sto martello, sai pecchè?".
La mano smise di stringerle il mento.
Le aprì una mano e la richiuse attorno al manico del Martello.
L'aveva lasciato sul pavimento quando era caduta.
"Pecchè nun sapevi che fare, e hai smesso in automatico di pensare. Bene. Benissimo, anzi.".
La mano scivolò dietro la schiena di Lort.
" E' la stessa cosa qui. Solo che adesso non vedi niente e ti blocchi. Eppure 'o sapevi tu, quanno hai scelto di continuare chesto viaggio, che ti saresti ritrovata qui.".
La paladina deglutì.
"Certo... non mi aspettavo di trovarmici così presto, Capitano." ammise lei.
Avvicinò le sue labbra carnose all'orecchio della fanciulla.
"E che ci sta a fare la tua maestra qui, se nun per darti... la spinta giusta?".
E così fece: improvvisamente, la mano poggiata dietro la schiena di Lort la spinse in avanti, oltre l'orlo del precipizio.
Come fu brutta la sensazione improvvisa della terra mancante sotto i piedi per Lort.
"Vai e affronta l'abisso, purpetiella!"urlò Zannuncino entusiasta.
Fu l'ultima cosa che giunse alle orecchie di Lort, prima di mettersi ad urlare e cadere.
Uno brutto strattone le fece male ai fianchi.
La corda l'aveva appena salvata da morte certa.
"Vedi pecchè dovevo metterti la corda prima di saltare?" Urlò Zannuncino sopra di lei, ridendo per lo scherzo di cattivo gusto che le aveva appena fatto.
"Sei una stronza figlia di una pesce-cagna!" le urlò Lort infuriata.
"Forza, calatela più giù!- ordinò lei ai suoi uomini - e tu, laggiù, cerca di nun farti accoppare dai Coboldi!".
Lentamente, la paladina si lasciò scivolare più giù, immersa nel buio.
Erano passati minuti, ma per Lort fu come un'eternità.
Non si trovò per niente a suo agio immersa in quel buio profondo.
I peli sulle braccia le si rizzavano per il freddo causato dall'umidità.
Si strinse le spalle, e solo ora si rese conto di avere il Martello tra le mani.
Riflettè che avrebbe potuto benissimo usare la Luce di Shirvallah come un faro per illuminarsi.
Ma se poi quello che le avrebbe rivelato non le piaceva?
Se avesse scoperto chissà quale creatura nascosta nel buio che la fissava silenziosa?
Ma soprattutto, cosa che ritenne assai più logica, se avesse attirato l'attenzione di qualche Coboldo?
Aspettò la fine della discesa prima di decidersi ad usare l'arma.
Ma forse non avrebbe avuto neanche tanto bisogno di usarla: sotto di sé riconobbe il leggero bagliore di una luce, accompagnato poi da una leggera brezza calda che la riscaldò.
Probabilmente si trattava di torce.
Finalmente, dopo un po', le suole toccarono il fondale.
Rimessasi in piedi, dopo essersi assicurata di avere legato bene la corda ad un masso, così da poter camminare, si guardò attorno.
Sì, in effetti il corridoio scavato a mano in cui si trovava, alto appena quanto lei, era illuminato ogni due metri da delle torce appese al soffitto.
Grazie a Shirvallah, non c'era nessuno che passava di lì.
La paladina girò la testa prima a destra e poi a sinistra, incerta su dove avviarsi.
"Sinistra." Pensò lei, e cominciò ad incamminarsi.
Ma un rumore di passi pesanti, in fondo al corridoio, la fece trasalire.
"No. Destra." Ripensò, correndo dall'altra parte cercando di fare meno rumore possibile.
Finchè non vide il corridoio aprirsi alla sua sinistra e decise in fretta di nascondersi lì.
Mentre riprendeva fiato con una mano alla bocca, schiacciò tutto il suo corpo lungo la parete opposta, pregando il suo Loa di non essere scoperta.
Il rumore di passi si fece più acuto, finchè poi non vide passare davanti a lei due figure.
Erano tutte e due alte quanto lei e tarchiate, umanoidi nell'andatura e nell'aspetto, con musi però topeschi.
Erano vestiti come dei minatori, con caschi che a stento gli coprivano le poderose orecchie da topo, e portavano ciascuno degli attrezzi del mestiere, grossi almeno il doppio di loro.
Emettendo sospiri che parevano più degli stanchi squittii, si facevano strada dividendosi una lanterna da minatore.
Coboldi.
Lort sbarrò gli occhi.
Allora era vero! C'erano davvero dei Coboldi là sotto!
Per un attimo, la conferma della presenza di quell'incubo a due zampe bloccò ogni intenzione nell'animo della fanciulla di proseguire.
Strinse forte al petto il Martello di Shirvallah, e fece in silenzio una preghiera al suo Loa.
Risollevata un po' da quel semplice gesto, continuò il suo cammino, stavolta lungo il corridoio su cui si era nascosta.
Dopo un po' di tempo, il corridoio finì, allargandosi in una enorme stanza ben illuminata.
Era la cripta, dove i Coboldi conservavano i tesori.
E che tesori!
La luce era proiettata non tanto dalle poche lanterne attorno quanto dalla montagna di monete d'oro che faceva da riflesso.
Era accumulata al centro della stanza, si estendeva dal pavimento fino a toccare quasi il soffitto, con argenterie, gioielli con pietre preziose che sbucavano da esse.
Sulla cima di quella montagna d'oro, ecco l'oggetto che stava cercando: una grossa candela accesa, color ambra dalla fiamma lunga.
Capì il motivo per cui i Coboldi dessero così tanta importanza ad un pezzo di cera: l'oro e i gioielli sono belli e luccicosi, ma solo se c'è una luce che possa riflettere sulla loro lucida superficie.
Rubavano quelle cose per diffondere ancor di più l'unica fonte di luce che i loro piccoli occhi da talpa potevano sopportare.
In silenzio, Lort si avvicinò e pensò a dove poggiare il piede per arrampicarsi, quando sussultò, tappandosi immediatamente la bocca.
A spaventarla era stato un coboldo che faceva da guardia alla montagna d'oro.
Disteso in un angolo del cumulo, era addormentato, e ronfava rumorosamente, facendo vibrare i baffetti.
In silenzio lo sorpassò.
E, trovato un punto da cui iniziare, piano piano, cominciò ad arrampicarsi.
Benché la montagna sembrasse instabile, i pezzi si tenevano bene, e se si sporgeva sui pezzi di argenteria più esposti, poteva salire senza problemi.
Era giunta oltre la metà della montagna, quando fece cadere per sbaglio un mucchio di monete,che tintinnarono forte a terra.
Lort temette il peggio quando vide il Coboldo rantolare nel sonno.
Ma poi, lo vide girarsi su un fianco e continuare a russare come se nulla fosse.
Continuò la salita, e stavolta le sembrò che fosse ancora più distante la candela, tanto che si muoveva lenta.
Allungò il braccio fino a che non sentì tirare la spalla.
Allora mosse le dita per allungarle ancor di più.
Sentì finalmente al tatto la superficie liscia della candela sui polpastrelli.
Diede un ultimo sforzo e finalmente la afferrò.
Sospiro trionfante portandosi la candela più vicina a sé.
Ancora lì, attaccata alla parete, si diede qualche minuto per riprendere fiato e osservare la candela prima di mettersi a scendere.
Ai suoi occhi la candela non aveva niente di speciale: era color bronzo, dalla miccia dorata e una fiamma lunga e ben luminosa, che splendeva attorno a sé.
"Non è possibile che mi abbia fatto fare tutta questa strada per te." Pensò.
All'improvviso... CLANG!
Qualcosa di metallico la colpì dietro la nuca, facendole perdere l'equilibrio.
Si ritrovò ad agitare la mano libera per cercare di aggrapparsi all'ultimo a qualche cosa, invano.
Ebbe appena il tempo di urlare per tre secondi, prima di cadere addosso al Coboldo addormentato.
"Ouch!" urlò lui, risvegliato improvvisamente dal pesante didietro dell'umana caduto addosso a lui.
Per qualche secondo, si fissarono confusi.
Poi, i piccoli occhi del coboldo caddero sulla cosa di cera che Lort stringeva tra le dita.
Immediatamente i suoi occhi si incattivirono e il muso si contrasse, ringhiando dalla rabbia.
"Tu... rubare... candela..." squittì rabbioso.
Afferrò la lancia e la innalzò sopra di sè.
"TU NO PRENDERE CANDELAAAAAA!".
Lort timbrò le costole della bestiaccia con la suola dei suoi stivali, afferrò il martello che era caduto a pochi metri da lei e fuggì.
Ma all'ingresso del corridoio si scontrò con altri due coboldi, che la guardarono smarriti.
"CANDELA! LEI RUBARE CANDELA! FERMARE!" Urlò la guardia, tenendosi il petto dolorante.
Gli altri due fecero per metterle le mani addosso, ma con il suo martello, Lort li fece volare via, uno su una montagna di soldi, l'altro tra le macerie.
Scattò e corse lungo il corridoio sentendo le loro voci allarmate dietro di lei.
"Okey! Ne ho incontrati solo tre, e ne ho messi ko due. - si disse tra sè e sè per calmarsi, mentre il cuore le rimbombava al petto ad ogni passo- Ce la faccio. Ce la faccio ad uscire senza incontrarne...".
Il corridoio finiva con una porta chiusa. La aprì...e si ritrovò davanti migliaia di occhietti neri di Coboldi che si girarono a fissarla stupiti.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
"...altri. Cacchio." completò la frase lei.
"TU NO PRENDERE CANDELA!".
Urlarono loro, precipitandosi su di lei.
Le sue urla riecheggiavano su tutte le catacombe, assieme agli squittii e gli zampettii dei Coboldi che la inseguivano.
Se vi foste ritrovati come lei ad essere inseguiti da un'orda di ratti umanoidi, armati nei modi più disparati, dai picconi alle pale, fino agli oggetti contundenti di fortuna, come forchettoni o coltelli da cucina,vi lascereste prendere dal panico persino voi.
Con le loro voci nasali e stridule, proprio come quelli dei ratti, non facevano altro che squittire e urlare "CANDELA! CANDELA! CANDELA!".
Le sembrava di correre in cerchio, scansando quei mostri a colpi di martellate e rigirando i cunicoli.
Ad un certo punto, non seppe manco lei come, prese una curva e si nascose dietro una colonna di monete d'oro.
I Coboldi la superarono senza accorgersi di lei.
Riprese fiato, col cuore che batteva dentro le sue orecchie.
Chiuse gli occhi, chiedendosi come invece di essere a Zandalar a combattere un loa semidio assetato di sangue di troll , si ritrovasse a fuggire da quelle creature da disinfestare.
"Accidenti... ma perché a me? Dove sarà la corda per uscire da queste catacombe di merda?" disse in un sussulto.
Affacciandosi da dietro il cumulo di monete per vedere se la via fosse libera, vide con stupore due figure a lei familiari attraversarlo di corsa.
Erano il tauren e il goblin pirata.
"Ma cosa..." la frase le morì tra le labbra quando vide che cosa portavano: uno un'enorme cassaforte colma di gioielli e oro, l'altro un sacco tutto tintinnante, grosso almeno il quadruplo di lui.
Allora erano interessati all'oro di quel dannato posto!
"Maledetti bastardi! " .
Era così arrabbiata che l'insulto le uscì come lo squittio prodotto dai Coboldi.
Non ci pensò due volte a lasciare il suo nascondiglio e seguirli.
Era l'o va là o la spacca quel momento.
Doveva muoversi soltanto pensando a raggiungerli, non temendo di essere vista da quei mostri.
Ci fu un momento in cui si affidò soltanto alle sole orecchie per seguirli, perché ad un certo punto, svoltando l'angolo, non li vide più.
L'urlo improvviso di un Coboldo che diceva "ECCOLA! ESSERE QUA LADRA! ESSERE QUAAA!" non la spaventò ma le diede lo sprint finale per l'ultimo chilometro prima di riconoscere la corda stesa in un angolo della parete.
"La corda!" urlò lei, guardandosi attorno per capire dove fossero i due pirati.
Ma poiché vide la corda dondolare da sé, intuì che stessero risalendo da essa.
"Ehi! Ehi voi!" urlò lei, legandosi frettolosamente la corda in vita.
Tirò la corda come una forsennata per farsi tirare su.
Ma la corda non si tese.
"Ragazzi! L'ho presa! Ho presa la candela! Tiratemi su! Vi prego tiratemi su!" urlò lei, disperandosi nel sentire gli squittii avvicinarsi a lei.
In fondo al corridoio, le luci delle loro torce cominciavano a proiettare terribili ombre minacciose.
Si sentiva disperata.
E poi d'un tratto, si sentì stupida: le era venuto in mente che il suo martello poteva sollevarla fin lassù!
Perchè non ci aveva pensato prima?
Lo sollevò in alto e pregò: "Vai Martello. Aiutami a rivedere la luce del sole!".
La terra tremava, i Coboldi era distanti pochi passi da lei.
Dopo un po', il martello vibrò e partì, illuminandosi della Luce Divina.
I Coboldi soffiarono, accecati.
E il martello partì come un razzo, su, verso la superficie, e la paladina si tenne stretta al manico.
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