47. Eternità infinita.
Primo e unico giorno dell'infinito
Non sapevo da quanto fossimo lì. Il sole alto nel cielo non era mai calato e stando a ciò che raccontava Mallek non lo avrebbe mai fatto. Era difficile tenere conto del tempo: un tempo che in realtà non sarebbe mai trascorso.
Avevo riguadagnato le energie perse grazie al riposo e al cibo che alcuni limitanti, così si chiamavano gli abitanti dei confini, ci avevano procurato.
Flare si era presa cura di me, tenendo sotto controllo la mia rigenerazione cellulare. La donna aveva più volte declinato l'invito di unirsi a noi, preferendo di continuare la sua vita in solitaria, isolata rispetto all'accampamento creato dai primi esiliati.
A centinaia risiedevano in quel villaggio fortuito e chissà quanti erano periti prima del nostro arrivo.
Non tutti, però, potevano vantare di essere stati viaggiatori rispettabili nella loro precedente vita adimensionale. La maggior parte non aveva mai nascosto intenzioni bellicose. Pochi erano i limitanti di cui avremmo potuto fidarci.
Sembravamo essere in un posto dimenticato da qualsiasi Dio fosse mai esistito.
Si viveva nella miseria, al gelo perenne e senza più alcuna speranza per un futuro migliore: di tutti gli esiliati cui avevamo fatto conoscenza, solo Mallek pareva serbarne ancora. Non vi erano sorrisi, né fiducia nel prossimo. Ci si poteva affidare solo al proprio istinto. Tutto ciò che muoveva i limitanti a sopportare la nostra recente presenza, era la consapevolezza di un terribile destino condiviso.
Mallek ci aveva aiutato a integrarci senza battere ciglio, procurandoci il necessario per sopravvivere e istruendoci su quale sarebbe stato il nostro posto: l'ultima ruota del carro.
L'unico modo che si aveva per poter sopravvivere era rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
Christopher e Colton si erano offerti volontari per i lavori di riparazione delle capanne non appena era stato loro possibile, riaffermandosi i capitani che da sempre pensavamo che fossero. Ogni debito con i limitanti che ci avevano sfamato doveva essere saldato. In quel luogo l'unica moneta di scambio era il baratto.
Sol aveva approfittato delle conoscenze di Flare per migliorare la propria tecnica curativa, non facendo altro che monitorarmi per conto della sua maestra. Era l'unico modo che aveva per tenere occupata la mente ed evitare di pensare a lui. Lo stesso aveva fatto Lake, decidendo di partecipare alla raccolta annuale della segale, unico cereale capace di poter resistere a quelle temperature estreme. Mike l'aveva seguita senza obiettare. In cambio, avrebbero ricevuto cibo e acqua a volontà.
James e Max, invece, si affiancarono a Mallek in qualità di vedette. Il loro compito era quello di accogliere e segnalare la presenza di viaggiatori sopraggiunti dal mondo adimensionale e, eventualmente, salvarli. Nonostante sapessimo bene che nessun altro sarebbe mai arrivato, avevamo evitato di farne parola per non turbare il precario equilibrio che si era instaurato tra i gli abitanti del confine.
Eravamo ombre di quel mondo parallelo, cercando di adattarci il più velocemente possibile alle sue leggi, senza cedere alla disperazione.
«Siamo tornati!» aveva urlato Lake da dietro la coltre di sacchi che trasportava tra le sue esili braccia, a causa delle quali non era possibile osservare i suoi occhi. «Questo è tutto il raccolto che ho guadagnato da quando siamo qui!» ci informò facendo cadere al suolo il bottino miracoloso che ci avrebbe permesso di sfamare l'intera squadra per almeno due pasti al giorno e per almeno tre mesi. Lo scricciolo contemplò dall'alto il suo tesoro prezioso con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
Mike l'aveva seguita trascinando l'unico sacco che era riuscito a ottenere come compenso. «Questo è il mio. So che non è molto, ma...» Colton afferrò la bisaccia ripiena di segale sull'uscio poggiandola su una spalla e accatastandola nell'angolo insieme agli altri.
«Anche oggi ha vinto lei?» propose ridente mettendosi a sedere e recuperando fiato. Il giovane Mike scrollò le spalle. Aveva dato il suo massimo, ma non era stato abbastanza.
Colton aveva la fronte imperlata di sudore. Chiese aiuto a Sol affinché pulisse e bendasse l'ennesima vescica che si era formata sulle sue braccia e che sanguinava dolente. «Dovrò chiedere altro unguento a Flare. La boccetta è terminata in meno di tre turni.» Ci informò la nostra amica.
Strinsi le labbra tra di loro. Mi sentivo in difetto per non essere riuscita a dare il mio contributo in nessuna mansione, nonostante fosse sfiancante per tutti loro.
Christopher mi aveva più volte rimproverata dicendo che la mia preoccupazione era infondata. "Senza di te nessuno di noi sarebbe qui" aveva mormorato poco prima di scomparire quella mattina. Le sue iridi luccicanti erano ancora impresse sulla mia retina. Ma non poteva sapere che quella affermazione era proprio ciò per cui più mi crucciavo.
«Il gruppo ausiliario ci ha ripagato con queste per aver sistemato il tetto della rimessa» comunicò colui che occupava i miei pensieri, superando l'uscio e mostrando le pellicce di seconda mano che lui e Colton erano riusciti a recuperare. Il profilo del biondo era severo, eppure, altrettanto intangibile in contrasto con la fonte luminosa proveniente dall'esterno.
Strizzai le palpebre solo per un attimo, ma quel tempo bastò per permettergli di raggiungermi. «Tieni,» iniziò mantenendo le labbra in una linea dura, «stanotte tremavi.» Incastrammo i nostri occhi e il suo sguardo si addolcì, facendo volatilizzare nel nulla qualsiasi pensiero negativo. Il caldo indumento scivolò sul mio corpo, mettendo in mostra le profonde ferite che segnavano la carne delle sue mani.
Christopher retrasse le braccia approfittando della baraonda che si era creata con il ritorno delle vedette, sottraendosi a ulteriori indagini. Sia lui che Colton erano estremamente testardi: non avrebbero smesso di fare ciò che dovevano neanche se glielo avessimo chiesto loro in ginocchio. Avvertivano il peso della responsabilità più di chiunque altro.
«E anche oggi nessun viaggiatore è stato buttato giù dalla torre» si fece strada James provocando l'ilarità del gruppo. «Penso che il nostro lavoro sia il più semplice, vero, Max?»
«Se solo sapessero che non c'è più nessuno nel mondo adimensionale...» Marcò il secondo gettandosi a peso morto su una delle amache laterali e dondolandosi per inerzia.
Per tutti non eravamo altro che l'ennesimo gruppo di esiliati ai confini del tempo e dello spazio, ma nessuno sapeva la verità su di noi. Nessuno doveva saperla.
«Abbassate la voce» ci incitò Mallek sbirciando tra le fibre di pelle della tenda. «In questo luogo dove l'utilizzo dei poteri è limitato, dove si sopravvive a stento grazie alla collaborazione di tutti, chissà cosa potrebbe accadere se si venisse a sapere della caduta dell'Accademia. La tregua potrebbe spezzarsi dando origine a una guerra interna!» Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio e le efelidi rosee si allontanò dall'uscio per raggiungermi.
Stanziavo da giorni su un materasso di erbe selvatiche, usurpando quello che era sempre stato il letto di Mallek. Si abbassò alla mia altezza per domandarmi come stessi. Deglutii.
«Bene! Talmente bene da desiderare ardentemente delle risposte che solo tu puoi darmi» ammisi cedevole nello sguardo.
Sapevamo entrambi di essere legati da un indissolubile filo, ma per me non era abbastanza. Volevo saperne di più.
Mallek incurvò un angolo della bocca maliziosamente. Non si aspettava niente di meno.
«E così sia» sussurrò ricadendo all'indietro sull'ingente materasso e spostando il peso del suo corpo contro la parete. Aveva guadagnato l'attenzione di tutti i presenti.
«Chi di voi si ricorda quale era il mio posto in Accademia?» domandò alla platea con sguardo sommesso. Forse faceva male parlare, forse non voleva farlo affatto.
Mike si aggiustò i capelli appiccicati alla fronte prima di rispondere. «Eri un apprendista storico! Ti sei diplomato, hai fatto parte della squadra alpha per un po' e poi ti hanno assegnato alla divisione di controllo, o sbaglio?» Mallek allungò un dito nella direzione dell'amico.
«Esatto, Kei-Kei. Proprio così. Per sei mesi sono stato addestrato al fine di rilevare anomalie nella linea temporale, poiché le mie capacità mi permettevano di farlo.» Strinse i pugni afferrando l'aria. «Potevo controllare la vita di qualsiasi umano. Ogni istante. Sapere l'esatto momento della sua nascita e la sua morte. Ero uno dei pochi che riusciva a farlo alla perfezione.»
Christopher si intromise nel discorso, aggiungendo dettagli rilevanti. «Nonostante la sua giovane età, era il miglior storico con cui avessimo mai collaborato. Grazie a lui siamo riusciti a salvare decine di viaggiatori.»
Il ragazzo sorrise bieco. «Consci delle mie capacità, il Consiglio mi aveva affidato come campo d'azione la torre dei ricordi. E in quel luogo, a contatto con l'energia cosmica, i miei poteri sono aumentati a dismisura. A nessun altro era permesso farlo, ero speciale, mi ripetevano. Grazie alla polvere adimensionale, e focalizzando la mia attenzione su un singolo essere umano, proiettavo nello spazio la sua intera vita. Ho passato gran parte del mio tempo su quella torre, ricercando anomalie e comunicandole ai miei superiori. Ero fiero di ciò che stavo facendo, felice di aver contribuito alla salvezza dei miei compagni e aiutato nell'individuazione dei ribelli. Ma quella contentezza non fu che effimera.» Le sue iridi cristalline si riempirono di ombre.
«Iniziai a sviluppare un effetto collaterale derivato da quel potere immenso. Avevo giocato a fare Dio, ma non ero nient'altro che uno sciocco. Sulla torre dei ricordi proiettavo decine di esseri umani alla volta. Aumentando giorno dopo giorno, tant'è che ho iniziato a sentirli nella mia mente e nelle mie ossa: la loro vita e la loro morte mi perseguitavano in un ciclo di dolore e disperazione. Il peggio arrivò quando iniziai a sentire i viaggiatori.» Digrignò i denti imperversato dalla rabbia.
«Cosa significa, Mallek?» domandai turbata. Non ero l'unica a esserlo.
«Non ero controllabile. Non ero prevedibile!» bofonchiò tirando un calcio sul selciato. «Ci hanno insegnato fin dal primo anno che non è possibile conoscere il futuro di un viaggiatore e che ci saremmo dovuti limitare a indagare la vita degli umani per proteggere lo spazio-tempo.» Mi guadagnai un suo sorriso torvo. «Ma la verità è che sento i destini di tutti coloro che siano mai esistiti in qualsiasi universo e quando lo ha scoperto mi ha semplicemente... fatto fuori.» Il ragazzo strizzò le palpebre, serrandole intensamente per mantenere un certo contegno.
«Mia madre ne era a conoscenza? Avrebbe potuto evitarti tutto ciò!» domandò Christopher tentando di fissare l'amico negli occhi. Mallek inspirò scimmiottando una risata beffarda. Levò il mento verso il suo precedente caposquadra penetrando nell'anima e proiettandogli le sue paure più profonde.
«Tua madre è colei che mi ha spinto di sotto.»
Per istinto mi allungai in avanti, non sapendo quali potessero essere le intenzioni dei due. Posai una mano contro il petto di Chris avvertendo la tensione promulgarsi in tutto il suo corpo. Si accigliò turbato ricercando il confronto con l'esiliato, ma quell'ultimo si limitò a passarsi la lingua su un labbro gustandosi la sua reazione.
«Per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Saresti stata una risorsa preziosa per tutti!» Christopher non aveva intenzione di indietreggiare.
«Per lo stesso motivo per cui ha deciso di esiliare Flare e gli altri limitanti. L'unica risposta che mi sono potuto dare è che mi ritenesse pericoloso, non dedito alla causa! Non lo so! È successo tutto troppo in fretta per poter anche solo chiedere una motivazione!»
Lake si accasciò contro i sacchi di segale facendone cadere al suolo un paio. Aveva mantenuto lo sguardo fisso e basso per tutto il tempo. «Mi dispiace per ciò che ti hanno fatto i miei genitori. È stato ingiusto. Non meritavi di essere trattato come un traditore» aveva pronunciato la figlia di due dei più importanti membri del Consiglio.
«Paradossalmente,» iniziò Mallek, «loro non hanno alcuna colpa: è stata tutta opera della Preside Thompson.»
Sol si levò in mezzo la stanza. «Vorresti dire che ha agito in solitaria? Ho sempre creduto che dietro le sparizioni dei viaggiatori ci fosse il Consiglio, ma se così non fosse, perché farlo?» Eravamo in trepidante attesa di ulteriori dettagli, il mistero si infittiva minuto dopo minuto.
«Non avevo parlato con nessuno di ciò che mi stava accadendo. Erano giorni che girovagavo per l'Accademia come un fantasma, avvertendo la sottile linea della vita dei miei compagni affievolirsi sempre più. Stavo impazzendo, ma sapevo che avrei spaventato chiunque, persino voi. Ho mantenuto il silenzio chiedendo un colloquio con la Preside per poter porre rimedio al mio malessere. Mi osservò di sottecchi indagando quali fossero le mie effettive capacità. Le rivelai che avvertivo la morte fin dentro le viscere, dilaniarmi l'animo dopo ogni respiro. Era tutto dentro di me, ogni singola azione futura, passata e presente di chiunque fosse mai esistito. Ma la mia era una abilità acerba, che si stava pian piano sviluppando. Ero in grado solo di sentire lo scorrere delle vite senza dare un volto o un nome a costoro.»
Deglutii intuendo il passo successivo. «Ti convinse a canalizzare i tuoi poteri sulla torre dei ricordi, così che avresti potuto darle una dimostrazione concreta.» Mallek annuì mantenendo la linea aspra delle labbra.
«Non appena raggiunsi lo spazio adimensionale le particelle di energia pervasero il mio corpo, l'intera volta celeste si rivestì di ologrammi, immagini e ricordi. Migliaia di voci si invischiarono esplodendo come avevano fatto nella mia testa. Li sentivo tutti. Troppi.» Le iridi cristalline si riempirono di lacrime. «Nei miei ultimi istanti mi ritrovai a fissare una ragazza dai capelli ramati giacere su un letto di neve candida. Non sapevo chi fosse, ma mi attrasse a sé come una sirena. Quell'effigie fu tutto ciò su cui mi focalizzai, prima di avvertire la spinta che diede l'inizio alla mia più buia disperazione. Con la coda dell'occhio la notai, tua madre, fissarmi dall'alto con le gote in fiamme e uno strano scintillio negli occhi, mentre precipitavo nell'oblio.»
Christopher mi attirò a sé facendo presa sulla mano ancorata al petto. Inspirò profondamente, incapace di darsi una risposta per ciò che aveva appena udito.
«Era Delaney quella ragazza, vero? Per quello eri preparato al nostro arrivo. Per quello lei...» James timidamente prese parola.
«Lei è il mio destino» terminò Mallek aprendosi in un sorriso intriso di malinconia.
Colton fischiò. «Amico, siete fatti l'uno per l'altra» scherzò stiracchiandosi da dove soggiaceva. Le lunghe bende erano state delicatamente sistemate.
«Che stronzate stai blaterando, Colton?» Christopher si voltò inferocito. Il ragazzo sotto accusa levò le mani in segno di resa mettendo in evidenza l'ovvio.
«Ti sei forse dimenticato che lei lo ha piegato al suo volere, il destino? Sapeva che l'Accademia sarebbe stata presa di mira dai ribelli, sapeva che saremmo morti. Sapeva esattamente come sarebbero andate le cose, conducendoci qui al sicuro. Sbaglio qualcosa, forse? Non sono mica stupido, ho visto di cosa è stata capace durante i combattimenti. Anche il suo potere è in continua espansione: tempo, spazio e chissà cos'altro. Ha le potenzialità per cambiare l'universo se solo lo volesse. Abbiamo le due carte vincenti per poter terminare questa guerra! Basterebbe che facessero le loro magie in maniera combinata per trovare i ribelli così da ucciderli una volta per sempre!» Le vene del collo di Colton pulsarono irrequiete per tutto il suo discorso.
«Non voglio spargere il sangue di nessuno! Dobbiamo essere migliori di loro!» gridò Mike cercando di sedare l'atmosfera. «Ho studiato gli anni della guerra per mesi. Un tale clima di terrore e il sangue versato non è ammissibile. Potete trovare un modo per evitare che riaccada ancora una volta?» I lapislazzuli del ragazzino risplendevano alla flebile luce che filtrava dalla tenda. Se solo avessi saputo come fare, lo avrei accontentato senza un minimo di esitazione.
«Non so come fare per visionare il futuro, mi dispiace...» sussurrai coprendomi nell'ombra di James, che intanto si era avvicinato per farmi da scudo.
«E i miei poteri in questo luogo non sono accessibili. Ci ritroviamo ai confini del tempo e dello spazio: le particelle di energia arrivano fin qui a malapena, non riuscirei mai a percepire la vita dei ribelli in pieno spazio adimensionale.»
Lake scattò in mezzo la stanza. «Non possiamo fare affidamento solo su di loro, perciò dovremmo risolverla come una squadra!» propose ingenuamente.
Mallek sorrise andando incontro allo scricciolo e facendo scontrare i loro pugni. «Mi era mancata la tua forza» ammise riacquisendo colore in volto. «Mi dispiace per ciò che è successo a Kit e Sander, avrei voluto poter fare di più per loro. Se solo mi fossi affidato a voi probabilmente si sarebbe potuto evitare di arrivare a tanto. Avrei potuto avvisarvi!»
«Non è colpa tua» sussurrò Christopher. «Si sono sacrificati per darci un'opportunità, perciò ti chiedo di perdonarmi e di unirti a noi. Lake ha ragione su una cosa: siamo una squadra e dovremmo agire come tale d'ora in avanti. E senza di te non sarebbe possibile, Mal.» Il capitano Thompson allungò una mano nel vuoto, che venne ben presto agguantata dal più giovane degli esiliati.
«Sarebbe un onore, Chris» pronunciò quando le loro dita si intrecciarono stabilmente un patto solenne.
«Sono felice di questo ritrovamento, ma qualcuno ha idea di come andarcene da questo posto di merda?» Colton non perdeva attimo per essere inopportuno.
«Io sono un'ancora, potrebbe ritornare utile in qualcosa la mia presenza?» James alzò una mano verso i compagni, decretando lo shock di Mallek, il quale non era a conoscenza della notizia.
«Tu sei cosa?» ripeté stupefatto inarcando un sopracciglio. «Ma come avete fatto a trovarlo? È pericoloso qui! Dobbiamo assolutamente nasconderti! Perché non me lo avete detto subito?» Mio fratello arrossì imbarazzato. Quel suo nuovo ruolo lo aveva reso estremamente euforico.
«È la reazione che abbiamo avuto tutti. Forse avremmo potuto parlartene quando ti abbiamo spiegato del perché siamo fuggiti dall'Accademia» scherzò Sol con leggerezza.
Christopher si allontanò verso le coperte cercando qualcosa che vi era nascosto. «E non è l'unica cosa per cui dobbiamo fare attenzione. Questo cronometro va protetto con la stessa premura. È tutto ciò che resta della mia famiglia e ho fatto un giuramento.» Tra le sue mani l'ampolla dorata risplendeva immensa. Le sabbie vermiglie fluivano ininterrotte, mentre il flusso cobalto aveva smesso di vorticare al suo interno.
Mallek osservò la reliquia da lontano, ma con estrema ammirazione.
«Non credevo che i cronometri dell'Accademia fossero capaci di funzionare anche qui. Quello che avevo con me era più piccolo e meno vistoso. Tant'è che si ruppe quasi immediatamente dopo il mio arrivo.» Avvicinò il volto osservando intensamente il cimelio. «Potrebbe tornarci estremamente utile. In questo luogo il tempo è un concetto immutabile. Siamo talmente lontani dal centro dell'universo che i secondi hanno smesso di scorrere e la nostra carne di invecchiare. Chi lo avrebbe mai detto che dopo tutte queste decadi sarei stato nuovamente capace di vedere qualcosa del genere?» chiese con foga.
«Che cosa stai dicendo, Mallek? Decadi? Sei scomparso poco meno di due anni fa!» Max saltò dal posto inclinando il capo con estremo terrore per ciò che avrebbe udito in seguito.
«Come ho detto pocanzi, il tempo non scorre. Secondo i miei calcoli ho passato ventitré anni, sei mesi e dodici giorni nella più completa solitudine, circondato dal vuoto cosmico prima di atterrare nell'accampamento... e poi chissà quanto da allora. Ho smesso di contare poco dopo. Potrebbero essere trascorsi secoli. Voi non siete che gli ultimi arrivati, ma come tutti noi state vivendo quello che è il primo e unico giorno dell'infinito.»
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