III - Come distrusse... così creò
Ycron
Universo Sigma, Sistema Solare Ku'rain, Pianeta Hamaa. Angolo oscurato Varsigma, Regione 85.
Anno Astrale 3313, Data astrale 167.
Venne scelto il sistema solare di Ku'rain come campo di battaglia; ci stabilimmo sul pianeta Hamaa¹. I dodici strateghi, il corpo più eterogeneo e in vista adoperato dal re degli Althuwwar per i piani di guerra, aveva disposto di usare un sistema solare isolato senza problematiche e fenomeni cosmici come nebulose o buchi neri. Da quando avevamo descritto il misterioso essere in blu e parlato delle sue mirabolanti capacità, gli strateghi pensarono che la creatura in questione fosse in grado di aprire gli accessi tra i più svariati anfratti come sistema di difesa e di spostamento; ma arrivarono anche alla conclusione che esso fosse in grado di spostarsi in più universi oltre a quello che fino a quel momento conoscevamo, probabilmente perché apriva accessi di diverso genere e per diversi scopi, tutti correlati con la sua abilità, che al momento risultava impossibile da quantificare o misurare. E se quel soggetto fosse il primo di una razza a loro dire pericolosa, gli strateghi stessi non fecero altro che mettere il tarlo del dubbio nei pensieri di mio padre Shars. Quest'ultimo dichiarò guerra agli apriporte, termine dispregiativo che affibbiarono agli sconosciuti dala pelle blu che, secondo il pensiero degli strateghi, avrebbero mosso guerra contro di noi se non fossimo stati i primi ad anticipare un attacco. Da quando il curatore aveva fatto pervenire le informazioni al corpo degli strateghi, in appena due giorni avevano già consolidato piani d'azione e architettato possibili modi di agire e di come tale razza potesse comportarsi secondo ogni possibile variante, per non parlare dell'ingente armamento schierato in campo. Oltre a tutti gli Althuwwar, con oltre nove milioni di schierati, si erano associati altri diciotto popoli guerrafondai, tutti asserviti al nostro popolo, portando il numero a ben cinquanta milioni di soldati.
Durante la preparazione, Shars aveva disposto il pieno potere d'azione agli strateghi, con la condizionale che avrebbe preso il comando in qualunque momento in caso la situazione fosse precipitata, nonostante la piena sicurezza del nostro popolo. Durante l'attesa, decisero di abilitare le batterie di energia per alcuni esperimenti di creazione di porte artificiali. Da quando avevano saputo della possibilità di poter entrare in altri universi, le probabilità sotto ogni aspetto erano incrementate praticamente all'infinito: materiali, tecnologie, risorse, armamenti, popolazioni, conoscenze e tanto altro. Ma per un qualche strano motivo, le batterie di energia andarono in sovraccarico, e la potenza scatenata dai convogliatori aprì un accesso spaventosamente enorme e del tutto incontrollato. Dall'altra parte del portale ci furono miriadi di personalità dall'aspetto noto. Pelle blu, magri, alti e con vestiti leggiadri. Senza nemmeno aspettare, i nostri partirono all'attacco. Io e Sharuh, da lontano, osservammo cosa stava accadendo. Vennero messi in moto gli attacchi con raggi di energia, iniziando a sterminare diverse migliaia degli apriporte, ma in pochi attimi questi ultimi aprirono molti portali, rispedendo indietro gli attacchi contro di noi. Qualunque accorgimento prendevamo, gli apriporte trovavano la soluzione ai nostri attacchi semplicemente aprendo gli accessi e ribaltare una nostra manovra. Mio padre, impaziente di attendere, si lanciò alla conquista. Infatti ordinò: "Non fatevi fermare. Prendete dei prigionieri, i migliori, ma gli altri li sterminerete."
Rinnovati nel comando del loro signore, tutte le truppe ripresero a guerreggiare con convinzione e sete di conquista. Ma fu lì che iniziarono i guai. Dall'accesso, si fece avanti una figura mastodontica, vestito alla stessa maniera dei tizi in blu. Il senso del pericolo salì alle stelle, e i brividi di terrore mi scossero; era una sensazione paralizzante e disarmante, mai sperimentata prima. Cercai il sostegno di Sharuh, ma anche lui era nella stessa stretta di terrore e angoscia.
"La codardia non è nella nostra famiglia! Scendete e combattete, figli miei! O che l'onta del disprezzo vi segni fino alla fine dei vostri ingloriosi giorni!" gridò Shars, con due coltelli tra le mani.
Mio fratello, caricato di temerarietà, gridò: "A morte gli apriporte!"
E tutti gli altri, a sentirlo, intonarono il medesimo canto di guerra.
L'essere titanico, avanzando davanti agli apriporte, fece comparire dal nulla un accesso, e da esso apparve un lungo bastone. Con quell'oggetto, il gigante stese la verga in una direzione ed esso, aprendo un portale casuale, sfondava le linee degli eserciti con una facilità stupefacente. Ogni colpo non seguiva nessuna logica, ma con pochi movimenti decimò molti milioni dei nostri. Rimasero in piedi solo gli Althuwwar, la nostra gente. Quanto ai sopravvissuti degli altri popoli che si erano uniti per la guerra, se la diedero a gambe. Alcuni di essi vennero barbaramente eliminati dai nostri, proprio perché non potevano sopportare l'idea di essere stati traditi, o peggio, essere circondati dai vigliacchi.
Mio padre, per la seconda volta, inneggiò: "Prodi genti del popolo degli Althuwwar! Che il sangue scorra a fiumi, e che il vostro onore brilli tra le stelle e oltre! Non fatevi spaventare dal gigante. Eliminate il capo e disperderete i suoi seguaci!"
"Miserabili, state usurpando il vostro posto. Il Supremo vi giudicherà. Ma sarò io a eseguire la condanna!" indicò con voce poderosa il gigante dal vestiario brillante, simile alle tinte di un sole in piena attività.
"Fores aperio, semitas claudo. In nomine patris, sententiam profero. Servus eius ego sum, et poenam eius porto!"²
Le sue parole mi scatenano paura fin nel profondo, non solo perché ricordava l'idea di un linguaggio antico e carico di potere, piuttosto stava facendo passare l'idea che avrebbe fatto tutto quello che era nelle sue capacità per adempiere a ciò che aveva dichiarato, ovvero eliminarci. In tutto questo, io non riuscii a muovere un singolo muscolo, le armi mi caddero dalle mani, per colpa della debolezza e del timore di affrontare una vera e propria divinità. Le mie genti, spinte anche dall'onore da difendere, resero più strenuo l'attacco incanalando ogni singola cella di energia delle batterie di sbarramento; il gigante, senza alcuna sosta, allungò il bastone, sfondando tutte le batterie con un colpo solo, provocando esplosioni enormi e grida. Sharuh, incapace di aspettare, si lanciò ad armi sguainate, gridando selvaggiamente. Capii immediatamente qual era la sua mira: prendere la testa del gigante. Quanto a me, corsi velocemente appresso a mio fratello, capendo che doveva avere supporto. Come balzò in fronte alla possente figura, questi capì la sua intenzione. Afferrò il bastone e, piantandolo a terra, questo salì veloce dal suolo, investendo mio fratello e anche me, intervenuto per toglierlo dalla traiettoria dell'attacco.
Nel frattempo, vidi mio padre indietreggiare, con le sue lame in bella vista e con una ferita non indifferente al collo. Tuttavia, la proverbiale resistenza al dolore e alle ferite rendevano mio padre un'autentica macchina da guerra, facendolo passare più per una fantoccio che per un vivente. Ordinò agli strateghi di passare al piano di riserva. Alla sola idea che ci qualche altro schema da parte mi preoccupava. Dal suolo del pianeta venne aperta una botola di dimensioni colossali, e da questa apparve un grosso missile. Come diedero il comando di avviare il missile, Shars ordinò: "Teneteli tutti occupati, non devono fermare il missile! Massima priorità sul loro capo!"
"Alharib, nostro principe! Colpisci chiunque si pone contro di noi, e sarai nominato guerriero scelto!" intonò uno degli strateghi, forse notando che ero in preda alla confusione. Quanto a me, per la prima volta, sentivo che ci fossero delle questioni che non erano state prese in considerazione; avevamo deciso di conquistare un nuovo universo, ma pochi si erano posti l'idea o le conseguenze di quella scelta. Il gigante, stanco di trattenersi, aprì migliaia di porte sotto ai piedi degli Althuwwar, facendoli sparire tutti, fatta eccezione per me e mio fratello. Quanto agli apriporte, questi smisero di combattere e si dileguarono nell'accesso; infine, lo stesso gigante aprì un piccolo varco dal quale sbucò mio padre, visibilmente provato. Cosa gli fosse accaduto o dove fosse finito poco importava. In lui potevo vedere la caparbia testardaggine di voler portare a termine l'incarico che si era prefissato. Un nuovo accesso, più simile a un pozzo gravitazionale, assorbì all'istante mio padre. E nel frattempo, il missile partì spedito nell'accesso da dove gli apriporte e l'essere titanico erano sbucati, attraversandolo rapidamente e trasformandosi in un raggio di energia colossale.
Vidi l'essere titanico avvicinarsi a me. Con gli occhi sbarrati e le stesse emozioni paralizzanti, lo osservai per tutta la sua altezza, con ancora il bastone in mano. Non sapevo cosa avrebbe voluto fare di me, ma non avrei escluso che mi avrebbe voluto annientare come aveva fatto con i nostri alleati e con la mia gente. Però, con grande sorpresa, fece sparire la sua verga e mi guardò con pietà, così come fece anche per Sharuh.
E il peggio cominciò proprio lì. Una devastante onda di energia investì il titano, ed esso sparì, tramutandosi in polvere. Se l'essere era stato così spaventoso, sia per la facilità con cui ci aveva sconfitti, sia per la potenza in suo possesso, chi lo aveva eliminato era ancora più potente di costui. Da un raggio di luce, seguito da una misteriosa colonna, apparve la presenza di una creatura. Seppure fosse simile in grandezza a noi, la sua energia era palpabile. Sharuh, intimorito, si avvicinò con le armi in suo possesso. Senza nemmeno dare il tempo alla creatura di farsi avanti e di identificarsi, Sharuh si scaglio contro la nuova entità; essa, senza battere ciglio, lo polverizzò in un istante. Rimasi orribilmente pietrificato dall'orrore per quella reazione, così fredda e meschina. Infine, l'entità sollevò una mano da terra e ricompose Sharuh per intero, rimettendogli perfino le armi in mano.
Lui tremò per la potenza a disposizione della creatura, si inginocchiò e non sollevò nemmeno la testa. Infine, la stessa creatura cominciò a parlare e disse: "Sì, tu sei un eccellente soldato, e potresti diventare molto più di quello che sei ora, Sharuh."
"Conoscete il mio nome?" domandò mio fratello.
"So anche il futuro che ti aspetta se deciderai di servirmi. Un nuovo eroe, con un potere devastante e con la tua forza. Sarai capostipite della vera tribù degli Althuwwar. Adesso, guarda dietro di te, e dimmi che cosa vedi."
"Io, dietro di me, vedo solo mio fratello, e il risultato della sconfitta della mia gente," sindacò Sharuh senza alcun freno.
"Da questo momento, se mi seguirai, il tuo sangue sarà più nobile dello stesso Sahir. Da oggi, tu non sarai più chiamato Sharuh. Il tuo nuovo nome, assieme a una missione, ti renderanno migliore e imbattuto. Alzati, mio prode guerriero. Io oggi ti chiamo con il tuo nuovo nome, ed esso sarà Epakunios. Io sono la Grande Signora, e ciò che stabilisco diventa legge. Seguimi e diverrai il più grande di fra i principi e più lucente degli astri della notte. Seguimi in questa mia personale battaglia, e sarai il capo di uno sterminato popolo che darà la vita per te."
"Sì, mia salvatrice," accettò Sharuh.
Essa, quella mostruosità che aveva polverizzato e rimesso in piedi mio fratello, aprì un accesso e, osservando tristemente mio fratello seguirla come suo nuovo capo, lasciò Hamaa. In tutto questo abbandonò anche me, lasciandomi da solo, in una terra dilaniata e distrutta, piena di cadaveri e di morte. Senza più forze, immaginai che la mia vita fosse giunta al termine...
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Mirrgh
Data Astrale 106, Anno 2547.
Pianeta Sh'tar Pur'im, Costellazione della spira, Settore 8, quadrante Nu.
La giornata aveva una strana aria. Già da quando mi ero svegliato, l'unica cosa a cui pensavo era che avrei seguito un nuovo insegnamento di Nyoka. Avevo fatto costruire il suo tempio al confine della città, ed era diventato in poco tempo un luogo di pellegrinaggio anche per i centri vicini; e Nyoka asserì che il suo donatore aveva deciso di sua spontanea iniziativa di aiutarlo, facendo sì che la sua personalità venisse alla luce. Mentre uscivo in direzione del tempio, notai con la coda dell'occhio che Lubras era appoggiato a una colonna, con un fastidioso sorriso da vipera ebete. Credeva di poter dettare legge e comportarsi come voleva soltanto perché era entrato nella sfera delle famiglie nobiliari. Quella volta ci mancò davvero poco che non gli misi le mani addosso.
"Figliolo, e così anche oggi vai a perdere tempo da quel vecchio lucertolone?" indagò Lubras.
"Cominciamo dal fatto che non sono tuo figlio. E in più, sono autonomo a un livello tale che tu non debba interessarti, o meglio immischiarti, in come impiego il mio tempo," replicai.
"Sai, non dovresti parlare in questo modo al tuo patrigno, specie se sono legato a tua madre," sibilò Lubras.
"Inoltre," dissi, "Quel vecchio lucertolone, come tu osi chiamarlo, è un'anima pura e generosa, visto che segue ancora gli antichi precetti della nostra specie. Ha talmente tanto da insegnare che potrebbe trasformare quella boria che ti caratterizza in forza positiva."
"Oh, certo, adesso un nobile che si fa addestrare da un povero, ma che assurdità!" ribatté Lubras, avvicinandosi pericolosamente e afferrandomi per il collo.
"Solo perché rispetto mia madre non ti metterò le mani addosso. Ma non darmi motivo di rimangiarmi questo avvertimento!" sbraitai. Le mie urla riempirono i corridoi, e in pochi minuti i vari abitanti del palazzo accorsero per capire la causa dell'alterco.
"E tu vorresti diventare un Eccelso Taipan? Non meriteresti altro che il disonore, Mirrgh! Sei la vergogna di tutta la progenie dei Warsnakes! Tienilo bene a mente! Finché farai di testa tua non avrai nessun futuro assicurato!" gridò incollerito Lubras.
"Sai cosa c'è? Che i privilegi nobiliari, lo sfarzo e le lodi eccessive te le puoi anche tenere! Vuoi anche i miei titoli? Te li lascio molto volentieri! Sei e resterai sempre un povero di spirito! Preferisco il disonore e la solitudine, piuttosto che la gloria spartita con un mentecatto come te!" indicai.
Seccato come non mai, lasciai Lubras e tutta la nobiltà e mi avviai da Nyoka. Le voci si sparsero a macchia d'olio, e come spesso accade, si piantano semi e si raccolgono foreste. Da un semplice alterco con il mio patrigno si era arrivati a raccontare che un membro della nobiltà aveva giurato di mettere a morte tutti i componenti delle alte sfere, qualcosa che non mi era passato nemmeno per la testa. Appresi tutto questo appena entrai alla presenza di Nyoka.
"Mirrgh, ho sentito le chiacchiere che girano su di te, avrei piacere di sentire la tua visione in merito," indicò il mio maestro. La sua apertura mentale fu la prima cosa che mi aveva attirato, prima ancora dei precetti che seguiva con scrupolosità.
Una volta spiegato tutto quello che aveva sentito dalla gente e mettendolo in paragone con quello che era davvero accaduto, lui stesso disse: "Conosco i miei allievi e tu, che sei uno dei più grandi in termini di età, non credo a nessuna delle cose che sono state dette sul tuo conto."
"Maestro, è tutta colpa del mio patrigno, e sicuramente c'è lui dietro a queste assurdità; appena tornerò a palazzo, lo strangolerò con le mie stesse mani!"
"Violenza genera violenza, Mirrgh, e odio infiamma odio. Credi davvero che mettergli un bavaglio eterno possa sollevarti dalle bugie che sono state dette su di te?" indicò con lentezza Nyoka. Camminò in avanti con il suo bastone e, scrutandomi con le sue iridi lunghe, disse: "A volte, la verità e la menzogna sono come luce. Una è lenta, è tenue e graduale. L'altra è veloce, è violenta e immediata. Una chiarisce con il tempo, l'altra acceca in un'istante. Ma parliamo sempre di luce? È compito di chiunque si espone a una luce decidere se farsi irradiare da essa oppure rifiutarla, se farsi abbagliare da una prima occhiata o se è meglio guardare un evento nel suo insieme. Che ne pensi?"
"Maestro, tutto ciò non si può discutere. Però non comprendo perché si crede a una menzogna e non ci prende il tempo di approfondire. Perché si accettano le idee di comodo? Perché credere senza confermare, o anche solo accertarsi della veridicità di una nozione?" domandai, rapito sempre dal suo modo di spiegare la sua visione di vita.
"Spesso è più facile credere perché chi ci sta intorno crede. Ma ogni vivente ha una strada da trovare, una strada che, presto o tardi, lo soddisferà. Sarà premiato o verrà punito? Chi lo sa, dipende da come ha deciso di camminare. Ogni cosa ha il suo tempo per avere una risposta che lo soddisferà."
"Sì. Maestro, a questo proposito, avrei da sottoporvi un mio pensiero. Tutto è accaduto circa dieci giorni addietro, dopo essere scappato dall'ennesimo ricevimento..."
Quindi raccontai per filo e per segno l'evento in cui ho conosciuto l'UGF. Ero estasiato dall'idea di diventare un tutore della legge e di essere come l'ago di una bilancia. Il mio maestro, stupito da un simile desiderio, disse: "L'unico che potrà decidere questa strada sei solo tu. Sai che, percorrendo questa strada, rinuncerai a prestigio e fama. Otterrai risultati, ma al contempo impiegherai sforzi titanici, otterrai quello che ti proporrai ma non senza grandi fatiche. E di certo, molti delle casate nobiliari non saranno contenti di questa tua propensione."
"Ne sono più che consapevole. Il fatto che voglia discendere a uno scalino più basso è davvero un male? È davvero così sbagliato?" domandai.
"Finché non compi azioni che siano moralmente inaccettabili, nessuno deve decidere per gli altri o dichiarare se una determinata meta sia sbagliata o immorale. Mirrgh, tu sei formato a sufficienza per distinguere se una scelta è giusta oppure no. Hai la tua personale bilancia che ti aiuta a distinguere tra il bene e il male. Ma a volte ti fai trascinare dalla rabbia, e spesso questa tua ira offusca il tuo giudizio."
"Cosa dovrei fare a questo punto?" domandai con maggior insistenza.
"Non posso dirti cosa devi fare. Ma devi prendere una decisione. Tu sei la bilancia, possiedi due mani. Metti le due scelte e metti i pesi dei suoi effetti al loro posto. Quando avrai capito, saprai cosa fare. Adesso vieni con me. Mentre farai tesoro di questa nostra chiacchierata, ti chiedo di fare una cosa per me, soltanto per oggi."
"Cosa devo fare, maestro?" domandai, convinto che ci fosse qualcosa di nuovo da apprendere.
"Vorrei... che tu portassi gli allievi sulla cima della montagna. Oggi tu prenderai il mio posto, e una volta lassù, troverai una lettera sulla cima dell'albero. Fagliela trovare e dì loro di seguire le istruzioni che troveranno scritte al suo interno," spiegò Nyoka, ed egli aggiunse: "Oggi devo fare visita a uno degli allievi che si è assentato da molto tempo. Mi prenderò una giornata intera per ristabilirlo e per dedicargli tutto il tempo di cui ha bisogno."
Contento della cura che Nyoka nutriva per coloro che sceglievano di seguire i suoi insegnamenti, ero sulle spine sapendo di essere stato messo al posto del mio maestro per guidare i giovani discepoli. "Non preoccuparti, questa giornata gioverà a loro, ma soprattutto a te, Mirrgh," replicò Nyoka. E prima di avviarsi, indicò: "I ragazzi sono già stati informati di seguire le tue direttive."
La giornata sotto quel momento non me la ricordo per filo e per segno, tuttavia rimasi saldo alle istruzioni che aveva lasciato il mio maestro. Trovarono la lettera proprio dove Nyoka aveva detto, lessero le istruzioni e si diressero nelle foreste vicine, dove era stato costruito un percorso a ostacoli molto difficile. Infiammato dalla sfida, provai anche io a superarlo, e mi riuscì con molta difficoltà. La giornata, salvo per la disputa con quello scellerato di Lubras, si era dimostrata proficua e soddisfacente.
Ma quello che accadde alla fine della giornata non potevo certo farlo finire nel dimenticatoio. Tornando nei pressi della città, una grossa nuvola di fumo si era sollevata, e fiamme poderose si stagliavano potenti e indomabili. Sussultai, scorgendo nelle fiamme il luogo dove sorgeva il tempio di Nyoka. Accorrendo, scoprii amaramente che qualcuno aveva appiccato un incendio con una bomba liquida. E nel mentre che i cittadini si davano una mano a vicenda per spegnere le fiamme e contenere i danni, un altro tipo di devastazione stava bruciando; era in me, nei miei sentimenti, e sapevo a chi dare la colpa. Ero più che certo che tutto questo fosse opera di Lubras o di qualche suo scagnozzo poco intelligente. Dovevo solo aspettare paziente che il viscido facesse la sua mossa. Fortunatamente, non ci fu nessuna vittima, ma Nyoka perse tutto quello che gli era rimasto; la mattina dopo, fuori dall'area nobiliare, tutti i seguaci di Nyoka mi aspettarono, e porgendomi una lettera, il mio maestro spiegò, accompagnando il tutto con un ringraziamento, che sarebbe partito per altri luoghi e per espandere ulteriormente il suo bagaglio di conoscenza. Il paese più vicino dal nostro distava ben due giorni di cammino.
Lubras, che pensava di avermi in pugno e di avermi arrecato danno, mi aveva appena dato l'input decisivo per proseguire con la strada scelta. Lo avrebbe aspettato un giro di ludibrio così potente che difficilmente si sarebbe permesso di fare altre azioni sconsiderate. E avevo in mente l'idea perfetta per attuare questo piano.
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1 - Hamaa si traduce con la parola Pericolo in lingua Oromo.
2 - Apro le porte e chiudo i percorsi. Nel nome del Padre, io porto la sua decisione. Io sono suo servo, e compio la sua punizione!
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