1. Bicchieri mezzi pieni
Anno 3'0023, scoppia la Guerra Silente.
La potenza distruttiva delle nuove armi nucleari si dimostrò incontrollabile dall'uomo stesso che ne era stato il creatore, tanto che lo scoppio di alcune bombe ridusse il mondo intero ad un cumulo di cenere.
In pochissimi si salvarono.
In poco tempo sparì ogni traccia della vecchia civiltà umana. Il clima terrestre divenne notevolmente più caldo, e quasi ogni luogo si trasformò in modo radicale, diventando arido e sabbioso. Le condizioni climatiche si destabilizzarono e la maggior parte delle specie animali e vegetali si estinsero per sempre.
Nel mezzo di tutta quella desolazione, trecento anni dopo, era spuntata una grande città fortificata; L'unico insediamento umano adesso presente sulla terra, l'unica speranza di una nuova vita per gli uomini. Questi ultimi, ormai distrutti dalla guerra e dalla sofferenza, si impegnarono nel tentativo di creare un vero e proprio paradiso in cui ognuno di loro sarebbe potuto vivere nella pace e nella tranquillità.
Rafforzarono le difese della città, la ampliarono, la resero un luogo più sicuro e confortevole, protetto perfino dalla minaccia delle radiazioni che padroneggiavano altrove. Enormi pompe recuperavano acqua limpida dalle viscere della terra e la distribuivano ad ogni singolo rubinetto, cosicché tutti potessero bere; nacquero allevamenti e piantagioni, e lo sviluppo tecnologico riprese lentamente il suo percorso. Tutto questo, all'interno delle mura.
Una meravigliosa fortificazione sorta tra le dune di sabbia scottante e le macerie. Un luogo paradisiaco ove tutti poterono trovare riparo.
Fu chiamata "La Città Celeste".
......
Dalla finestra spalancata sulla città si infiltrava un piacevole venticello, che faceva dondolare lievemente le tende rosse appese lì affianco. Osservandola dalla posizione in cui Etnia si trovava, distesa sul letto a pancia in giù, si potevano scorgere i muri bianchi delle case, ed i loro tetti spioventi colorati dal rossastro delle tegole.
Etnia era una ragazza semplice, una come tante. Era nata e cresciuta nella Città Celeste, in una splendida famiglia composta dai suoi genitori e dal suo fratellino, più piccolo rispetto a lei di ben undici anni.
Aveva un carattere piuttosto solare, nonostante si dimostrasse spesso scontrosa nei confronti di suoi padre il quale, a detta sua, non le lasciava abbastanza libertà. Una folta chioma di capelli castani ricadevano disordinatamente sulle sue spalle magre; ogni tanto li raccoglieva in una coda di cavallo, oppure in una lunga treccia. I suoi occhi erano scuri, le sue labbra sottili, la sua corporatura esile ma non troppo. Aveva anche alcune lentiggini molto chiare sulle gote, che le conferivano un aspetto sbarazzino.
-Tesoro! Hai la cena nel piatto!-. La voce squillante di sua madre echeggiò nell'ambiente, ed istintivamente la ragazza sollevò la testa dal libro che era intenta a leggere. -Arrivo!- rispose, mentre piegava un angolo della pagina per essere sicura di non perdere il segno. Balzò energicamente giù dal letto, e quando arrivò sulla tromba delle scale lanciò un'occhiata alla porta della stanza del suo fratellino, che si stava aprendo. Il nanetto spuntò fuori e si lanciò pericolosamente giù per i gradini, saltandoli due a due. -Arrivo prima io!- gridò entusiasta, superandola.
-Ti piacerebbe!- ribatté la sorella, cercando di afferrarlo per la maglietta. Giunti infondo alla rampa delle scale, si ritrovarono faccia a faccia con il padre che li guardava con aria di disapprovazione. -La cena non scappa- disse l'uomo, scuotendo il capo.
Timber, il fratellino di Etnia, si voltò verso di lei e si fece una risatina, prima di riprendere il cammino a passo lento verso la cucina.
La loro era una famiglia semplice, simile a tutte le altre famiglie che popolavano la Città Celeste. La madre di Etnia era una bella donna di quarantacinque anni, alta, magra, e sempre in forma; il tempo pareva non passare mai, per lei. Suo padre, invece, qualche ruga in fronte cel'aveva. Il più piccolo del nucleo familiare era di certo Timber, con i suoi otto anni di età; Etnia aveva compiuto diciannove anni da pochi giorni.
Come ogni sera la famiglia si riunì attorno al tavolo della cucina, ed ognuno raccontò agli altri qualche dettaglio più o meno interessante della sua giornata. Papà disse che era stato alle piantagioni, siccome si annoiava alquanto, e che si era divertito a raccogliere un po' di lattuga assieme agli altri abitanti della loro zona. Disse che tra questi c'era anche la loro odiosa vicina.
Il lavoro funzionava così, alla Città Celeste: ognuno faceva ciò che gli andava di fare. Il punto era che la gente godeva di tanto lusso da trovarlo quasi noioso; e così, chi prima e chi dopo, tutti finivano per trovare divertente e interessante partecipare a qualche attività che contribuisse a migliorare l'economia della grande città. Impiegavano il tempo in modo intelligente, anziché trascorrerlo a ciondolarsi in casa o per negozi, come d'altro canto faceva buona parte della popolazione.
Gli unici individui che davvero avevano un compito fisso all'interno del sistema, erano le forze dell'ordine; ma gli agenti che avevano accesso al corpo di vigilanza ne facevano richiesta di loro spontanea volontà. Il loro compito era quello di mantenere l'ordine è la tranquillità nelle strade della Città Celeste, ed assicurarsi che ogni abitante vivesse la sua esperienza di vita nel miglior modo possibile.
Eccolo qui, quello che venne comunemente chiamato "il sistema".
Una serie di meccanismi studiati attentamente, che rendevano possibile la continuità della vita nella città, e che garantivano la felicità e la salute di ogni singolo abitante. Nessuno di questi ultimi ne conosceva fino in fondo il funzionamento, ma questo per loro non importava; il sistema garantiva a tutti ciò che desideravano.
E non è forse così?
Quando una cosa funziona bene, non ci si fanno domande su come funzioni. Se funziona, non è importante. Non ci interessa sapere altro, fino a che non arriva il giorno in cui quella cosa si rompe.
Per molti anni la popolazione della Città Celeste poté godere di tutto il lusso garantito dal sistema, offrendo solo una piccola parte d'aiuto. C'era chi, per passione, studiava per fare il medico, chi il giardiniere, chi non faceva nulla e basta. La regola principale era: nessuna imposizione.
La vita nella città doveva essere un'esperienza esclusivamente positiva.
Peccato che, infondo infondo, era proprio la parte più sconosciuta del " sistema" che lo rendeva semplicemente spregevole. E soprattutto, abbastanza debole da vacillare, presto o tardi.
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