78. The end?

Concentrati, concentrati.

Mi ripetevo senza sosta osservando i nostri nemici crollare uno dopo l'altro sotto i colpi di arma di Lake e Colton.

Con il passare dei secondi era cristallino che ci sarebbe servito un miracolo per cavarcela in quella situazione e avremmo dovuto sfruttare ogni briciolo di energia per riuscire a spuntarla. Difendere James era diventata la nostra priorità, mentre elaboravamo una strategia.

Dovevo concentrami e non pensare alla battaglia, almeno non nell'immediato. Il mio compito sarebbe stato quello di fare da apripista per mio fratello, portandolo al sicuro laddove avrebbe potuto sigillare il flusso del tempo.

E fu così che la vedi: l'apertura sul versante sinistro dell'altura. Le rocce scoscese e la parete di granito ci avrebbero fornito il riparo necessario per contrastare singolarmente i nemici e per agevolare le operazioni di difesa.

Eravamo stremati e stanchi. Arrancavamo nelle braccia e non avevamo più la forza per sorreggere le nostre carni. Ma non ci importava. I primi a mostrare i primi segni di cedimento furono Lake e Colton. Grondavano sudore, mentre le loro vesti erano ricoperte del sangue di coloro che avevano osato l'ardire di voler controllare l'universo.

Il piccolo scricciolo digrignava i denti furente, mentre la sua andatura risultava essere instabile passo dopo passo. Qualsiasi ribelle con un'arma a raggio lungo era la sua preda: bastava un piccolo portale e gli avrebbe trafitto il cuore.

Ad assecondare la sua perizia bellica c'era Mike, il quale non le staccava gli occhi di dosso al fine di agevolarle il lavoro di lettura delle posizioni nemiche. «Giavellotto ore tre!» urlò.

Spostando il suo peso in avanti evitò l'inevitabile. Ma le sue iridi erano oramai spente. Con un semplice segno di intesa Mike capì che toccasse a lui risolvere quell'incombente, riavvolgendo all'indietro la traiettoria della lancia affilata fu possibile colpire una fila intera di nemici.

Max teneva stretto tra le sue braccia la piccola Rosalinde, cercando di nascondere alla sua vista i terribili scenari di guerra. «Potrei teletrasportarci verso il basso, lo vedo nitidamente: bypasseremo il gruppo principale».

Mallek visionava l'intera scena, attingendo dagli infiniti flussi vitali, al fine di trovare il momento ideale per portare a compimento il nostro piano.

«Sfrutteremo il vuoto di energia adimensionale che arriverà in diciassette secondi. Tenetevi pronti, stanno giungendo con i portali alle nostre spalle.» Il ragazzo dalle efelidi rosacee avvertiva più nitidi che mai i movimenti di ogni singolo viaggiatore in quelle terre. Mi osservò di sottecchi, mentre sfruttavo il mio potere principale per rallentare e arrestare i nemici più lontani.

«Li devi bloccare, solo così Colton potrà...»

«Sarà fatto!» lo anticipai. Non c'era bisogno che mi spiegasse i motivi, mi fidavo ciecamente del suo giudizio.

Maxfield iniziò a preparare il terreno sotto i nostri piedi, connettendo le nostre figure grazie a circuiti di energia. Chiunque fosse connesso ad esso sarebbe stato teletrasportato con gli altri.

Retrassi gli arti in attesa di fare ciò che sarebbe stato necessario, aumentando la concentrazione affinché il mio potere fosse indirizzato esclusivamente verso coloro che ci stavano ostacolando.

Abbassai lo sguardo constatando che qualora ci fossimo riusciti, Christopher non sarebbe più stato alla nostra portata.

Ingoiai la saliva con estrema flemma. Dovevo credere che avrebbe resistito e allontanato la morte come solo lui sapeva fare.

Tre.

Era il meglio che avremmo potuto fare.

Due.

Almeno finché Kors non si sarebbe accorto di noi.

Uno.

«Ora!» Spalancai le palpebre d'istinto allungando in avanti le mani e riversando la mia aura sui nemici. Onde ad alte frequenze invasero le molecole dei loro corpi, azzerando la loro risonanza. Come Mallek aveva predetto, una decina di soldati si erano materializzati alle nostre spalle, ma purtroppo per loro erano caduti nella nostra trappola.

Colton levò le mani al cielo creando una serie di portali all'altezza del busto di colori i quali erano stati bloccati. Bastò semplicemente richiudere il palmo in un pugno per...

Maxfield attivò immediatamente i suoi poteri, costringendo Rosalinde all'oscurità imposta contro il suo petto.

Il flusso vitale di quei viaggiatori scomparì per sempre. E noi riuscimmo a giungere alle pendici della fonte facendo breccia tra i nemici.

Lake ricadde all'indietro ormai esausta. Boccheggiava a grandi spanne incapace di tenere a freno il suo gracile corpo. Tremava, mentre cercava di rimettersi in piedi.

Mi avvicinai e con l'aiuto di Mike riuscii a spostarla dal focus principale nemico. Non rimaneva che Colton a difendere la postazione.

Il ragazzo aveva grandi capacità di manipolazione spaziale, ma stava arrivando al suo limite.

Con la coda dell'occhio osservai James gettarsi al suolo in corrispondenza della fonte, iniziando a graffiare e grattare la superficie delle rocce con tutte le sue forze.

«No, no, no, non riesco così!» urlò in preda alla disperazione. Mi buttai al suo fianco, capendo che non era ancora finita.

«Dobbiamo spostare questo masso! Non riesco ad arrivare al nucleo del suo potere!»

Mallek e Max aiutarono nell'impresa, ma non era semplice. Ulteriori lance e colpi di spada vennero scagliati da coloro che erano rimasti nelle retrovie.

Mike tentò invano di sfruttare i suoi poteri per liberare l'ingresso della fonte, ma le rocce che erano ricadute erano troppo numerose e troppo pesanti. Eppure, non smise di provarci, mentre teneva stretta tra le sue braccia il corpo della esile Lake.

Se Chris... se solo lui fosse stato lì avrebbe utilizzato la sua accelerazione...

Colton urlò fatto preda dell'adrenalina che aveva investito il suo corpo. Si fece carico di allontanare e arrestare chiunque fosse nei paraggi, ma ogni secondo che passava la nostra disfatta era sempre più vicina.

Eravamo a un punto morto.

Disperati e furenti iniziammo a imprecare impalliditi dalla possibilità della disfatta... finché la mano di Rosalinde sfiorò quel masso di dimensioni spropositate facendo tremare la terra.

«Rose... non sei costretta a farlo» Maxfield era interdetto e spaventato, ma la bambina aveva ben compreso la situazione più di chiunque altro.

Mossi convulsa le mie pupille. «Lei può farcela!» incalzò James osservando le iridi cineree della piccola viaggiatrice riempirsi di lacrime.

«Io... sposto gli oggetti...» sussurrò, mentre Maxfield le cinse il corpo con le proprie braccia.

«Lo so, sorellina... e sei bravissima.»

Una freccia ruppe le nostre difese, colpendo il ragazzo a una gamba e trapassandogli la carne. Urlò squarciando il silenzio, poggiandosi con un ginocchio al suolo. Rose sussultò spaventata e lo spostamento che aveva generato si azzerò di conseguenza.

«Max!» Mallek e Mike si occuparono di bloccare il sangue che fuoriusciva dalla ferita stringendo con degli stracci all'altezza del polpaccio. Il ragazzo continuava a tenere stretto fra le sue braccia Rosalinde, con l'intento di proteggerla non solo dai colpi nemici, ma anche dalla paura.

«Andrà tutto bene... Rose, puoi farcela. Io credo in te.» La piccola ricacciò indietro le lacrime riportando le sue mani emaciate sulla superficie rocciosa. Nuovamente il terreno iniziò a tremare.

«Scusate, non sono riuscito a calibrare un portale per evitarlo.» Non potevamo andare avanti così. Colton mi lanciò un'occhiata che conoscevo fin troppo bene. Si sentiva in colpa, volendosi addossare ogni responsabilità per l'accaduto. Nelle sue vene scorreva la linfa vitale di un capitano e come tale avrebbe dovuto comportarsi.

«Sigillate la fonte e scappate da qui. Vi farò guadagnare abbastanza tempo» pronunciò solenne, mentre apriva l'ultimo dei portali che sarebbe riuscito a controllare, mentre si teneva un braccio con una mano. Stava perdendo troppo sangue. Era una mossa suicida, lo avvertivo fin dentro le mie viscere.

Mallek urlò di fermarsi. «Non farlo!! Per nessuna ragione al mondo-»

Varcata la soglia dell'altro lato i fiumi di ribelli rimasti convertirono su Colton.

Per quanto il suo addestramento lo avesse aiutato a sopravvivere fino a quel momento, era chiaro che non c'era più nulla che potesse fare.

La prima spada infilzò la sua carne all'altezza del petto, facendogli sputare fluidi vermigli. Ricacciò all'indietro il suo aguzzino, ma un secondo sopraggiunse alle sue spalle incidendogli la pelle a metà fra le scapole.

La lama che lucente spuntò dinanzi il suo volto fu solo l'inizio. Il suono di numerosi altri colpi e metalli che collabivano fra loro raggiunsero le nostre orecchie.

E io... non potevo più sopportare quei lamenti e lo strazio che ne sarebbe derivato.

Il tempo iniziò a rallentare in tutto lo spazio adimensionale, mentre in quegli stessi istanti si liberava l'accesso alla fonte di ogni potere.

La voce di Mallek non accennò a diminuire nonostante l'inevitabile fosse già in atto. «Delaney... non farlo!»

Ma era ormai troppo tardi.

Avevo attivato i miei poteri ancor prima di rendermene conto... e non avrei potuto fermarmi neanche se avessi voluto.

Il mondo venne macchiato di grigio in ogni singolo elemento che fosse mai stato creato. Le mille ferite lacere di Colton smisero di sanguinare.

Le sue viscere smisero di essere dilaniate.

Il filo delle lame venne privato del calore corporeo della loro preda.

La carne ricucita. I fiumi di liquidi interrotti.

Avrei fatto in modo che ciò non fosse mai successo.

E così fu.

Ricaddi sulle ginocchia al suolo, consapevole di aver superato i limiti imposti dal mio corpo. Avevo la vista sfuocata e la gola bruciante, ma almeno Colton era ancora lì, il momento prima di varcare il suo portale.

L'attimo ultimo in cui pensai di aver ingannato la morte.

«Cosa hai fatto, Dely!?» sussurrò Mallek in preda al terrore.

Invece l'avevo solo attirata a me.

Quella stessa sensazione percorse le mie viscere quando un portale di antimateria squarciò lo spazio per permettere che lui afferrasse il mio volto tra le sue dita.

***

«Incredibile come quei ragazzi ci abbiano letteralmente scaraventato a terra, cioè Dely è finita a terra... e nessuno abbia detto o mosso un muscolo! Davvero, Stephan, tua figlia era seduta sul marciapiede come un'ebete, mentre li osservava senza dire una parola!» Eravamo a tavola da meno di cinque minuti e James non aveva smesso un secondo di parlare dell'accaduto. Famiglia e rispetto erano due parole fin troppo importanti nel suo vocabolario. Ma non valeva la pena perderci troppo tempo.

Non mi piaceva attaccar briga. Avevo preferito sorvolare per poter tornare a casa e cenare con la mia famiglia.

«Non ci hanno visto! Piantala di farmi sembrare una cretina!» lo intimidii rubandogli dal piatto parte del polpettone preparato da Noora. Mi voltai verso di lei per osservarla. Lei e James erano proprio due gocce d'acqua. Al contrario, io e mio padre non ci assomigliavamo per nulla. Ogni qual volta posavo lo sguardo su di lui mi domandavo da chi avessi preso. Aveva i capelli biondo miele, un colore oramai slavato dal tempo e tendente al grigio. Ci scrutava tutti con gli occhi azzurri più lividi che avessi mai incrociato, contornati dalle leggere zampe di gallina: segni della sua età.

Sapevo che mia madre, Victoria, fosse scappata quando ero ancora una neonata in fasce, lasciando a mio padre l'incarico di prendersi cura di me. Gli dovevo tutto e quando mi presentò Noora fui la bambina più felice al mondo: finalmente avrei potuto avere una madre anche io.

Ero cresciuta circondata dall'amore di colei che mi aveva adottato e di entrambe le nostre famiglie unite. Il suo ex marito era morto a causa di un male incurabile, ma per fortuna non era stata sola nel crescere il miglior fratello che avessi mai potuto desiderare.

«James, non dare a tua sorella della cretina!» intervenne Noora. La adoravo. Sapevo che i due fossero stati vecchi amanti durante la loro adolescenza, ma che a causa delle differenti carriere lavorative si erano separati, per poi ritrovarsi venti anni più tardi e formare la mia strana e grande famiglia.

Le volevo un gran bene.

«Stephan, dì qualcosa a tua moglie, per favore!» Mio padre rise di gusto di fronte a quella scena. James non lo chiamava papà, ma questo non sembrava turbare il nostro equilibrio. Anzi, lo rendeva un legame unico, poiché mio padre non voleva essere solo un mero sostituto, ma una spalla su cui piangere e un amico se fosse stato necessario. Nessuno avrebbe potuto rimpiazzare Blake, che sia James che Noora ancora amavano nonostante il passare di tutti quegli anni.

Mi voltai quel tanto per osservare le foto di famiglia che la nostra strana combinazione aveva dato alla luce. Sopra al caminetto e sulla parete laterale dello studio si intravedevano i quadri più bizzarri che eravamo riusciti a scattare nei vari Natali, Capodanno e Feste del Ringraziamento. E presto ci sarebbe stata un'altra occasione per riunirci: il compleanno dello zio.

«Noora, il tuo polpettone è delizioso, ti sei superata.» La mora sorrise soddisfatta, mentre le sue iridi smeraldine si contraevano mettendo a fuoco l'uomo che amava. Mio padre le lasciò un tenero bacio sulla guancia.

«Ma andiamo! Dovete fare i piccioncini anche davanti a noi?» si lamentò James mettendo su un finto broncio. Mi avvicinai a lui stritolandogli un braccio per farlo desistere.

«Non lamentarti e goditi il momento!» puntai i miei occhi nei suoi con malizia. L'avevo avuta vinta. Dopo un attimo di esitazione si rilassò ridendo a sua volta.

Scrutai mio padre da sotto le mie lunghe ciglia, poi Noora e James. Erano la mia famiglia. Ed era tutto perfetto così.

*Ding Dong*

All'improvviso il campanello mi fece dimenticare di quei pensieri. C'era qualcosa di più importante, che avevo atteso trepidante! Finalmente lo avrei rivisto dopo tutti quei mesi e viaggi per il mondo.

Le sue cartoline e i messaggi si sarebbero tramutati in racconti dal vivo. Non desideravo altro.

«Vado io!» annunciai su di giri.

Nessuno mi bloccò concedendomi l'onore di aprire la porta al nostro ospite speciale.

Spalancai l'entrata sorridendo entusiasta.

L'uomo dai lunghi capelli cinerei e le iridi dorate si bagnò le labbra fiero del trattamento di benvenuto riservatogli.

«Zio Kors, finalmente sei a casa!»

Gli saltai al collo aspettandomi di essere ricambiata. La sua presa era salda e mi infondeva tutto il calore necessario per sapere che quello non fosse un sogno e che lui fosse lì per davvero.

Inspirò tra i miei capelli stringendomi ancor più forte. Dovevo essergli mancata anche io.

«Sì, Delaney...» sussurrò mellifluo. «E non ti lascerò più andare.»

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