Capitolo tre
"Harper?"
Si fermò a pochi passi dalla porta dell'aula, voltandosi verso la donna dietro la cattedra e vedendola sistemarsi gli occhiali con un piccolo sorriso sulle labbra: "Sono contenta di averti visto a lezione, oggi."
Harper annuì, sistemandosi la cinghia della borsa sulla spalla e guardando fuori dalla finestra della stanza: in verità era andata più per abitudine che per altro, quella mattina avrebbe voluto rimanere nel suo letto, ignorare il mondo esterno e guardare il nulla.
In pratica quello che faceva quasi tutte le mattine da dopo l'incidente: lasciarsi andare all'inedia nel modo più totale e assoluto.
Peccato che qualcuno aveva bussato con insistenza alla sua porta: aveva provato a ignorarlo, nascondendosi meglio fra le coperte ma, chiunque fosse stato, non aveva smesso fino a quando lei non l'aveva mandato al diavolo e si era alzata, pronta a dirgliene quattro.
Quando aveva aperto, però, non aveva trovato nessuno.
Si era alzata, quindi si era mossa in modo automatico giungendo fino a quel momento.
"Sai, sarei venuta a cercarti" le disse la professoressa, poggiando una mano sulla cattedra e continuando a fissarla: "Sei mancata così spesso e, come sai, la nostra scuola pretende una frequenza obbligatoria..." la donna si fermò, stirando appena le labbra in una smorfia: "Non voglio indorare la pillola ma stai rischiando di ripetere l'anno, Harper."
La guardò, annuendo appena con la testa ma senza sentire nulla salirle dentro: come avrebbe dovuto reagire a quello? Farsi prendere dall'ansia, maledire la se stessa del passato per aver mancato così tante volte a lezione.
C'erano tantissime emozioni che avrebbe dovuto provare, invece del nulla totale che sentiva dentro.
"Harper, tu hai un grande talento per la musica" la donna si fermò, allungando una mano e stringendole appena la spalla con il sorriso sulle labbra: "Non gettarlo via."
Annuì una seconda volta, vedendo l'espressione della donna svanire velocemente e ascoltando il suo respiro farsi lievemente più profondo: "Ci sono dei gruppi che..."
"Ci sono stata" la interruppe Harper, vedendola annuire: "Sono inutili."
"Uno psicologo?" buttò lì la professoressa, sistemandosi gli occhiali e sorridendole nuovamente: "So che quello che lavora qui a scuola è molto bravo. Fagli visita..."
Harper annuì per l'ennesima volta, facendo un passo indietro e avvicinandosi di più alla porta: "Spero di vederti ancora a lezione, Harper" le disse la professoressa, mentre lei si voltava e metteva la mano sulla maglia.
Ignorò quella frase, uscendo nel corridoio e stringendosi nelle spalle, socchiudendo gli occhi al caos di voci e suoni che la inondò una volta fuori dall'aula.
Alla Blair chiunque suonava e ovunque.
Una nota di violino si levò più alta nell'aria, mentre lei si infilava fra un paio di gruppetti che stazionavano nel corridoio, marciando attraverso il labirinto che era la Blair: le aule piccole, le scale, le sale di prova e gli auditorium che avevano, formavano letteralmente un labirinto all'interno del palazzo.
Inspirò quando raggiunse una delle sale più lontane, ben distante dal caos e da qualsiasi altro essere umano: guardò la porta a doppio battente, prima di spingerla ed entrare in un piccolo auditorium.
Cinquanta posti, forse, in totale.
Uno sputo di sala, soprattutto se paragonata alla Magna della Blair.
Guardò il palco, dove un pianoforte era stato lasciato lì con un faro puntato addosso: Harper si avvicinò, salì i pochi gradini che la elevavano dalla platea e fissò le morbide curve del piano a corda, carezzando appena il legno laccato di nero.
Quello era stato da sempre il suo desiderio più grande, l'aveva chiesto tante volte ai suoi genitori, anche se sapeva che nel loro piccolo appartamento non ci sarebbe mai entrato.
Un piano da parete era stata l'opzione con cui si erano accordati: un piccolo pianoforte nero, addossato contro il muro del corridoio dove si era sfinita a furia di suonare.
Si avvicinò ai tasti bianchi e neri, fissandoli: come poteva tornare a provare tutto quello? Come poteva tornare a sentirsi felice quando si immergeva nella musica?
Si sentiva strappata da quando aveva avuto l'incidente, inglobata in quel nulla senza fine e assoluto, come se quei tre minuti e quattordici secondi non fossero mai passati.
Era morta ed era ancora immersa in quel buio totale e assordante nel suo silenzio assoluto.
Premette un tasto, sentendo la nota risuonare nell'aria mentre il suo corpo sembrava muoversi in automatico e sistemarsi sullo sgabello di fronte la tastiera.
Era una musicista e avrebbe sempre suonato, le diceva sua madre.
Ma come si può suonare quando sei avvolta da quel nulla senza fine?
Mosse le dita, sentendo altre note librarsi nell'aria: inspirò profondamente, mentre la sua mano si muoveva come se fosse staccata dal suo corpo, sotto il suo sguardo provò qualche accordo e il suo cuore si stringeva, ascoltando quei suoni.
Quello era il suo mondo, quello era il motivo per cui era nata.
Lo sapeva, ma non ce la faceva.
Staccò la mano dalla tastiera, inspirando profondamente e chiudendo gli occhi, immergendosi di nuovo nel nulla assoluto, quello che la faceva morire ogni volta sempre di più.
"Sei una pianista?"
Harper alzò la testa, notando il ragazzo della chiesa e dei biscotti che, in piedi, al centro della platea la fissava con un sorriso in volto: "No" borbottò, alzandosi e scendendo veloce giù dal palco, superandolo e andando via dall'auditorium.
Inspirò profondamente, addossandosi contro la porta doppia e sentendo alcune note provenire dall'interno: rimase in ascolto, riconoscendo quasi subito il pezzo che lui stava suonando.
Uno dei pezzi di Chopin che a lei era sempre risultato ostico per via dell'espressività ma che, a quel tizio, riusciva in maniera magistrale: il terzo componimento dello studio op. 10 di Chopin, noto anche come la Tristesse, sembrava essere stato assorbito dal pianista che lo rimandava al suo pubblico con tutta l'intensità e la dolcezza che la musica poteva creare.
Harper socchiuse gli occhi, ascoltando il pezzo fino alla fine e, quando riaprì le palpebre, sentì alcune lacrime scivolarle lungo le guance e l'emozione della musica che ancora vibrava dentro di lei.
a/n: ed eccoci di nuovo qui con Harper, sempre meno stabile fra ciò che è al momento e ciò che era prima dell'incidente.
Forse mi ripeterò a ogni capitolo, ma scrivere di lei è stato una vera sfida proprio per questo suo non essere stabile.
Detto ciò, come sempre vi chiedo di lasciarmi un commento e/o una stellina per crescere qui sulla piattaforma. Vi chiedo scusa per eventuali errori che ho lasciato e non ho notato, nonostante le mille correzioni che faccio sempre.
Infine, vi do appuntamento a venerdì prossimo con il nuovo capitolo!
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