18. La mia casa, la mia famiglia - pt. 2

La sua respirazione era accelerata; la cassa toracica si espandeva e ritraeva ritmicamente, in contemporanea al movimento rapido delle gambe. Etnia si diresse dritta in direzione delle mura, laddove sapeva esserci il casottino di Ed. Forse lui era la sola persona in grado di aiutarla, in quel momento; inoltre, non le era venuto in mente nessun altro posto in cui si sarebbe potuta rifugiare per riordinare i pensieri.
Un'angoscia insopportabile le premeva sul petto mozzandole il fiato; una voragine profonda e scura si era aperta nel suo stomaco, il vuoto che la mancanza dei suoi genitori aveva lasciato dietro di sé.
Che cosa sarebbe accaduto, adesso? Come avrebbe potuto vivere senza di loro?
Tentò di soffocare quei pensieri, e stringendo forte la mano di Timber accelerò ancora il passo. Il bambino, che correva al suo fianco, riusciva a malapena a starle dietro.
-Ragazza! Fermati!-.
L'esclamazione gridata da una guarda non sfuggì certo alle orecchie di Etnia, che fermò immediatamente la sua corsa. Puntando i palmi sulle ginocchia ed inarcando la schiena, riprese fiato ignorando il fatto che suo fratello aveva ripreso a tirarla per la maglietta.
-Perché ti fermi?!- gridò in lacrime.
Le guardie che si stavano avvicinando, erano tre. Due provenivano dalla strada alla loro sinistra, mentre la terza, nonché quella che aveva ordinato loro di fermarsi, proveniva da sinistra.
-Etnia!- continuò a gridare il bambino -Sono stati loro! Le guardie hanno ucciso mamma e papà!!-. Notificando che tirarla per la maglietta era inutile, il bambino decise di afferrarla per i capelli.
La ragazza emise un lamento e tornò in posizione eretta, liberandosi dalla presa del fratello minore. Lanciò uno sguardo nervoso alle guardie, ormai fin troppo vicine, e capì che non poteva fidarsi di loro.
"Sono state le guardie ad uccidere mamma e papà".
Soltanto adesso capiva. Dovevano averla identificata; loro sapevano che era stata lei ad oltrepassare i cancelli, sapevamo che aveva visto cose che mai avrebbe dovuto vedere.
Lei per loro.... Sapeva troppo.
Ed una persona che sa troppo, rappresenta un grosso rischio per il sistema. Non potevano rischiare che parlasse, che diffondesse le informazioni che aveva appreso sui Trivial e sui segreti del sistema; ecco perché avevano ucciso i suoi genitori, ecco perché adesso volevano uccidere lei.
In un attimo tutto le pareva chiaro; allo stesso tempo, però, si rendeva conto di quanto grave fosse la situazione in cui si trovava.
Senza pensare ulteriormente, Etnia tornò ad afferrare la mano di Timber e riprese a correre, giusto prima che fosse troppo tardi. Sfuggì alla presa di una delle guardie sgusciando via di lato, e si lanciò in una rapida corsa tra la folla di passanti sulla strada, senza preoccuparsi di colpirli con spallate e gomitate.
Il casottino non era poi così distante. Doveva solo seminare le guardie e raggiungerlo.
-Più veloce, Timber!- gridò, quando sentì il fratello rallentare il passo. Era di certo esausto, ma non potevano permettersi nessun'altra tregua.
Etnia deviò bruscamente il percorso girando in un vicolo stretto molto poco frequentato, per poi accedere ad una seconda via che lo tagliava trasversalmente. Si girò indietro per una frazione di secondo senza smettere di correre, e poté notificare con grande sollievo che le guardie non erano più lì. Dovevano averli persi di vista; era l'occasione perfetta.
Scegliendo le vie più secondarie e nascoste, proseguì il suo cammino finché non vide finalmente il casottino di pietra, ancorato alle grandi mura della città.
-Coraggio, ci siamo!- esclamò, incitando Timber a compiere le ultime falcate. Non appena raggiunsero la porta, Etnia afferrò bruscamente la maniglia e la tirò con forza, finendo per sbatterla violentemente verso l'interno. Si buttò poi dentro, trascinando il fratello con sé, per poi richiudere l'ingresso immediatamente dietro alle proprie spalle.
Riprese fiato, con gli occhi socchiusi ed i capelli ormai scompigliati che prendevano sulla fronte offuscando la sua vista. Quando risollevò la testa, annaspando e tremando, trovò davanti a sé la figura di Nux.
Il ragazzo la guardava immobile, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa. Istintivamente, sfogando tutta la sua disperazione, lei gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo con tutte le forze che le restavano in corpo.
-Nux... Li hanno uccisi... I miei genitori!- gridò scoppiando a piangere. E più piangeva, più lo stringeva a sé.
Il ragazzo non si mosse, probabilmente perché non sapeva come comportarsi in quella situazione; tuttavia, con un movimento lento e calcolato, posò il mento sulla sua spalla.
-Che succede?!-. La voce di Ed rimbalzò improvvisamente sulle mura della stanza, mentre il piccolo Timber, terrorizzato, andava ad accovacciarsi sul divano.
Etnia lasciò Nux e fece un passo indietro, voltandosi verso il vecchio con gli occhi carichi di disperazione. -Vogliono uccidere anche me... E mio fratello....- farfugliò -Le guardie ci hanno seguito. La mia casa... La mia famiglia... Loro...-.
-Okay, calmati- la interruppe l'uomo, poggiando una mano sulla sua spalla con aria decisa -Adesso siediti e dimmi cosa sta succedendo-.
La ragazza riprese fiato, ed indietreggiando cercò a tastoni lo schienale del divano, per poi lasciarsi cadere sopra a peso morto. Comporre una frase di senso compiuto, in quel momento, le pareva una cosa dannatamente difficile.
Tentò di calmarsi, riempiendo i polmoni d'aria un paio di volte. -Hanno ucciso la mia famiglia- disse. Quella frase, fu seguita da un lamento appena percettibile, che Timber fece prima di nascondere la faccia dietro alle mani.
-Chi? Le guardie?- domandò Ed, che più di ogni altra cosa pareva intento a capire quale fosse il grado di pericolosità della situazione.
Lei annuì, trattenendo l'ennesima crisi di pianto. -Vogliono uccidere anche me e mio fratello... Siamo riusciti a scappare per miracolo...-.
Il vecchio ascoltò la risposta con attenzione, poi si diresse a passo svelto verso il fondo della stanza. Chiuse tutte le finestre frettolosamente, gettando la stanza nel buio pesto. Accese poi la lampadina appesa al muro, e tornò ad avvicinarsi agli altri.
-Etnia, è una cosa molto grave- disse -Se le guardie ti stanno cercando, devi andartene immediatamente da qui-.
Lei  lasciò cadere le braccia, e lo guardò disarmata. -Mi stai... Cacciando?-.
-Se ti trovano, ci ammazzano tutti. Non posso permetterlo!- esordì lui, con aria nervosa -Etnia, ti stanno cercando perché sanno che tu sei a conoscenza dei loro segreti. Uccideranno te e tutti quelli a cui potresti aver detto qualcosa... Capisci!?-.
-Allora che posso fare?!!- gridò lei, esausta.
Il vecchio le fece cenno con le mani di abbassare la voce. -Devi andartene subito. Devi andare via-.
In quel momento Timber, che fino ad allora giaceva piangente sul lato opposto del divano, si alzò in piedi. -Dove andiamo?- farfugliò, asciugandosi le guance con le mani.
Il vecchio rispose, ma continuando a rivolgersi ad Etnia. -Fuori dalle mura. Non potete più stare nella Città Celeste-.
Quella frase sollevò uno stupore generale. -C..Cosa?!- esclamò la ragazza -Stai scherzando, vero?-.
Ed scosse la testa. -Se restate in città, verrete ammazzati tutti prima o poi. Dovete abbandonare questo posto, e anche subito- spiegò.
Etnia si passò una mano sulla fronte, e taque per qualche secondo. -Quindi... Scappiamo dalle guardie per andare a morire di fame e di sete nel mezzo del deserto?- disse, a bassa voce. -Senza contare il fatto che le mura non hanno uscita-.
-Ti sbagli su entrambe le cose- disse il vecchio -Fuori non c'è solo sabbia, e di uscite ce ne sono ben tre. Ho le chiavi; posso aprirvi la via-.

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