Prologo
Questa storia potrebbe cominciare con la descrizione di una villa isolata, che sin dalla fine dell'Ottocento resiste alla fame di verde della città, rimanendo immune al dilagare del cemento.
Potrebbe raccontare del mobilio ricercato, dei quadri importanti alle pareti o dell'elegante e imponente scalone al suo ingresso.
Oppure potrebbe iniziare con l'incredibile avventura dell'Uovo di Fabergé in memoria di Alessandro III, che campeggia su un apposito altare. L'uovo è andato perso per sempre in qualche angolo della rivoluzione russa, ma il proprietario della villa crede, in tutta ingenuità, di averlo ritrovato grazie all'opera di un esperto mercante d'arte lituano, in realtà un abile lestofante ucraino.
Potrebbe partire con la descrizione di quest'uomo, il possessore del caseggiato, un tipo basso, calvo e anonimo, amante dei soldi facili e della vita agiata, mosso dal desiderio di possesso e dalla sete di ostentazione. Un uomo dal passato oscuro ma dai gusti raffinati, che l'hanno spinto a isolarsi nella sua gabbia dorata fatta di oggetti belli e costosi.
Questa storia potrebbe cominciare, insomma, in centinaia di modi convenzionali.
Invece si aprirà con un tipo basso, calvo e anonimo, seduto, suo malgrado, su una scomoda sedia in noce a rocchetto risalente al diciassettesimo secolo. E con lui c'è un altro uomo, alto, moro, dagli occhi neri e penetranti, accomodato su una comoda poltrona Frau di fronte a lui. Sarebbe un uomo dallo sguardo bellissimo, se il suo occhio destro non fosse irrimediabilmente corrotto da una cicatrice che gli attraversa il volto fino alla guancia. Oltre al vantaggio della posizione, lo sfregiato gode anche della ragione nella discussione in atto per via della Glock calibro nove per ventuno che impugna nella mano destra.
- Te lo chiedo ancora una volta, Armando. Dove?
- Non lo so! Te lo giuro su tutto ciò che ho di più caro. Non l'ho più visto da allora. Io... a me non hanno mai detto nulla. Io... sapevo poco di tutto, ecco. Ero un pesce piccolo, io...
La voce del nanerottolo è stridula e fastidiosa. Se non fosse per la necessità di quell'informazione, lo sfregiato gli avrebbe già piantato una pallottola in mezzo agli occhi. Nonostante tutto, quest'ultimo non perde la pazienza. Lui non perde mai la pazienza.
Lo sfregiato ha imparato con il tempo che perdere la pazienza è inutile: non porta a nulla se non a rallentare i piani prestabiliti, a rimescolare le carte e a perdere tempo in inutili frasi piene di rancore e isteria. No, davvero. Meglio il controllo della situazione e il rispetto della scaletta, compreso il finale scontato che Armando ancora non ha afferrato.
Scuotendo la testa l'uomo con la ragione si alza e afferra uno zaino alla sua sinistra. Anche il nanerottolo vorrebbe alzarsi, ma è bloccato sulla sedia da quattro fascette in plastica, tipo quelle per gli impianti elettrici. Semplici, poco costose ed efficaci. Il moro estrae dallo zaino una bottiglia di plastica piena di liquido rosa e svita il tappo. L'odore dell'alcool arriva fino alle narici di Armando.
- Ehi, ma dico... Non sarai mica impazzito?
Il moro, senza dire una parola, versa il contenuto sugli abiti del nanerottolo.
- Per amor del cielo, non farlo - piagnucola quest'ultimo.
Finita la bottiglia, lo sfregiato ne estrae un'altra esattamente uguale e completa l'operazione bagnando le poche parti rimaste asciutte, tra le imprecazioni e i piagnistei del nanerottolo. Poi tra le mani del moro compare un accendino.
- Allora, Armando, che facciamo? L'accendiamo? -
- Sei un pezzo di merda! E sei pazzo. Pazzo! Mi hai sentito? Pazzo!
Urla, il fesso. Telecamere staccate, una villa in mezzo al nulla, i telefoni fissi isolati. E lui che fa? Urla.
- Mi stai dando fastidio e non mi stai dicendo ciò che voglio sapere. Dimmi ciò di cui ho bisogno oppure i tuoi vestiti andranno a fuoco. Guarda che dentro gli abiti ci sei tu... - esclama lentamente l'uomo mentre accende la fiamma.
Il nanerottolo piange a dirotto. Ha capito che le speranze di cavarsela sono minime. L'uomo di fronte a lui non bluffa e lui non ha scelta.
- Cervitore - riesce a pronunciare tra i singhiozzi.
Lo sfregiato spegne la fiamma.
- Cervitore. Cos'è?
- Un paese. Un paesino, una frazione forse. Loro mi ammazzano, però. Devo sparire, adesso, se no sono morto!
L'uomo ha ancora più ragione di prima e sorride. L'attaccamento alla vita del nanerottolo è encomiabile, ma la verità è che non ha afferrato bene la situazione. La canna della pistola si alza fino all'altezza degli occhi del povero omuncolo.
- Sparirai, Armando. Stanne certo.
- Nononononono. Oh, che stai facendo? Ti ho detto il posto dove si nasconde. Lasciami andare, adesso.
- Mai detto che ti avrei lasciato andare, Armando. Ho detto che se non parlavi ti avrei dato fuoco. Infatti hai parlato e non stai bruciando, in effetti.
- No, aspetta. Io ho tanti so...
Lo sparo echeggia nel vuoto della stanza e il cervello del nanerottolo si sparge sul costoso mobilio, sui rari quadri alle pareti e sul finto uovo alle sue spalle. La discussione stava diventando stucchevole e l'uomo dal volto deturpato non ha tempo da perdere.
Prima di lasciare la stanza afferra il cellulare e cerca Cervitore su Google Maps. Eccolo! Un paesino nel buco del culo del mondo, ovvero il posto ideale per scomparire. Non come questo cretino di Armando che passava il tempo a vantarsi di tutto con tutti per poi rintanarsi nel suo loculo. Topo di merda.
- La vanità ti ha fregato, mio caro Armando - dice al nanerottolo che ormai non lo può più sentire.
L'uomo si guarda intorno. Quasi gli spiace ciò che sta per fare, ma in realtà è necessario. L'accendino si accende e viene gettato sul fu Armando, che prende fuoco. In breve il tappeto sotto di lui si incendia, così come le tende.
E' il momento di lasciare Armando al proprio destino e di andare a chiudere i conti.
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