64. Il simbolo della libertà.

A seguito degli avvenimenti della celebrazione dei diplomi vennero prese le giuste accortezze per contenere Kors.

I viaggiatori avevano paura di lui e delle sue capacità incontrollabili.

Il Consiglio requisì la tecnologia primordiale che Theon Georgestone aveva progettato, privandolo dell'onere e della fama acquisita. Il ragazzo andò su tutte le furie quando scoprì che il Consiglio avesse affidato a Valek il compito di creare i primi braccialetti inibitori di poteri.

Tutto ciò per cui aveva lavorato duramente gli era stato strappato dalle mani, poiché non godeva della fiducia delle massime cariche dell'Accademia.

E fu così che nacque il primo gigafut mai esistito: testato sulla pelle del ragazzo che aveva ucciso Anjelika Blake.

Come era stato capace di farlo e la sua colpevolezza sarebbero stati decisi al suo stesso processo, che durò a malapena un paio di giorni.

L' incontro di giustizia venne tenuto davanti la coorte composta dal Consiglio e dal Preside Pavlov, i quali chiamarono mia madre a testimoniare al banco.

Victoria proferì parole di rammarico per non essere riuscita a prevedere ciò che sarebbe accaduto, addossandosi le colpe per il fallimento dei suoi insegnamenti.

"Avrei dovuto essere un'istruttrice migliore" scandì.

Ma non era ciò che il Preside Pavlov andava cercando. Per lui il colpevole di tutto era solo uno e per dimostrarlo le domandò se Kors avesse mai dato segni di instabilità.

La bocca della donna che mi aveva messa al mondo si asciugò delle parole. Non aveva intenzione di rispondere: voleva proteggere quel ragazzo che la scrutava con le iridi corrotte dalla disperazione.

Il silenzio bastò per far sì che il Preside Pavlov deliberasse il suo più crudele dei verdetti.

«Sei la delusione più grande che io abbia mai avuto» pronunciò severo voltando le spalle al suo unico genito, «portatelo via».

Il ragazzo si dimenò avvilito, stretto nelle catene ai polsi, mentre strisciava sulle ginocchia e veniva allontanato dalla sola persona che avrebbe dovuto vedere il suo essere degno. Victoria non riuscì mai più a dimenticare l'afflizione del suo volto e la saliva che impestava furente agli angoli della sua bocca.

«Padre, no! Padre ascoltami, guardami!» gridava in preda all'agitazione. «Anjelika non è morta! La riporterò in vita! Posso farlo, lo sai anche tu! So come arrivare al flusso del tempo e cambierò il passato facendo in modo che non sia mai accaduto! Potrai essere fiero di me, tuo figlio!»

Stava lentamente perdendo il lume della ragione.

Il più vecchio corrugò la fronte con dissenso, poiché ciò che stava blaterando era pura irrazionalità! Il suo piano avrebbe significato portare alla distruzione il nostro mondo e lui non lo avrebbe mai permesso.

«Questo folle che stanzia di fronte noi tutti,» scandì dinanzi la giuria «non è mio figlio. Lui è morto quel giorno sulla torre.»

E fu così che il Preside sparì da quel palco ingiurioso, mentre il corpo di Kors veniva trascinato nelle segrete. «Papà... ma io...» bofonchiò con flebile voce. Le sue pupille si scontrarono con quelle di mia madre ancora una volta, facendola tremare nel profondo.

La testa ciondolava come se fosse priva di vita, a seguito della potenza delle parole che avevano pervaso il suo animo. Da quel momento in poi, non sarebbe mai più tornato in sé.

***

Passarono diversi mesi nel corso dei quali iniziarono decine di proteste, dapprima pacifiche, capeggiate da Theon Georgestone e Shark contro l'allora Preside Igor Pavlov e l'intero Consiglio. I due ragazzi appena più che ventenni trovarono terreno comune nel perorare la causa di Kors. Per entrambi si era trattata di una enorme ingiustizia in quanto, a loro dire, l'Accademia avesse l'obbligo morale di istruire i ragazzi e proteggerli in ogni situazione.

E loro non erano altro che l'esempio lampante di quel sistema che consideravano malato.

Shark era orfano di due mercenari, i quali erano stati uccisi sei anni addietro dai viaggiatori in un salto di ricognizione. Il ragazzino appena adolescente era stato accolto tra le fila dei banchi di addestramento come segno di redenzione da parte dell'autorità che l'aveva privato della famiglia.

O quello, o la morte.

Gli era stato promesso che se avesse dimostrato la sua lealtà, sarebbe stato ricompensato lautamente.

Ma la realtà era che, nonostante tutto l'oro dell'universo, Shark non avrebbe mai perdonato quei patetici colletti bianchi che avevano tranciato di netto non solo la vita dei suoi genitori, ma anche la carne del suo volto.

Si era allenato, integrato e aveva aspettato pazientemente un movente per poter combattere la sua battaglia. Non si sarebbe mai dato pace, né tanto meno avrebbe ceduto. Aveva sete di vendetta e non si sarebbe fermato finché l'Accademia non fosse stata distrutta fin dalle sue fondamenta.

Per quello, si accodò volentieri al fianco di Theon. Il giovane aveva deciso di denunciare i misfatti del Consiglio come atto di ribellione: era sempre stato trattato con sufficienza, quando la sua mente era una delle più brillanti che fossero mai esistite. Gli avevano tarpato le ali fin dal primo giorno.

Non solo gli erano stati sottratti i suoi progetti, ma l'Accademia lo aveva privato soprattutto della dignità, denigrandolo e ignorandolo.

Ciò che più agognava era la libertà assoluta di espressione e l'avrebbe perpetrata a qualsiasi costo, persino quello più importante.

Perciò vedeva in Kors la risposta a tutti i suoi tormenti. Finalmente c'era qualcuno che sarebbe stato disposto a compiere l'impossibile. Quale sfida migliore della promessa di poter cambiare il passato? Nessuno avrebbe mai più volato così in alto!

E più il preside tentava di metterli a tacere, più nuove voci nel coro si aggiungevano.

"Perché non possiamo sfruttare i nostri poteri?"

"Perché non permettere a Kors di compiere il suo progetto?"

"Perché non possiamo essere noi viaggiatori i padroni del mondo?"

"Perché sottostare alle regole quando possiamo crearle noi stessi?"

La scintilla era stata innescata e un fuoco prorompente infiammò gli animi di decine e decine di ragazzi volubili dall'ebrezza delle vane promesse.

Quello che era il nome della paura, divenne il leader di una ribellione. Kors non era più soltanto un assassino, ma nel buio e nel freddo della sua cella era diventato il simbolo della libertà.

E i simboli non potevano essere uccisi così facilmente come il preside Pavlov pensava.

«Verrà condannato a morte domani stessa!» pronunciò dinnanzi la folla infervorita dei protestanti. «Chiunque voglia seguirlo, farà la stessa fine!» minacciò incauto, non sapendo che un ideale era più forte di qualsivoglia misura di sicurezza.

***

Il silenzio circondava l'intera sala di giustizia, mentre solo i respiri mozzati dei viaggiatori che avevano osato presenziare all'esecuzione riempivano la monotonia di quei minuti. Era stato permesso l'accesso a solo una manciata di alti funzionari, istruttori e amici.

Vestiti di scuro e con l'accidia sul volto, mia madre, Valek, Melissa e Mark condividevano lo stesso banchetto su cui sedere. Né Blake, né Lyza avevano voluto essere presenti, decretandola un'arma corrotta dal potere e non degna della loro vista.

Quella definizione aveva trovato terreno fertile nella mente di Victoria, che però voleva essere fortemente presente per tentare un ultimo disperato appello. Con gli occhi lucidi e il cuor pesante sapeva che non c'era altro che avrebbe potuto fare per salvarlo.

E non solo lui.

L'intero equilibrio dell'universo era in bilico, lo sentiva fin nelle viscere.

Lei osservava dall'alto il patio dove il trono di Pavlov era alloggiato, convinta che la decisione da lui presa sarebbe costata estremamente cara.

Una vita per una vita non poteva essere la soluzione!

Nessuno era mai stato giustiziato in Accademia, ma quello non sembrava importare al vecchio barbuto.

L'uomo afferrava il pomo in metallo del bracciolo con impazienza, desiderando di tornare indietro di mesi, a quando i viaggiatori pendevano dalle sue labbra, collaboranti al fine di costruire un futuro di pace.

Tutto ciò che aveva sempre voluto era che suo figlio portasse avanti la sua eredità e mai avrebbe immaginato che, in realtà, si sarebbe rivelato il suo più arduo sfidante.

Il clima di tolleranza che il Preside aveva creato, era stato spazzato via in una sola notte.

Come si combatteva un'ideale? Un leader eletto dal popolo per dare voce ai desideri reconditi dei viaggiatori?

E l'unica risposta che si era dato era quella che più di tutte gli doleva il cuore.

Diventando Preside dell'Accademia aveva giurato di proteggere l'universo. Pertanto, non avrebbe mai anteposto i suoi sentimenti personali a quella che era la sicurezza interdimensionale.

Anche se ciò significava espletare l'estremo sacrificio.

Non poteva più tornare indietro sulle sue decisioni.

Dopo quanto accaduto con Anjelika Blake, Kors doveva essere cancellato quanto prima dalla linea temporale.

Solo in quel modo avrebbe fatto la cosa giusta, credeva.

All'improvviso l'eco di urla riempirono i corridoi su cui si affacciava la sala di giustizia, mentre le pesanti porte di ottone venivano spalancate e sbattute con veemenza. Le panche in legno traballarono al passo svelto delle tre guardie che correvano spaventate mirandosi alle spalle.

«Loro stanno arrivando!» gridò il primo accasciandosi al suolo senza fiato.

«Lo hanno liberato!» riprese il secondo cercando di aiutare il compagno ferito al fianco.

«Si stanno dirigendo qui» fece l'ultimo ritirando le ingenti ante e forzandone la chiusura.

Il mormorio di sottofondo si fece sempre più intenso, mentre il Preside cercava di far chiarezza alzandosi in piedi. «Chi sono loro

Era lapalissiano che le cose non fossero andate come prestabilito.

Avvertii l'irrequietezza dei partecipanti tramite Victoria. Un brivido percorse la schiena di mia madre e nello stesso istante lei e Mark si scambiarono un cenno di intesa. Non era stato difficile intuire come si fossero svolti gli eventi.

Le porte che erano state chiuse a fatica vennero riaperte a suon di pugni, mostrando il giovane Shark all'apice della sua forza.

Il metallo si era incurvato in più punti come fosse burro.

Un folto numero di ragazzi si apprestò ad entrare furente nella sala di fretta e furia, dando priorità ai membri più facoltosi del Consiglio e prendendo il controllo grazie ai loro poteri. Le poche guardie rimaste si disposero tra i ribelli e reggenti, come un foglio di carta a coprire il sole.

I viaggiatori presenti scesero le gradinate dell'anfiteatro spaventati, chiedendo protezione agli uomini del dipartimento della difesa.

E, mentre le fila si muovevano circondando i viaggiatori sul perimetro, dalla navata centrale Kors fece la sua entrata trionfale.

Un arcigno sorriso adornava il volto scarno e scavato dai mesi di prigionia. I capelli folti erano più lunghi di almeno una spanna dall'ultima volta che era stato visto in pubblico supplicare suo padre clemenza.

Ma quella volta non avrebbe più strisciato come un verme. Era stato acclamato e salvato dalla comunità che più di tutti era stata ignorata.

Victoria afferrò Valek e Melissa intimando loro di andare via in quel frangente, mentre affidava a Mark il compito di aprire un portale per far allontanare chiunque fosse nel suo raggio di azione.

Ma se l'amico aveva obbedito teletraspondosi in un punto cieco, i ragazzi non avevano la minima intenzione di ascoltare le parole della loro istruttrice.

«Ci siamo diplomati per assicurarci che i nostri cari fossero al sicuro!» iniziò Valek pensando a un piano che prevedesse di riportare Kors sulla retta via.

«Non scapperemo senza aver almeno provato a fermarlo» affermò Melissa al suo fianco, impugnando quello che era un semplice fermaglio per capelli. Non aveva altre armi a sua disposizione, ma quella sarebbe stata più che sufficiente per stordire chiunque le si fosse parata davanti.

Victoria sapeva di non poter far nulla per dissuaderli, ma allo stesso tempo temeva per loro. Erano in svantaggio, rintanati come topi per la stretta via e senza la minima idea di cosa avessero progettato.

«Cosa significa tutto questo, Kors? Esigo una risposta!» domandò Pavlov rivolgendosi al giovane dagli occhi piccoli e grigi.

Theon comparve alle spalle del condannato a morte, compiaciuto dal terrore che si palpava nell'anfiteatro, parlando al suo posto.

«Significa che siamo finalmente liberi di fare ciò che vogliamo, caro Preside! Vero, ragazzi?» urlò il giovane Georgestone girando su sé stesso e facendo roteare tra le dita il paio di manette che era stato ai polsi del leader della resistenza per tutto quel tempo. Quello sarebbe stato il suo trofeo.

Valek vacillò per un attimo, rendendosi conto che quella tecnologia avanzata non gli sarebbe mai appartenuta: nonostante ci avesse provato, il vero padre del gigafut era Theon.

Il pubblico era estasiato da tale tracotanza, gridando e riempiendo l'aria di grugniti e scherni.

Kors allungò una mano mirando l'uomo che lo aveva messo al mondo, richiudendola subito dopo in uno stretto pugno e all'improvviso il silenzio ricadde sull'intera sala.

«Ho cercato di spiegartelo con le buone, padre» iniziò sistemandosi i capelli dietro la nuca. «Questo intero universo è pieno di orrori e di paure. Io stesso ho visto e assaporato il dolore che la linea temporale ha donato al mondo e a pagarne il prezzo è stata la mia amata Anjelika. Non ti sembra ingiusto? Perciò perché difenderla a tutti i costi? Non sarebbe magnifico creare un luogo idilliaco dove non si conosce morte?» domandò corroso fin dentro l'animo.

Un membro del Consiglio si intromise dandogli del pazzo, tanto bastò per ritrovarsi contro una lama puntata al collo.

«Che peccato! Uno in meno a comandare sulle leggi dell'universo!» Kors si portò una mano alle tempie ridendo di gusto. I ribelli pendevano dalle sue labbra, attendendo un segnale per agire.

«Cosa credi di ottenere? Quello che stai ricercando è l'autodistruzione. Sai meglio di tutti che non è possibile riscrivere il passato senza creare un paradosso. E tu vorresti rimediare ai mali del mondo? E queste menti che hai contaminato con il seme della distruzione? Sei una minaccia per tutti noi! Mio figlio non sarebbe mai arrivato a tanto!» osò pronunciarsi severo il Preside.

A quelle parole Kors si infervorì digrignando i denti e scurendosi in volto.

«Non sono più tuo figlio, ricordi?» sputò acido. «Non mi hai voluto ascoltare all'epoca e non mi stai ascoltano adesso! Non lo capisci che io non ho fatto nulla, ma sei stato tu a crearmi?» un risolino fuoriuscì dalle sue labbra con prepotenza, come se lo avesse agognato per così tanto tempo.

«Io non l'ho cercato! Noi siamo il frutto di un sistema che ha lasciato marciare le giovani voci inascoltate. Che non ha permesso loro di esprimersi come volevano, ma che al contrario le ha rinchiuse e dimenticate in un pozzo senza luce. Non sono mai stato abbastanza per te. Sono qui per dirti che cambierò il destino, che lo modellerò a mio piacimento e che avrò la mia rivincita!»

Pavlov si innervosì tirando via la pesante toga e abbandonandola al terreno. «I deliri di un ragazzino non dovrebbero mai essere ascoltati! Fai un passo indietro e costituisciti, se è il bene dell'universo che vuoi, allora sai che è la cosa giusta!» Il sangue pulsava prepotente nelle sue arterie e nelle vene.

Kors lo zittì facendosi aiutare da un suo sottoposto. «Oh, ma io non voglio fare la cosa giusta...»

La sua risata corrotta pesò come un macigno sui cuori impauriti di chi osava ascoltare.

«Voglio piegare il caos al mio volere...» Schioccò le dita e in un frangente comparì un portale al suo fianco. «E non mi fermerò finché tutte le ancore non saranno morte. Solo allora potrò finalmente riabbracciare la mia amata.»

Nessuno si aspettava ciò che sarebbe derivato da lì a pochi istanti. La mano di Kors affondò nello specchio di antimateria afferrando il collo del preside Pavlov e bruciando al contatto con la pelle.

L'uomo che era stato per decenni a capo della massima istituzione levò le urla più stridule e terribili che mia madre avesse mai udito, in un ultimo greve respiro.

Quello che Kors stava facendo era disumano. I suoi poteri erano vettore di sofferenza e di morte.

Non ci fu nulla da fare. Quando Mark tentò di salvare il sovrano assoluto, era già troppo tardi.

Victoria lo scrutò imperterrita. Finalmente capiva il perché dei suoi sogni, il motivo per il quale sembrava che il futuro fosse in pericolo. E non poteva più tornare indietro.

Era bastato un singolo tocco, affinché la stessa sorte di Anjelika toccasse al vecchio Pavlov.

E quando il suo corpo sfiorò il suolo, fu allora che ne fu certa.

«Che il caos abbia inizio.»

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