Nobili Scuole;




Eris prese una grande quantità di zucchero e la versò nel suo caffè. Odiava il sapore amaro della bevanda, preferiva di gran lunga un bicchiere di Irish Whisky, ma era mattina e lei doveva tornare alle nobili scuole, come insegnante.
Non le piacevano particolarmente i ragazzini, a meno che non significasse terrorizzarli, quello
la divertiva un mondo.

Aveva ricevuto la comunicazione ufficiale dal preside Crowd, Benjamin Crow, suo insegnante di incantesimi, che aveva preso il posto di Chronos dopo la sua morte.

Cara signorina Eris Flare,
la seguente lettera è un invito da parte del sottoscritto, suo affezionato insegnante, nelle nobili scuole. Attualmente la cattedra di I.D.P.L.
(incantesimi difensivi di primo livello) risulta vuota, dato che come avrà saputo, mi è stata assegnata la presidenza delle nobili scuole dopo la scomparsa di suo nonno.
I candidati si sono accalcati davanti al mio ufficio, ma ho preferito contattarla personalmente, essendo la strega migliore del corso, ci tengo che rifletta sulla proposta di occupare il mio posto, la aspetto nelle Nobili Scuole il primo Settembre, non accetterò un no come risposta.

Devoti saluti, preside Benjamin Crowd.

La lettera si era frantumata appena aveva finito di leggerla, di certo sarebbe stato inaccettabile scoprire che il preside avesse scelto proprio lei. La fama di Eris la precedeva, non era di certo una zolletta di zucchero e aveva fatto ingoiare una quantità invidiabile di veleno a tutti i professori, Crowd non ne era stato immune, ma a quanto pare ricordava bene le sue abilità.
Non poteva rifiutare e non voleva, le serviva uno svago e la missione procedeva a rilento, i suoi fratelli erano sempre impegnati e per il momento era in corso la ricerca di un abitazione nei confini Irlandesi, sarebbe stato molto più semplice raggiungere gli obiettivi.

Moros era andato via due giorni dopo il recupero del medaglione e Keres era impegnata con una missione per il ministero. Era passata solo una settimana, ma senza di loro si avvertiva un aria pesante in casa.

«Devi tornare a Salem?» chiese sua madre mentre afferrava la caraffa con il succo all'arancia e si accomodava di fronte a lei.

Annuì. «Crowd mi ha convocata.» la informò addentando la fetta biscottata e prendendo un sorso dal caffè.

«Non ti detestava?» chiese alzando un sopracciglio.

«C'era qualcuno che non mi detestava?» ribattè.

«Dimenticavo.» afferrò il giornale «Lo sai che Josefh insegna arti curative?» ci tenne a dirle, facendo finta che quello che aveva appena rivelato non fosse importante.

Eris ghignò. «Ma non mi dire.» sbottò ricevendo un occhiataccia.

Josefh Creenland, figlio dei Creenland, famiglia del South Carolina, una spina nel fianco.
Era nella stessa casa di Moros (Casata Bianca), aveva la media più alta di tutti in arti curative, giocava a Quidditch, si ubriacava tutti i fine settimana fino al coma etilico, aveva una strana fissazione per i papillon e le prendeva da Keres con una cadenza mensile.

«L'ultima volta che l'ho visto, aveva uno strano occhio nero.»

La madre le riservò un occhiataccia. «A volte penso che dovrebbero rinchiudere Keres in una gabbia.» sbottò, l'altra rise «Beh vorrai sicuramente sapere che qualche giorno fa ha chiesto di te.»

Eris alzò un sopracciglio. «Perchè?»

Non dire matrimonio, pensò ardentemente.

Lei gli scoccò un occhiata e gli angoli delle sue labbra si alzarono in un sorrisetto. «Vuole chiedere la tua mano.»

«Non ne ha già due?» commentò sarcastica facendo volare gli occhi della madre al soffitto.

Sospirò. «Hai ventidue anni, io alla tua et-...» la interruppe.

«Oh non dirmelo, eri già sposata, avevi comprato una casa e stavi pensando a quanti pargoli sfornare?» Ginevra si accigliò «non voglio sposarmi, non voglio marmocchi urlanti, voglio-...»

«Passare la tua vita come una vecchia zitella senza cuore, si Eris, lo so.» aprì il giornale davanti alla sua faccia.

Eris riflettè. «Potrei comprarmi un gatto. Potrei chiamarlo Josefh.»

Piegò la carta. «È una cosa seria Eris, dovresti cominciare a prendere in considerazione almeno di conoscere qualcuno.»

Sbuffò sonoramente. «Perchè parli di queste cose solo con me?»

Aggrottò le sopracciglia. «Moros conosce anche fin troppe persone.» alludendo al via vai che c'era nella sua camera «e non conto che Ker si sposerà presto, ha un temperamento troppo violento, l'ultima volta che ho provato a presentagli qualcuno, è fuggito a gambe levate.» risi al ricordo. «Non pensavo sarebbe arrivata ad affatturargli la faccia.»

Si asciugò la lacrime all'angolo dell'occhio. «Io sto benissimo da sola, non ho bisogno di un uomo nella mia vita.» si alzò mettendosi gli occhiali. «e comunque -consiglio d'amica- prova a presentare delle donne a Keres.»





Le Nobili Scuole erano rimaste intatte, come se il tempo si fosse fermato da quando lei era andata via.
Raggiunse l'imponente villa, la osservò fagli enormi cancelli neri che ne cingevano il perimetro.
Sequoie alte e i cespugli ricoprivano le inferriate, i corvi gracchianti si poggiavano sugli spuntoni e una costante nebbiolina la nascondeva da occhi indiscreti.
I cancelli neri si aprirono al suo passaggio, era un posto dannatamente inquietante, ma per Eris era casa. Camminò a passo svelto nel suo completo nero, composto da camicia e gilet. Sistemò gli occhiali sul naso appuntito e raggiunse il viale in pietra. I suoi tacchi facevano un caos allucinante e quando alzò gli occhi vide gli studenti affacciati alle finestre che osservavano il suo passo sicuro e il suo mantello svolazzante.

Il portone con il teschio si presentò davanti a lei.
La testa si mosse di poco e sembrò spalancare gli occhi quando la vide lì davanti. Tossì e strinse le orbite vuote in due fessure. «Parola d'ordine?» chiese.

Il sorriso di Eris si aprì spaventoso sul suo viso. «Mors ultima linea rerum est.» Il teschiò chiude gli occhi e la serratura scattò.

La scuola era come se la ricordava.
All'ingresso venne accolta dal tepore del camino posto difronte a lei. Lo contornavano due enormi scalinate che portavano ai dormitori, ragazzini di ogni età erano appoggiati sulle ringhiere e la osservavano dall'alto, tutti la conoscevano.
Sulle pareti erano affissi i tre dipinti.

Lorel Sallow, strega e alchimista, bruciata a Salem dall'inquisizione 1705, raggiunse la villa scarlatta con i segni delle ustioni sul corpo, fu accolta e divenne fondatrice delle nobili scuole, in particolar modo, protettrice della casa Bianca, in cui risiedevano i prediletti nell'arte curativa e nella magia delle pozioni.

Miriam Corrad, strega e guerriera contro i soprusi dell'inquisizione, raggiunse la villa scarlatta qualche anno più tardi, fu accolta e divenne fondatrice delle nobili scuole, in particolar modo protettrice della casa Rossa, in cui risiedono i guerrieri e gli abili nell'arte della inganno.

Infine, non per importanza, Eris volse il suo sguardo al centro, proprio sopra il camino.

Reena Melis, strega e padrona della casa scarlatta. Sua madre, non strega, fu torturata dall'inquisizione e mandata al rogo.
Sua figlia rimase nella casa, imparò l'arte della magia in solitario, intraprese il percorso degli incantesimi antichi. Accolse Lorel e Miriam come sue sorelle e insieme fondarono le nobili scuole, Reena era protettrice della casa Nera, in cui risiedono i prediletti nell'arte della magia e del potere.

Non bisogna specificare in che casa fossero finiti i gemelli, nessuno si sorprese, tranne loro, quando furono smistati. Lo smistamento era diverso da quello delle altre scuole, le lettere d'invito arrivavano il 30 agosto solo ai bambini che in quell'anno avrebbero compiuto nove anni, i gemelli compievano il compleanno a novembre, quindi avevano iniziato che ne avevano solo otto.
Lo smistamento prevedeva procurarsi una piccola ferita e il sangue che ne fuoriusciva veniva fatto cadere su una pietra incandescente, il colore che ne fuoriusciva indicava la casata.

«Eris Flare.» Crowd la raggiunse all'ingresso.

Fece un cenno con il capo. «Preside Crowd.» disse e lui le indicò con la mano il corridoio alla sua destra.
Sotto gli sguardi di tutti, soprattutto della professoressa Gimli che osservava Eris contrariata, si diressero nell'ufficio.
Le aule, gli uffici, l'infermiera, così come la grande sala comune dove si consumavano i pasti, si trovavano al piano terra, mentre le camere dei ragazzi stanziavano al piano superiore, l'ultimo piano ospitava l'aula di astronomia.
I giardini per l'erbologia si trovavano all'esterno, la scuola non ospitava i campi per i quidditch, lo sport prediletto della scuola era il duello.

Arrivarono nell'ufficio del preside, l'ultima porta al fondo del corridoio. Appena entrarono, il quadro di suo nonno affisso al muro la fece rabbrividire. Osservava tutti i suoi movimenti con i suoi occhietti vispi. «Eris Flare.» mormorò.

Abbassò di poco la testa. «Chronos.» disse per poi accomodarsi.

Crowd aveva assistito al breve saluto in silenzio, sedeva sulla sedia in pelle di drago all'altro lato della scrivania. «Hai accettato l'invito.»

Lei alzò un sopracciglio. «Non pensavo di poter rifiutare.»

Ridacchiò. «Infatti no,» si tolse la giacca «come vanno le cose al maniero, la morte di Chronos deve avervi sconvolti.»

Si morse la lingua. «Bene, ci si abitua.»

Lui annuì. «Qualche professore - principalmente la Gimli- ha avuto qualcosa da dire in merito alla tua cattedra.» si passò una mano sul viso. «Non posso darle torto, hai dato un bel po' di filo da torcere, ma eri la migliore e questo lo sanno tutti. La Gimli dovrà accettarlo a suo malgrado, ma so che non mi deluderai.» gli lanciò uno sguardo eloquente.

«Beh,» sistemò la giacca «incantesimi difensivi di primo livello.»

«Si, aprire porte, far levitare le piume, accendere una candela, cose da poco conto» fece svolazzare la mano «non ho accennato un particolare.»

Ti pareva, pensò Eris alzando un sopracciglio.

«Sarebbe?»

Lui si sistemò meglio sulla sedia. «Conosci il professore Gladwick?» Eris annuì, riprese a parlare «conosci anche la sua condizione immagino?»

«È un lupo mannaro.»

«Esattamente,» sembrava sollevato «il professore Gladwick è il mio immediato sostituto, ma la sua licantropia lo porta a dover fare elavate assenze che l'anno scorso hanno riscosso non pochi problemi, quindi il tuo compito qui-...»

«Ricoprire i buchi.» sbottò «avrebbe potuto scrivermelo, non sarei dovuta venire fino a qui.»

Lui sollevò le labbra in un sorriso. «Ieri c'è stata la Luna piena, quindi-...»

Si massaggiò le tempie. «Mi hai teso un'imboscata Crowd?» rise pacatamente.

«Sono quattordici mocciosi di appena 9 anni con la bacchetta in mano per la prima volta, non ci vuole mica un corso di formazione,» poi si infilò gli occhiali «quarta porta corridoio est, avanti.» con un gesto spalancò la porta.

«Ora mi ricordo perfettamente perchè non ti sopportavo.» sbottò mettendosi in piedi.

«Non ero il tuo preferito?»

Eris non voleva ammetterlo, ma un leggero mal di stomaco la innervosì, scosse la testa, erano solo quattordici ragazzini, gli avrebbe insegnato qualche stronzata e si sarebbe divertita un po'. Raggiunse l'aula velocemente, si trovava non troppo distante dall'ufficio del preside.

Aula di Incantesimi di primo livello.

Aprì la porta e fu colta alla sprovvista da tredici paia di occhi che la fissavano. Non si fece scoraggiare, si avvicinò alla cattedra e si appoggiò su di essa rivolgendosi agli studenti. Si accigliò. «Tredici?» chiese e nell'aula si levò un breve brusio.

Tutti gli occhi si posarono su un ragazzino dai capelli rossi seduto in terza fila che ridacchiava insieme al compagno. Poi sollevò lo sguardo verso di lei. «Avanti Rocket!» strillò «esci di lì.»

Un rumore sommesso fece voltare Eris verso la piccola dispensa sulla parete al suo fianco. Con un gesto della mano la aprì e un ragazzino minuto con i capelli castani e gli occhi grandi ne fuoriuscì. «Cosa ci facevi lì?» chiese inclinando il capo.

Lui ingoiò un groppone e si voltò verso il ragazzino dai capelli rossi. «Come ti chiami?» gli chiese ancora Eris e lui arrossì.

«B-b-billy L-l-langley, ma tutti mi chiamano R-rocket.» balbettò torturandosi le mani.

Lei annuì. «Bene Rocket,» notò la fiamma nera sul suo stemma «accomodati.» gli indicò il posto.

Lui si guardò intorno e timidamente si avvicinò ad un posto libero vicino ad una ragazzina con le treccine che storse il naso.
Tornò ad osservare il ragazzino rosso. «Tu!» lo indicò e lui sbiancò immediatamente «nome?»

Si alzò in piedi. «Oscar Astor, professoressa Flare, casata Rossa.»

Ghignò. «Non credevo che la casata di Corrad accettasse codardi che pensano che rinchiudere i compagni nell'armadio sia divertente,» Oscar ingoiò un groppone, passò il suo sguardo sul resto della classe «non accetterò atti di patetico bullismo e nessun tipo di scherno nei confronti degli altri studenti, siete maghi e streghe, comportatevi da tali e portate rispetto all'onore delle streghe che sono sopravvissute per consentirvi di studiare qui» respirò profondamente «che libro di testo state utilizzando?» guardò verso Rocket che la osservava con gli occhi che luccicavano.

«Bulstrode, terza edizione.» afferrò la sua copia sulla cattedra, aprì le prime pagine, incantesimi di apertura.

Eris osservò la classe con un'aria impassibile, le braccia incrociate e il solito completo nero impeccabile. La tensione era palpabile, i ragazzi la fissavano con un misto di timore e curiosità. Alla fine, sospirò e si concesse un piccolo sorriso.

«D'accordo, cominciamo con qualcosa di semplice.» Afferrò la bacchetta e la fece roteare tra le dita con disinvoltura. «Immagino che tutti abbiate sentito parlare di Alohomora, giusto?»

Un mormorio di assenso percorse la stanza. Rocket, ancora un po' intimorito, annuì vigorosamente.

Eris fece un cenno con la testa e si avvicinò alla porta. «Perfetto. Sapete perché è importante?»

Una ragazza con le trecce alzò la mano timidamente. «Per aprire le porte chiuse a chiave?»

Eris annuì. «Corretto. Ma... sapete che la magia è tutta una questione di precisione? Non basta agitare la bacchetta e sperare che funzioni.» Si voltò verso la porta, puntando la bacchetta con sicurezza. «Alohomora.»

Un bagliore tenue avvolse la serratura, e la porta si aprì con un lieve click. Eris si voltò verso la classe con un sorrisetto.

«Facile, no?»

Oscar si fece avanti, l'aria di chi voleva impressionare. Afferrò la bacchetta con troppa sicurezza, puntò la porta e dichiarò: «Alohomora!»

Nulla accadde.

Rocket soffocò una risatina, e Oscar si fece rosso in viso.

Eris scosse la testa, trattenendo a stento un sorriso. «Troppo rigido, Oscar. Devi rilassarti. La magia è come... un respiro. Rilassati e prova di nuovo.»

Oscar annuì, prese un respiro profondo e riprovò. Stavolta, la porta si aprì leggermente, facendo scricchiolare le cerniere.

«Meglio!» esclamò Eris. «Ora proviamo tutti. Con calma, senza fretta.»

Per i successivi minuti, l'aula si riempì di suoni di serrature che scattavano, qualche sbuffo di frustrazione e qualche risata trattenuta. Eris camminava tra i banchi, correggendo la posizione delle mani e dispensando consigli con un tono sorprendentemente paziente.

«Rocket, tieni il polso più rilassato.»

«Brava, Lily, ottima pronuncia.»

«Oscar, meno tensione nelle dita, la bacchetta non morde.»

Dopo qualche esercizio, Eris batté le mani per attirare l'attenzione. «Bene, ci siamo quasi. Ma ora voglio vedere se riuscite a far levitare qualcosa.»

Rocket spalancò gli occhi. «Wingardium Leviosa?»

Eris annuì. «Esatto. La chiave è la leggerezza. Non state cercando di sollevare un masso, ma di persuadere l'oggetto a fluttuare.» Prese una piuma dal tavolo e la lasciò cadere dolcemente nell'aria. Poi con un elegante movimento della bacchetta e la giusta pronuncia, la piuma iniziò a librarsi lentamente.

Gli studenti la osservavano con stupore, e Rocket sembrava sul punto di saltare dalla sedia per l'entusiasmo.

«Ora tocca a voi.»

Le piume vennero distribuite, e la classe si riempì di voci che scandivano Wingardium Leviosa in toni più o meno incerti. Qualcuno riuscì a sollevare la piuma solo per farla cadere immediatamente, altri provocarono un piccolo spostamento d'aria senza alcun effetto visibile.

Eris continuava a girare per la stanza, correggendo, incoraggiando e, quando necessario, trattenendo un sorriso divertito. Dopo diversi tentativi, Rocket riuscì a far librarsi la piuma per qualche secondo, e il suo viso si illuminò di gioia.

«Ottimo lavoro, Rocket!» disse Eris con un cenno di approvazione.

Quando l'ora si avvicinò alla fine, Eris tornò alla cattedra, incrociò le braccia e osservò la classe con un sorriso soddisfatto. «Niente male per una prima lezione. Ricordate: la pratica rende perfetti. Non abbiate paura di sbagliare, la magia è anche questo.»

Eris si appoggiò alla cattedra e sospirò. Insegnare a un gruppo di ragazzini non era proprio nei suoi piani, ma forse non sarebbe stato così terribile dopotutto.

Dopo un'ora, qualche ringraziamento, l'aula si svuotò. Afferrò la sua roba, composta unicamente dal suo mantello, e fece per dirigersi fuori, ma la figura di Rocket la bloccò. «Non vai a pranzo?» gli chiese infilando l'indumento.

Lui la fissò. «Lei non rimane qui?» chiese dondolando sui talloni.

Scosse la testa. «Era nella casata nera giusto?» chiese ancora, tutte quelle domande la stavano irritando.

«Si» sospirò «posso fare qualcosa per te Rocket?» chiese.

Lui si mordicchiò l'interno della guancia. «Volevo ringraziarla per prima.» fece un cenno verso l'armadio «ero lì da quasi un'ora.» sorrise e ad Eris sembrò spezzarsi il cuore, ma non lo diede a vedere.

Sospirò ancora, non doveva intromettersi, era solo curiosa. «Perché ti prendono di mira?» si sedette e lui si avvicinò.

Alzò le spalle. «Perchè sono piccolo e» si bloccò «forse perchè non ho i genitori.»

Non sapeva che dirgli, si rendeva conto che la pietà non era contemplata in quei momenti. «Da quanto?» gli chiese.

Lui la guardò negli occhi. «Qualche mese, il signore oscuro li ha presi.» mormorò e lei strabuzzò leggermente gli occhi.

«Sei inglese?» chiese e lui annuì «Come mai sei qui?»

Strinse la cravatta tra le dita. «I miei zii mi hanno mandato qui.» rispose solamente.

Eris lo guardò e poi si avvicinò a lui, pronta ad andarsene «Quelli come Oscar Astor sono dei frustrati, fai parte della casata Nera e questo ti rende onore,» poi si accovacciò al suo orecchio «la fattura Languelingua si effettua generando due cerchi uno dentro l'altro in un solo gesto fluido.» poi si alzò e uscì dall'aula, lasciandolo lì da solo, con un sorriso enorme sulle labbra.

Camminò per i corridoi, era stato tutto sommato divertente, continuava a non sopportare i ragazzini, soprattutto quell'Oscar Astor, che nome del cazzo.
E lì, tra il bagno delle ragazze e l'ingresso della sala comune, incontrò la sua persona preferita.

«Dannazione, Jimmy, non sei invecchiato di un giorno!» il vecchio custode decrepito balzò il piedi e le puntò la scopa che aveva tra le mani verso la faccia, quando si rese conto che fosse lei, la abbassò con un verso disgustato.

«Non ti hanno ancora sbattuta nelle prigioni capitali, » gracchiò «sei sempre in mezzo ai piedi, come una zecca!»

Eris gli pizzicò la guancia. «Mi sei mancato anche tu.»

Una leggera tosse la fece voltare. «Eris Flare.» pronunciò visibilmente irritata la professoressa Gimli «ho sentito che fa parte del nuovo corpo insegnanti.»

Sorrise. «Si, non hanno trovato di meglio a quanto pare.»

Lo sguardo della Gimli rimase impassibile. «Come stanno quei due cerca rogne dei tuoi gemelli?» portò le braccia al petto.

«Moros e Keres?» chiese «spaventosamente bene, dovremmo fare una rimpatriata.»

Sbiancò. «Tu basti e avanzi.»

Eris ghignò. «Le prego di darmi del lei,» sembrò soffocarsi «ora sono la professoressa Flare.» voleva scoppiare a ridere per la sua faccia terrificata, avrebbe pagato fior di galeoni per poter far vedere a Moros e Keres quella scena.

Si voltò e senza dirle una parola scomparve, aveva detto qualcosa di sbagliato?



Arrivò a casa dopo cena, si era trattenuta tutta la giornata e aveva tenuto una lezione con i più grandi, era stata invitata a pranzo da Crowd, avevano pranzato nella sala conferenze, Eris si aspettava un indifferenza generale da parte dei professori, che invece non ci fu, sembravano quasi contenti che fosse lì. Si assicurarono più volte che Keres non fosse nei paraggi e chiesero di Moros, tutti lo adoravano, tranne la Gimli che non si unì al pranzo.

Si smaterializzò direttamente in camera sua e prese a spogliarsi decisa a farsi una doccia, Moros e Keres non erano ancora tornati, o almeno era quello che pensava.
Aprì l'acqua calda e per la prima volta in tutta la giornata si tolse i guanti, osservò le sue dita arrossate, si avvicinò allo specchio e prese a osservarsi. Era decisamente in forma, i tatuaggi spiccavano sulla sua schiena allenata, ma le sue occhiaie erano sempre pronunciate.
Lasciò che il getto le battesse sulla pelle e cedette al calore, nonostante fosse settembre, lei soffriva molto il freddo, si trovava ad indossare camice e giacche anche in piena estate.

Il suo meritato relax fu interrotto dalla porta che si apriva, prima che potesse afferrare la sua bacchetta, la testa di Keres spuntò. Roteò gli occhi, odiava quando entrava così in bagno. «Sei tornata.» sbottò insaponando i capelli con lo shampoo alla lavanda.

«Perspicace,» si accomodò sul lavandino «la mamma ha detto che sei andata alle Nobili Scemenze oggi.»

«Si,» disse immergendosi sotto il getto e chiudendo gli occhi «Crowd mi ha proposto di sostituire Gladwick, per la storia del lupo mannaro.»

Lei annuì. «Hai traumatizzato qualcuno a vita?»

La sua mente balenò su Rocket. «La missione?» le chiese uscendo dalla doccia, Keres le passò l'asciugamano.

«Bene, niente di troppo impegnativo, Moros?» chiese «non è ancora tornato?»

Alzò un sopracciglio. «È Moros.» precisò e l'altra sorrise.

«Se la starà spassando.» commentò sognante. «A proposito.» fece tornare il suo sguardo su di lei «Devo dirti una cosa, ma non devi dare di matto.»

Eris portò le braccia al petto. «Non do di matto.»

«L'ultima volta hai quasi staccato la testa al maggiordomo, quindi non dare di matto.»

Roteò la lingua nella guancia. «Sputa il rospo.»

Keres rise, non era un buon segno. «La mamma organizza una festa domani.»

Eris alzò un sopracciglio. «Perché dove-...» poi strabuzzò gli occhi «non dirmelo.»

Rise più forte. «Una festa,» quasi soffocò «per farti conoscere dei pretendenti.»

Eris sentì le le mani e la punta delle orecchie andare letteralmente a fuoco, inalò una quantità spropositata di aria, «MAMMA!»

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