capitolo due

Cambio dell'ora; la porta si aprì di colpo, la ragazza - appena entrata - si portò con la mano i capelli scuri dietro la spalla, cercando di rendere il gesto più teatrale e drammatico possibile, così si tolse la giacchetta di pelle, lanciandola in faccia a Letizia, che, non aspettandoselo, barcollò leggermente all'indietro - devo ammettere che fu esilerante e dovetti reprimere una risata - e quindi rimase con una maglietta scollata.
Sentiva caldo, probabilmente, soprattutto con l'intemperia che si vedeva fuori dalla finestra, e proprio per questo aveva deciso di graziare noi altri paesani con il vento creatosi dai suoi lunghi capelli, che tra poco me li sarei ritrovati anche dentro al piatto di spaghetti.
Sentii Letizia sbottare indignata, mentre gesticolava freneticamente con le sue amiche, parlando, probabilmente, di quanto fosse stronza quella puttana o di quanto fosse puttana quella stronza, insomma, il concetto era quello.
Gesti che andarono solo ad enfatizzarsi quando la vide avvicinarsi a me, io - nel frattempo - la salutai perché bisognava sempre essere gentili, «Erica.»
«Ehi Stefano, certo che ti sei preso proprio una cagna rabbiosa come fidanzata», facendo un cenno dietro alle sue spalle alla cosiddetta "cagna rabbiosa", si mise poi seduta sul mio banco ed io fui costretto ad alzare lo sguardo per poterla guardare negli occhi dal taglio orientale.
Feci una smorfia, ammonendola così a non oltrepassare quella sottile linea che separava l'essere simpatici e il cercarsele, espressione che la fece solamente ridacchiare, «scherzavo, scherzavo, rilassati. In realtà ti volevo chiedere se mi avevi portato il foglio che ti avevo chiesto», facendo un piccolo cenno di assenso con la testa; non avrei sprecato del tempo nel parlare di qualcosa così poco importante, mi girai e dopo che presi il foglio, ritornai nella mia posizione iniziale, ritrovandomi il suo viso molto più vicino di prima, decisamente troppo vicino.
Tossicchiai e abbassai lo sguardo, quella bastarda cercava di intimidirmi e farmi sentire in imbarazzo, e sì, diciamo che ci stava riuscendo, «eh, uhm, eccolo, è già compilato, devi solo firmarlo e, sì, insomma sai già cosa fare» borbottai a bassa voce incarognito, ma che a 'sta stronza le si era incollato il culo sul mio banco? Oppure c'avevo scritto coglione sulla fronte? Non lo seppi mai, qualsiasi cosa Erica volesse dire perì ancora prima di nascere, interrotta infatti dall'entrata storica del professore di religione, che - mi annotai subito - avrebbe avuto l'onore di stare sul mio alterino vicino alle sante e sacrosante cuffie.
Scese dal banco e con un «grazie tesoro, affidabile come sempre», seguito da un veloce bacio, si allontanò per sistemarsi al suo posto.
Feci scivolare lo sguardo dall'asiatica alla mia ragazza che sembrava stesse per esplodere per quanto la sua faccia era livida dalla rabbia, e infine all'insegnante; uomo di sessant'anni, basso, molto basso. Estremamente basso. Non credo nemmeno arrivasse al metro e cinquanta; capelli bianchi e inspidi, sembrava dovesse spazzarci per terra con quei pelucchi ritti, inoltre indossava un paio di occhiali dalla montatura troppo spessa sopra gli occhi, che sembravano avere la tremarella, e una cartellina di pelle ridicola.
Dicisi alla fine di concentrarmi sul foglio davanti a me; avevo abbozzato un disegno e quella sarebbe stata la mia occupazione per il resto dell'ora.
Al suono della campanella, che indicava l'inizio della ricreazione, esausto per non so quale motivo - probabilmente sentire troppe cazzate mi stancava; e tra Dio e Gesù, ce ne erano -  poggiai la testa sulle braccia, chiudendo leggermente gli occhi, fanculo tutto, pensai.

La macchina scivolava quietamente sull'asfalto bagnato, in modo distratto guardavo fuori dal finestrino, appannato dal calore delle mie mani e del mio respiro, e osservavo le poche macchine scure.
Con la coda dell'occhio notai un movimento, qualcosa di brusco, inaspettato e tutti i veicoli alla nostra destra impennarono.
Rallentammo, quel che era una macchina bianca adesso era ripiegata su se stessa, il profilo del guidatore sostituito da una macchia di sangue e stranamente la sua testa era poggiata direttamente sul volante...

Mi svegliai di soprassalto, innanzitutto come diavolo avevo fatto ad addormentarmi?,  secondo poi alzai il capo, smarrito, solo per ritrovarmi lo sguardo schifato della professoressa di italiano, ma non era ricreazione? Dal suo sguardo sembrava proprio di no, smadonnai sottovoce e finsi indifferenza, passandomi una mano tra i capelli  e alzai la mano, venni subito adocchiato, «sì, vuole aggiungere qualcosa?».
«uhm, potrei andare in bagno? È urgente», urgente un paio di cazzi, dovevo semplicemente allontanarmi un attimo da quell'atmosfera che si era creata in classe, troppo opprimente, e sì inoltre perché m'era venuto il cagotto a fischio, dannazione, quel salame al cioccolato di ieri era delizioso.
Avuto quindi il consenso, ovviamente dopo un "eh ma potevi andarci a ricreazione" di rito, mi alzai con nonchalance dal mio posto per dirigermi al bagno, atteggiandomi da puttana, sculettando un po' una volta passato davanti all'insegnante, stronza, me lo succhiasse.
Dopo aver espulso il più velocemente possibile i miei bisogni fisiologici, mi lavai le mani, sentendomi osservato; infatti alzando gli occhi allo specchio, vidi riflesso, oltre al mio schianto di figura, quel damerino di Damiano che mi fissava con un angolo della bocca alzato.
Rimanemmo così per alcuni secondi, «cazzo guardi stronzo» gli sbottai con delicatezza, «oltre alla fregna di Letizia vuoi guardare anche il mio cazzo?».
Rise piano, la sua bocca ormai deformata in quel che era un ghigno, «se la tua è un'offerta, io accetto volentieri.»
Sbuffai, «cagna infame», «ti direi di andare a cagare, ma a quanto pare ci sei già stato» e fece un movimento circolare con la mano, facendo finta di annusare l'aria.
Le mie guance si tinsero di rosso, «ma baciami il buco del culo», ridacchiò «per carità, meglio di no.»
Senza ulteriori parole, mentre uscivo dal bagno infuriato, 'sto figlio di puttana, imprecai tra me e me finché non sentii il classico suono di quando si prova ad accendere un accendino, subito tornai sui miei passi e vidi Damiano con una canna tra le labbra.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa e ne avrei avute di cose da dire, l'allarme antincendio cominciò a suonare, senza pensarci due volte gli presi la canna e la buttai fuori dalla finestra così da disfarmi delle prove, per poi trascinarlo praticamente di peso per raggiungere gli altri studenti che avevano cominciato ad uscire dalle aule.
«Sei un fottutissimo coglione, ma non lo sai che ci sono i cazzo di sensori?» gli sussurrai a bassa voce, colto dall'ira, «sai quanto devi pagare di multa se ti beccano che hai fumato perché sei un cazzo di tossico incoscente e non sai resistere per più di tre ore?»
Alzò gli occhi al cielo e scrollò le spalle, «scusa, non lo sapevo» ammise a bassa voce mentre ormai eravamo circondati da tutte le altre classi nel cortile, lo guardai negli occhi, che alla luce sembravano aurei, e decisi che non mi sarebbe importato, in quel momento dovevo solo raggiungere i miei compagni così che venisse fatto l'appello e potessimo tornare nelle classi.
Quindi girai i tacchi, non degnandolo più di un solo secondo del mio tempo; percepii chiaramente i suoi occhi sulla mia schiena, lo ignorai e mi diressi verso la professoressa che non si risparmiò la ramanzina nel vedermi arrivare.
Che schifo di giornata.

All'uscita me lo ritrovai davanti, il damerino mi stava palesemente aspettando, infatti appena mi vide, si mosse per raggiungermi ed io glielo lasciai fare, rallentando il passo, ma senza fermarmi.
Quando feci per superarlo, mi bloccò poggiando la mano sulla mia spalla, e cominciò a parlare, «ehi» rimase in silenzio per qualche secondo ed io aspettai pazientemente, «grazie per prima, mi hai salvato» incontrai i suoi occhi chiari, poi spostai la mia attenzione su un punto fisso per terra, «figurati, non lo sapevi e inoltre ci sarei andato di mezzo anche io, quindi» lasciai cadere il discorso e seguitò ancora una volta il silenzio, allora ricominciai «però adesso devo andare»
«aspetta, un'ultima cosa» mi offrì la mano, «sono Damiano», l'afferrai ed egli mi strinse con vigore «Stefano», «lo sapevo già» sghignazzò ed io alzai gli occhi al cielo, per poi posarli sul suo viso e mi permisi di osservarlo; incarnato pallido, mascella definita, occhi color miele, sopracciglia scure e ciglia lunghe «sì, anche io.»
«Ah sì?» era soddisfatto lo stronzetto, «Già, Letizia ti ha nominato qualche volta» grugnì di approvazione, «adesso almeno è ufficiale, no? Spero di rivederti presto, Stefano, è stato un piacere conoscerti» sorrise e, prima che io potessi spostarmi, portò la sua mano sulla mia guancia e l'afferrò come si faceva con i bambini, poi si allontanò, «beh, non si può dire lo stesso con te» borbottai, non staccando gli occhi dalla sua figura mentre invitabilmente lo seguivo per uscire; capelli riccioluti scuri, quasi nero ebano, più alto di me di almeno dieci centimetri - quindi si avviciniva probabilmente al metro e novanta, era uno schifo di gigante - e con una faccia da bastardo.
Prima che potessi apprezzare appropriatamente tutta la sua immagine, mi sentii chiamare alle spalle da Letizia così le diedi il tempo di raggiungermi e quando lo fece, mi prese per il polso, trasinandomi verso la persona che avevo appena salutato.
Letizia fece il nome di Damiano più volte prima che egli ci notasse e una volta al suo fianco, ricominciammo a camminare.
Me me stetti amabilmente zitto, non in vena di proferire una parola di più, credo infatti che nessuno al mio posto avrebbe voluto che la propria ragazza parlasse così vivacemente con un bastardo quasi sconosciuto dal bel visino, così diressi la mia attenzione ovunque tranne che su Damiano, che sembrava trovarsi così a suo agio con la bionda al suo fianco.
Afferrai le cuffiette e li ignorai, li ignorai mentre aspettavamo lo stesso autobus - il telefono divenne improvvisamente molto interessante -, mentre stavamo salendo su di esso, mentre eravamo seduti - il paesaggio era particolarmente affascinante - e solo quando Letizia mi picchiettò sulla spalla perché sia ella che Damiano dovevano scendere, la degnai di un saluto freddo anche se il mio sguardo era fisso sul moro.
Li osservai arrivare alla porta di lei ed entrare; in quel momento capii che avrei rivisto quel damerino tutti i giorni e che mi stava fregando la ragazza, sbuffai sonoramente.

Note:
Kiao bitches

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top