III

Jill è ancora ferma sulla porta. Immobile. Come se davvero dovesse accompagnarmi fuori da lì. Come se dietro quel pezzo di legno non ci fosse lo stesso identico muro di carne putrida, ingranaggi, mattoni sbrecciati che fodera questo cubicolo, dietro la carta da parati ammuffita che fa da scenografia.

Sì: vi spiego.

Solitamente gli inferni e i purgatori sono pezzettini di mondo che riproducono pezzettini di vita - quella passata - ad uso e consumo di un'anima troppo carica di negatività per potersi dissipare da questo piano. Immaginatele come una sorta di celle d'isolamento dove essere sbattuti a riflettere un attimo. Come forma di punizione, oppure semplicemente come sala d'aspetto.

Nel mentre doveste godervi il soggiorno, in un Inferno, sappiate che la vostra essenza subirà inimmaginabili tormenti ideati e portati avanti al solo scopo di cibare del vostro dolore, della vostra disperazione e della vostra sofferenza il carceriere.

Nei Purgatori non va così male. Proprio come succede a Jill, mi sento di dire che ripetereste frammenti della vostra vita, condannati ad un loop continuo. Un carosello sempre uguale che tira fuori quel che si pensa sia, tecnicamente, il meglio che avete da offrire. Anche in questo caso, una qualche forma di energia positiva o negativa capace di nutrire, dare forza, ispirazione, motivazione.

Inferni e Purgatori li costruiscono persone come me, gente con una certa sensibilità ed una personalissima propensione per concetti come gusto estetico, architettonico e humor nero. Gente che da un po' di anni - anche secoli, a volte - ha capito che tutto quello che siamo convinti di vivere nella vita di ogni giorno sia una illusione. Uno spettacolo messo in scena su un Palcoscenico - mentre altri, altrove, muovono i fili. Gente come me, che dopo una personalissima e faticosa ricerca ha sacrificato un tantinello della propria sanità mentale per varcare il sipario e guardare cosa c'era, dietro. Ed ha votato la propria esistenza ad uno di quei Princìpi che, lì dietro, da qualche parte, scrivono i copioni e muovono i fili.

Ecco: oltre il sipario io ho scelto di servire un Principio, di fare l'Operativo. E pure un po' lo sbirro e il giudice.

Si era capito? Non troppo?

Non è la prima cosa che torneremo indietro a chiarire... se non vi fosse chiaro, le meccaniche di una illusione ben articolata come quella che voi credete di poter chiamare "la-Storia-del-Genere-Umano" non si liquidano certo in 3700 caratteri.

Per ora vi basti sapere che la cameretta dove Jill continua a credere di condurre la sua esistenza di mignotta - con un unico cliente rimasto, cioè io - è una bolla vera nascosta dietro un mondo di menzogne - quello da cui voi state leggendo. Un Purgatorio.

Oh, bene... quello che adesso tecnicamente vi interessa capire è che tra i due piani - il Palcoscenico e tutto quel che c'è dietro, Purgatori e Inferni inclusi, ci sta un muro - per voi è comodo che io lo chiami così - e che questo muro sembra fatto - beh, no, più o meno è fatto - di tanti oggetti, infiniti materiali, innumerevoli riferimenti a mille e mille differenti simboli senza nessuna importanza. Simboli dell'illusione. Quindi, sì... dietro quell'idea di carta da parati può pulsare carne viva, può esserci una selva di ingranaggi e fili spinati in cui districarsi, può esserci l'immagine della dura roccia o del legno marcio. Può esserci perfino una pioggia verde fosforescente di caratteri times-digit in punto 5 che ripetono senza una logica a voi chiara i due simboli 0 e 1.

Metteteci quel che volete, il senso non cambia. Il diaframma resta lì, che vi piaccia oppure no.

Torniamo a me e Jill ferma sulla porta, la stessa porta che, lo avrete capito, non porta da nessuna parte.

Torniamo a Jill che, come ogni volta, ubbidendo ad un ricordo fossile di una esistenza passata, fa quello che normalmente farebbe con un cliente che ha finito: accompagnarlo alla porta.

- Non chiederlo di nuovo, Jill. Non è arrivato ancora il momento di salutarci.

Sta per abbassare la testa, lo so.

Teatrale.

Prevedibile come quasi tutte le puttane. E un po' mi fa incazzare. Perchè, cazzo, Jill mi piace. Non scherzo: mi piace davvero. In due passi le sono addosso. La tiro dalla pezza più o meno sexy che fa finta di coprirla. La bacio sul collo. Sento le sue mani che mi si poggiano sul petto, per tenermi lontano.

- Ne ha lasciate altre, come me...

Le sorrido strafottente. L'idea di guidare il gioco mi solletica sempre.

- Le ho mangiate già tutte, quelle che ha ucciso lui.

- Ce ne saranno decine come lui... Ce ne saranno migliaia, come me...

La zittisco frugandole la bocca con un bacio. Immagino sfrigoli per me, dietro il gelo di quel contatto. Immagino.

Mi spinge via. Non la biasimo: deve suonarle un po' malata anche la mia idea di amore, se tutto quello che le offro è una gabbia dispersa su un qualche piano dell'esistenza dove solo io posso andare a trovarla.

Solo per il capriccio di scoparla da schifo dicendole che la amo.

Solo per il capriccio di sentirmi una volta di più qualcosa di molto simile a quello che quasi tutti chiamano Dio.

Magari, credetemi. Al confronto sono un umile garzone di cantiere.

- Dovresti almeno essere un po' orgogliosa. Non mi capitava di innamorarmi da più di duecento anni, sai?

Jill sussurra appena un vaffanculo, allontanandosi dalla porta.

- Giusto perchè tu lo sappia, tesoro: la sua pratica è sulla lista. La tua no.

Non so perchè, ma trattarla così è il solo modo che mi viene naturale.

Sarà che in tutto questo tempo - e credetemi, non so nemmeno dire quanto - non ero mai inciampato in una puttana che non mi facesse schifo?

Sarà che anche Jill, da viva, mi avrebbe fatto pena?

Sarà che, invece, qualche cosa di lei, sotto sotto, pizzica corde di me che non ho mai conosciuto?

- Cazzo, Jeff! L'hai detto tu: hai mangiato così tante esistenze come la mia da tappezzare la terra di carceri e inferni...

Mi volto. Annuisco dandole le spalle. È vero: ho divorato odio, rancore e sofferenze senza lasciare una briciola. Mi sono leccato pure le dita tutte le volte che sfilavo quelle esistenze dai loro sudari che voi vi ostinate a chiamare corpi e me le infilavo in gola, lasciando le scorze ai cani. Ho messo da parte un patrimonio di emozioni detestabili inimmaginabile.

Tra i colleghi, mi sa, sono uno dei più ricchi.

Di sicuro uno dei più ricchi della nostra Amministrazione.

E mentre gli altri non fanno in tempo a svuotare un sudario come Jill, che subito si mettono all'opera, a plasmare inferni e supplizi, come cicale goderecce...

Io recito da un po' di tempo la parte della formichina operosa. 

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